Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 207
marzo 1994


Rivista Anarchica Online

Mito e sacro

Un nervo dolente
Caro Carlo Oliva,
seppure non direttamente chiamati in causa dal tuo articolo «strani videogiochi» («A» 205), l'accenno ai circoli anarchici nei quali si svolgono seminari sul sacro e il rito resta comunque una non fuggevole critica al ciclo di conferenze che è attualmente in corso alla libreria Utopia e dato che ne siamo le organizzatrici e curatrici non possiamo non rispondere.
Una prima osservazione: crediamo che il progetto culturale da noi portato avanti alla Libreria Utopia ormai da molti anni, meriti annotazioni e critiche un po' più lunghe di una riga benché pungente. Non sta certo a noi dire se l'iniziativa attualmente in corso sia riuscita o meno, ma sta di fatto che anche quest'anno la Libreria è diventata, grazie a tutti i partecipanti, un interessante luogo di dibattito e di confronto. E le reazioni salaci come la tua o di totale disinteresse avuta da altri compagni, ci convincono ancora di più di un sospetto che abbiamo avuto sin dalle prime fasi della preparazione del ciclo «Il mito e il sacro», e cioè che toccando questi argomenti saremmo andate a toccare un nervo dolente per noi e per tutte quelle persone che pensano che la comprensione del mondo non passi solo attraverso la razionalità. Non è questa la sede per parlare di cose già più o meno note quali, ad esempio, le operazioni di rimozione culturale, di cancellazione, di rifiuto del non conoscibile attraverso la mente razionale. La riflessione che tutte le società fanno su se stesse, attraverso il mito e il racconto rispondono a un bisogno universale di spiegare il proprio essere al mondo e attraverso il quale diventa possibile dare un senso alla propria esistenza. Inoltre non crediamo che sia possibile ridurre tutto ciò alla semplice equazione MITO/SACRO = FANATISMO/FONDAMENTALISMO.
Perché anche l'anelito alla libertà, anelito che non è solo un desiderio della mente ma anche un moto dell'anima, è una delle espressioni di questa ricerca di senso che l'uomo compie da sempre. E dato che anche anarchici e libertari sono frutto di questa ricerca, del farsi della storia e dello «spirito del tempo», parlare di «miti e riti» dell'anarchismo come è avvenuto in una delle conferenze è stato fondamentale. La domanda finale che ci poniamo e poniamo ai lettori è: esiste una strada laica capace di coniugare le ragioni della mente e le ragioni dello spirito?
A questo punto ci piacerebbe sapere anche da altri compagni cosa ne pensano, pronte a ridiscutere il tutto. Un caro saluto

Elena Petrassi Fausta Bizzozzero (Milano)

Il dissesto dei tempi
Care Elena Petrassi e Fausta Bizzozzero,
non negherò che l'inciso cui vi riferite alludesse al ciclo di conferenze attualmente in corso alla libreria Utopia di Milano, luogo peraltro caro al mio cuore. Nego invece con la massima risolutezza che rappresentasse una «non fuggevole critica». So anch'io che se si vuol criticare un'iniziativa seria bisogna farlo seriamente e, non avendo seguito il vostro seminario, non ero assolutamente in grado di farlo. Volevo solo dare un esempio, assolutamente fuggevole, di quello che il poeta avrebbe definito «il dissesto dei tempi», vale a dire della confusione ideologica in cui viviamo. Vedete, c'è un passaggio della vostra lettera che un po' mi preoccupa. Niente di più giusto che ricordare il valore che ha sempre avuto «la riflessione che tutte le società fanno su se stesse attraverso il mito», che è, come dite voi, un capitolo importante di quella inesausta ricerca di significato che contrappunta la storia dell'umanità. Ma il riconoscimento di questa importanza non mi sembra affatto un'esclusiva di «quelle persone che pensano che la comprensione del mondo non passi solo attraverso la razionalità». Non è un problema di «mente» e di «spirito», che in fondo sono solo metafore: io provo una certa riluttanza a rinunciare al valore assoluto della razionalità non tanto perché le riconosca uno status teoretico speciale rispetto ad altre forme di organizzazione del pensiero, quanto perché la considero una conquista faticosa della nostra cultura, strettamente connessa a un insieme di altri valori - libertà, tolleranza, responsabilità comune ... - che spero, un giorno, di veder allignare nella nostra società e in tutte le altre, senza pregiudizio per la loro eventuale «diversità» culturale.
In realtà, il problema non è soltanto di natura teoretica. Vi confesserò che, personalmente, tendo a diffidare assai dell'atteggiamento di quanti, e ce ne sono - purtroppo - parecchi, dallo studio del mito, dal confronto con la coscienza di sé che altre culture hanno espresso nei loro sistemi mitici (perché naturalmente non esiste un solo Mito, esistono molteplici sistemi di racconti e credenze che, cedendo inconsciamente al vecchio vizio eurocentrico tendiamo ad assimilare a quello creato dalla fase «classica» della nostra cultura) ricavano elementi di valore da utilizzare in un contesto tanto diverso da quello in cui quei miti hanno avuto origine, com'è il nostro. Certo, non so se questo atteggiamento (potremmo chiamarlo, per intenderci, postnietzschiano) abbia trovato espressione nel vostro seminario, ma devo ammettere che l'ho sospettato, il che spiega il mio (fuggevole) accenno. Naturalmente, se l'ho fatto a torto vi prego sinceramente di scusarmi. Bacioni.

Carlo Oliva (Milano)