Rivista Anarchica Online
Mito e sacro
Un nervo dolente Caro Carlo Oliva,
seppure non direttamente chiamati in causa dal tuo articolo «strani videogiochi» («A» 205), l'accenno ai
circoli
anarchici nei quali si svolgono seminari sul sacro e il rito resta comunque una non fuggevole critica al ciclo di
conferenze che è attualmente in corso alla libreria Utopia e dato che ne siamo le organizzatrici e
curatrici non
possiamo non rispondere. Una prima osservazione: crediamo che il progetto culturale da noi portato avanti
alla Libreria Utopia ormai da
molti anni, meriti annotazioni e critiche un po' più lunghe di una riga benché pungente. Non sta
certo a noi dire
se l'iniziativa attualmente in corso sia riuscita o meno, ma sta di fatto che anche quest'anno la Libreria è
diventata, grazie a tutti i partecipanti, un interessante luogo di dibattito e di confronto. E le reazioni salaci come
la tua o di totale disinteresse avuta da altri compagni, ci convincono ancora di più di un sospetto che
abbiamo
avuto sin dalle prime fasi della preparazione del ciclo «Il mito e il sacro», e cioè che toccando questi
argomenti
saremmo andate a toccare un nervo dolente per noi e per tutte quelle persone che pensano che la comprensione
del mondo non passi solo attraverso la razionalità. Non è questa la sede per parlare di cose
già più o meno note
quali, ad esempio, le operazioni di rimozione culturale, di cancellazione, di rifiuto del non conoscibile attraverso
la mente razionale. La riflessione che tutte le società fanno su se stesse, attraverso il mito e il racconto
rispondono a un bisogno universale di spiegare il proprio essere al mondo e attraverso il quale diventa possibile
dare un senso alla propria esistenza. Inoltre non crediamo che sia possibile ridurre tutto ciò alla
semplice
equazione MITO/SACRO = FANATISMO/FONDAMENTALISMO. Perché anche l'anelito alla
libertà, anelito che non è solo un desiderio della mente ma anche un moto dell'anima,
è una delle espressioni di questa ricerca di senso che l'uomo compie da sempre. E dato che anche
anarchici e
libertari sono frutto di questa ricerca, del farsi della storia e dello «spirito del tempo», parlare di «miti e riti»
dell'anarchismo come è avvenuto in una delle conferenze è stato fondamentale. La domanda
finale che ci
poniamo e poniamo ai lettori è: esiste una strada laica capace di coniugare le ragioni della mente e le
ragioni
dello spirito? A questo punto ci piacerebbe sapere anche da altri compagni cosa ne pensano, pronte a
ridiscutere il tutto. Un
caro saluto
Elena Petrassi Fausta Bizzozzero (Milano) Il
dissesto dei tempi Care Elena Petrassi e Fausta Bizzozzero, non
negherò che l'inciso cui vi riferite alludesse al ciclo di conferenze attualmente in corso alla libreria
Utopia
di Milano, luogo peraltro caro al mio cuore. Nego invece con la massima risolutezza che rappresentasse una
«non fuggevole critica». So anch'io che se si vuol criticare un'iniziativa seria bisogna farlo seriamente e, non
avendo seguito il vostro seminario, non ero assolutamente in grado di farlo. Volevo solo dare un esempio,
assolutamente fuggevole, di quello che il poeta avrebbe definito «il dissesto dei tempi», vale a dire della
confusione ideologica in cui viviamo. Vedete, c'è un passaggio della vostra lettera che un po' mi
preoccupa.
Niente di più giusto che ricordare il valore che ha sempre avuto «la riflessione che tutte le
società fanno su se
stesse attraverso il mito», che è, come dite voi, un capitolo importante di quella inesausta ricerca di
significato
che contrappunta la storia dell'umanità. Ma il riconoscimento di questa importanza non mi sembra
affatto
un'esclusiva di «quelle persone che pensano che la comprensione del mondo non passi solo attraverso la
razionalità». Non è un problema di «mente» e di «spirito», che in fondo sono solo metafore:
io provo una certa
riluttanza a rinunciare al valore assoluto della razionalità non tanto perché le riconosca uno
status teoretico
speciale rispetto ad altre forme di organizzazione del pensiero, quanto perché la considero una conquista
faticosa della nostra cultura, strettamente connessa a un insieme di altri valori - libertà, tolleranza,
responsabilità
comune ... - che spero, un giorno, di veder allignare nella nostra società e in tutte le altre, senza
pregiudizio per
la loro eventuale «diversità» culturale. In realtà, il problema non è soltanto di
natura teoretica. Vi confesserò che, personalmente, tendo a diffidare assai
dell'atteggiamento di quanti, e ce ne sono - purtroppo - parecchi, dallo studio del mito, dal confronto con la
coscienza di sé che altre culture hanno espresso nei loro sistemi mitici (perché naturalmente non
esiste un solo
Mito, esistono molteplici sistemi di racconti e credenze che, cedendo inconsciamente al vecchio vizio
eurocentrico tendiamo ad assimilare a quello creato dalla fase «classica» della nostra cultura)
ricavano elementi
di valore da utilizzare in un contesto tanto diverso da quello in cui quei miti hanno avuto origine, com'è
il
nostro. Certo, non so se questo atteggiamento (potremmo chiamarlo, per intenderci, postnietzschiano) abbia
trovato espressione nel vostro seminario, ma devo ammettere che l'ho sospettato, il che spiega il mio (fuggevole)
accenno. Naturalmente, se l'ho fatto a torto vi prego sinceramente di scusarmi. Bacioni.
Carlo Oliva (Milano)
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