Rivista Anarchica Online
Prove e ipotesi
Cara redazione, dall'ampia e interessante intervista di Pietro Adamo a Cesare Mannucci
(«A» 206) e dalle pur preziose note a
margine si potrebbe evincere che Jesus and the Zealots di Samuel G.F. Brandon non sia stato
tradotto e
pubblicato in lingua italiana. Nel 1982, invece, sacrificando il sottotitolo (A study of the political Factor
in
Primitive Christianity) e recando in copertina una significativa affermazione («Non sono venuto a
portare la
pace, ma una spada»), è stato pubblicato dalla Rizzoli Editore, per la cura di Giuliano Boccali e nella
traduzione
di Furio Jesi e Maria Cristina Vidi. Faccio notare l'inesattezza soltanto perché ritengo il libro di Brandon
veramente degno di essere letto. Alla voce «cristianesimo delle origini», credo che raramente possa capitare
di
leggere un'opera tanto suggestiva e scientificamente corretta. E già che ci sono dico la mia su una
questione di fondo accennata da Mannucci nell'intervista. Ad un certo punto
Adamo rileva che «il problema è ovviamente la figura storica di Gesù» e cita, giustamente,
Brandon. Mannucci
risponde ricordando che gli avversari attaccano Brandon argomentando che lui costruirebbe «un quadro
coerente», ma senza «prove». E che Brandon risponde all'accusa dicendo che, in materia, non si possono fornire
«prove», ma soltanto «ipotesi». In proposito vorrei fare un paio di considerazioni: 1 - chi introduce
un «evento» nella Storia, accetta per ciò stesso i modelli esplicativi che costituiscono questa
storia. Se no, si guardi bene dal farlo - lasci l'evento fra il fiabesco ed il leggendario. La pretesa di quei cattolici
che vorrebbero lo storico del cristianesimo animato dalla fede in Dio ed in Gesù, come garanzia per la
correttezza del suo lavoro di storico, è, dunque, una pretesa, oltre che bizzarra, del tutto contraddittoria.
Il
modello è quello della botte piena e della moglie ubriaca: lo piazzo nella Storia, ma con altre regole
(non meglio
specificate); 2 - quando Ageno (in Dal non vivente al vivente; Theoria, Roma 1991) cerca
di individuare e descrivere le
condizioni fisiche che potrebbero aver prodotto la vita nel nostro pianeta premette che qualsiasi ricostruzione
del passato ha da intendersi come una «costruzione del pensiero, legittimata dal fatto che attribuisce
unità e
coerenza al nostro modo attuale di pensare il mondo» (pag. 23). Il che significa, per farla molto breve, che tanto
le concezioni realistiche quanto quelle idealistiche della Storia sono parimenti da buttare. Parlare di «prove»
e di «ipotesi», beninteso, si può anche a proposito di Storia, ma dopo essersi liberati degli assunti
implicitamente
realisti (un impossibile confronto con i «fatti») che spesso tali parole si portano dietro. Il che vale in egual
misura per lo scienziato e per l'integralista cattolico, perché a nessuno dei due dovrebbe essere concesso
di
sproloquiare sulla Storia per assecondare il padrone di turno. Grazie dell'ospitalità e scusami dello
spazio che
ti rubo.
Felice Accame (Milano)
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