Rivista Anarchica Online
Errori della sinistra e pericoli di destra
di Carlo Oliva
L'Italia, dunque, va a destra. L'elettorato ha scelto la destra, per la prima volta
nella storia repubblicana, senza
negarlo, con ostentazione e quasi con orgoglio, e la sua scelta è stata accettata da tutti, nella
consapevolezza,
comune ai proclami dei vincitori e ai lai degli sconfitti, di vivere un mutamento epocale. I media
d'altronde
avevano annunciato, ben prima delle elezioni, il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, e la nuova
maggioranza, annunciando i più fieri propositi di rinnovamento costituzionale, va sicuramente al di
là del
mandato che ha ricevuto, ma risponde a un'esigenza largamente sentita. L'osservatore distaccato,
naturalmente, potrà avere i suoi dubbi sulle possibilità dei vincitori di realizzare un
programma tanto ambizioso e sulla dimensione storica dell'evento. Farà osservare che al governo va
una
coalizione eterogenea, in cui convivono un partito decisamente nazionalista a forte radicamento meridionale
e una Lega Nord a vocazione secessionista, sotto l'egemonia di un tycoon d'operetta che è
stato tra i protagonisti
del passato regime e si trova alla testa di un esercito di riciclati al cui confronto le ballerine del craxismo
assurgono a dimensioni di alta dignità politica. Osserverà che l'Italia ha il singolare destino di
andare a destra
senza essere mai stata a sinistra: che da questo voto non è certo il caso di aspettarsi una qualsiasi
modificazione
della classe dirigente e che dal punto di vista politico, in buona sostanza, un governo moderato
succederà a una
successione infinita di governi moderati. In effetti, per quanto impopolari possano essere i programmi del nuovo
ceto politico, è difficile richiamare alla memoria un governo italiano che non abbia agito in senso
impopolare.
Ma tant'è: la partita, come è regola, ormai, nella società dello spettacolo, è stata
tutta giocata sul piano simbolico
e sul piano simbolico i miti della sinistra hanno ceduto di fronte a quelli della destra. I problemi del governo
sono tutt'altra cosa.
Illusioni consociative Da questo punto di vista, la sinistra è riuscita
a realizzare un vero e proprio miracolo negativo. Confinata all'opposizione per tutta la prima repubblica,
è riuscita a presentarsi, in presenza di una manifesta
volontà di cambiamento, come l'erede legittima del regime da cui era stata sempre esclusa. Il Pci/Pds
si è
immolato, con indubbia coerenza, in nome delle sue illusioni consociative: incapace di mettere a frutto la sua
eredità popolare, le sue tradizioni di lotta, ha preferito giocarsi il tutto e per tutto su un programma di
continuità:
risanamento economico in senso neoliberista, riduzione del debito pubblico, compatibilità con le
esigenze del
sistema finanziario, rispetto degli impegni internazionali, quelli militari compresi ... Tutte scelte eccellenti, da
un certo punto di vista, e quasi obbligate da un certo altro, ma poi non bisogna stupirsi se gli elettori, di fronte
a un programma di destra, decidono che a realizzarlo, in definitiva, sono più qualificate le forze di
destra. Il fatto è che non basta riferirsi un po' vagamente alle esigenze della «solidarietà»
per fare da contrappeso al
sostegno offerto alla ricandidatura al governo di un ex governatore della Banca d'Italia (organismo notoriamente
egregio, ma non esattamente impostato su una logica solidaristica), e non basta giocare sul timore
dell'illiberalità
dell'avversario per far svanire il ricordo dell'illiberalità di cui, quando se ne è avuto occasione,
si è data prova
in prima persona (non tutti hanno dimenticato i cosiddetti anni di piombo). Sarebbe bastato questo per perdere,
anche se non si fossero commessi tutti gli errori tattici di questi ultimi anni, quelli le cui denunce i nostri lettori
si saranno probabilmente stancati di leggere.
Referendum truffa Certo, di errori la sinistra ne ha commessi davvero tanti.
Ha cominciato con l'aderire incondizionatamente a un
referendum truffa la cui natura truffaldina era certificata dall'essere proposto da noti truffatori. Ha proseguito
accettando una legge elettorale pazzesca, basata non tanto sull'uninominale quanto su un complicato sistema
di apparentamenti e multiliste di riferimento, che era proprio quello che ci voleva per compattare a destra delle
forze eterogenee, come quelle di Bossi e di Fini, e ben poco serviva a chi poteva vantare un'omogeneità
molto
maggiore e ben altre tradizioni d'unità. E ha coronato l'impresa inaugurando la campagna elettorale con
una
bella rissa fra alleati sulla spartizione delle poltrone sicure, in un bailamme di veti incrociati e idiosincrasie
reciproche. Insomma, se mai c'è stata una sconfitta autoprocurata, è stata quella del 27/28 marzo
1994.
Ma esiste un'opposizione? Ma gli errori degli sconfitti non devono
nascondere le contraddizioni dei vincitori. E' uno strano destino, in
definitiva, quello di un paese che si ritrova al governo, in nome del rinnovamento, non soltanto gli ex amici di
Craxi, ma i fascisti di Fini (un partito la cui intrinseca complicità con il potere è testimoniata
da tutta la storia
occulta della prima repubblica). In fondo, tra i vincitori, l'unica forza portatrice, a
modo suo, di un'istanza di
rinnovamento qualsiasi resta la Lega, che è appunto quella che ha meno probabilità di vedere
realizzati i propri
programmi. Il povero Bossi sa benissimo di essere prigioniero della coalizione che ha contribuito a creare,
marionetta in mano a giocatori più furbi di lui, costretto, dopo una «vittoria» che, con il suo indubbio
intuito
politico, ha da subito percepito come pericolosa, a ingoiare tutti i suoi veti e le sue pregiudiziali nel breve spazio
di quindici giorni. La seconda repubblica parte male: parte in nome di ideali che non potrà
realizzare, come quello federalista, e
di principi asseriti in aperta contraddizione con gli interessi dei nuovi padroni, come quelli del liberismo. Ma
non è certo il caso di sottovalutare la capacità di nuocere dei vincitori, la dimensione autoritaria
dei loro veri
programmi, la protervia con cui sono intenzionati a smantellare i residui di stato sociale e di garantismo
economico verso i soggetti deboli. Spetta all'opposizione politica e sociale (ma esiste un'opposizione in Italia?)
far sì che la farsa delle elezioni non si risolva, una volta ancora, in una tragedia.
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