Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Il silenzio dei prosciutti e la voce dei salami
Silvio Ceccato (in Cibernetica per tutti, 1968) dice che il comico sorge nel rispetto di tre
condizioni: la prima
è che ad una situazione si dia uno svolgimento inaspettato; la seconda è che il valore attribuito
a questo
inaspettato sia inferiore rispetto a quello che si sarebbe attribuito all'aspettato; e la terza, infine, è che
questa
caduta di valore deve avvenire in fretta, bruscamente. Con il che sarebbe spiegato perché si ride. Io non
so se
tutto ciò possa esser sufficiente per la costruzione di una teoria del comico, ma, in compenso, ritengo
sia perfino
abbondante per spiegare perché Il silenzio dei prosciutti di Ezio Greggio non mi ha fatto
ridere affatto.
Cominciamo con un esempio. La voce fuori campo recita qualcosa come «quel giorno mi trovavo a New York»
e l'immagine ci propone un canale veneziano con tanto di gondole. Mettiamo pure che si sorrida: c'è
una
contraddizione in atto, il linguaggio ci fa attendere qualcosa che poi non arriva. Mettiamo pure che il tono della
voce fuori campo prometta un «genere» di narrazione (avventura, thriller, suspense, paura) che l'immagine di
pacifico diporto non mantiene. C'è l'inaspettato, c'è lo scarto di valore e la cosa si risolve in un
attimo. Mettiamo
pure, allora, che si possa ridere. Ma se questo marchingegno della contraddizione fra parola e immagine, nel
prosieguo del film, viene ripetuto altre cinquanta volte, è possibile (è umanamente
possibile) continuare a
ridere? No, perché la ripetizione del meccanismo generatore fa crollare le azioni dell'inaspettato -
perché, una
volta noto com'è prodotto, non può più essere inaspettato (almeno per spettatori attenti
e volonterosamente
partecipi, non del tutto inebetiti, non ancora paria da televisione). Poi, sulla carestia di risate,
pesa un'altra questione. Palesemente, questo Silenzio dei prosciutti, deriva in qualche
modo dal Silenzio degli innocenti di Demme, almeno nel senso in cui Ultimo tango a
Zagarolo deriva da Ultimo
tango a Parigi. Appartiene, in altre parole, al genere della parodia - un genere, originariamente soltanto
letterario, consistente nell'utilizzare i versi altrui per farne di propri. Un genere difficile. Se non altro per una
ragione: che, per divertire, si presume nello spettatore non soltanto l'attenzione al racconto, ma anche la
conoscenza dell'altro racconto cui questo si riferisce. Le cose si complicano ancora, allora, se, come nel caso
di Greggio, il riferimento durante la narrazione non rimane uno solo ma si va via via moltiplicando.
Così
qualcosa che parte come parodia del Silenzio degli innocenti, pian piano si trasforma in una
parodia di Psycho
e finisce con il scivolare verso la parodia di un intero genere - digressioni nella Notte dei morti
viventi e film
parodistici precedenti inclusi. Tutto ciò fa sì che non si accumuli alcunché da
liberare repentinamente in una sonora risata. Tutto ciò ricorda
drammaticamente quel che da tempo accade in televisione, dove i comici, nel tentativo di far ridere, non trovano
di meglio che rifarsi ad altra televisione, in un autoreferenziale carosello da cui l'intelligenza di chi
teledipendente non è rimane rigorosamente esclusa e dove la risata, in quanto legittimazione sociale,
è già pre-registrata e l'applauso comandato come la salivazione ad un topolino pavloviano.
Per chi, dunque, non aspetta che una spintarella per farla finita con la vita, Il silenzio dei prosciutti
va benissimo.
Di citazione in citazione, di paradosso in paradosso, asetticizzando quanto gli capita a tiro, come meravigliosa
e micidiale macchina per la produzione perpetua del banale, porta dritti al bocchettone del gas, perché
- come
ben sappiamo - quando una società ha perso anche la capacità di ridere, non può
più permettersi di sperare in
alcunché. È il caso in cui sì c'è dell'inettitudine, ma questa inettitudine si basa
su una cultura criminale.
P.S.: Il silenzio degli innocenti era un film mediocre, abbastanza sleale e astutamente
morboso. Aveva tutte le
caratteristiche, insomma, per ricevere i consensi del mercato e, come sempre quando il mercato mette in vendita
dosi di trasgressioni ben preconfezionate, per piacere alla clientela più giovane e inerme. Non a caso,
dunque,
la sala del Silenzio dei prosciutti conteneva i dodicenni fratellini minori in cerca di nostalgiche
emozioni non
loro. Ben gli sta, poveri ninini, di uscirne con la coda tra le gambe. Comunque, chi si era lasciato andare in lodi
per il primo, può ben affrontare questo secondo che, senza volerlo - con l'angoscia che emana (questo
sì!) -, può
indurre a ridimensionarne il giudizio.
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