Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 209
maggio 1994


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Il silenzio dei prosciutti e la voce dei salami

Silvio Ceccato (in Cibernetica per tutti, 1968) dice che il comico sorge nel rispetto di tre condizioni: la prima è che ad una situazione si dia uno svolgimento inaspettato; la seconda è che il valore attribuito a questo inaspettato sia inferiore rispetto a quello che si sarebbe attribuito all'aspettato; e la terza, infine, è che questa caduta di valore deve avvenire in fretta, bruscamente. Con il che sarebbe spiegato perché si ride. Io non so se tutto ciò possa esser sufficiente per la costruzione di una teoria del comico, ma, in compenso, ritengo sia perfino abbondante per spiegare perché Il silenzio dei prosciutti di Ezio Greggio non mi ha fatto ridere affatto. Cominciamo con un esempio. La voce fuori campo recita qualcosa come «quel giorno mi trovavo a New York» e l'immagine ci propone un canale veneziano con tanto di gondole. Mettiamo pure che si sorrida: c'è una contraddizione in atto, il linguaggio ci fa attendere qualcosa che poi non arriva. Mettiamo pure che il tono della voce fuori campo prometta un «genere» di narrazione (avventura, thriller, suspense, paura) che l'immagine di pacifico diporto non mantiene. C'è l'inaspettato, c'è lo scarto di valore e la cosa si risolve in un attimo. Mettiamo pure, allora, che si possa ridere. Ma se questo marchingegno della contraddizione fra parola e immagine, nel prosieguo del film, viene ripetuto altre cinquanta volte, è possibile (è umanamente possibile) continuare a ridere? No, perché la ripetizione del meccanismo generatore fa crollare le azioni dell'inaspettato - perché, una volta noto com'è prodotto, non può più essere inaspettato (almeno per spettatori attenti e volonterosamente partecipi, non del tutto inebetiti, non ancora paria da televisione).
Poi, sulla carestia di risate, pesa un'altra questione. Palesemente, questo Silenzio dei prosciutti, deriva in qualche modo dal Silenzio degli innocenti di Demme, almeno nel senso in cui Ultimo tango a Zagarolo deriva da Ultimo tango a Parigi. Appartiene, in altre parole, al genere della parodia - un genere, originariamente soltanto letterario, consistente nell'utilizzare i versi altrui per farne di propri. Un genere difficile. Se non altro per una ragione: che, per divertire, si presume nello spettatore non soltanto l'attenzione al racconto, ma anche la conoscenza dell'altro racconto cui questo si riferisce. Le cose si complicano ancora, allora, se, come nel caso di Greggio, il riferimento durante la narrazione non rimane uno solo ma si va via via moltiplicando. Così qualcosa che parte come parodia del Silenzio degli innocenti, pian piano si trasforma in una parodia di Psycho e finisce con il scivolare verso la parodia di un intero genere - digressioni nella Notte dei morti viventi e film parodistici precedenti inclusi.
Tutto ciò fa sì che non si accumuli alcunché da liberare repentinamente in una sonora risata. Tutto ciò ricorda drammaticamente quel che da tempo accade in televisione, dove i comici, nel tentativo di far ridere, non trovano di meglio che rifarsi ad altra televisione, in un autoreferenziale carosello da cui l'intelligenza di chi teledipendente non è rimane rigorosamente esclusa e dove la risata, in quanto legittimazione sociale, è già pre-registrata e l'applauso comandato come la salivazione ad un topolino pavloviano.
Per chi, dunque, non aspetta che una spintarella per farla finita con la vita, Il silenzio dei prosciutti va benissimo. Di citazione in citazione, di paradosso in paradosso, asetticizzando quanto gli capita a tiro, come meravigliosa e micidiale macchina per la produzione perpetua del banale, porta dritti al bocchettone del gas, perché - come ben sappiamo - quando una società ha perso anche la capacità di ridere, non può più permettersi di sperare in alcunché. È il caso in cui sì c'è dell'inettitudine, ma questa inettitudine si basa su una cultura criminale.

P.S.: Il silenzio degli innocenti era un film mediocre, abbastanza sleale e astutamente morboso. Aveva tutte le caratteristiche, insomma, per ricevere i consensi del mercato e, come sempre quando il mercato mette in vendita dosi di trasgressioni ben preconfezionate, per piacere alla clientela più giovane e inerme. Non a caso, dunque, la sala del Silenzio dei prosciutti conteneva i dodicenni fratellini minori in cerca di nostalgiche emozioni non loro. Ben gli sta, poveri ninini, di uscirne con la coda tra le gambe. Comunque, chi si era lasciato andare in lodi per il primo, può ben affrontare questo secondo che, senza volerlo - con l'angoscia che emana (questo sì!) -, può indurre a ridimensionarne il giudizio.