Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 209
maggio 1994


Rivista Anarchica Online

Riflessione necessaria

Ho letto con interesse le osservazioni fatte da Janet Biehl (207 marzo '94) al mio articolo sul Municipalismo libertario apparso in 204, novembre '93. Convengo con Janet, e colgo qui l'occasione per scusarmene ampiamente sia con i compagni del Social Ecology Project sia con i lettori, per non avere mai citato Murray Bookchin in relazione alle idee presenti nel mio articolo. In effetti ho pensato che i lettori sapessero bene quali fossero le origini della teoria dell'Ecologia Sociale e del progetto politico municipalista libertario, vista l'ampia diffusione avuta dai libri e dagli articoli di Murray Bookchin. Spero comunque che nessuno abbia pensato che volevo presentare queste idee come prive di paternità. Anche perché una prima visione di questo scritto compariva come introduzione alla mia tesi di laurea, dedicata proprio al pensiero e alle teorie politiche di Murray Bookchin.
Quello che io intendevo proporre era solo un'introduzione alle questioni e alle problematiche dell'Ecologia Sociale e del Municipalismo Libertario. In quanto solo un'introduzione, seppure ampia e articolata, non ha potuto entrare nel merito di «tutte» le questioni. Soprattutto poi, ho mantenuto questa mia introduzione in una dimensione essenzialmente storico/culturale, tentando di calarla in quella che è la storia e l'esperienza particolare del movimento anarchico, e più in generale, dei movimenti antagonisti e alternativi del nostro paese.
Non è mia intenzione qui rispondere punto su punto alle critiche di Janet, tuttavia credo che alcune precisazioni siano necessarie. L'immaginario a cui mi riferisco non è certo «un mondo transitorio di fantasie», ma quella dimensione utopica che scorre, per ora, sotto la crosta delle istituzioni sociali date, quel progetto che di volta in volta si concretizza in eruzioni sociali visibili più o meno ampie. Vorrei che i compagni del Social Ecology Project tenessero a mente la storia degli ultimi decenni di conflitto sociale in Italia, e soprattutto ciò che è avvenuto durante gli anni Settanta. Forse un movimento così radicale ed ampio raramente è apparso nei paesi del capitalismo avanzato. La sconfitta subita dai movimenti degli anni Settanta, alla quale ha contribuito in particolar modo la diffusione della lotta armata e la conseguente reazione statale, è stata una sconfitta talmente profonda da disintegrare, pressappoco, qualunque idea a livello sociale di una società libera, giusta e autogovernata. La distruzione di queste utopie e della critica politica di massa che ne era conseguita, avvenuta durante gli anni Ottanta e agli inizi di questo decennio, è tra le cause, soprattutto tra i giovani, dell'affermazione della destra, fascista e non, a queste ultime elezioni. Se questi progetti, tali immaginari che avevano mosso migliaia di giovani, donne, studenti, li dobbiamo però concepire come una «fantasia» ormai superata dallo sviluppo storico, ciò potrebbe voler dire che non c'è più speranza per nessuna opposizione sociale.
Lo stesso ragionamento lo possiamo fare per quanto riguarda le pratiche di democrazia diretta, di economia alternativa, di autogestione di quartieri, scuole, università, centri sociali. Tali pratiche, alle quali partecipo da circa venti anni, rinnovatesi in anni recenti, sono una realtà vitale, seppure molto frammentata e ancor priva di un ampio radicamento, nel nostro paese. Periodicamente, ma ormai con una frequenza che fa pensare a una continuità, rinascono movimenti che, con tutti i limiti, sperimentano pratiche di autogestione e autoorganizzazione: si dimentica Janet Biehl di quell'assemblea con Murray Bookchin svoltasi nella facoltà di Scienze Politiche di Padova occupata dagli studenti nel gennaio del 1990? Sempre riguardo alle pratiche: è di quest'ultimo periodo il tentativo di dare un po' più di solidità e di coordinamento a una rete di realtà municipali, o comunali che dir si voglia, che in varie situazioni stanno sperimentando pratiche di autogoverno cittadino, esperienze di cui avete scritto in Green Perspectives n. 28, Dicembre 1993. Con tali intenzioni il19 e il 20 marzo si è svolto a Bologna un incontro su queste tematiche. Incontro di discussione e di confronto politico tra esperienze molto diverse, di origine sia marxista che anarchica/libertaria. Stranamente elaborazioni teoriche e proposte politiche hanno dimostrato significative convergenze, anche se il futuro di questo movimento dell'autogoverno non è ancora ben delineato e proprio per questo la discussione è molto aperta.
Infine, nessun accademismo contraddistingue chi scrive. C'è soltanto la consapevolezza, di fronte allo sviluppo di formazioni politiche come le Leghe, che si richiamano ai valori del federalismo e del localismo di cattanea memoria, di dover anche approfondire problematiche storiche, politiche, sociali, antropologiche; di affilare insomma gli strumenti della critica. Di fronte alla sensibile diffusione di pratiche politiche alternative e di opposizione, che certamente non hanno niente da spartire con le Leghe, quello che ancora manca è una certa cornice di riflessione con la quale supportare tali pratiche. Ciò che si respira in Italia, in questo periodo, è veramente una cattiva cultura e un'asfittica dimensione critica di pensiero. Siamo tutti molto subordinati alle idee dominanti. Inoltre, e su ciò non posso dilungarmi, è avvenuto che la destra abbia mutuato parte della sua analisi e delle sue proposte da ciò che i movimenti alternativi vanno dicendo da decenni, per esempio in relazione alla critica dello stato. E non abbiamo certamente a disposizione un equivalente di quei laboratori di elaborazione socio-politica e teorica che sono l'lstitute for Social Ecology e, con altro ruolo, il Goddard College.
Alla fine di questo mio intervento vorrei però aggiungere un'ultima nota. La lettera di Janet potrebbe avere il pregio, se vogliamo usare in senso positivo le critiche che vengono avanzate da altri compagni, di favorire e spronare una discussione non solo per così dire nazionale, bensì, come è giusto, transnazionale. Se così è, allora vorrei proporre di aprire il dibattito, se mi è consentito, su alcune questioni: nelle tesi sul municipalismo libertario di Murray Bookchin ricorre spesso il concetto di «popolo». Ora questo concetto, come ho tentato di dimostrare nella mia recensione al libro di Murray Bookchin «Democrazia Diretta», tradotto da Salvo Vaccaro, in Germinal n. 63 inverno 1993, è in parte ambiguo, e occorre riconsiderarlo alla luce dell'esperienza italiana che di populismo ne ha sofferto, e ancora ne soffre, fin troppo. Desidererei si aprisse su questo una chiarificazione, così come sul termine «comunità», un'altra di quelle categorie che, se usata oltremodo, rischia di ingenerare confusioni e, questa sì, di scadere nel localismo del campanile.
Non penso di suscitare in questo modo discussioni accademiche e intellettualistiche. Parlare tra compagni e alle persone in un modo o in un altro, con l'uso di un lessico chiaro e comune, è questione sostanziale per lo sviluppo di qualsiasi progetto di autogoverno sociale.

Dario Padovan (Padova)