Rivista Anarchica Online
«The Capital Hardcore»
Dalla mia finestra vedo la piscina della casa dietro la nostra. Qui sono tutte ville con
giardino monofamiliari
(qualunque cosa significhi «familia» da queste parti). Ogni 3/4 giorni un uomo, un asiatico, viene a togliere le
foglie dall'acqua. Perché in California le piscine sono pronte tutto l'anno. Spesso c'è anche la
tub, una specie
di vasca da bagno all'aperto, riscaldata. Ci si immerge e si chiacchiera con vicini che da lì a un mese
si
trasferiranno magari a Boston, San Diego, Chicago. L'uomo delle foglie ha un lungo bastone con un retino in
cima e, con consumato mestiere, le raccoglie una a una, facendo attenzione a non riperderle. Sta lì ore
e ore per
una sola piscina. Che, nonostante l'inverno ... primaverile, non si userà per almeno 3 mesi. Ma le foglie,
che
cadono da alberi abitatissimi da scoiattoli, evidentemente «fanno disordine». L'addetto sarà coreano,
vietnamita o thai. Spesso nei luoghi di lavoro «medio» (ufficio postale, benzinai, autisti, ecc.) la
maggioranza è ispanica
o filippina. Da un pezzo ho smesso di chiedere scusa per il mio cattivo inglese (not too bad, actually, but as an
american born on, could be better): gli altri lo parlano peggio di me. Così, dopo avere concluso che gli
americani non esistono, pare non esistere nemmeno la loro lingua. Perché una lingua, i gesti delle mani,
il cibo
e i suoi riti, sono alcune pietre angolari delle antiche case etno-geografiche in cui i «popoli» vivevano.
Ecosistemi di storia, cultura, musica, parole. Questa casa, qui non è mai esistita; è come un
porto. Tutto e tutti sono
solo di passaggio, lasciando qualcosa, scambiando qualcosa. Ma è più apparente che reale.
L'idea dell'America
sincretico incrocio di popoli è un lascito del pionierismo romantico della «frontiera». Qui il disegno
c'è e si
sente: è un disegno bianco, anglocentrico, capitalistico. Come diceva Martin Luther King. La mancanza
di una
casa preesistente sociale e storica (spazzati via i nativi redskins), ha fatto sì che gli Stati Uniti
divenissero una
palestra per verificare gli effetti della logica (lavorativa, spaziale, informatica, scolastica, ecc.) del capitalismo
spinto alla velocità massima. Ecco perché, da qua, si può tessere la lode al vero capitale
e alle sue città. Los
Angeles, o meglio quello che ne ho visto io 34 anni dopo esserci nato, è ciò che tutto il mondo
occidentale sarà
tra breve. La Bay Area, la zona di S. Francisco e Sud è «America» solo in parte: tutto qui tende
all'Europa. Le
mode, il cibo, il cinema. Chi può permettersi certe scelte, ovvio. Quello che è comune è
la solitudine,
l'isolamento e la povertà. Ma queste parole qui hanno un significato nuovo, «improved», come dicono
loro. Di solito si sente dire sugli Stati Uniti che è terra di discriminazione e divisioni: non è
vero. Qui ognuno è
diverso da tutti gli altri; questo paese cancella le differenze. Le rende non pertinenti. Voglio dire che nei rapporti
sociali europei (e, credo, anche extra-occidentali) esiste un retaggio di tipo medievale per il quale essere del
nord, del sud, uomo o donna, nero, musulmano o ebreo, straniero, gay o etero, sposata, ecc. riveste una
importanza decisiva. Così come il ruolo (tipico del feudalesimo): parente stretto o acquisito,
fedeltà al potente,
titolo di studio. Negli USA pesano solo due cose: le carte di credito e l'efficienza. Andy Warhol diceva che gli
USA sono l'unico paese al mondo dove il presidente beve la stessa bibita che stai bevendo tu, né
migliore né
peggiore. Qui il problema è l'accesso: qualunque cosa l'università, l'asilo, le medicine, la
pensione è regolato
da una valvola infallibile: il denaro. Il denaro lo hanno i ricchi e gli efficaci, che qui coincidono molto
più che
da noi. Efficaci: i più bravi ad essere un meccanismo, dal più infimo al più eccelso, del
motore capitalistico. Il
bravo cameriere di un fast food, diciamo McDonald's, fa più soldi del collega del Tacobell, non
perché è ariano,
figlio dello sceriffo, bello, ma perché è più bravo, quindi lo premiano. Così vale
anche per le «teste» delle
software, hardware, princeton. Ma poi sono sempre scavalcati dai cinesi, indiani, italiani, russi. Anche loro
laureati a Stanford. Perché sono stati già selezionati per venire qui, sono motivati e sono di certo
i più bravi. Per
accaparrarseli le ditte usano degli «hunters», cacciatori di teste cibernetiche. Un hunter (ma anche un
dipendente
della stessa ditta) se riesce a far assumere il tizio, guadagna l'equivalente della sua paga di 1 anno. Quindi caccia
aperta e selvaggia: grande turn-over di case, auto, città, posti di lavoro. Gli americani lavorano molto,
dipendenti
e autonomi. La disoccupazione è bassa: è alta solo tra i giovani neri. Le ferie sono due, al
massimo tre settimane.
No permessi, no mutua, ecc. I salari, nei posti normali sono molto bassi. Non si discute orario, straordinario,
nulla. In tutti i reparti dal supermarket all'officina, dal bar all'edilizia gli occupati sono il doppio di quelli che
vedresti da noi. In un ristorante ci sono 12/15 addetti dove noi saremmo in 3. C'è una tale concorrenza
che tutti
sono più che solerti. Il lavoro costa nulla e così sono presi in una doppia rete. Ovvero: come
in Cina, qui ogni
unità di lavoro ha un manager, un vice-manager e degli obbiettivi del tipo quantità,
qualità (vendere più
cheesburger o cacciaviti del mese prima per es.) o anche «non avere incidenti da 12.500 ore, facendo
risparmiare
soldi al boss dell'assicurazione» (testuale). Raggiungere gli obiettivi può voler dire raddoppiare il
salario. E
questo collima con il resto della rete: per avere uno standard dignitoso bisogna spendere molto. Le
possibilità di vivere con meno qui sono minime. Tutta la società è regolata da rapporti
capitalistici più diffusi
che sembra impossibile vivere senza computer, auto, aereo, assicurazioni. Rompere la rete e tentare strade
alternative, solidaristiche è arduo. Se devi farti togliere l'appendicite e non hai una «health insurance»
o è
piccola, puoi spendere 5.000 $. E finire sul lastrico. Homless: come già 5 anni fa quando tornai in patria
(!) per
la prima volta (costa est, però) questa è la parola più sentita. Dicono siano 5 milioni
e mezzo, forse di più. Il
60% non è drogato, aids, psicolabile, ma persone uscite dalla rete e quindi non efficaci. L'unica vera
differenza
qui è tra tax-payers e not-tax payers. Coppie separate, troppi figli, fabbriche (e uffici) che chiudono:
per
qualunque ragione puoi ritrovarti a non riuscire a pagare l'affitto. Vai in un borgo più scadente, vendi
l'auto. Se
hai sfiga diventi homeless senza accorgertene. Mi rendo conto che il quadro è quello solito:
però qui è tutto
ludicamente in vista. East Palo Alto è al di là della ferrovia, di una strada: c'è la
città con più omicidi in proporzione della California.
Il 70% è formato da neri, il resto messicani. In 3 mesi non ci andrò mai, non c'è ragione.
Come andare al Bronx
o North Harlem a New York. Per fare cosa? Non ci sono negozi, bar, non ci sono le case di conoscenti. Palo
Alto è invece un gioiello: ristoranti di ogni specie, biciclette, cibo salutista, cinema e teatri. Eppure ci
sono solo
due binari e una recinzione. Andando verso la freeway intravedi le loro case semidiroccate, le loro lunghe,
decrepite auto, le donne in tuta da ginnastica sull'uscio. South San Francisco è così.
Indescrivibile. Le cose che i tuoi amici in vacanza negli USA non vedono mai.
Dietro gli steccati una povertà estesa, endemica. A cercare di uscire dalla situazione ci prova la Nation
of Islam,
gruppo fondato nei '50 da Elijah Mohammed e di cui Malcom X fu il più grande leader. Uscì,
diciamo «a
sinistra», cercando alleanze con il sindacato, i comunisti e pacifisti neri, fondando un gruppo musulmano
più
ortodosso. Venne ucciso probabilmente dai vecchi compagni più integralisti, tra cui il signor Farrakhan,
oggi
leader della Nation. Il loro esercito, la «Fruit of Islam» viene appaltato per controllare le «house project»,
enormi palazzoni rimessi in sesto nei quartieri più squassati. Ma anche loro, così tosti nei loro
cappotti, cravatte
e occhiali scuri (vedi il film di Spike Lee) spesso non la spuntano con le gang di pushers e perdono il lavoro.
Tutto si mescola, si sovrappone, come un serpente nel fango. Qui, l'unica chiesa, l'unica forma di esistenza
è
il capitale dove milioni di uomini gettano le scorie di idee, sogni, rivolte. Cose del vecchio mondo. Questo misto
di calvinismo, positivismo, unito alle grandi risorse, grandi spazi danno vita a questo pionerismo distruttivo,
individualista. Le ditte pagano pranzi, cinema, golf ai dipendenti perché si conoscano e si parlino. I
telefoni
erotici e non dilagano. Del resto, Roland Barthes scriveva «gli americani mettono il sesso dappertutto eccetto
che nel sesso». Gli USA sono l'immagine del declino del vecchio mondo: governi, fabbriche, classi sociali,
etnie, lingue, paesaggi. Lento sale il nuovo mondo, l'era del silicio, ciberneticamente centrato sullo scontro
lavoro reale/lavoro disciplinare, tra accesso, efficacia, omologazione e scarsità, inefficienza,
marginalità.
Aumentando il gap dei paesi del terzo e quarto mondo, tutto uscirà ridefinito nei secoli venturi. I
popoli e le città che conoscevamo, Pavese, Joyce, Walt Whitman divengono ricordi. Dentro il
moloch certo rotolano gradi di insubordinazione. Né martiri né marziani, milioni di uomini e
donne,
dentro la storia sociale delle città e delle campagne, affrontano l'avamposto più pericoloso del
capitale, nella
propria testa. Ieri, all'angolo di University Avenue, tre signori e due signore, sui sessanta/sessantacinque,
mostravano alle auto cartelli «stop strangling Cuba», «Food not bombs». Li saluto col clacson; un po' stupiti
salutano col pugno. Chissà chi erano ... Ascolto una compagna messicana parlarmi del suo sindacato
agricolo
in Texas «siamo più forti dei padroni, perché i gringos vogliono sempre vincere da soli».
Semplice e potente
come la chitarra di Woody Guthrie. Mentre oltre ogni muro con le scritte rap, i cartelli stradali, oltre gli
sterminati campi di carciofi dove chicanos col bandana lavorano sotto il sole, la terra di Lincoln, Marilyn e Bob
Dylan, va verso il declino di ogni impero. Creta, Roma, Ivan il terribile, turchi, la regina Vittoria.
Chissà.
Intanto l'asiatico domani ha un'altra piscina, altre foglie cadute.
Stefano Giaccone (Palo Alto - California)
|