Rivista Anarchica Online
L'anarchico «conservatore»
di George Woodcock
La figura ed il pensiero dell'anarchico americano Paul Goodman (1911-1972) nell'anaiisi di George Woodcock.
Con un saggio a margine di Pietro Adamo (pagg.30/31) su Paul Goodman e la tradizione libertaria.
Talvolta, soprattutto i marxisti, parlano dell'anarchismo come di una dottrina
regressiva; nella misura in cui gli
anarchici non hanno mai accettato il progresso come necessità auspicabile, la critica è
giustificata; ammettere
questo però non vuol dire riconoscere l'astoricità dell'anarchismo. Significa invece che
l'anarchico si muove
attraverso la storia in modo differente dal liberale o dal socialista, spesso inclini a credere che il futuro abbia
in serbo grandi benefici. Significa che, mentre per esempio il marxista sembra destinato a portare a un livello
sempre maggiore di efficienza la razionalizzazione del controllo umano sul mondo materiale raggiunto dal
capitalismo e dagli stati nazionali, l'anarchico se ne sta in disparte, critico nei confronti degli stessi concetti di
efficienza e razionalizzazione, quando questi discendano esclusivamente da una considerazione dei fattori
economici. L'anarchismo riconosce la pericolosa importanza dell'elemento psicologico che opera nello sviluppo
delle istituzioni umane, elemento i cui rischi vengono eccellentemente definiti da quell'acuto osservatore di
società politiche che fu Lord Acton in questo celebre aforisma: «Il potere tende a corrompere; quello
assoluto
corrompe in modo assoluto». Gli anarchici hanno sempre identificato la pecca fatale della democrazia sociale
nell'idea che mediante il trasferimento del potere da un'élite all'altra si possano spazzar via le istituzioni
coercitive; lo stato, disse una volta Engels, paradossalmente può avvizzire sotto la dittatura di una sola
classe
al suo interno, il proletariato. Gli anarchici hanno capito (e la storia dei paesi socialisti sembra aver dato loro
ragione) che l'esercizio del potere non fa altro che accrescere la brama del potere stesso. È proprio
perché gli anarchici non sono mai riusciti ad accettare una politica del mondo in cui vivono dominata
dal potere che tanto spesso, da Gerrard Winstanley a Paul Goodman, è parso che assumessero una
posizione
assai simile a quella leggendaria della bara di Maometto, sospesa fra due calamite nella sacra Mecca. Non
è
difficile vedere le due calamite anarchiche come un futuro idealizzato verso il quale essi tendono senza grandi
speranze e un passato ideale al quale guardano con deluso rimpianto. In effetti, la situazione è
decisamente meno semplice di così. Gli anarchici più perspicaci in realtà ritengono che
non si debba anelare un tempo futuro o un tempo passato, ma che in ogni società ci siano due tipi di
presente,
fra i quali bisogna operare una scelta. Uno è quello istituzionale, quello delle strutture autoritarie sotto
cui
viviamo, che atomizzano la società e alienano gli individui indebolendo il senso di
responsabilità sociale innato
in tutte le persone. Infatti, come ho detto altrove:
Qualunque anarchico, io credo, sarebbe disposto a sottoscrivere l'affermazione che l'uomo
ha in sé per
natura tutti gli attributi che lo rendono capace di vivere nella libertà e nell'armonia sociale. Forse non
si crede che l'uomo sia buono per natura, ma esiste la fervida convinzione che per natura sia sociale...
E non solo l'uomo è sociale per natura, sostiene l'anarchico, ma la tendenza a vivere in società
è emersa
in lui man mano che si evolveva dal mondo animale. La società è esistita prima dell'uomo e una
società
che vive e cresce liberamente sarebbe infatti una società naturale. Anarchism
E qui arriviamo al secondo presente anarchico. Come infatti gli anarchici più attenti, da
Kropotkin in poi, hanno sempre sostenuto, le istituzioni di potere non
sono mai riuscite a sopprimere completamente la naturale inclinazione dell'uomo alla collaborazione; se
l'avessero fatto, si sarebbe realizzato l'incubo che George Orwell ha descritto in 1984. È proprio grazie
al fatto
che gli uomini persistono nel loro benigno solco di libertà e di collaborazione naturale, accanto al solco
maligno
e coercitivo dello stato, che la società continua a esistere in quanto ambiente umano sopportabile. Per
dirla con
Colin Ward, in uno dei più importanti lavori teorici sull'argomento:
Una società anarchica, una società che si organizza senza
autorità, è sempre esistita, come un seme sotto
la neve, sepolta sotto il peso dello stato e della sua burocrazia, del capitalismo e dei suoi disastri, dei
privilegi e delle sue ingiustizie, del nazionalismo e delle sue suicide devozioni, delle differenze religiose
e dei suoi separatismi superstiziosi. Anarchy in Action
Quello che l'anarchico cerca di fare, secondo questo punto di vista, non è distruggere l'attuale ordine
politico
per sostituirlo con un sistema organizzativo migliore; questo è stato lo sbaglio marxista che ha prodotto
la
tragica storia della Russia post-zarista. L'anarchismo propone invece di fare piazza pulita delle strutture esistenti
di istituzioni coercitive così da liberare la società naturale, sopravvissuta per lo più
sotterraneamente in periodi
precedenti, più liberi e più creativi, e farla fluire nuovamente verso un futuro diverso. Gli
anarchici non sono
mai stati nichilisti, ansiosi di radere al suolo la società presente per rimpiazzarla con qualcosa di nuovo,
e questo
perché non sono mai stati neofili, che vedono virtù solo in ciò che è nuovo. Essi
hanno sempre dato molto valore
alla resistenza dei naturali impulsi sociali e delle istituzioni volontarie da loro create; è alla liberazione
della
grande trama della collaborazione umana, che ancora oggi si estende a tutti i livelli della nostra vita, che hanno
volto i propri sforzi, non a edificare o magari a immaginare il loro bravo mondo nuovo. Questo è il
motivo per
cui ci sono così pochi scritti utopici fra gli anarchici, i quali sono sempre stati convinti che ci si possa
affidare
agli istinti sociali dell'uomo, una volta affrancati, per modificare la società in modo pratico e
desiderabile, senza
piani preliminari, che tendono sempre a una costruzione. Dichiarare che in noi esiste la capacità
di vivere una vita libera (e le rudimentali istituzioni necessarie) e che
bisogna liberarla e incoraggiarla è al tempo stesso rivoluzionario e conservatore: rivoluzionario nel
senso che
vi si contempla la distruzione o almeno l'erosione di un'intera struttura di potere; conservatore nel senso che gli
esiti positivi della rivoluzione vengono visti in termini di mantenimento e rinnovamento di qualcosa che
già
esiste. Il fatto che le istituzioni autoritarie vengano liquidate dagli anarchici come aberrazioni passeggere che,
come dice Godwin, «stravolgono le autentiche inclinazioni dell'animo», non diminuisce affatto l'elemento
conservatore che si trova nell'animo scisso dell'anarchismo, visto che tutti i conservatori considerano aberrante
e passeggero ciò che condannano. E in questo senso, l'anarchismo non è semplicemente
conservatore. Secondo l'idea più comune di progresso, l'anarchismo è infatti regressivo.
I suoi sostenitori hanno sempre visto
la liberazione in termini di semplificazione piuttosto che di complicazione. Se il prezzo della ricchezza è
una
progressiva perdita di libertà di sviluppo (per usare la terminologia di Paul Goodman) in quanto
«persone»
invece che «personale» essi hanno sempre, da Proudhon in poi, apprezzato i valori della povertà (ben
diversa
dal pauperismo) e quando possibile (come nelle comunità contadine spagnole durante la guerra civile)
cercato
di raggiungerli con una pratica austera. Hanno sempre visto di buon occhio la decentralizzazione (essendo i veri
pionieri dell'idea che «piccolo è bello»); in senso organizzativo, decentralismo significa involuzione,
per quanto
i suoi difensori vi possano vedere un incentivo all'evoluzione creativa e spirituale dell'umanità.
Non è dunque del tutto casuale che un conservatore come Lord Acton, un cattolico che
considerò la
dichiarazione dell'infallibilità papale del 1869 un'insopportabile imposizione alla sua libertà
spirituale, possa
aver dato nelle sue note sul potere l'espressione più eloquente di una delle convinzioni anarchiche.
Né è per puro
caso che un anarchico di tempi più recenti, Paul Goodman, uno dei più onesti e scrupolosi
intellettuali del suo
tempo, possa dire a piena ragione: «Sono anarchico e rivoltoso, sono conservatore e tradizionale»
(Creator
Spirit, Come) e, non molto prima della morte, in un libro che sottotitolò Appunti di un
conservatore del
Neolitico:
Non sono un «romantico»; ciò che sconcerta i miei critici liberali e radicali
è che sono un conservatore,
un conservazionista. Io faccio uso del passato: il punto è come. New Reformation
Ciò che mi propongo nel corso di questo scritto è di esaminare, in modo appositamente
disordinato, come
effettivamente Goodman usi il passato e come così facendo egli perpetui e prolunghi una delle attuali
correnti
del pensiero anarchico, una corrente che, per usare una terminologia che sembra in disaccordo con la maggior
parte delle concezioni diffuse dell'anarchismo, è sia tradizionale che aristocratica. Infatti, un approccio
che
faccia tesoro del passato (come quello di Kropotkin, Herbert Read e Goodman) per quanto riguarda le
virtù
sociali che sono state distrutte o si trovano sotto la minaccia dell'autorità, naturalmente non cerca di
ridurre la
gente sotto il comune denominatore del proletariato (l'alienato della rivoluzione industriale). Si tratta piuttosto
di elevarsi a quel livello culturale di cui una volta godevano solo i ricchi e i potenti, dato che, come dissi una
volta:
In realtà l'ideale dell'anarchismo, lungi dall'essere la democrazia portata alla sua
conclusione logica, è
molto più prossimo a un'aristocrazia universalizzata e depurata. La spirale della storia diventa
così un
cerchio perfetto e laddove l'aristocrazia, al suo punto più alto nella visione rabelaisiana dell'Abbazia
di
Thelème, invocava la libertà per i nobili, l'anarchismo ha sempre proclamato la nobiltà
degli uomini
liberi. Anarchism
Si tratta di un'aristocrazia purgata dei privilegi, la cui richiesta al mondo materiale non è altro che
«ciò che basta
a permettere agli uomini di essere liberi» (Anarchism), ovvero quella che Goodman chiama
ripetutamente una
«decorosa povertà»; e, come dice Goodman poco dopo, «aristocratica uguaglianza» . All'interno
di questo schema, Goodman si vedeva (secondo le parole dell'editore dei suoi saggi, Taylor Stoehr)
come «il povero studioso, vestito di stracci ma sapiente, in grado di filosofare con gli strilloni come con i
chierici», l'equivalente del filosofo greco che, come più di una volta ribadisce Goodman nei suoi libri
sull'educazione, trasformava ragazzi poco promettenti in autentici uomini di cultura passeggiando con loro nelle
strade e mescolando ai discorsi l'osservazione della vita concreta quotidiana in tutte le sue forme. Riguardo
la tradizione alla quale riteneva di appartenere e al passato di cui faceva uso, Goodman li definì in un
passo che vale la pena di citare per intero perché determina e differenzia alla perfezione sia le fonti della
sua
conoscenza che la cornice all'interno della quale emersero le sue concezioni.
La cultura che voglio trasmettere (io stesso vi sono intrappolato e fuori di essa non posso
né pensare né
lottare) è la nostra tradizione occidentale: i valori della Grecia, della Bibbia, della cristianità,
della cavalleria e delle libere città del XII secolo, il Rinascimento, l'età eroica della scienza,
l'Illuminismo, la
Rivoluzione francese, l'utilitarismo del primo Ottocento, il naturalismo del tardo Ottocento. Per
far capire che cosa intendo, citerò un'affermazione tipica di ognuno di essi. I greci talvolta aspirano
a un prevalere del senso civico in cui il semplice successo individuale sarebbe vergognoso. La Bibbia
insegna che c'è un creato e una storia in cui noi ci muoviamo in quanto creature. I cristiani possiedono
uno spirito di fanatico impegno perché ci troviamo sempre alla fine dei tempi. La cavalleria è
l'onore
e la lealtà, in amore come in guerra. Le libere città hanno inventato le corporazioni sociali e
i diritti
giuridici. Il Rinascimento afferma imperiosamente il diritto all'immortalità di individui particolarmente
dotati. Gli scienziati conducono un dialogo disinteressato con la natura, senza curarsi di dogmi e delle
conseguenze. L'Illuminismo ha stabilito che esiste una sensibilità comune dell'umanità.
L'utilitarismo
punta al soddisfacimento tangibile, non all'opera laboriosa, al denaro o al potere. Il naturalismo ci
sospinge verso un'etica onesta, insita nella condizione animale e in quel1a sociale.
Inutile dire che queste affermazioni tanto familiari spesso sono in contraddizione pratica e teorica fra loro;
ma
anche questo conflitto fa parte della tradizione occidentale. Sicuramente si tratta solo di ideali, che non sono
mai esistiti né in cielo né in terra, ma che tuttavia sono l'invenzione dello spirito santo e di
quello umano che
costituiscono l'universo, anch'esso, peraltro, un ideale.
Naturalmente, come insegnante, raramente faccio cenno a queste cose; le do per scontate
e assimilate
da tutti. Provo però amare delusioni quando scopro che tanto i miei studenti, quanto i colleghi giovani
danno per scontate cose del tutto diverse. Compulsory Miseducation
Il brano, tratto da un libro pubblicato per la prima volta nel 1962 e rivisto nel 1964, non solo ci aiuta a
definire
la condizione di Goodman in quanto studioso umanista in relazione alla situazione accademica dei primi anni
'60, ma ci fornisce anche un punto di partenza per determinare la sua posizione all'interno della tradizione
anarchica. Più che un accademico, Goodman si considerava un umanista e un letterato piuttosto
che un docente, ruolo nel
quale, nonostante la bontà del suo insegnamento, manifestò un comportamento decisamente
troppo eccentrico
perché la comunità universitaria potesse digerirlo facilmente. Ciò nondimeno gli atenei
furono uno degli aspetti
culturali che apprezzava, anche se riteneva di esserne al di fuori.
Quando considero la lunga filiazione: Parigi ha dato uomini a Oxford, Oxford ha dato
uomini a
Cambridge, Cambridge a Harvard, Harvard a Yale, Yale a Chicago e così via, mi rendo conto di non
essere né un uomo di scuola né un universitario, per quanto le difenda entrambe ritualmente.
Io sono un
umanista, questa specie di libero professionista rinascimentale. Al momento credo di essere in cerca di
una filiazione differente: da Charcot a Freud, da Freud a Reich e via dicendo; sono però
significativamente incapace di appartenervi. In realtà, sono nato senza padre. Nature Heals
È qui, in questo contesto delle università e dell'educazione in generale, che vediamo
Goodman muovere alcuni
dei suoi grandi passi verso il passato. Sollecita incessantemente gli atenei, sostenendo che loro dovere è
di
conservare la tradizione occidentale da cui ritiene di essere stato formato. Si dedica a ciò che definisce
«un argomento alquanto demodé della teoria educazionale: come trasmettere la cultura con la C
maiuscola, la grandezza
dell'uomo...». (New Reformation). Rimbecca le università perché accettano sussidi
dell'esercito, cosa che
denuncia come «la fine della libera ricerca e dell'educazione liberale, perché la musica la fa chi suona
il
piffero». Invoca una rivitalizzazione dell'umanesimo nelle accademie, poiché è solo usando il
linguaggio in
modo chiaro ed esteso, non già come un «codice per comunicare semplicemente informazioni», che
riusciremo
a comprendere e
controllare l'esplosiva tecnologia scientifica e il collettivismo, che sono le condizioni di
un prevedibile
futuro...Ora più che mai il metodo della letteratura è indispensabile: trovare ed esprimere
l'umanesimo
nella scienza nuova, la moralità nella tecnologia e la comunità e l'individualismo nel
collettivismo. New
Reformation
Idee simili assomigliano per molti versi a quelle dei conservatori educazionali, con la differenza che
Goodman
le accorpa in una teoria dell'educazione genericamente libertaria. L'educazione nell'umanesimo è
essenziale alla
buona salute della società, ma ciò non significa che tutti siano mentalmente idonei ad assorbire
in forma
accademica quanto la loro cultura ha da offrire. Naturalmente, mentre molti conservatori educazionali
inseguono la severità dei passati sistemi di insegnamento
e un'organizzazione educazionale appena migliore di quella di cui disponiamo oggi, Goodman persegue una
decentralizzazione, una diversificazione e una deistituzionalizzazione dell'educazione perfettamente in linea
con il suo anarchismo. Growing Up Absurd 1960) dimostrava come i «bambini difficili»
rimanessero in questo
ruolo perché i loro «problemi» venivano istituzionalizzati dal tipo di scuole che avrebbero dovuto
«trattarli».
The Community of Scholars rivelò in Goodman un avvocato delle forme altamente
sperimentali di istruzione,
nonostante egli non fosse assolutamente un fanatico sostenitore del movimento per una scuola progressista che,
riconosceva, aveva sviluppato le proprie rigidità. Tuttavia, scrivendo sulle università, in questo
come in altri
scritti, è chiaro che egli non aspirava in nessun modo a distruggere la tradizione educativa trasmessa
dalle
accademie, o l'alta tradizione della cultura occidentale che, nella migliore delle ipotesi, quella esprimeva e
tramandava. L'oggetto del suo attacco era il gigantismo fisico e la disumanità burocratica delle grandi
università.
Al loro posto egli auspicava un ritorno al tipo di istituzione medievale, in cui gruppi di studenti e di docenti
convenivano per apprendere e insegnare, con il presupposto che chi ne sa di più deve essere considerato,
nell'ambito dell'insegnamento, il maestro. Goodman non ha mai smesso di sperare in un incontro con
questo tipo di comunità di studiosi. Sperava di
trovarla al Black Mountain College, la cui struttura informale lo attraeva ma, a parte le vestigia di moralismo
del luogo che portarono alla sua estromissione a causa dell'esplicita manifestazione di tendenze omosessuali,
Goodman vi riscontrò una certa «debolezza» nella presentazione delle materie umanistiche tradizionali
e
insistette per un insegnamento più scolastico dei suoi colleghi. Andando a Berkeley per il vertice del
movimento
Free Speech nel febbraio 1966 come inviato per Dissent, verificò:
... uno straordinario riemergere della primitiva università medievale, con i suoi
baroni che tenevano
lezione nelle aule centrali, una comunità studentesca male in arnese che viveva nei paraggi e, cosa
sbalorditiva, una nuova leadership di studenti formata da laureati e assistenti, precisamente quei Maestri
dell'arte che nel 1200 provocarono tanti problemi! Nell'era dell'Uomo Organizzativo, ci si sarebbe
aspettati che i più conformisti fossero proprio gli studenti-laureati, giovani dirigenti, per proteggere il
loro status e la loro posizione; invece a Berkeley vediamo che proprio dagli assistenti sono usciti i capi
che hanno partecipato allo sciopero quasi all'unanimità.
Bisogna tuttavia riconoscere amaramente che quando disse tutto ciò agli studenti non trovò
una risposta
convinta:
Con mia grande sorpresa, gli studenti non hanno approfondito le cose che ho detto loro;
non hanno
grande memoria della tradizione occidentale. Sanno che cos'è la libertà, certo, lo sanno bene,
ma ignorano che cos'è veramente un'università.
Infatti, non molto tempo dopo il 1965 Goodman cominciò a rendersi conto che, nonostante i
numerosi elementi
anarchici nella rivolta studentesca dei primi anni '60, molti attivisti non ne sapevano abbastanza di politica e
di storia per prevenire lo slittamento nell'autoritarismo, verso posizioni politiche leniniste, mentre gli altri
studenti si rivelavano, ai suoi occhi, virtualmente filistei a causa dell'indifferenza per la tradizione che egli
tesaurizzava e nella quale era cresciuto. Nel 1969 si esprimeva già in questi termini:
Quando parlo in un college costello il mio discorso di riferimenti a Spinoza, a Beethoven
e a Milton,
nella speranza che gli studenti capiscano che i grandi uomini del passato erano realmente esseri umani;
lo spiacevole risultato e però che loro mi guardano con compatimento perché dimostro di avere
un passato e li vedo più sconsolati che mai. Se tento di analizzare un testo nei suoi stessi termini,
cercando uno
spirito umano che dia conto dei suoi particolari e per questo sia rilevante per noi, lo prendono come un
esercizio futile che ha per scopo di eludere le attuali questioni cruciali. Naturalmente, l'incapacità di
leggere un libro si assomma a tutto ciò. Non essendoci alcuna fiducia nella tradizione né
dimestichezza
ai suoi modi, leggere delle frasi diventa un lavoraccio; e allora, perché darsi la pena di farlo? New
Reformation
Ma, come si può capire leggendo i suoi saggi sull'educazione e soprattutto quelli raccolti in
Compulsory
Miseducation, Goodman non dà la colpa agli studenti per il loro modo di reagire, quanto al
sistema che li ha
sottratti a una situazione sociale naturale ponendo loro domande sbagliate. Infatti l'educazione contemporanea,
secondo Goodman, invece di essere orientata verso la creazione di esseri umani capaci di avere un ruolo
produttivo e quindi gratificante nel loro mondo il più precocemente possibile, si è trasformata
in una sorta di
isolamento con cui milioni di giovani vengono tenuti al di fuori della lotta e del mercato del lavoro fino a che
non hanno raggiunto i vent'anni e sono, da ogni normale punto di vista, ben addentro l'età adulta. In
questo
sistema, che l'educazione giovi agli studenti sia emotivamente sia intellettualmente è divenuta una cosa
irrilevante. Vediamo così Goodman suggerire ripetutamente che potrebbe essere una buona idea
fare idealmente un passo
indietro nel tempo, riconsiderare le nostre concezioni sull'educazione e magari ricominciare da zero. Nello
stesso momento in cui dunque propone che le università si trasformino da smisurati grandi istituti (che
complessivamente costano tre volte tanto rispetto all'insegnamento vero e proprio) in qualcosa di più
piccolo
e ristretto, simile alle università medievali, Goodman sottolinea che anche in questo nostro secolo una
massa
enorme di persone se la cava benissimo e arricchisce la società avendo passato a scuola (luogo che non
è lo
stesso dell'istruzione vera e propria) solo una parte minima del tempo che vi dedicano i loro figli.
Quando c'era un insegnamento accademico per molti di breve durata, o per alcuni di
durata più lunga,
probabilmente esisteva una certa formazione accademica. Sicuramente il grosso dell'educazione per la
maggior parte delle persone veniva trasmessa con mezzi diversi dalla scuola. La società funzionava
benissimo e parecchia gente acquisiva conoscenze e imparava al di fuori delle istituzioni: nel 1900, il 6
per cento aveva un diploma di scuola superiore e meno dello 0,5 per cento andava all'università. Oggi
invece tutti sono costretti ad andare in una scuola superiore e l'anno scorso il 75 per cento ha raggiunto
il diploma. Secondo le mie osservazioni, in proporzione c'è un livello di istruzione molto basso. Da un
punto di vista strettamente accademico, otterremmo gli stessi risultati se chiudessimo tutte le scuole, che
pure naturalmente hanno un'utilità per l'occupazione, la sorveglianza dei bambini e via dicendo.
Saremmo sicuramente in grado di fornire lo stesso grado di apprendimento accademico con metodi
molto più semplici e meno costosi. Compulsory Miseducation
George Orwell espresse un'opinione molto simile quando, in The Road to Wigan Pier,
sottolineò la scarsa
importanza della formazione accademica nella vita dei lavoratori, mettendo in rilievo che negli anni '30 un
normale ragazzo della classe lavoratrice non vedeva l'ora di abbandonare la scuola e di «fare un lavoro vero»,
conseguenza del fatto che a diciotto anni era un uomo con responsabilità da adulto, mentre un suo
coetaneo
appartenente alla classe media che frequentava la scuola privata era poco più di bambino. La posizione
finale
di Goodman non è molto distante da quella di Orwell, visto che conclude che la vera educazione non
è ciò che
si impara a scuola.
È una funzione naturale della comunità che ha luogo inevitabilmente,
dato che i giovani crescono vicino
agli anziani, alle loro attività e dentro (o contro) le loro istituzioni; gli anziani spingono, insegnano,
ammaestrano, sfruttano e fanno violenza ai giovani. Anche l'abbandono del giovane, tranne l'abbandono
fisico, ha un effetto educativo, probabilmente non il peggiore. Compulsory Miseducation
Ciò che Goodman propone in realtà è che l'educazione sia ancora una volta
l'estensione delle attività che in una
società sana normalmente hanno luogo al di fuori della scuola; per la maggior parte dei ragazzi quindi
(quelli
che non sono portati per la scuola o per le arti) significa imparare per esperienza e fare, cioè essere un
apprendista ben più di quanto lo sia uno studente nel senso accademico, e nel caso di ragazzi di
città, imparare
i processi di coltivazione e allevamento vivendo e lavorando per lunghi periodi in moderne fattorie dei dintorni.
La desistematizzazione dell'educazione, la rottura dei processi di apprendimento in una miriade di risposte
estemporanee a situazioni particolari dovrebbe permettere un approccio flessibile di questo genere. Una
delle implicazioni di una simile concezione educativa è che la funzione dello studioso e dell'artista
è
distinta dal ruolo di insegnamento ai giovani, così come lo era nelle università medievali; negli
scritti di
Goodman quindi non si ritrova mai quella falsa democrazia culturale che denuncia come elitario ogni rispetto
per l'alta cultura o per la tradizione letteraria. La cultura e la tradizione stanno lì per chi abbia voglia
di
perseguirle, mentre l'eliminazione dell'istruzione obbligatoria ne farebbe una questione di libera scelta. Vero
è che come artista Goodman non è stato particolarmente sperimentale e che tendeva a
identificarsi con la
«semplificazione del vocabolario e il suo rapporto con la parlata delle gente semplice e con l'espressione dei
sentimenti» cara a Woodsworth. Ma egli faceva anche notare che la grandezza di Woodsworth era qualcosa di
molto più recondito, la sua «squisita sintassi», aggiungendo sul grande poeta romantico un commento
che
giunge a proposito rispetto a ciò che ho detto delle sue idee sulla natura di un'educazione libertaria:
La mia opinione è che la sua idea di pedagogia sia vera e fondamentale; è
la bellezza del mondo e dei
semplici affetti dell'uomo che fa nascere adulti magnanimi e disinteressati. Creator Spirit, Come
Gli anarchici, sempre alla ricerca di un modo per liberare i bisogni sociali umani che non sia il suicidio
politico
di una rivoluzione, hanno sempre avuto grande interesse per l'educazione, non solo come mezzo per far
emergere le capacità dei giovani nella società così com'è, ma anche come uno
dei modi per trasformare la
società stessa. È significativo che questa sia stata la preoccupazione più forte fra gli
anarchici non violenti, quali
William Godwin e Leone Tolstoj, o fra gli anarchici in generale al tempo in cui il movimento non era dominato
collettivamente da miti di violenza, come in Francia dopo la fine del terrorismo negli anni immediatamente
precedenti al 1900, quando sorse un notevole movimento educativo libertario sotto la guida di Sebastian Faure
ed Elisée Reclus, o in Inghilterra durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando Herbert Read
pubblicò
Education through Art e The Education of Free Men, e altri anarchici come Tony
Weaver, Tony Gibson e Tom
Earley (tutti dediti all'insegnamento pratico) scrissero ampiamente sulle forme libere di educazione basate su
una ri-immersione del bambino in processi sociali naturali. Per molti versi, l'approccio di Goodman
assomiglia a quello degli anarchici inglesi. Si sarebbe trovato
sicuramente d'accordo con la fondamentale affermazione di Herbert Read:
Trascurare i sensi, vuoi per ignoranza del loro significato o per puro pregiudizio puritano,
vuol dire
trascurare tutta una metà del nostro essere. Né nell'insegnamento, né
nell'apprendimento, né nel
compiere azioni, né nei nostri rapporti reciproci possiamo permetterci di ignorare le reazioni sensoriali
che registrano la qualità dell'esperienza. Ne consegue che in ogni sistema educativo ideale dovremmo
educare i sensi e per questo ciascuna delle arti dovrebbe avere il proprio posto nel corso di studi.
Vi sono tuttavia alcuni punti su cui le idee di Read e quelle di Goodman non coincidono perfettamente.
L'idea
di educazione dei sensi di Goodman va ben al di là delle arti, alle quali probabilmente egli non
attribuisce
quell'importanza preponderante che hanno nelle proposte decisamente più sistematiche di Read per una
riforma
dell'istruzione. Ciò accade soprattutto, ritengo, perché nonostante sia d'accordo sul fatto
che l'educazione dei sensi debba
precedere quella dell'intelletto, Goodman riconosce che esistono moltissime persone che possono continuare
a vivere una vita pienamente felice senza senza mai entrare a contatto neppure minimamente con l'arte, immerse
per esempio fin dall'inizio in occupazioni che le assorbono completamente, come l'agricoltura o certe forme di
artigianato o anche quel tipo di lavoro meccanico che richiede un'attenzione intelligente. Qui forse Goodman
differisce anche da Read, come Kropotkin, Fourier e Proudhon, per l'accento posto sull'importanza del lavoro
produttivo, come cosa distinta dalla fatica, per conferire un senso alla vita umana. Per quanto non ne abbia
trovato traccia negli scritti di Goodman, credo che si sia trovato quasi completamente d'accordo con
Useful
Work versus Useless Toil di William Morris . Le convinzioni di Goodman sull'educazione
manifestano l'ammirevole natura sia del suo conservatorismo che
del suo tradizionalismo. Egli riconosce e vive accanto alle grandi filosofie e alla grande poesia del passato e
ciò
che osserva con apprensione è il modo in cui i metodi e i moderni sistemi educativi hanno rotto le linee
di
connessione in virtù delle quali le conquiste globali dell'umanità nel corso dei secoli rimangono
una parte
vivente del presente. Uno dei risultati allarmanti di questo genere di alienazione è che la scienza si
è sottratta
all'influenza modificatrice e moralizzatrice dell'umanità. Goodman auspica dunque non l'invenzione
di un nuovo
sistema, ma gli esperimenti di semplificazione perché, come ha avuto occasione di dire:
Una società libera non può sostituire un «nuovo ordine» a quello
vecchio, ma è l'estensione di sfere di
azione libera fino al punto in cui queste costituiscono la gran parte della vita sociale. Drowing the Line
Spesso la libertà comporta però un passo indietro invece che un passo avanti, di modo che
diventa opportuno
considerare come operavano le università medievali, senza per questo radere al suolo le sovrastrutture
delle
moderne istituzioni accademiche, e come le gilde di apprendisti producevano non soltanto buoni lavoratori ma
anche intelligenze ben formate, tanto che dobbiamo alle libere città del medioevo molte delle
innovazioni che
hanno portato all'allargamento della vita nell'era moderna. Mi sembra che questo sia il momento giusto per
passare dagli aspetti conservativi delle concezioni educative
di Goodman ai suoi rapporti con il tradizionalismo anarchico in senso lato. Gli anarchici spesso negano la
tradizione, in quanto il ricorso al passato appare loro come un modo di ammettere la validità
dell'autorità.
Nessun conoscitore del movimento tuttavia può fare a meno di notare quale sia il loro interesse per
l'origine dei
loro insegnamenti e quanta attenzione quelli fra loro che hanno una propensione per la storia, come Kropotkin,
Max Nettlau e Rudolf Rocker, abbiano prestato alle costruzioni di alberi genealogici che risalgono non solo fino
alla Rivoluzione francese o ai Diggers della Rivoluzione inglese, ma a personaggi remoti come Zenone lo
stoico, Lao-Tse e Gesù Cristo, i cui apostoli, secondo uno storico francese del movimento, formavano
«la prima
società anarchica». Nel tentativo di dare basi storiche e scientifiche all'anarchismo, che possano
aiutarlo a competere con il
«socialismo scientifico» di Marx, i due grandi geografi anarchici, Peter Kropotkin ed Elisée Reclus,
formularono la dottrina dell'aiuto reciproco, secondo la quale uno dei grandi fattori dell'evoluzione è
stato un
istinto sociale che rende la cooperazione fra le specie altrettanto importante nello schema della natura quanto
la lotta con le condizioni avverse e con altre specie messe in rilievo da neo-darwinisti come Thomas Henry
Huxley. In un certo senso, la teoria dell'aiuto reciproco era il prolungamento in tutto il mondo animale del primo
insegnamento proudhoniano del mutualismo, che aveva già affermato l'esistenza di un ordine sociale
naturale
indebolito dall'imposizione di istituzioni artificiali quali lo Stato e altre forme di governo. Nel suo senso
storico, diverso da quello biologico, ciò che la teoria dell'aiuto reciproco dette all'anarchismo fu
un sostituto della tradizione pronto all'uso, uno sguardo positivo sul passato e una ragione per il
conservatorismo, nel senso in cui lo intendeva Goodman quando diceva:
Edmund Burke aveva una buona idea del conservatorismo: la distruzione dei legami
esistenti in una
comunità è un pericolo, in quanto non vengono rimpiazzati immediatamente; così, la
società diventa superficiale e il governo illegittimo.
Kropotkin e i suoi seguaci insegnavano che il bisogno di cooperazione esisteva fra gli animali, e che dunque
gli individui non divennero esseri sociali nel momento in cui emersero alla coscienza sociale così come
la
intendiamo noi; la socialità fu uno dei doni che ereditammo dai nostri antenati animali, al pari delle
spinte
complementari verso la cooperazione e l'autorità, cose che vediamo evocare da Kropotkin con una
curiosa
visione manichea quando rivendica all'anarchismo un'esistenza lunga quanto quella del genere umano e quella
della corrente opposta del governo e della coercizione.
È evidente che l'Anarchia rappresenta la prima di queste due correnti, vale a dire
la forza creativa e
costruttiva delle masse, che hanno elaborato le istituzioni della legge comune per difendersi da una minoranza
dominante. È sempre grazie alla forza creativa e costruttiva dei popoli, coadiuvata da tutta la
forza della scienza e della tecnica moderna, che l'Anarchia oggi lotta per edificare le istituzioni indispensabili
al libero sviluppo della società, in contrasto con coloro che ripongono le proprie speranze
nelle leggi fatte da minoranze al governo. Possiamo dunque dire che da sempre esistono Anarchici e
Statisti.
Kropotkin osserva che nelle società umane ci sono stati periodi in cui la natura della società
ha liberato in
misura straordinaria e in modi costruttivi lo spirito cooperativo, come quando i barbari stabilirono villaggi
comuni in tutta Europa o in epoca più recente quando le libere città fiorivano come centri di
civiltà medievali.
I villaggi comuni dei barbari vennero sottomessi ai modelli di autorità gerarchica introdotti dal
feudalesimo e
le libere città vennero ampiamente spogliate delle proprie libertà e della loro originale visione
dall'insorgere
degli stati nazionali nel XVII secolo. Per gran parte di questo tipo di interpretazione storica, Goodman
segue Kropotkin, soprattutto nella valutazione
di ciò che chiama l' «alto medioevo», che considerava un periodo di ricerca, di semina e di prassi
intellettuale
invece che, come spesso lo si è voluto vedere, di stasi del pensiero. Il quadro che ce ne dà in
New Reformation
è casomai ancora più favorevole di quello di Kropotkin, visto che Goodman aveva
un'inclinazione per il settore
di filosofia medievale, che invece aveva un significato relativamente scarso per il suo predecessore di
formazione più scientifica:
.. .l'organizzazione della società era pluralistica e pragmatica; le scienze morali
si risvegliarono e in
quelle fisiche prese il via un grande lavoro di sperimentazione. Nell'eterogenea struttura politica di
feudalesimo, stati nazionali, stati cittadini, consigli municipali, gilde di artigiani, associazioni di
mestieri, della chiesa internazionale e del fantasma dell'impero internazionale, c'era un rigoglio di legge
e filosofia morale, inventiva e indaginosa. Oggi in ogni genere di ricerca morale, religiosa o laica,
riappaiono le analisi medievali, nelle transazioni commerciali, nell'ordinamento delle arti, nella morale
sessuale, nelle regole di guerra, nella politica e nei privilegi universitari, nei dibattiti su sovranità e
legittimità. Nella forma, la filosofia morale medievale aveva apparentemente un carattere
più sistematico che
sperimentale, tutta tesa al summum bonum della salvazione. Ma nella grande varietà di
circostanze e
giurisdizioni, la casuistica rendeva la ricerca morale concreta e pragmatica. Scolastica e legalismo fornivano
un linguaggio consensuale che faceva del pensiero qualcosa di preciso, nient'affatto soffocante.
Le arti e mestieri, la tecnologia erano, come tutte le altre attività, personali, morali e responsabili per
esempio della determinazione della qualità e del giusto prezzo e dell'organizzazione di gilde e di
squadre
di costruttori. In realtà le gilde delle libere città erano quanto di più simile si sia mai
raggiunto a una
gestione dei lavoratori. Su questa scena pluralistica e pragmatica fece la sua teatrale comparsa la nuova
forza della scienza
sperimentale; ma al contrario di quanto succede nella nostra situazione, avvenne in un contesto di prudenza e
di morale. Prima facie, la sperimentazione era creare e fare, una branca della filosofia morale,
riconducibile a un giudizio morale e non solo a un mezzo di conoscenza e le sue scoperte non erano accettabili
nello stile di una filosofia naturale accademica ortodossa. Un'importante fonte di sperimentazione erano le arti
e mestieri rivitalizzate o reinventate da artigiani che lavoravano in proprio e che allo
stesso tempo collaboravano strettamente fra loro ed erano altamente competitivi, producevano per fini
propri e giudicavano ciò che facevano, un ambiente eccellente per apprendere la nuova scienza senza
preoccupazioni scientifiche libresche, ed estremamente prudenziale.
Se il medioevo, dove tutto era così «personale, morale e responsabile» e al tempo stesso
autenticamente
sperimentale, va altrettanto bene per la concezione di tradizione libertaria di Goodman come per quella di
Kropotkin, egli se ne allontana nella storia del proprio tempo per cercare le medesime virtù alle radici
dell'esperimento americano della liberazione. In realtà, aveva ben poco da dire sugli anarchici di origine
americana che per molti versi furono i suoi padri intellettuali, come Joshua Warren, Lysander Spooner e
Benjamin Tucker, ma ciò si deve al fatto che vedeva in tutta la tradizione americana un impulso
libertario ben
più ampio del movimento che i teorici appena menzionati rappresentavano. Ecco per esempio una delle
sue
raffigurazioni mentali dei primi anni degli Stati Uniti.
Nei primi trent'anni della Repubblica, solo dal 5 al 10 per cento della popolazione aveva
diritto di voto
e appena il 2 per cento si dava la pena di esercitarlo. La conclusione che si deve trarre da questo dato
però non è necessariamente che si trattava di una società poco democratica. Al
contrario, a parte i grandi
mercanti, i proprietari di piantagioni, il clero e gli avvocati, la gente era piuttosto soddisfatta, liberatasi
del dominio britannico, di condurre le proprie questioni sociali in una quasi anarchia, con forme
politiche poco ufficiali, decentralizzate e improvvisate. È stato in questo clima che si sono sviluppati
gli elementi importanti del nostro carattere americano. Creator Spirit, Come
Altrove, abbozza lo schema di una rete pluralistica di forme sociali che, sorte nell'America rivoluzionaria,
godettero di un'esistenza parallela ma indipendente rispetto alle strutture formali create per sostituire l'apparato
governativo britannico.
Quando la rivoluzione del 1776-83 decapitò le istituzioni dell'autorità
britannica nelle colonie americane, il paese era organizzato essenzialmente come una rete di comunità
giustapposte altamente
strutturate, ognuna discretamente autonoma; consigli cittadini, parrocchiani congregazionali, piccola
nobiltà e proprietari terrieri. Il tutto aveva una struttura gerarchica: padrone e apprendista, servitori a
contratto, schiavi di famiglia, professionisti e relativi clienti, pastori e parrocchiani; ognuno però era
spesso a contatto con coloro che avviavano al lavoro e decidevano. Per i primi venticinque anni di
repubblica, sotto punti di vista importanti esistette virtualmente
un'anarchia comunitaria rispetto ai governi centrali e statali. Per gli immigranti e per i poveri che si
sentivano troppo svantaggiati nelle comunità strutturate già
esistenti, la frontiera era uno spazio aperto per l'indipendenza. Drawing the Line
Nell'ottica di Goodman, questa prima società americana, sana e pluralistica, venne distrutta dalla
tendenza alla
centralizzazione, sia nel governo che nell'industria, messa in moto dalla Guerra Civile, ed è notevole
che egli
veda la sua ultima vana impennata non negli anarchici nati o immigrati in America, ma nel movimento
populista.
Più degli esordi del moderno movimento dei lavoratori in quello stesso periodo,
e certamente più della
politica di Riforma, il Populismo vide chiaramente avvicinarsi la trappola di una centralizzazione
interdipendente ... Ora, il libero mercato era controllato da trust e da tariffe sempre più alte...I partiti
politici erano sempre più massificati e controllati a distanza e si verificavano alleanze fra governo e
monopoli. A tutto ciò i Populisti risposero con una fiducia in sé eroica, una tragica paranoia e
una grande
confusione politica. A mio parere, questo fu l'ultimo movimento politico americano ad affrontare
onestamente il dilemma
cruciale della società moderna: come salvaguardare la democrazia pratica in una condizione altamente
industrializzata. Per un paio di decenni, il Populismo vide una risposta: il Partito democratico di Jackson
non poteva funzionare; bisognava ricominciare daccapo dal basso. People or Personnel
Gli aspetti di ogni lavoro fertile assumono un'importanza relativa diversa a seconda dei tempi. Quando
venne
pubblicato Mutual Aid, il suo significato immediato stava nella correzione delle distorsioni della
teoria
evoluzionistica huxleyana, ma aveva una rilevanza anche come sostegno scientifico all'affermazione anarchica
sulla possibilità che una società umana esista e si sviluppi con successo senza istituzioni
coercitive. Ai giorni
nostri, quando la maggior parte degli anarchici non guardano più alla distruzione del governo come fase
preliminare all'avvento di una società completamente libera, Mutual Aid è un testo
ispiratore più per la
rivelazione che, anche in momenti in cui la società è dominata da strutture autoritarie, le
istituzioni create dalla
collaborazione volontaria continuano a vivere e impediscono il collasso della società. Le parole di
Kropotkin,
nella sua cronaca del declino delle un tempo splendide libere città europee, portano in sé il seme
della speranza
che ha ispirato scrittori contemporanei come Paul Goodman e Colin Ward, i quali cercano all'interno della
nostra società quegli elementi che possono essere conservati e alimentati con una concezione che
sviluppi un
sistema di vita più libero e più naturale.
Tuttavia, la spinta all'aiuto e all'assistenza reciproca non è estinta nelle masse,
ma continua a esserci
anche dopo quella sconfitta. E' risorta con forza formidabile, in risposta agli appelli comunisti dei primi
propagandisti della riforma e non smise di esistere anche dopo che le masse, non essendo riuscite a
realizzare la vita che sognavano di inaugurare sotto l'ispirazione di una religione riformata, caddero sotto
il dominio di un potere autocratico. Esiste ancora oggi e cerca la strada per manifestarsi in una nuova
espressione che non sia lo Stato, né la città medievale o la comunità di villaggi dei
barbari, né il clan dei
selvaggi, ma che proceda da tutte queste cose insieme e tuttavia sia superiore quanto a concezioni, più
ampie e più profondamente umane. Mutual Aid
La coscienza che Kropotkin era nel giusto affermando la tenacia dell'aiuto reciproco come manifestazione
della
socialità umana ha indotto Colin Ward a dichiarare in Anarchy in Action che l'anarchismo
esiste già nella nostra
società e Paul Goodman a esplorare i modi in cui, anche senza una rivoluzione esplicita, le tendenze
sociali
costruttive possono essere liberate da cambiamenti attuati poco alla volta, da ciò che spesso egli ha
ironicamente
chiamato un «lavoro di rabberciatura». Qui, nel desiderio di promuovere e di risvegliare manifestazioni sociali
così costanti nella storia da poterle chiamare tradizionali, sta l'essenza del conservatorismo di Paul
Goodman,
il necessario conservatorismo di un anarchico dei giorni nostri. Questo conservatorismo conservazionista
si manifesta in aspetti del pensiero e dell'azione di Goodman troppo
diversi e troppo vasti perché si possa fare qualcosa di più che citarli nel presente saggio; nella
difesa della
decentralizzazione, che significa l'abbattimento di strutture troppo grandi rispetto alla scala umana; nella
richiesta di riequilibrare il divario fra vita rurale e vita urbana, ripopolando le campagne, rivitalizzando la vita
di villaggio, riconvertendo i terreni poco produttivi alla coltivazione attraverso nuove forme di agricoltura mista;
nella preferenza per l'etica delle gilde piuttosto che per quella delle unioni sindacali, o in quella per i college
rispetto alle grandi università, per una scuola che assomigli più a una fila di negozi che non alle
immense
strutture educative moderne, per l'apprendistato in luogo della sterile perversione della formazione accademica
che trasforma le scuole in posti di detenzione per giovani che starebbero meglio fuori e sarebbero più
utili alla
comunità se lavorassero. Tutte queste proposte implicano cambiamenti graduali, grandi o piccoli, e in
molti casi
l'idea è di tornare a uno stato di cose più semplice in cui si possa dare il via a una forma di
azione maggiormente
libera. Forse Goodman si differenzia di più dall'anarchico fondamentalista di vecchio stampo
laddove riconosce che
il mutamento radicale in direzione di una società completamente libera non è una possibile
rivoluzione, e che
il gradualismo che i primi anarchici rifiutavano sprezzantemente va invece accettato se si vuole realizzare
qualunque cosa nel mondo concreto. Egli usa continuamente frasi come «aggiustamento e trasformazione delle
condizioni storiche» e ammette che nessun processo che non sia graduale può avere la speranza di
trascinare
la gente con sé, cosa necessaria a meno di non essere disposti a ricorrere ai metodi bolscevichi.
Il periodo migliore è quello in cui ogni nuovo lavoro distrugge la consuetudine
dei predecessori, e che
avanzando esattamente fino al passo successivo (risultato di un'usanza conquistata e di una tradizione
assimilata) porti con sé il proprio uditorio. Creator Spirit, Come
Secondo Goodman, l'essenza dell'anarchismo è che il proprio principio sia sempre manifesto in
rapporto alla
situazione attuale e sottolinea che «non può esserci una storia dell'anarchismo nel senso di attestare
uno stato
di cose permanente chiamato "anarchico"» (Drawing the Line). In una proiezione futura, sembra
inevitabile una
società mista e tutto ciò che deve fare l'anarchico è decidere dove «tirare la linea», dove
andare al di là della
«rabberciatura», dove disturbare la quiete, in quanto:
Non bisogna trascurare i servizi utili perché inadeguati allo stile dominante,
così come le necessità di
base non devono dipendere da una piatta elaborazione economica. People or Personnel
La natura dell'anarchismo è di resistere ai cambiamenti che diminuiscono la naturalità di
una società (il che è
un gesto conservatore) e di promuovere invece quelli che la rendono più libera (il che è un gesto
radicale). Il
processo dell'anarchismo
è un continuo e costante far fronte alla situazione successiva, uno stato di
vigilanza per assicurarsi che
le libertà del passato non si perdano e non si trasformino nel loro opposto, come la libera impresa si
è
trasformata in schiavitù dal salario e in monopolio capitalistico, o la magistratura indipendente è
diventata un monopolio di tribunali, polizia e avvocati, o infine come la libera educazione è diventata
Sistema
Scolastico.
Alla fine cogliamo il conservatore che c'è in Goodman, il suo impulso a cercare tutto quanto nella
tradizione,
la scoperta che la gente vive ampiamente secondo principi anarchici anche nella società più
autoritaria, la
convinzione che piccoli passi verso la semplificazione spesso allargano l'ambito della libertà e la
coscienza
realistica che prevedibilmente in futuro il meglio che ci si può aspettare è una società
vigorosamente pluralistica.
Questa prospettiva ha salvato Goodman dall'inerzia disperante degli anarchici puri o dalla futilità
idealista di
coloro che, come accadde a Herbert Read nei suoi ultimi anni, vede il compimento delle aspettative anarchiche
come un punto lontano su un remoto orizzonte. Goodman l'ha visto come una parte della lotta personale per la
vita quotidiana, che permeava ogni sua parola e ogni suo scritto e che era alimentata da tutto ciò che
continua
a essere naturale e libero nell'esistenza umana. È questo che ne ha fatto, sotto ogni punto di vista, un
critico
sociale così interessante e così stimolante. Non ha mai avuto paura dell'apparente
contraddizione della sua
posizione; sapeva bene che nella nostra epoca l'anarchico e il vero conservatore devono convivere in uno stesso
animo, in un gioco di influenze reciproche.
(traduzione di Andrea Buzzi dalla rivista canadese Our generation)
|