Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 214
dicembre 1994 - gennaio 1995


Rivista Anarchica Online

Alle radici di una cultura solidale «classista»
di Giorgio Sacchetti

Già i risultati del convegno di studi storici su "Gli 80 anni dell'In marcia!", organizzato a Milano nel 1988 dalla "Mutua Macchinisti", ci erano apparsi fecondi di spunti di riflessione (1). Dagli interventi degli studiosi si erano allora evidenziati soprattutto due comuni aspetti salienti: da una parte la ricchezza straordinaria e le implicazioni di una storia, quella dei ferrovieri, le cui vicende particolari si rivelano determinanti nel percorso ormai quasi secolare del sindacalismo italiano; dall'altra - per dirla con Riosa - il "panorama piuttosto sconsolante" della produzione storiografica su questo argomento, produzione che, a parte alcuni pregevoli saggi su aspetti particolari, era sostanzialmente ferma alla fase pionieristica (Guerrini, Finzi, De Lorenzo, ecc .. ). Oggi l'uscita dell'opera a più mani "Il Sindacato Ferrovieri Italiani dalle origini al fascismo 1907-1925" (edizioni Unicopli) pone di nuovo l'attenzione degli studiosi sul tema (2).
La questione "ferrovieri e storiografia" era stata autorevolmente posta fin dagli anni '60: "Le vicende di questa organizzazione - ne scriveva già allora Procacci (3) - furono ricche di elementi che contenevano insegnamenti e norme per tutto il movimento operaio italiano. Ché, anzi, uno dei tratti caratteristici di quest'ultimo è costituito proprio dal ruolo di avanguardia che, a differenza della maggioranza dei paesi europei, vi ebbe il movimento associativo e rivendicativo dei ferrovieri". Neppure l'avvento del regime fascista riuscirà a chiudere definitivamente una storia così ricca e complessa che, al pari di un fiume carsico, emergerà di nuovo e con forza alla luce del sole nel secondo dopoguerra pur se in un "paesaggio" sociale e politico ormai reso irriconoscibile. Alla base di tutto questo c'è un elemento immediatamente percettibile: la ferrovia che, dopo aver "unificato" un paese nella comunicazione, simboleggia ora con la sua peculiare classe lavoratrice un'ipotesi inedita per cementare anche l'unità del movimento operaio in Italia. Il Sindacato Ferrovieri Italiani (SFI), che vede la luce in piena epoca giolittiana quale risultante di una lunga precedente esperienza, si fa da subito carico di questioni che vanno ben oltre il mero rivendicazionismo. La "filosofia" adottata appare ispirata ai principi dell'autovalorizzazione, ciò nel senso di approntare anche un'utile alternativa nella direzione di un radicale ricambio gestionario nell'Azienda ferroviaria. Si rivendica la partecipazione ed il concorso pieno del personale - degli «umili" si dice - alla risoluzione delle questioni tecniche che si pongono, "dalla traversa al treno che passa, dal casello all'anticamera del direttore". I ferrovieri saranno anche per questo bersaglio frequentissimo degli elzeviri di Luigi Einaudi, economista emergente ed opinionista autorevole del Corriere della Sera. Una polemica più che decennale vedrà questo giornale costantemente schierato contro le "pretese" del sindacato. Se le impietose analisi einaudiane sugli sprechi e le inefficienze dell'Azienda hanno, in via di paradosso, punti di convergenza con quelle che il SFI da sempre sostiene e fa pubblicare sul proprio organo (La Tribuna dei Ferrovieri) e sugli altri giornali amici (Avanti, Guerra di Classe, ecc .. ), ovvio che i rimedi che vengono rispettivamente proposti siano di opposta natura. E nei momenti cruciali, quando - come durante il "mitico" sciopero ferroviario del gennaio 1920 - la posta sociale e politica si fa alta, il senatore piemontese diviene il portavoce ufficiale di una campagna di orientamento dell'opinione pubblica contro i presunti privilegi ed i "lauti" stipendi accordati ai pubblici dipendenti (4).
La categoria è inoltre al centro di un annoso dibattito sul diritto di sciopero che tocca questioni delicate quanto vitali per il movimento operaio tutto. Curiosa ed emblematica, specie se vista alla luce delle vicende successive, la schermaglia che su questo tema vede protagonisti all'epoca della Settimana Rossa da una parte il segretario generale della riformista CGdL Rinaldo Rigola, dall'altra il socialista rivoluzionario Benito Mussolini. Il primo, pur riconoscendo il "grave danno per tutta la nazione" causato dalle agitazioni ferroviarie, non ne ritiene giusta la proibizione. Il secondo ritiene lo sciopero comunque un'arma contro lo stato borghese; ed in proposito preconizza: "Nello stato futuro basato sul possesso e sulla gestione collettiva degli strumenti di produzione e di scambio lo sciopero non è nemmeno pensabile" (5). Nel dopoguerra si renderà ancora più evidente quel disegno che Giolitti aveva iniziato ad approntare fin dall'epoca dello sciopero ferroviario del 1902, minacciato ma non attuato perché "non ammesso dalla legge". Dopo anni di uso indiscriminato del famigerato art. 56 del regolamento disciplinare, ci si orienta così definitivamente verso un'impostazione di legittimità dell'istituto del licenziamento per attività antigovernativa nei confronti del pubblico impiegato. Si precorrono in tal modo alcuni principi della successiva normativa fascista in materia, terreno concettuale e giuridico su cui si innesteranno le misure di militarizzazione del personale. Mentalità e cultura del lavoratore delle ferrovie si misurano di conseguenza anche sull'antagonismo risoluto verso questi provvedimenti liberticidi, si manifestano nella "gogna" a cui vengono impietosamente sottoposti i crumiri. Contro le promozioni di qualifica fatte in emergenza a beneficio di chi, pur privo della necessaria professionalità, sostituisce gli scioperanti, si scagliano le ire delle rappresentanze categoriali. Sui crumiri inesperti alla guida dei treni fiorisce tutta una letteratura; il giornale dei macchinisti (In Marcia!) dedica addirittura alla questione una rubrica quasi fissa di polemica e satira. In ballo ci sono dignità professionale, orgoglio di mestiere, etica della solidarietà di classe. Questi "buoni sentimenti" rappresentano, insieme agli elementi concettuali fondanti del sindacalismo degli albori, anche i connotati di quella "cultura professionale" che sarà essa stessa, nel corso dell'esperienza "consiliarista" del Biennio Rosso, una forma della lotta di classe "in quanto rende possibile la creazione di una organizzazione del lavoro diversa dall'attuale, che, raccogliendo dal capitalismo ciò che esso ha col suo sviluppo prodotto, faccia rivivere quei valori che con lo stesso sviluppo ha distrutto, e che sono indispensabili per la società quale noi la vogliamo costruire" (6).
In tal senso va anche la rivendicazione categoriale della presenza di un rappresentante del personale, designato dal Sfi, nelle commissioni esaminatrici per il passaggio a macchinista dei fuochisti, contro le promozioni per meriti di crumiraggio che creano situazioni di grave pericolo per la sicurezza dei trasporti. È interessante poi segnalare un dibattito culturale che nel 1917 si era aperto sulla rivista dei macchinisti. Si può accettare, o no, l'assegnazione individuale ai "migliori" della locomotiva? Dove era stato adottato questo semplice provvedimento, come nelle ferrovie britanniche, esso aveva stravolto la tenuta di classe e sociale della categoria, acuendone piuttosto le spinte di tipo corporativo-elitario, ma soprattutto legando indissolubilmente l'esistenza così alienata dei guidatori alle "loro" macchine da accudire. L'opinione prevalente è però quella o di rifiutare tout-court simili innovazioni o, tutt'al più, di accettare l'assegnazione per gruppi fissi (es. 20 locomotive x 30 macchinisti), seguendo i criteri oggettivi dell'anzianità di servizio. Il contenuto, altrettanto ideologico, di questa controproposta è evidente (7).
Gli studiosi di storia del sindacalismo hanno già evidenziato per le vicende dei ferrovieri la sostanziale sincronia fra acquisizione della coscienza di classe e definizione di un prevalente orientamento politico radicale. Ciò come diretta conseguenza di una sovrapposizione fra controparte sociale (lo Stato datore di lavoro) e controparte governativa. Anche per questo motivo gli anarchici avranno un ruolo determinante, insieme ai socialisti di tendenza rivoluzionaria, nei ranghi del sindacato, nelle stesse strutture dirigenti. Fra tutti bisogna almeno ricordare Augusto Castrucci, e gli altri (Fantozzi, Signorini, Stagnetti, Sbrana, ecc .. ) tutti protagonisti di primo piano eppure regolarmente ignorati - come ha sottolineato Antonioli - dal Dizionario biografico del movimento operaio. Nel SFI gode pienamente del diritto di cittadinanza anche la minoranza riformista che inutilmente si prodigherà, prima da sola e poi con l'appoggio tattico della corrente comunista, per l'adesione alla Confederazione Generale del Lavoro. La scelta dell'autonomia, sia pure dall'USI, si rivelerà invece la vera carta vincente di un sindacato che persegue la via difficile ma dignitosa dell'affrancamento del movimento operaio dai partiti politici. Fuori dal "rosso" SFI, largamente maggioritario nella categoria in epoca prefascista, si muovono solo piccole organizzazioni. Fra queste si deve citare quella dei ferrovieri cattolici che fanno capo al giornale Il Direttissimo, a cui spesso sono rivolte le più aspre critiche. Quando ad esempio si era tenuto, nel nome della Rerum Novarum - a Genova nel 1916 - il VI congresso di questo sindacato, l'organo del Sfi aveva sbeffeggiato i convenuti invitandoli alla espiazione dei peccati, mentre l'Avanti! aveva scritto: "Considerato che la vostra opera di carità cristiana sarebbe meglio apprezzata nelle sagrestie (...) perché vi mettete in mezzo alle lotte proletarie, quando vi manca il fegato di alzare la voce contro i soprusi?". Ed anche su questi aspetti, pur marginali, mancherebbero degli studi approfonditi.
Sul mutualismo e sulla cooperazione fra lavoratori delle ferrovie ci gioviamo invece delle ottime ricerche a suo tempo pubblicate da Checcozzo e Stefanelli. Istituti come il Fondo di resistenza e le cooperative di consumo funzionano persino durante la prima guerra mondiale, portando soccorso alle famiglie dei licenziati. E' questo il segno evidente del permanere di una tradizione concretamente solidale all'interno della categoria.
Dopo il fascismo prende le mosse un'altra storia. Ed è un'altra storia fortemente condizionata, almeno per la sua parte iniziale, dalla situazione politica interna a sua volta indotta da quella internazionale. In un movimento operaio risorto, ma egemonizzato dallo stalinismo, diviso con l'identica logica degli schieramenti est-ovest, si restringono sempre più gli spazi per la realizzazione dei principi già sanciti dal vecchio statuto: "Il Sindacato Ferrovieri Italiani è [era] una organizzazione unitaria aperta a tutti i ferrovieri senza distinzione di partito e di religione, appartenenti ai gradi dal 16° all'8° escluso. Essa ha [aveva] lo scopo di tutelare gli interessi morali e materiali della classe ferroviaria e, senza essere accodata ad alcun partito politico, seguire, per raggiungere tale scopo, il metodo della lotta di classe" (8).
Castrucci, al pari di altri anarchici già leader sindacali prestigiosi prima del fascismo (come Sassi, Meschi, per non parlare di Borghi), si troverà in tarda età ad operare faticosamente per il mero recupero di una memoria di classe ormai resa illeggibile dal fascismo, dalla bolscevizzazione del movimento operaio, dalla guerra fredda incombente.

1) Gli atti sono pubblicati su "Il Treno" Milano, n. 611989.
2) L'opera, a cura di M. ANTONIOLl e G. CHECCOZZO, comprende una presentazione di G.Ferri (Società Nazionale di Mutuo Soccorso fra Ferrovieri e Lavoratori dei Trasporto); l'introduzione di M. Antonioli; ed i seguenti saggi: A. GIUNTINI, Le Ferrovie italiane dalla nazionalizzazione alla nascita del Ministero delle Comunicazioni (1905-1924); R. BERNARDI, Il SFI dalla nascita al 1909; G. DINUCCI, Il SFI nella fase a direzione sindacalista; G. SACCHETII, Il SFI dalla "settimana rossa" alla grande guerra; G. SACCHETTI, Il SFI durante il "biennio rosso"; F. DAMIANI, Il SFI dal congresso di Bologna allo scioglimento della CGdL.
3) Cfr G. PROCACCI, La classe operaia italiana agli inizi del secolo XX, in "Studi Storici", a.III (1962) fasc. I.
4) Agli "sproloqui e spropositi del senatore Einaudi" apparsi sul "Corriere della Sera" si risponde su 1'"Avanti!" del 7/1/1920.
5) Cfr "La Tribuna" 9/7/1914, "La Stampa" 22-23/7/1914, "Avanti!" 23-26/7/1914.
6) La cultura professionale, "L'Ordine Nuovo" n.15/1919.
7) Cfr "In Marcia!", nn 2 e 3 del 1917 e, per il raffronto con le ferrovie britanniche, F. McKENNA, The Railway Workers 1840-1970, Faber London 1980.
8) Cfr "La Tribuna dei Ferrovieri" 16/2/1919.