Rivista Anarchica Online
Per costruire il mondo altrimenti e altrove
di Salvo Vaccaro
È un delitto che la continua e torrenziale letteratura di ordine pragmatico
rovini un termine felice come
Manuale. Se oggi osserviamo una qualsiasi edicola, vediamo una serie potenzialmente infinita
di manuali
operativi che obliano ogni ipotesi di ragionamento creativo teso al compimento di una attività o alla
soluzione
di un problema quotidiano. Più che manuali, sono breviari virtuali, il cui felice artificio
rende funzionale
l'esonero del pensiero a vantaggio di un indice di istruzioni predeterminate per l'uso da seguire pedissequamente
senza deviare di un millimetro. I manuali, invece, erano affreschi in cui si disegnavano percorsi aperti
all'apprendimento di tecniche e di
tecnologie (essendo queste ultime il precipitato confezionato e ripetitivo di una ricerca razionale applicata). Il
Manuale per fondare una città di Pietro Toesca (Elèuthera, Milano,
1994, pp.176, L. 23.000) si nutre di
questo primo scarto: non insegna nulla di immediatamente replicabile, sfuggendo alla trappola
dell'Autorevolezza (nel sapere qualcosa di trasmissibile) che si muta in Autorità: l'ipse
dixit. Il Manuale di Toesca procede per tensioni, legate da un sottile filo logico, che
tuttavia non ha nulla
dell'univocità di percorso. Anzi, la costellazione frammentaria dei concetti introdotti da Toesca risulta
affascinante (senza trascurare la difficoltà del testo) proprio perché enuclea diversi modi di
ragionamento
sensibili all'instaurazione di una nuova città «fondabile». Qui soccorre un altro scarto. La città
di cui si parla,
a primo impatto, non ha nulla di urbanistico e di fisicamente architettonico, sebbene piani regolatori e progetti
urbanistici sono sempre figli di una cultura (o incultura) della immagine e della conduzione di una città
secondo
canoni di razionalità politica e sociale. Per città, Toesca intende ogni spazio «di reciproco
permanente
riconoscimento», convivenze di esseri umani, che si legano mutevolmente nella loro irriducibile
diversità, senza
che ciò diventi alibi per una verticalizzazione gerarchica delle loro esistenze circoscritte in categorie
e ritagliate
in ruoli asserviti. Intensità in tal senso, la città da fondare è altresì una
città sfondare, da decostruire, per via di tutte quelle
superfetazioni, quelle escrescenze metropolitane, quelle distorsioni brutali che l'hanno resa non solo invivibile
ma anche inidonea a promuovere la convivenza orizzontale di singolarità differenti ed eguali nel loro
valore. Fondare una città altra - metafora di uno spazio comunitario aperto e non ripiegato
autarchicamente su se stesso
- significa ricominciare a pensare altrimenti e altrove. Vale a dire distruggere tutti quei
prolungamenti
nell'immaginario costitutivo dell'emancipazione sociale che, ahinoi, spesso e volentieri si sono rivelati non solo
ostacoli alla costruzione dell'altro, ma peggio speculari e restauratori di una medesima modalità di
formazione
e funzionamento delle cose (mentalità, stili di esistenza individuali e collettivi, modi di produzione,
giustizia
redistributiva, istituzioni politiche, e via continuando), in un determinato spazio- tempo storico, «elemento
costitutivo del rapporto uomo-società» (p.140). Ricominciare altrimenti e altrove significa fondare
un luogo in cui si è titolari di una ricerca di felicità e di
libertà pubbliche realizzativa del «valore di sé» (p. 103) e quindi molteplice e incodificabile
in norme
contraddittorie, aporetiche, produttive di paradossali dilemmi. Significa fondare un luogo di
reciprocità degli scambi senza unità trascendente di coordinamento (poiché città
e reciprocità definiscono la dimensione pubblica dell'esistenza collettiva, e non un veicolo per
redistribuire
soggettivamente ciò che è oggettivato nel concetto e nella pratica dell'autogestione). Significa,
infine, sottrarsi
ai bombardamenti indotti da un sistema eretto sulla rappresentazione simulata di valori incarnati in pratiche
ingiuste, violente, fredde e anonime. «Per costruire il mondo bisogna mettersi fuori dal mondo ( ... ), bisogna
autoidentificarsi» (p.150) senza farsi ingrigliare in identità eterodiertte e cristallizzate. Ma il
libro di Toesca, da buon manuale, consente altre letture e altri percorsi di dialogo con il testo, poiché
non
si offre chiuso in se stesso, ma utilizzabile in modi diversi, secondo sensibilità e tensione, proiettando
comunque una serie di riflessioni espropriabili per progettare la fondazione di un luogo comunitario al cui
interno questioni
politiche e questioni sociali, ideali e volontà, pratiche e luoghi u-topici ritrovino quella fertilità
da sempre
denegata da ogni potere che la teme come risorsa principale per il proprio annichilimento. Ed è questo
l'unico
senso in cui oggi possa declinarsi una teoria ed una pratica autogestionaria realmente rivoluzionaria.
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