Rivista Anarchica Online
Il video spento
di Valerio Pignatta
Parlare oggi di televisione sembra ormai abbastanza scontato specie dopo il
successo elettorale di chi fino a
pochi mesi fa era un'entità inesistente. Infatti solo ora, come risvegliandocisi da un brutto sogno, si cerca
di
capire come sia potuto accadere e se per caso non ci stia sfuggendo qualcosa. Migliaia di libri sono stati scritti
sulla televisione per criticarla, per evidenziarne gli aspetti positivi, per capirla, per svelarne i meccanismi, per
tentare di riformarla, ecc. ecc .. Tutti questi libri, o la stragrande maggioranza di essi, non hanno però
messo
in dubbio l'esistenza della stessa o discusso l'ineluttabilità della sua necessità. E sì che
di motivazioni ce ne
sarebbero! Mi rifaccio qui all'unico autore che io conosca che sino ad ora ha affermato l'inevitabile scelta
dell'eliminazione della televisione dalla società per poter innescare un vero processo rivoluzionario che
porti
ad una autentica democratizzazione del mondo in cui viviamo. Quest'autore è Jerry Mander che alla
metà degli
anni settanta (vent'anni fa!) diceva appunto nel suo Quattro argomenti per eliminare la
televisione (Dedalo,
1982, pp. 342, L. 22.000, è ancora in catalogo e si trova abbastanza facilmente) che: « ... il nostro voto
...
significa ben poco alla luce della nostra impotenza nei confronti delle invenzioni tecnologiche che esercitano
sulla natura della nostra esistenza un condizionamento maggiore di quello che qualsiasi singolo leader sia mai
riuscito ad esercitare. Se non acquistiamo il controllo sulla tecnologia, tutto ciò che passa per
democrazia non
è che una farsa». E per dimostrare come la televisione sia una cattiva tecnologia al pari di armi e centrali
nucleari il nostro autore, in alcune centinaia di pagine, illustra un numero congruo di ricerche e studi dai risultati
incontrovertibili. Che la televisione ci condizioni, tutti lo sanno, ma «quanto», nessuno se lo immagina.
Tantomeno si riesce ad immaginare a che profondità della nostra psiche i messaggi teletrasmessi
possano
arrivare e ottenere di radicarsi anche contro la nostra vigile attenzione, riaffiorando poi nei nostri discorsi di tutti
i giorni come parti inscindibili della nostra amata indipendente facoltà discernere e di volere. Non ci
credete?
Provate! Chi scrive ha rifiutato la televisione una decina d'anni fa e da allora, ogni anno che passa, non fa che
rallegrarsi della sua scelta. I mutamenti che si scorgono nella popolazione televisiva (la quasi totalità
di quella
esistente) specie agli occhi di chi vive, voi direte snobisticamente, senza apparecchio tv sono evidenti ed
interessanti. La «realtà» della televisione va sostituendosi all'unica vera e per quanto sofferta
Realtà che è il
mondo che ci circonda e nel quale siamo immersi. I giornali riportano le notizie date in tv, riprendono le
polemiche nate sullo schermo, commentano i fatti televisivi perdendo sempre più spesso il contatto con
gli
accadimenti del mondo reale. Le pagine di televisione sulla carta stampata aumentano e si è arrivati a
trasmissioni radiofoniche che trasmettono in diretta una carrellata sui canali tv (come ad esempio qualche mese
addietro «Zapping» su RADIO 1 ore 20 dal titolo « Quello che succede in tv raccontato alla radio») o
spettegolezzano su personaggi e show televisivi per delle ore. I teleutenti sono trasportati ogni giorno in quel
paradiso fittizio o inferno rosa che dir si voglia che è il mondo teletrasmesso oggi. La prima cosa che
ci si
dimentica troppo spesso di dire quando si parla delle possibilità di riformare in senso culturale e
positivo i
palinsesti dei programmi è tutta la tecnologia e l'economia televisiva si reggono su di un fondamentale
pilastro
che è l'audience. Questa parola non è altro che il sinonimo del noto comandamento del Capitale:
il guadagno.
In parole povere i telepotenti sia principi che baroni di campagna, si preoccupano del numero di utenti che
è
possibile influenzare con una campagna pubblicitaria studiata ad hoc per tempi, soggetti e contenuti. È
tutto il
resto che gravita attorno a questo concetto e non viceversa! Qualche anticapitalista di vecchia data potrebbe qui
intravedere il ricorso storico di alcune categorie ideologiche ormai fuori moda che collimano stranamente coi
ricordi dei suoi trascorsi giovanili. ... Il «consumatore televisivo» va incollato allo schermo a qualunque costo,
fossero anche dei cadaveri dissezionati della Bosnia centrale o un linciaggio di un nero americano in diretta a
dover ricalcare le scene. Anzi, tanto meglio! Il nostro Mander ci tiene a dimostrare da buon conoscitore del
mondo televisivo quale è (era infatti uno dei maggiori agenti pubblicitari USA negli anni '60) che
proprio per
la struttura tecnica del mezzo televisivo la violenza, la competizione, il conflitto di sentimenti e la loro
incarnazione in azioni sono più rappresentabili che non la serenità, la spiritualità, la
disponibilità. Rendono di
più insomma, catturano il telespettatore con una serie infinita di accorgimenti tecnici studiati per non
far cadere
l'allarme dei suoi sensori che sarebbero terribilmente a riposo (per le imprese pubblicitarie!) nell'osservare
rappresentazioni gaudenti di cooperazioni armoniose, sentimenti di concordia e di unità. Quelle vanno
dipinte
nei quadri fiabeschi del paradiso pubblicitario dei consumi (e adesso anche di quello politico) bombardando
l'utente attonito al momento giusto con qualcosa di rassicurante e di distensivo cui egli possa poi ricollegare la
propria serenità. Un altro aspetto misconosciuto ai più sul quale si sofferma il Mander è
quello dell"elitismo
che circonda il mezzo televisivo. Elitismo di gestione (sono pochi quelli che si possono permettere di fondare
e mandare avanti una rete televisiva), elitismo di potere (sono pochi, anche in una tv di stato, coloro che tengono
in mano le redini dei palinsesti delle onde tv, i migliori oratori della piazza che ci siano). La televisione in
sostanza è il peggior mezzo democratico che esista ed anzi spinge verso il totalitarismo della
società inducendo
tra l'altro i suoi membri a credere il contrario. Il sogno di ogni dittatore del presente e del passato. Oggi quel
dittatore ce l'abbiamo in casa. Qualcuno si ricorda di un certo Orwell? La televisione ci spinge alla
passività
dandoci l'illusione della partecipazione. Da quello dei grandi viaggi e avventure a quello politico e civile il
nostro coinvolgimento televisivo è una grossa bolla di sapone come sa benissimo chi ha fatto un viaggio
nella
Turchia orientale e vede poi un documentario sulla stessa. La realtà che ci viene venduta è di
plastica! E qui si
parla di vendite in senso stretto e non figurato. Ricordiamo a tutti gli anti berlusconiani, e in special modo ai
più incalliti, che il loro Nemico guadagna circa 80 lire per ogni minuto che una testa pensante si
inebetisce
davanti ai suoi schermi. Quindi la prima cosa da fare per non gettare ingiurie e minacciare pesti e carestie alla
stessa persona cui si allungano poi sottobanco le diecimila lire è facilmente immaginabile. È
dunque più che
visibile quello che qui si va sostenendo con Mander e cioè la necessità dell'eliminazione del
mezzo televisivo.
Lo so, ai più questo può suonare come una bestemmia ma aspettate a urlare il vostro sdegno.
Aspettate qualche
anno. L'importante è che osserviate attentamente la «società televisiva» ora, i suoi confini, le
sue influenze e
la sua ragnatela in modo da poter fare dei raffronti sicuri domani. Vi accorgerete che certe tecnologie vanno in
un'unica direzione che non è possibile cambiare. La televisione non è riformabile perché
come dice Mander «i
suoi problemi sono intrinseci alla stessa tecnologia nella stessa maniera in cui la violenza è intrinseca
alle armi
da fuoco». Sicuramente molti si stupiranno di fronte ad una proposta che suggerisce di rimettere in auge l'uso
tribale ormai dimenticato del tabù, ma occorre ricordare che i sistemi tabuisti delle culture antiche non
erano
le organizzazioni oscuramente irrazionali che riteniamo che fossero. Il loro scopo era quello di preservare
l'equilibrio naturale in una data area e fissavano una volta per sempre quando il troppo era troppo. Oggi,
sfortunatamente, siamo stati allontanati dalla possibilità di sapere come mantenersi in buona salute, noi
e
l'ambiente circostante, e non siamo più in grado di riconoscere quando c'è qualcosa che mette
in pericolo la
nostra armonia ecologica e gli equilibri politico-sociali del mondo in cui viviamo. Questa conoscenza in passato
era radicata nella stessa cultura. Ma proviamo ad immaginarci un mondo senza televisione! Lo «spettacolo»
che
non potremmo più ottenere premendo un pulsante comodamente sprofondati nella solitudine casalinga
sarebbe
più che bilanciato dal ripristinarsi dei contatti umani, dalla ricomparsa di menti individuali, dal gusto
della
ricerca e della partecipazione personale. La reale esperienza della vita e dell'ambiente che ci attornia
sostituiranno i falsi drammi e le foreste tropicali pornoecologiche della fiaba televisiva. Non potendo
più
evadere dalle penose condizioni di vita cui i tre quarti del globo sono sottoposti (ricordiamoci che la televisione
nel terzo mondo arriva prima della strada e di tanti altri strumenti essenziali al soddisfacimento dei bisogni
primari) sarebbe possibile una concreta presa di coscienza che la vita è più penosa per qualcuno
che non per
altri seguita dal desiderio di fare qualcosa per cambiare questa situazione. Liberandoci della televisione
l'insieme delle nostre informazioni si ingigantirebbe istantaneamente. I processi politici cambierebbero. L'enfasi
sarebbe posta sugli eventi locali, significando di conseguenza il nostro spostamento più ai fatti sui quali
potremmo esercitare una certa influenza diretta. Ma non solo. Si aprirebbero iniziative più intelligenti
dove si
vedrebbe il prevalere dei contenuti sullo stile. La cultura riemergerebbe per rimpiazzare il lavaggio del cervello
e anche la possibilità del singolo di discettare di filosofia, di poesia e di politica, si riaffermerebbe di
fronte al
declinare della cultura istituzionale, granitica, incolore. E sognando di questo passo si potrebbe andare avanti
per molto ancora pensando agli effetti che si avrebbero sui consumi una volta che la gente non fosse più
nella
condizione isterica di acquistare a tutti i costi e quindi sull'ambiente che certamente ne trarrebbe provvidi
benefici. Per non dire delle classi di pingui approfittatori televisivi e avventurieri dello schermo, politici e non,
che si troverebbero disoccupati e in più a dover fare i conti con una moltitudine pensante. Ma
tant'è. Al presente
ci si accontenta della propria disobbedienza individuale ben consci della comicità che essa può
rappresentare.
D'altronde qui si rispettano i punti di vista di fumatori e non fumatori consolandosi col fatto che per i non
fumatori le possibilità una vita migliore potrebbero essere maggiori anche se ciò non è
detto. È comunque vero
che ogni anno trascorso senza fumare è indubbiamente un avvenimento positivo per il nostro corpo
così come
ogni minuto di autocoscienza e di emancipazione dal mezzo televisivo è manna per le nostre cellule
cerebrali,
per la nostra libertà e per la nostra indipendenza, nonché primo passo, a mio avviso, per la
costruzione di una
civiltà decentrata, autogestita e libertaria.
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