Rivista Anarchica Online
Tra capitalismo e utopia
di Stanley Maron
Stanley Maron, nato negli Stati Uniti nel 1925, ha studiato filosofia all'Università di Chicago ed alla
Sorbonne
di Parigi ed ha percorso una carriera di insegnamento e ricerca in diverse università. Poi, per motivi sia
esistenziali sia culturali, ha lasciato il mondo accademico ed è approdato in Israele in un kibbutz
(Maayan Zvi),
dove ha per molti anni diviso il suo tempo tra il lavoro manuale (agricoltura) ed il lavoro intellettuale
(insegnamento, amministrazione ... ). Ora, poiché l'età lo esonera dall'attività fisica, si
occupa soprattutto di
ricerca sociologica allo Yad Tabenkin, un Istituto di studi sui kibbutzim. In questo saggio analizza l'attuale
situazione dei kibbutz: tra capitalismo e utopia, appunto.
La prima importante crisi ideologica che un kibbutz si trovò ad affrontare
insorse solo pochi anni dopo la
fondazione del primo tra essi, avvenuta nel 1910. Alcuni dei membri fondatori se ne andarono perché
non
volevano fare da spalla ai «liberi corridori», come venivano definiti di solito nella letteratura specializzata quelli
che altrimenti vengono chiamati semplicemente parassiti, cioè coloro che vivono del lavoro degli altri.
I
dissidenti se ne andarono e diedero vita a delle cooperative agricole famigliari (moshav), in cui ogni membro
coltivava il proprio appezzamento di terra in un contesto di mutua assistenza, il quale prevedeva che le
attività
di acquisto e di commercializzazione avvenissero in forma cooperativa. Ottanta anni dopo, lo stesso problema
è tornato ad assillare il kibbutz, minacciandolo di importanti cambiamenti strutturali. Questa volta la
questione
è diventata il perno delle discussioni a causa della concomitanza di due tendenze in conflitto: la
diminuzione
delle entrate e l'aumento delle esigenze dei consumatori. All'inizio degli anni '80 l'economia dei kibbutz
registrava un volume d'affari annuale di 2 miliardi di dollari
(tutte le somme sono in dollari USA 1992) e un'eccedenza di 120 milioni di dollari USA, che vedeva
l'ammontare delle attività superare quello dei debiti. Poi intervenne la crisi dell'economia israeliana,
con un
aumento dell'inflazione, dei tassi di interesse eccessivamente alti e un calo delle esportazioni. I settori produttivi
dell'economia vennero colpiti con particolare durezza a causa della loro dipendenza da alti livelli di capitale
d'esercizio, che doveva essere a bassi tassi di interesse, soprattutto nell'agricoltura. Dato che l'economia del
kibbutz si basa pressoché interamente sull'agricoltura e sull'industria e i tassi di interesse hanno
raggiunto ad
un certo punto il 100% in termini reali, non ci è voluto molto perché i kibbutz si ritrovassero
in situazione di
grave crisi finanziaria. A complicare ulteriormente le cose, si è verificato proprio nello stesso periodo
un netto
calo del prezzo del cotone, la principale coltivazione destinata alla vendita, che ha fatto passare le
attività
agricole del kibbutz dal profitto alla perdita. Nel 1984 l'eccedenza annuale si era trasformata in un deficit
annuale di 165 milioni di dollari, con una crescita
geometrica dell'onere dei debiti dovuta all'alto tasso di interesse. Il credito divenne sempre più scarso,
portando
così ad una paralisi delle attività correnti, particolarmente nel settore industriale, in cui gli
stabilimenti
incontravano difficoltà nel soddisfare gli ordini a causa della indisponibilità di crediti per
acquistare le materie
prime. Nel giro di quattro anni l'onere dei debiti si era quasi quadruplicato e aveva raggiunto i 5 miliardi di
dollari. Altri ampi settori dell'economia israeliana stavano affrontando le stesse difficoltà. Le principali
banche
del paese rischiavano il crollo e il governo si trovò costretto a intervenire. Venne messa a punto una
soluzione
in base alla quale le banche cancellarono una parte significativa del debito dovuto a tassi di interesse eccessivi,
il governo si assunse l'onere di un'altra parte del debito da annullarsi e il rimborso di quanto rimaneva venne
scaglionato su di un periodo di 25 anni ad un tasso di interesse relativamente basso. Alla fine il movimento dei
kibbutz si ritrovò indebolito sia dal punto di vista economico che da quello psicologico.
L'improvvisa e imprevista recessione dell'economia dei kibbutz ha intaccato seriamente l'orgoglio e la
stima di
se stessi che animano i membri dei kibbutz, oltre all'immagine di cui essi godono agli occhi degli israeliani. I
negoziati per raggiungere un compromesso finanziario con le banche si sono protratti a lungo e il risultato
è
stato un lungo periodo di incertezza, durante il quale molti kibbutz hanno avuto difficoltà nel coprire
i costi di
gestione. Due aree particolarmente sensibili che hanno risentito della recessione sono quelle dei fondi destinati
ai consumi di ogni giorno e di quelli per il finanziamento dell'edilizia abitativa. Si è avuta così
da una parte una
diminuzione del livello di vita dei membri in un momento in cui andava affermandosi la nuova cultura del
consumerismo e dall'altra una crisi degli alloggi proprio in un momento in cui molti kibbutz si trovavano nel
pieno di una riorganizzazione dei pernottamenti, che prevedeva un ritorno dei bambini dai loro alloggi separati
agli appartamenti dei loro genitori - e per farlo era necessario costruire degli appartamenti famigliari.
Attacco al collettivismo Vi è stato un aspro scontro tra la tendenza
a tagliare le spese per la cattiva situazione finanziaria e quella di un
aumento delle esigenze dei consumatori. La frustrazione e l'incertezza hanno portato ad un aumento del numero
dei membri che abbandonavano il loro kibbutz e un calo della domanda di coloro che facevano richiesta di
essere ammessi come membri. Dato che il kibbutz ha svolto un ruolo centrale nella creazione dello Stato di
Israele ed è diventato il più ampio singolo conglomerato della economia israeliana, gli
avvenimenti che lo
riguardavano erano di interesse anche per il pubblico più ampio e hanno ricevuto ampia attenzione da
parte dei
media. Con l'aggravarsi della crisi finanziaria e delle sue ripercussioni sociali sono aumentati i toni
sensazionalistici dei media, spesso privi di ogni riscontro fattuale, che hanno accentuato il clima di confusione
intorno a quello che stava effettivamente accadendo. Si sono poi verificati gli incredibili eventi dell'Unione
Sovietica e il suo successivo rapido crollo. Segmenti
dell'opinione pubblica, sia interna che esterna al kibbutz, hanno cominciato a chiedere che venisse posta fine
al collettivismo all'interno dei kibbutz, adeguandoli ai principi del libero mercato. La principale linea di attacco
prese di mira il consumo collettivo, avanzando la richiesta di riservare spazi più ampi al consumo
privato. La
seconda invece mirava ad una migliore gestione. In ambedue i casi, la soluzione veniva individuata in un
sistema di rimunerazione dei singoli in base alla qualità dei risultati, con un sanzionamento dei «liberi
corridori». La campagna si basava sulla richiesta di una remunerazione che fosse proporzionale al contributo
apportato e cioè sul pagamento dei membri del kibbutz in relazione alla quota di redditività del
loro apporto
lavorativo. La questione venne sollevata nelle assemblee rappresentative competenti al fine di una decisione
politica e venne infine respinta. Ma ciò non fermò i fautori della «nuova economia», molti dei
quali erano
incoraggiati da consulenti di gestione professionisti impegnati in prima persona nell'economia di libero mercato
e dotati di scarse conoscenze sull'effettiva realtà del kibbutz. Bisogna aggiungere che durante
questo difficile periodo il comportamento della leadership del kibbutz è
risultato deludente e inappropriato rispetto alle sfide che ponevano i tempi. Non sono state adottate misure
efficienti per fare confluire le discussioni in canali costruttivi e ben presto ogni kibbutz si è ritrovato
a cercare
delle soluzioni in proprio. La massima tensione è stata raggiunta quando uno di essi ha deciso di porre
fine alla
responsabilità collettiva del kibbutz nel suo insieme per tutti i suoi membri, affidandone invece l'onere
ai suoi
singoli membri. Si intendeva, in realtà, fare in modo che ogni membro si prendesse carico di sé
facendo quanto
di meglio poteva, sia con il lavoro interno al kibbutz che con quello esterno e il kibbutz non era più
tenuto ad
attenersi al principio «a ciascuno secondo i suoi bisogni». Lo stabilimento del kibbutz non era più
obbligato a
dare lavoro unicamente ai suoi membri, ma poteva ricorrere a dei lavoratori esterni retribuiti nel caso in cui
ciò
fosse stato ritenuto economicamente più efficiente. Nei fatti, i membri di quel kibbutz vennero messi
nella
posizione di dovere competere con lavoratori esterni sul mercato della manodopera per potere ottenere un posto
nello stabilimento di cui erano essi stessi in apparenza proprietari. Inoltre, i manager introdussero una scala
retributiva che, naturalmente, prevedeva per loro delle rimunerazioni sensibilmente più alte. A quel
punto, il Registro delle Cooperative del governo intervenne per fare quello che i responsabili del kibbutz
avrebbero dovuto fare prima. Ricordò ai membri che i principi del kibbutz, incluso quello della
condivisione
dei fondi, hanno fondamento legale e non possono essere alterati solo sulla base di decisioni assunte
internamente da un particolare kibbutz. Le modifiche di caratteristiche interne fondamentali come la
responsabilità collettiva dei membri e la allocazione egualitaria delle risorse, non possono essere
apportate senza
prima passare attraverso le procedure legali per trasformare l'entità in questione da «kibbutz» in una
diversa
figura legale. Il Registro avvisò inoltre i membri che assegnando una più alta rimunerazione
ad alcuni soggetti,
nel caso particolare che stiamo discutendo, i manager, si verificava una chiara violazione della legge che
sarebbe stata oggetto di indagini e di un eventuale procedimento giudiziario. La posizione chiara assunta
dal Registro, insieme al migliorare della situazione economica, ha contribuito a
raffreddare gli entusiasmi dei «riformatori» e a riportare la discussione su binari razionali. Un risultato positivo
ottenuto è stato quello di mettere in nuova prospettiva i principi e i valori fondamentali, in modo tale
da rendere
possibile una migliore comprensione del kibbutz alla luce dei cambiamenti che si stanno producendo al suo
interno e in generale nel mondo.
I principi del kibbutz Nella sua concezione e conformazione iniziale, il
sistema del kibbutz si basa sul principio dell'economia della
condivisione e della cassa comune. Questo sistema è stato adottato al fine di sottrarre il lavoro al
mercato della
manodopera, eliminarne il cartellino segnaprezzo che vi era stato apposto e restituirlo alla sua piena
dignità di
aspetto della vita umana. Tutti i mezzi di produzione appartengono alla comunità del kibbutz nel suo
insieme,
la gestione delle operazioni economiche è nelle mani degli stessi membri del kibbutz i quali sono allo
stesso
tempo i suoi lavoratori. Tutte le entrate vengono versate nella cassa comune. Non vi è alcun
collegamento
diretto tra il lavoro e qualsiasi forma di sua rimunerazione in moneta. Ogni nesso finanziario tra il lavoro svolto
e il salario percepito viene reciso con chiarezza e nettamente. Anche i membri che eventualmente svolgono un
lavoro all'esterno non ricevono il loro salario, che viene versato direttamente sul conto bancario del kibbutz,
pur ricevendo tutto quello di cui hanno bisogno per le spese personali legate al lavoro esterno. Allo stesso
tempo il kibbutz si assume la responsabilità di tutte le necessità dei propri membri. Queste
necessità
vengono soddisfatte tramite il consumo collettivo. Cibo, vestiario, alloggi, educazione, salute e tutti gli altri
servizi vengono forniti dal kibbutz per mezzo della cassa comune. In tempi più lontani, quando la
maggior parte
dei membri era giovane e i kibbutz erano molto più piccoli di quanto non lo siano ora, prevaleva la
tendenza
a vivere il più possibile insieme, accentuando la comunitarietà nei consumi collettivi. Era
ancora possibile farlo
prima dell'avvento di quella che è stata definita la cultura del consumerismo e della modifica del ruolo
svolto
dalla famiglia. Oggi, tecniche di marketing sofisticate, che sfruttano nuovi strumenti di comunicazione di massa,
propongono al pubblico un'enorme scelta di prodotti attraenti che rendono possibili grandi cambiamenti nella
qualità della vita. Allo stesso tempo, le unità famigliari sono cresciute e sono diventate
componenti importanti
della struttura sociale del kibbutz. La chiave delle nuove tecniche di marketing è la «scelta personale»
e ciò
richiede che il singolo disponga di un potere di acquisto. La rivoluzione socio-economica che ha collocato il
«consumerismo» al centro della vita culturale ha costretto il kibbutz a consentire una maggiore quota di scelta
personale da parte dei membri, che ha avuto a sua volta come conseguenza un accentuamento del consumo
separato dei gruppi famigliari. Come ricordato sopra, uno dei risultati di tutto ciò è stata
l'esigenza di un collegamento tra il lavoro e la
rimunerazione, individuato sia nel livello di produttività che nella corresponsione di straordinari per
le ore di
lavoro in più. La maggior parte dei kibbutz, tuttavia, ha cercato una soluzione al problema attraverso
una
riallocazione delle risorse, destinando quote maggiori ai fondi famigliari per il consumo privato.
Contemporaneamente vi è stato un miglioramento della situazione economica in molti kibbutz,
soprattutto sul
piano operativo, che ha portato ad una assegnazione di maggiori risorse al consumo (vale a dire ad un aumento
del livello di vita) e ad un innalzamento degli investimenti sia in impianti produttivi che in alloggi. Il
peggio della crisi finanziaria è ormai passato e vi sono chiari segni di ripresa. La lezione più
importante che
ne può essere tratta riguarda probabilmente la forza dei principi del kibbutz, che hanno dato prova di
essere
radicati nella realtà e non solo nella fantasia. Il principio basilare della cassa comune ha tenuto insieme
il
kibbutz in un momento di pressioni centrifughe estremamente forti. Tenendo presente la gravità dei
problemi
economici, è possibile riscontrare a posteriori che il numero dei membri che hanno lasciato i loro
kibbutz è stato
relativamente limitato rispetto alla gravità delle circostanze e che molti di essi vi hanno successivamente
fatto
ritorno una volta constatati i vantaggi che il sistema di vita del kibbutz offre rispetto alla vita in una
società di
mercato. Nessun kibbutz ha optato per un cambiamento del proprio statuto legale, né ve ne sono stati
che siano
andati in rovina o abbiano dovuto dichiarare fallimento. Tutti i kibbutz sono determinati a far fronte agli
obblighi assunti. Le critiche e le obiezioni avanzate da parte dei kibbutz si sono concentrate su quelle che sono
sembrate delle ingiuste valutazioni dei debiti. In termini di stabilità e integrità, il kibbutz
continua a essere
l'investimento più sicuro che può essere fatto dopo i buoni del tesoro. Nel frattempo il
kibbutz ha dato prova di grande flessibilità nell'adattarsi al mutare delle circostanze, senza con
questo sacrificare i propri principi fondamentali. La famiglia svolge ora un ruolo di gran lunga maggiore nella
vita del kibbutz rispetto a quanto non prevedessero i suoi membri fondatori, vi è una maggiore apertura
a nuove
idee, una maggiore coscienza dell'esigenza di un sistema educativo e di una professionalità più
avanzati, di una
maggiore disponibilità a esplorare nuovi metodi e nuove aree dell'imprenditorialità e la
coscienza del fatto che
il kibbutz non è un fenomeno temporale destinato a servire obiettivi storici limitati, ma piuttosto un
modo di
vita permanente che deve sapere fare fronte alle sfide del mondo reale in modo che sia soddisfacente per i suoi
membri.
Cambiamenti demografici Gli anni 1970-1985 sono stati un periodo di rapida
crescita per la popolazione dei kibbutz. Nella T AKAM, la
maggiore federazione di kibbutz, il numero di persone adulte è cresciuto del 47% e il numero di bambini
del
65%. Nella Kibbutz Haartzi, la seconda federazione per dimensioni, il numero delle persone adulte è
cresciuto
del 41 % e quello dei bambini del 39%. Un aumento della popolazione di tali proporzioni ha comportato, tra
l'altro, un raddoppio nel giro di poco più di un decennio della capacità complessiva delle
infrastrutture, degli
alloggi, delle mense, delle strutture educative ecc. nei kibbutz esistenti, oltre alla fondazione di numerosi nuovi.
Questi investimenti di importanza essenziale, così come altri meno essenziali, vennero fatti in un
periodo in cui
venivano realizzati anche enormi investimenti in impianti produttivi, al fine di creare più lavoro e
reddito per
la popolazione in crescita. A quei tempi, tuttavia, i petroldollari erano facilmente ottenibili dalle banche e i
membri dei kibbutz avevano piena fiducia nel futuro della propria economia. L'assorbimento di molti
membri della seconda generazione ha introdotto dei radicali cambiamenti nella struttura
sociale. I membri della prima generazione erano arrivati al kibbutz dall'esterno per libera scelta ed erano stati
attratti dalla prospettiva rivoluzionaria della costruzione di una comunità di compagni, che aveva come
suoi
principi fondamentali l'uguaglianza e la condivisione. Durante questo periodo l'accento venne posto in maniera
preponderante sulla consolidazione dei membri in una comunità unificata, con la costante minaccia che
la libera
scelta di unirsi si risolvesse nella libera scelta di andarsene. Quando la seconda generazione divenne una parte
significante del complesso dei membri, il kibbutz non era più una comunità rivoluzionaria di
compagni. Era
stato trasformato in una comunità di famiglie con un orientamento prevalentemente tradizionale,
particolarmente
attenta alla continuità. Ben presto la maggior parte dei bambini di un kibbutz prese a crescere vicino
ai propri
nonni e la stretta famigliarità con l'intero ciclo di vita diventò parte del modo di vita tipico dei
kibbutz. La
maggior parte dei vecchi aveva scelto la vita del kibbutz attraverso uno o l'altro dei movimenti giovanili sionisti.
Con il passare del tempo, coloro che erano nati e cresciuti in un kibbutz si rivelarono una importante fonte di
nuovi membri. Un flusso ancora maggiore di nuovi membri venne dalla circostante società israeliana
o
dall'estero, sia per mezzo dei matrimoni contratti da membri dei kibbutz che delle adesioni spontanee. La
maggioranza di queste persone aveva una scarsa, o nulla, preparazione ideologica per la vita nel kibbutz, un
aspetto che ha contribuito a indebolire il dogmatismo all'interno dei kibbutz e a favorire l'apertura a nuove idee.
D'altra parte, la mancanza di un retroterra ideologico adatto ha contribuito al clima di confusione sui principi
fondamentali e sull'identità dei kibbutz nel momento in cui le pressioni economiche si sono fatte
più sfavorevoli. La crisi economica è scoppiata nel 1985 ed è stata seguita da
svariate ondate di abbandono dei kibbutz. Le prime
e più nette reazioni sono venute dagli studenti del movimento giovanile, dei quali si davano per scontati
l'educazione alla vita nei kibbutz e l'impegno verso di essi. Molti di quelli che vi avevano aderito solo di recente
se ne andarono dopo breve tempo, mentre altri studenti dei movimenti giovanili non fecero altro che astenersi
completamente dall'aderirvi. Un numero di giovani membri del kibbutz più ampio del solito decise di
andarsene,
spesso sfruttando l'occasione per viaggiare in giro per il mondo in cerca di avventure o di orizzonti più
ampi.
Nel frattempo si era verificato un calo nel numero di persone provenienti dalla società israeliana
circostante o
dall'estero che facevano richiesta di partecipazione. Negli anni più recenti, molti di coloro che se ne
erano andati
allora tornarono, soprattutto quelli che erano cresciuti in un kibbutz. L'insieme di queste tendenze lasciò
alla
fine i figli e le figlie del kibbutz in netta maggioranza all'interno del gruppo d'età compreso tra i 20 e
i 40 anni. Attualmente, più di un terzo del numero complessivo dei membri è cresciuto nel
kibbutz, alcuni di essi per la
quarta generazione. Secondo l'Ufficio Centrale di Statistica di Israele, al principio della crisi finanziaria del
1985 vi erano 268 kibbutz con una popolazione totale di 125.200 persone. Alla fine del 1992, vi erano 269
kibbutz, con una popolazione complessiva di 128.000 persone. Vi è stata una crescita continua della
dimensione
media dei kibbutz, anche se i singoli kibbutz possono andare da un numero di membri adulti di poco più
di cento
a quasi duemila nel più grande di essi. I nuovi kibbutz creati nel corso dell'ultima generazione sono
tendenzialmente di piccole dimensioni e hanno un tasso di crescita basso, mentre quelli con più anni
alle spalle
sono i più grandi e continuano a crescere. Nel 1992 l'85% della popolazione complessiva dei kibbutz
si trovava
in kibbutz fondati prima del 1950. Complessivamente, la popolazione dei kibbutz rappresentava alla fine del
1992 il 2,5% del totale della popolazione israeliana. A partire dal 1985 vi è stato un calo del tasso
di crescita della popolazione dei kibbutz, tuttavia solo in parte
attribuibile alla crisi finanziaria e alle sue conseguenze sociali. Durante gli ultimi due decenni vi è stata
una
crescente tendenza da parte dei giovani a posporre il matrimonio e a ritardare la messa al mondo di figli, nel
kibbutz come nei paesi più industrializzati del mondo. Nel 1972 quasi un quarto degli uomini e
metà delle donne
di età compresa tra i 20 e i 24 anni e membri di kibbutz erano sposati. Nel 1993, le cifre relative alla
T AKAM
riportavano solo un 1 % per gli uomini e un 5% per le donne. Tuttavia, le stesse cifre relative alla TAKAM
mostravano che nel 1993 il 72% degli uomini e 1'86% delle donne facenti parte del gruppo d'età tra i
30 e i 34
anni erano sposati. Il risultato è che l'età media della madre al momento della prima nascita
è aumentata e il
periodo di fertilità attiva si è abbreviato. Nel 1969 il 47% di tutte le nascite avvenute tra la
popolazione dei
kibbutz si verificava quando la madre era in un'età compresa tra i 15 e i 24 anni e un altro 46% quando
la madre
era compresa tra i 25 e i 34 anni. Nel 1988 le percentuali erano passate rispettivamente all'l1 % e al 70% e da
allora la tendenza non è cessata. Una conseguenza immediata, con ripercussioni a lungo termine,
è stata quella
di un drastico calo delle nascite. Il numero complessivo delle nascite è calato, all'interno della
popolazione dei
kibbutz, da un picco di 2.975 nel 1985 a 2.026 nel 1991. Si può pertanto prevedere che nel futuro vi
sarà un
numero inferiore di membri provenienti dall'interno dei kibbutz.
Cambiamenti economici Il rinnovato interesse per la responsabilità
e la motivazione individuale e per la scelta personale, così come il
problema dei «liberi corridori», riflettono solo una parte delle ampie modifiche strutturali che stanno avendo
luogo nell'economia dei kibbutz. Il settore agricolo, che è stato tradizionalmente la maggiore fonte di
reddito,
ha risentito dell'impatto dei cambiamenti più degli altri. L'applicazione estensiva di tecnologie avanzate
ha
portato a una sovrapproduzione rispetto alle esigenze del mercato nazionale, mentre le esportazioni della
produzione in eccesso sono state rese difficili dall'aumento della concorrenza da parte dei paesi in via di
sviluppo, che dispongono di manodopera meno costosa. Per molti anni il kibbutz è stato in grado di
sfruttare
il vantaggio relativo che offrivano le sue dimensioni (una media di 550 ettari o 1.390 acri) per una crescita
redditizia dei raccolti dei campi mediante l'applicazione di tecnologie avanzate. I risultati migliori sono stati
ottenuti per quanto riguarda il settore del cotone, nel quale i kibbutz sono riusciti a ottenere degli ottimi risultati
sia nella qualità che nella quantità. La concorrenza della Cina e di altri paesi fornitori del
mercato mondiale,
così come i netti aumenti del prezzo interno dell'acqua, hanno posto fine a questo successo e fino a ora
non sono
state ancora individuate coltivazioni alternative adatte. Le aree coltivate a cotone si sono ridotte da 25.330 a
10.890 ettari. Alcuni dei terreni originariamente utilizzati come campi coltivati sono stati destinati
all'ampliamento o alla realizzazione di frutteti, anche se la loro redditività è limitata a causa
della competizione
degli altri paesi del Mediterraneo sul mercato Europeo. L'orientamento più frequente è stato
quello verso
l'allevamento in generale e in particolare verso le attività casearie, l'allevamento di bovini e quello di
tacchini.
Le aziende agricole dei kibbutz producono più della metà del latte consumato in Israele e quasi
un terzo della
carne di tacchino. La maggior parte dei terreni in precedenza coltivati a cotone vengono ora sfruttati per la
coltivazione di foraggio per il bestiame. Fin dal suo principio il kibbutz ha avuto, rispetto alle aziende
famigliari, il vantaggio delle proprie dimensioni.
In agricoltura, l'«economia di dimensioni» del kibbutz è stata alla base del successo ottenuto nella
coltivazione
dei campi e, più di recente, nei grandi caseifici computerizzati. I vantaggi più importanti,
tuttavia, si sono
evidenziati nel settore industriale. Le dimensioni dei kibbutz hanno reso possibile il finanziamento di
stabilimenti di piccole e medie dimensioni, facilitando in tal modo il rapido sviluppo delle attività
industriali.
La maggior parte delle industrie dei kibbutz sono nate come unità per i servizi di sostegno
all'agricoltura.
Piccole officine per la riparazione degli utensili sono diventate fabbriche per la produzione di macchinari
agricoli e alcune di esse producono attualmente alcuni tra gli apparecchi computerizzati più avanzati
del mondo.
Piccole falegnamerie hanno cominciato a produrre mobili su larga scala, diventando poi forti esportatori.
Inscatolatori dilettanti di frutta e verdura in eccedenza hanno dato vita a impianti altamente specializzati per
la lavorazione degli alimenti, con ampi mercati per le proprie esportazioni. L'aspetto più sensazionale,
tuttavia,
è costituito dalla rapidissima e brillante entrata nel settore delle materie plastiche, che vedeva nel 1980
i kibbutz
coprire circa metà della produzione complessiva israeliana e due terzi delle esportazioni. La crisi
finanziaria si è venuta a creare in parte per i continui enormi finanziamenti di cui ha necessitato il
settore industriale, ai quali non ha fatto all'epoca riscontro una crescita delle vendite e dei profitti. I canali di
credito hanno cominciato a prosciugarsi e sono stati necessari dei drastici tagli agli investimenti. Ciò
ha
significato, tra l'altro, porre freno alla tendenza verso una sempre maggiore automazione e verso l'uso di robot,
con l'immediata conseguenza di un aumento del ricorso a manodopera (nella maggior parte dei casi immigrati
giunti di recente dalla ex-Unione Sovietica e accolti temporaneamente nei kibbutz). Un'altra conseguenza
è stata
quella di un ritardo nel rinnovo degli impianti esistenti e nell'apertura di nuove linee di produzione. Per questi
e altri motivi, l'industria del kibbutz non ha potuto avvantaggiarsi appieno della crescita del mercato interno,
stimolata dalla recente grossa ondata di immigrati, e non è stata capace di tenere il passo della
concorrenza
esterna al kibbutz. La quota detenuta dai kibbutz della produzione industriale complessiva è scesa
dall'8% del
1988 al 6,3% del 1992 e la relativa quota delle esportazioni industriali è passata rispettivamente dal
10,2% al
7,6%. Tre rami dominano il settore industriale dei kibbutz: materie plastiche, lavorazione dei cibi e prodotti
metallici.
Messi insieme, erano responsabili del 70% delle vendite complessive e dell'81 % delle esportazioni.
La scoperta del turismo La stretta economica ha spinto alla ricerca di fonti
addizionali di reddito. Per numerosi anni alcuni kibbutz
hanno amministrato degli alberghi rurali di alto livello, frequentati da persone che cercavano una vacanza di
riposo in campagna o da gruppi di turisti stranieri che volevano osservare da vicino la vita dei kibbutz e godersi
qualche serata in un ambiente pittoresco. Nel 1985 esistevano nei kibbutz 29 alberghi di questo tipo, con un
reddito lordo annuale pari a $58 milioni. La spinta alla ricerca di fonti immediate di liquidi, hanno portato a
partire dalla metà degli anni '80 alcuni kibbutz ad affittare camere e appartamenti liberi per delle
vacanze
relativamente poco costose, ottenendo un buon successo presso quella parte del pubblico israeliano a cui piace
l'informalità, così come presso i turisti alla ricerca di un alloggio poco costoso. Il successo ha
spinto molti
kibbutz a offrire svariate soluzioni di «alloggio in campagna» a basso costo e il numero di posti letto
attualmente disponibili nei kibbutz per turisti e altri ammonta ad alcune migliaia. Un'altra innovazione che ha
incontrato successo è stata l'apertura in numerosi kibbutz di grandi «parchi acquatici» dotati di enormi
scivoli
e altre strutture. Altri kibbutz si sono orientati verso le escursioni in giornata con attività di navigazione
da
diporto o pesca, sfruttando economicamente il proprio ambiente naturale. Complessivamente, il turismo
è in
questo momento il settore dell'economia dei kibbutz che gode della crescita più rapida. Insieme
al turismo è nata tutta una serie di nuove iniziative nel campo del commercio, soprattutto centri di
vendita, ristoranti e stazioni di servizio posti lungo le strade. Dato che la maggior parte dei kibbutz è
collocata
in aree rurali lontane dal centro del paese e dalle sue città, questi esercizi risultano particolarmente utili
agli
automobilisti e hanno poca concorrenza. In un'altra direzione, la tendenza verso una maggiore
specializzazione nel campo dell'educazione e delle
professioni ha fatto un ulteriore passo in avanti con l'apertura da parte di membri qualificati dei kibbutz di studi
legali che fanno parte del contesto dell'economia dei kibbutz. Anche in questo caso si tratta di un servizio
destinato sia alla popolazione delle aree rurali più remote, che ai kibbutz, i quali hanno un'esigenza
sempre
maggiore di consulenze legali con l'espandersi della loro economia che ormai copre svariati miliardi di dollari.
Servizi professionali di questo tipo vengono forniti da membri dei kibbutz, in base a criteri commerciali, nel
campo dell'architettura, dell'ingegneria, delle cure paramediche, delle terapie psicologiche ecc.
Lavoro e vita Una parte essenziale dell'ideologia del kibbutz si basa sulla
convinzione che il lavoro faccia parte della vita
stessa, sia un obbligo sociale e non debba essere un prodotto contrattato sul mercato della manodopera. Il lavoro
costituisce un modo in cui l'individuo esprime se stesso, mette in atto le proprie potenzialità e apporta
un suo
contributo diretto alla comunità. In un kibbutz lavorano tutti, anche i membri più anziani, ma
non esistono
costrizioni. Il lavoro non è un prodotto da comprare e vendere, né viene accompagnato da
ricompense o
punizioni. Ai membri non vengono corrisposti salari e nessuno di essi può essere penalizzato per il fatto
di non
lavorare. Eppure le decine di migliaia di persone che ne fanno parte si alzano ogni giorno lavorativo per recarsi
al proprio lavoro e in genere fanno quanto di meglio possono, tenendo presente quelli che sono i limiti umani.
Le ricerche hanno di frequente rilevato che nell'economia dei kibbutz vi è una percentuale di
assenteismo più
bassa rispetto alla circostante economia capitalista e naturalmente non vi sono perdite di tempo dovute a scioperi
o a sanzioni, dato che i membri lavorano per se stessi. Un altro vantaggio del sistema dei kibbutz è
che la forza lavoro può essere spostata in periodi critici da un ramo
dell'economia all'altro e che in caso di bisogno possono essere aggiunte ore di straordinario senza molta
difficoltà. Per esempio, se lo stabilimento di un kibbutz riceve un ordine urgente che richiede un
aumento della
produzione senza un largo preavviso, è possibile utilizzare membri che svolgono altri lavori,
sommandoli al
personale regolare, oppure impiegare le ore di straordinario che essi possono svolgere dopo il loro normale
lavoro (una pratica comune nell'agricoltura, durante la stagione della raccolta della frutta o quella della
sarchiatura del cotone). Il cambiamento più significativo intervenuto nella struttura del lavoro
è stato quello che ha visto un calo relativo
nei settori dell'agricoltura e dei servizi alle persone, accompagnato da una crescita nell'industria, nel commercio
e nel turismo. Più del 90% dei membri lavorano nel proprio kibbutz. Altri lavorano nelle scuole
regionali e in stabilimenti di
proprietà dei kibbutz, oppure in altri kibbutz, nelle federazioni nazionali e in altre organizzazioni
economiche
e pubbliche nelle quali i kibbutz hanno degli interessi. Negli anni più recenti, si è evidenziata
una tenue, ma
crescente tendenza da parte dei membri in possesso di qualifica professionale a cercare lavoro all'esterno del
contesto dei kibbutz, anche nel settore privato, al fine di sfruttare le proprie particolari capacità per
contribuire
al reddito dei kibbutz.
(Traduzione dall'inglese di Andrea Ferrario)
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