Rivista Anarchica Online
Entourage cremonese
di Marc de Pasquali
La nostr'amata Sofonisba, per la Garzantina, la Piccola Mondadori e la vecchia
Treccani (dove inesistenti sono
le sorelle), nasce a Cremona nel 1528, però i patrizi genitori di provincia sposatisi due o tre anni dopo,
rendono
l'evento più probabile attorno al '31-'32, come riportano la Garzanti dell'Arte e il dettagliato catalogo
Leonardo
(65.000 lire) dell'invitante mostra Sofonisba Anguissola e le sue sorelle: biglietto
d'ingresso, orario continuato
sino all'11 dicembre al Centro Culturale di Cremona in Santa Maria della Pietà - dal prossimo gennaio
fino a
marzo al Kunsthistoricshes Museum di Vienna, poi a Washington, National Museum of Women d'aprile a
giugno. Nome strambo Sofonisba, nome eroico cartaginese che se in Padania significa niente-nisba, o
minuzia
pedanteria (le sofonisbe del misogino Gadda), in Pittura è la maggiore - in tutt'i sensi, di cinque sorelle
e un
fratello - Asdrubale, figli d'Amilcare, nipoti d'Annibale, legati alla Spagna ... Entrando nella storia degli
Anguissola è inevitabile soffermarsi sulle straordinarie capacità imprenditoriali (quelle di
venditore di latticini
o di terreni sono invece fallimentari) del pater familias, coevo dell'Ariosto, che seppe felicemente evitare alle
figlie monasteri e ricami ("l'ago e la conocchia erano nemici del pennello e della matita": Caterina Ginnasi
fondatrice d'un convento non tradizionale nel XVI secolo), per educarne e coltivarne i talenti (musicali letterari
pittorici) trasformandole in vitale benessere per tutti, senza rinunciare alla patria potestà, incessante,
abile e
diplomatico, con contatti epistolari pure con Michelangelo che incoraggia, incontri personali, invio di quadri,
inviti in loco - al buon Vasari ovviamente; la produzione della prole dev'essere divulgata da parenti, padrini,
cardinali, letterati, duchi e stampatori; il globo deve ammirare l'opera d'un aggiornato gineceo, d'un entourage
privilegiato perché blasonato e conoscitore del Libro del cortigiano, degl'ideali in voga
malgrado la peste,
Lutero e la Riforma, Trento e la Controriforma. Ed ecco che quel branco di giovani donne - storioni dal roseo
censo - alla fine dell'inverno medioevale scaldato coi roghi di streghe e schiave, benedetto dai messaggi della
cattedrale di Strasburgo scolpiti da Sabina Von Steinbach, risale il Po, imprime tele e carta (non va trascurata
la breve esistenza cremonese della letterata Partenia Gallerati), partorisce e crea una femminea libertaria
rinascenza che dalla leggendaria Onorata Rodiani nutre Irene da Spilimbergo, la triade bolognese Properzia
Rossi, Lavinia Fontana (in mostra nella progredita città) ed Elisabetta Siriani, suor Barbara Rognoni
e Barbara
Longhi, Orsola Maddalena Caccia, eppoi Fede Galizia, Artemisia Gentileschi, e ancora Rosalba Carriera, Giulia
Lama, tante assennate e tormentate figlie d'arte, badesse e condottiere violate e resistenti. Torniamo al clan
Anguissola. Sofonisba che all'inizio si firma Angosciola, viene iniziata da Bernardino Campi al quale
tributerà
un civettuolo omaggio con Il pittore Campi ritrae Sofonisba Anguissola, e poi dal Sorajo, e con
lei Elena,
seconda sorella dal nome profetico che si chiuderà in un convento di Mantova come suor Minerva -
nome della
quarta sorella dipartita giovanissima. Di Elena non si sa con precisione cos'abbia dipinto né quando sia
morta,
di lei resta il bellissimo Ritratto di monaca che Sofonisba esegue rendendola abbagliante nelle
vesti apprettate
come il piombo e forsennatamente schiacciate da ferri da stiro roventi, sfondo cupo, confessionale, labbra e libro
vivi che risaltano nella maestà della porpora orlata d'oro, un'intelligenza peculiare, chiarori e ombre che
allontanano la sorella reclusa (sia da Zeus che dall'italica dea), che soffocano la sororale ginandria nel soggolo
d'ordinanza come i soldati in azione, e questi occhi impalati, dismessi, che sono altri ma parte dei suoi
ch'eseguono e ritraggono un sacrificio - ignota e sublimata indolenza. Lucia è la terza, la
più riuscita e la più prolifica delle sorelle dopo la maggiore, suo è l'Autoritratto
(Castello
Sforzesco di Milano) e il Ritratto di Europa (la quinta sorella, Pinacoteca Tosio Martinengo di
Brescia), è morta
poco prima della visita (sollecitata dal padre) del Vasari, 1556 circa: è effigiata a matita nel disegno
Ritratto
di Lucia Anguissola di Sofonisba (agli Uffizi di Firenze), coi tipici occhi aperti e bagnati da
settentrionale
commozione, è quella a sinistra, l'unica delle quattro che guarda fuori dalla lombarda scena descritta
nella
Partita a scacchi, sempre di Sofonisba e bellissima: eleganza discreta, espressioni
leali, propensione
all'ospitalità, inesistente paesaggio fiammingo sommerso nella velina delle nebbie della Bassa o nella
trasparenza dello scorrere umido e pallido del fiume, una scena ricreata in giardino, sotto una paciosa quercia
e il benevolo controllo d'un'anziana domestica che frettolosa e reumatica ma incuriosita entra in atto un istante
solo e lo sarà per sempre - misero destino, in compagnia della vitalità benestante (mai esperita)
delle sue giovani
sane colte padroncine. Minerva (chiamata come la figlia, romana, di Zeus), è la quarta sorella,
letterata, scomparirà presto presto
(attorno al '64), è a destra nella preziosa Partita a scacchi (ricorda molto
Mario Mieli) ... la vecchia serva le alita
alle spalle - inconscia apparizione da finale di partita; Minerva è anche nel Ritratto di famiglia
- uno dei più
celebri di Sofonisba grazie alle lodi apparse nell'edizione aggiornata delle Vite dei più eccellenti
... - lì per caso,
in disparte, assieme al padre ed al fratello che mano nella mano, solidali maschi gaudenti, sono i declamati
continuatori della stirpe, dell'allegoria del potere (dallo stemma allo spadino), dell'uso dei beni (sfruttando - arte
maschile, la parte femminile della famiglia), nel solito evanescente paesaggio fiammingo; la quarta sorella
è
soprattutto il modernissimo Ritratto che Sofonisba adorna di rossi e modesti coralli al collo e ai
polsi, un
visibilio dei sensi! Europa è la quinta sorella (altro nome legato a Zeus), ritrattista, sposata e madre,
è la piccola ridente al centro
della Partita a scacchi, partecipe con la sua manina appoggiata al tavolino nell'intrigo
di sguardi. Indi Asdrubale, l'unico maschio, il sospirato, che morrà a settantadue anni, una lunga
vita ad amministrare
(deceduto il padre) le rendite Anguissola. E Annamaria, l'ultima, pittrice dell'emulazione mediocre, moglie di
un cugino, avrà dodici figli, quasi il doppio della madre Bianca che troneggia lucente e
convincentemente
piazzata quanto una cantante lirica (alla Ricciarelli) nel Ritratto di gentildonna di
Sofonisba, tutta broccata color
senape e oro, stringata e merlettata, incoronata e imperlata, inverosimilmente piatta, aria vagamente disgustata,
mendace, liscia e rosea come solo nel cremonese s'usa ancora, le fossette appena accennate agli angoli della
bocca e a metà mento, un volto inquietante (tre quarti alla Leonardo) che osserva fuori, noi, rivelando
una
studiata voragine psichica (alla Lotto), e le mani! aristocratiche e sapienti, aggrappate al bracciolo (esaltando
le borchie della poltroncina) e allo zibellino de mane (penoso richiama pulci dal musetto dorato), appena
accomodate, o nell'atto di congedarsi, o comunque leggere, sospese, nel loro movimento tradizionalmente da
contenere, immobilità gestuale che solo la fisionomia somma dell'impareggiabile Moroni raggiunge.
Dopo fitti
contatti, Sofonisba va in Spagna dama d'Isabella di Francia (che morrà di parto); ligia, ben educata e
quindi ad
hoc per il protocollo di corte, un po' insegnerà disegno alla regina, un po' dipingerà con
successo ritratti
inevitabilmente influenzati dal greve gusto locale. Il trionfo del suo genio è ripagato dalla corte con doni
preziosi; a quarant'anni con un nobile siciliano sposato per procura e congrui contribuiti nuziali (l'abito della
cerimonia è cosparso di perle), vitalizi (perennemente gestiti dai maschi Anguissola). Famosa,
raggiunge quindi
la Sicilia (appestata) per conoscere-incontrare il marito fornito dal regno di Filippo II. Dopo qualche anno
Sofonisba resta vedova (lui perisce in una nave assalita da parenti). Nel tornare a casa (Cremona? Spagna?),
s'una galena diretta a Genova il colpo di fulmine: l'amore col comandante Orazio Lomellini (genitore d'un
illegittimo che divenendo padre chiamerà sua figlia Sofonisba), una passione che travolgerà
la sua adiposa, la
sua cortigiana, la sua reverenziale ispano padana esistenza, un ammutinamento travolgente. L'adorata, la
prodigiosa, la forte, la vecchia Sofonisba, impara a nuotare anche controcorrente, sensuale e ilare come un
Parmigiano e un Correggio, madre di tutti i Caravaggio. «I matrimoni prima si fanno in Cielo eppoi in terra»,
scriverà mentre scopre la sua pista piacente, la sua anima, la sua beltà. Passati trentacinque anni
di legami
molteplici, di debiti, di traslochi, di rinomate miniature, Sofonisba lascia Genova e dintorni, e col suo Orazio
ormai riconosciuto marito, ritorna a Palermo, acquista una casa nei meandri del quartiere arabo, vi trascorre gli
anni più tranquilli, i suoi ultimi dieci. Leggiadra, mezza cieca, inoperosa, quasi centenaria, ancora
autonoma
finanziariamente, vivace, suggerirà vezzosa ad un sedotto e giovane Van Dick come ritrarla fra luci e
ombre
nel suo Taccuino italiano. Il 16 novembre 1625 muore. Viene sepolto il suo corpo, il resto
- calmo, anche perché si tratta d'una donna -
attraverserà i secoli, pure i più bui.
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