Rivista Anarchica Online
Estremizzazione del dogmatismo
di Francesco Ranci
Una base epistemologica che possa sostenere coerentemente i valori espressi dal movimento anarchico
nella sua storia, fermo restando che in essa si troveranno delle contraddizioni, non si trova affatto nel
cosiddetto "relativismo". L'unica strada davvero alternativa percorribile, invece, è quella della
consapevolezza procedurale
Protagora, nato ad Abdera nel 480 a.C. Circa, fu un intellettuale ateniese di prestigio
e ricchezza
enormi. Ma scrisse un saggio, intitolato "Sugli dei", che a molti non piacque affatto. Fu processato per
"ateismo", su accusa di Pitodoro (membro del gruppo politico "dei Quattrocento", che condusse la
rivincita degli aristocratici sui democratici ateniesi) e fu condannato all'esilio. Pare sia morto in un
naufragio, mentre cercava di trasferirsi a Siracusa, nello stesso anno 411 a.C.. Il testo incriminato fu
bruciato sulla pubblica piazza di Atene. Socrate, poco più giovane di Protagora, dovette subire la
medesima violenza dodici anni più tardi, nel
399 a.C. Fu condannato a morte con l'accusa, leggermente diversa, di "non credere agli dei in cui crede
la città". La differenza tra i due capi d'accusa sembrerebbe segnare il passaggio dal valore imposto come
"universale" a quello imposto come "relativo". Eduardo Colombo (Valori e cultura, "Volontà" n. 2-3, 1994)
ricorda che Barres, parlando del caso
Dreyfus, argomentò come segue: "abbandonate le parole altisonanti, come 'sempre' e 'universale' e,
poiché siete francesi, preoccupatevi di agire secondo l'interesse francese in questo momento
(sottolineatura mia)". E, nota ancora Colombo, "i relativisti di destra contemporanei sostengono le
stesse posizioni", attribuendo valore positivo al gruppo "etnico" ed alla "gerarchia sociale" che esso
esprimerebbe. Due valori connessi che vogliono imporre. Enesidemo di Cnosso, vissuto nel
I sec. a.C., risulta come autore dei Discorsi Pirroniani, otto libri
andati perduti - salvo un estratto che rimane in Fozio (patriarca di Costantinopoli e fautore del primo
scisma della Chiesa d'Oriente da quella di Roma) ed i riferimenti di Sesto Empirico (medico, vissuto
nel II sec. d.C., che dando una sistemazione agli argomenti relativistici si guadagnò gli strali postumi,
quanto inefficaci, dei vari Descartes, Hume, Kant e degli altri filosofi di epoca cosiddetta "moderna").
Le dimensioni del cranio Enesidemo sosteneva che lo scettico non deve né affermare, né negare alcuna
tesi e proponeva dieci
modi per sospendere il giudizio - o convincere gli altri a sospenderlo. Il giudizio andrebbe sospeso
perché le percezioni muterebbero, secondo, rispettivamente: 1) le varie specie di esseri
viventi; o, come diceva il comico siracusano Epicarmo "il cane sembra al
cane la creatura più bella, ed il bove al bove"; 2) i vari uomini; 3) i vari
apparati organici dell'uomo; per esempio il miele può piacere al palato e non al tatto; 4) le
condizioni del corpo umano, che mutando nel tempo giustificherebbero un mutamento di identità.
Epicarmo, ad esempio, mi se in scena la vicenda di un debitore che si rifiutava di pagare,
ritenendosi "un altro" rispetto a colui che aveva contratto il debito tempo addietro. Il creditore lo
picchiava, per poi usare lo stesso argomento a sua discolpa di fronte al giudice; 5) il rapporto spaziale del
percipiente con gli oggetti percepiti. Sembra una corda, mi avvicino ed è una
biscia; 6)
i mezzi interposti tra noi e gli oggetti. Metto un bastone nell'acqua e mi sembra storto e spesso,
nell'aria è dritto e sottile; 7) la condizione dell'oggetto. Esempio, un albero, che cresce, è sempre lo
stesso albero? 8)
Il percepito sarebbe "reale" o "apparente", ma come distinguere? 9) Le abitudini di chi
percepisce. Il pittore distingue più colori del ragioniere, ma ci mette molto di più
a fare il 740 (argomento difficilmente distinguibile dal secondo); 10) lo sviluppo biologico di chi
percepisce. Ad una certa età non si impara più degli altri con la
stessa facilità dei bambini. Tutte queste argomentazioni porterebbero, secondo gli scettici, ad
escludere ogni certezza dal nostro
orizzonte. Si possono aggiungere ulteriori argomenti, ed è stato fatto anche in epoca moderna.
Nel 1894, Gustave
Le Bon identificava nelle dimensioni del cranio un indice dell'intelligenza e trovava che gli europei
maschi avevano un cranio ben più voluminoso degli africani, cinesi, giapponesi, ecc. Nel 1936 Ludwik
Fleck pubblicava la sua teoria dello "stile" di un "collettivo di pensiero"; secondo cui la tradizionale
distinzione epistemologica fra "soggetto" ed "oggetto" della "conoscenza" sarebbe insufficiente,
mancando di prendere in considerazione la nozione di "collettivo di pensiero". Dal saggi odi Fleck, per
esempio, deriva la nozione di "paradigma" resa famosa da Thomas Kuhn, nel suo saggio sulle
rivoluzioni scientifiche del 1962 che ha indubbiamente il merito di aver fatto comprendere agli storici
della scienza che la loro nozione di "progresso" andava riveduta. Anche l'opera di Paul Feyerabend, che
ha teorizzato l'"anarchismo epistemologico" come unica via d'uscita dal dogmatismo dell'epistemologia,
si basa su presupposti di questo genere. Tuttavia, se apparentemente si acquisiscono maggiori garanzie di
libertà, individuale o per gruppi,
muovendo da tali presupposti si va anche incontro ad un certo numero di problemi. Anzitutto, sembrerebbe perduto il
senso più profondo dell'antico motto protagoreo: se "l'uomo è misura
di tutte le cose", infatti, può essere certo delle sue percezioni. E proprio in questa possibile certezza
è custodita la sua libertà e responsabilità. Come osserva Giuseppe vaccarino,
"l'opposizione alla filosofia è del tutto sterile finché si limita
all'epoché - una sospensione del giudizio che, vietando di pronunciarsi in negativo o in
positivo, accetta
in linea di principio la possibilità di una datità trascendente" (La nascita della
filosofia, Roma, in corso
di stampa). Dove tale accettazione - si tratti di "rivelazioni" o del rapporto tra "indice cranico" ed
"intelligenza"
o "razza" o altro - è la "peggior forma di dogmatismo" - proprio perché si sottrae per principio
ad ogni
verifica.
Quale base epistemologica Se Hitler e i nazisti hanno potuto assegnare agli "ebrei" colpe tali da sentirsi legittimati
nel procedere
al loro sterminio, e non molto diversamente si sono comportati nei confronti di "slavi" o altri, solo
perché il relativismo "culturale" fa presto a diventare "razziale", oggi, che da una differenza di
comportamento si passa senza porsi alcun problema metodologico all'ipotesi di una differenza
"genetica", a maggior ragione si verificano tragedie analoghe. Una base epistemologica che possa
sostenere coerentemente i valori espressi dal movimento anarchico
nella sua storia, fermo restando che in essa si troveranno delle contraddizioni, allora, non si trova affatto
nel cosiddetto "relativismo". Le opzioni che mantengono il presupposto di una "realtà" precostituita
all'attività mentale - attività che
consisterebbe di conseguenza in un "conoscere" inteso come un duplicare ogni cosa "esterna" in una
"interna" - sono tutte esiziali, proprio perché nascondono una autocontraddizione (come verifico la
corrispondenza tra "esterno" ed "interno"? Come possono essere, allo stesso tempo, la stessa cosa e due
cose diverse?). Esse, tentativi falliti di applicazione del metodo scientifico, riaprono la strada alle
metafisiche, da cui
- del resto - provengono. L'unica strada davvero alternativa percorribile, invece, è quella della consapevolezza
procedurale. La verità, se vogliamo vederla come un risultato di attività nostra, potrebbe
derivare da un'operazione
di confronto, da cui risulti una uguaglianza, fra un termine di riferimento, da noi fissato, ed un qualcosa
di riferito ad esso - se dal confronto risultasse una differenza, infatti, si parlerebbe di falsità (del riferito,
di solito, del riferimento solo nei casi rivoluzionari).
Né conoscitivismo, né dogmatismo E' chiaro che il problema irrisolto che sta a monte del rapporto tra ideologie politiche ed
epistemologie
è il problema della mente. Per millenni essa è stata considerata una sorta di analogo immateriale di
qualcosa di materiale che
l'uomo conosceva bene. Julian Jaynes, per fare un esempio fra i tanti, elenca numerosi fonti di descrizione metaforica
della
mente - dalle "caverne della memoria" di Agostino, ai modelli di stratificazione geologica dell''800, dal
"cavallo a vapore" che avrebbe ispirato la teoria psicanalitica delle pulsioni insopprimibili, al più
recente archivio elettronico che ha indubbiamente ritardato il superamento della concezione di una
"memoria magazzino" ampiamente messa in crisi dalle scienze del cervello (Il crollo della mente
bicamerale e l'origine della coscienza, Milano, 1988). Tutte queste metafore riverniciano
la teoria del "raddoppio conoscitivo", di cui abbiamo detto prima,
individuata come nocciolo della filosofia da Silvio Ceccato a partire dal 1949 - e definita
"conoscitivismo" perché basata su un uso metaforico del verbo "conoscere" (che comunemente designa
una duplicazione nel tempo, non certo nello spazio). Solo abbandonato lo sfondo
inconsapevole del conoscitivismo, e con esso gli errori speculari del
dogmatismo propriamente detto e dello scetticismo - che altro non è che una forma di conoscitivismo
mistico, nel senso che ipotizza una "realtà" per principio inafferrabile e purtuttavia in qualche modo
"esistente" e perciò, si suppone, vincolante (come, per fare un esempi classico, il "noumeno" kantiano,
residuo dell'"essere" parmenideo come del "divenire" eracliteo) - si può far riferimento ad un sapere,
nel senso comune del termine, a proposito di noi stessi. Unica base su cui, forse, è possibile costruire
un'umanità diversa da quella che conosciamo.
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