Rivista Anarchica Online
Vibrati rosso sangue
di Marc de' Pasquali
Per Chaïm Soutine
è stata posta l'attenzione più sulle famigerate note biografiche (magari alterate),
piuttosto che sulle sue opere grandiose; questa mostra nell'ordinata Svizzera - ironia della sorte - gli
rende giustizia per bellezza, rarità e numero dei pezzi, un centinaio a circa cent'anni dalla nascita, sino
al 18 giugno a Lugano (museo d'Arte Moderna, Villa Malpensata che malgrado il nome è gradevole,
sul lungolago, lunedì chiuso, entrata 8 fr., catalogo non visionato causa fibrillazione del personale a
dieci minuti dalla chiusura): Soutine è l'essenza del colore usato con lussuria, anche se resta
sottovalutato, poco conosciuto, ritenuto minore. Il cielo ci perdoni. Nasce a Smilovitch (Lituania) nel
1894, decimo di una famiglia ebrea bielorussa, il padre sartino lo cresce a botte con la prospettiva di
farne un ciabattino. Passate alcune disavventure e l'esperienza di mendicante, quasi ventenne arriva a
Parigi, ovviamente nei cameroni dei pittori pulciosi, a Montparnasse, al café del la Ronde, con Chagall
(in mostra a Parigi al Museo d'Arte Moderna sino al 17 settembre), con Modigliani che lo ammira e lo
ritrae. Non segue nessuna corrente, è affine a Nolde con andamento angosciante alla Munch, non entra
in nessun gruppo perseguitato com'è da furenti individualismi, ma il Louvre sì, lo frequenta, e
molto;
studia l'eleganza di Chardin (si veda La razza, per esempio); ama per sempre Courbet (sodale di
Baudelaire, comunardo, influenzato da Proudhon) e le sue trote, le sue donne sdraiate, le sue case e il
suo copiare i capolavori del più grande museo del mondo, e il suo essere autodidatta come lui, e come
lui incantato da Rembrandt; sempre al Louvre recepisce il dramma nelle tele di Goya, di Tintoretto. Fa
il facchino e l'operaio alla Renault, adocchia Van Gogh (Testa di contadina, Contadina col cappello
bianco), da lontano, senza riconoscerlo, forse per non riconoscersi maudit e deraciné, timido e
lunatico,
con la stessa travagliata luce da trasmettere sui dipinti, persino particolarmente brutto, si dice, anche
unto, puzzone. Sulle arre foto rimaste ci appare invece tenebrosamente affascinante, dalla tristezza
selvaggia e caparbiamente isolata, con la dote di due mani affusolate, candide, delicate, da pianista, si
dice; legge Balzac, buca le proprie tele non ritenute buone, col coltello, per distruggerle, dopo
elaborazioni faticose, sofferte, lunghe lunghe. Alla fine degli anni Venti, Modigliani aiuta generosamente
Soutine. Pur essendo entrambi squattrinati
come non mai, sono persone dabbene, di grande classe, posseggono un'armonizzazione subordinata più
all'etica che all'estetica, più all'essere che all'apparire (non si può - al contrario di quel che si creda
-
sembrare eleganti se non lo si è davvero), entrambi praticano la vera sprezzatura, l'arte del gentiluomo
capace di non far notare gli sforzi che compie, un uso disinvolto che è proprio della grazie creativa.
Così un affamato Modigliani arriva a presentargli il geniale mercante Zborowsky che inviterà
Soutine
nei Pirenei e sulle Alpi Marittime migliorandogli l'esistenza. Al ritorno, il Nostro produce a fasi alterne, tra
un viaggetto e l'altro, ubriaco di cognaq e malato. E' il
periodo del tema assillante delle carcasse rapprese, del Bue scuoiato (Albright - Knox Museum di
Buffalo) che prende e riprende (oltre a Donna che si bagna in un ruscello) dal dio Rembrandt (come
Courbet, se lo andrà a vedere anche ad Amsterdam, più volte, in treno, in giornata, denaro
permettendo), ammorbando (come già fece Pontorno) il vicinato, coi putridi resti di animali sgozzati,
magari affittati e man mano rinfrescati da secchiate di sangue fresco, colante, brillante, appiccicoso,
nauseabondo, per lucide trasformazioni immortali: si veda Il gallo morto ('26) in tutta la sua
magnificenza gialla e tragica, sacrificata e incrostata da gocce sanguinolente, da verde bile che gli
attraversa la testa increstata regalmente, per scivolare a terra, fuori dalla cornice, svanire nell'aere,
stelline filanti materiche (una tecnica che Pollock quantitativizzerà), feci ramazzate nei pollai. Idem per
i tacchini appesi, distesi, lì stecchiti col becco nella schiuma, i polli spennati, mazzi d'aringhe
cadaverine (che affluiranno nel pennello di De Pisis), accerchiati da pomodori scarlatti, aranciati, vivi,
buoni, bardati da panni sciatti abbondanti, forse per occultare parte dei tanti capri espiatori, dei tanti
sacrificati per le bocche dei carnivori umani - nature morte. Soutine incontra in Provenza i coniugi Castaing,
raffinati collezionisti (il cui tesoro fu esposto a Milano
alla Galleria Bergamini nel 1987) che lo ospitano vicino a Chartres. Lavorerà non solo a La
cattedrale
di Chartres del '33 (medioevale e proustiana creatura pietrosa che sovrasta i secoli ammaliando), mentre
il nazismo esplode, ma pure I grandi alberi a Chartres, duomi vivi e longevi su ometti brulicanti
negli
spazi coi loro animali pacifici, e L'asino del '34, povero e ottuso quadrupede incerto , incosciente,
maltrattato. Altre fruscianti ventosità aspettano il visitatore della mostra, altre tumultuose fronde
pulenti, una più maestosa delle altre: Un giorno di vento a Auxerre è da guardare
con un sottofondo di
sax contralto (Charlie Parker, per intenderci), tenendosi i capelli, abbassando la testa per tanto lirismo,
per immensità; altre tele, Alberi a Champigny e Viale d'alberi ('36),
l'allucinato Paesaggio di Céret ('20
alla Tate Gallery di Londra) e l'assoluto capolavoro Albero nel vento ('42), presagio di
sommosse... Incappa in Gerda Groth, ebrea tedesca rifugiata con la quale convive a Parigi e a Civry, che
finirà in un
campo di concentramento. Soutine si nasconde e scappa. Finisce a Champigny-sur-Veuldre, sta con
Marie Berthe Aurenche sino all'operazione all'ulcera perforata aggravata da troppi digiuni. Morrà
lasciando una figlia, il 9 agosto 1943, nascosto su un carro funebre che vaga nella Parigi occupata dai
tedeschi, a cinquant'anni, ebreo ricercato numero 35702. Prima di concludere vorrei aggiungere altri titoli
di questa pittura folgorante, parlante, con momenti
densi di gioia per la vita, rara nella storia dell'arte. La voracità nello sguardo di Soutine che contempla,
coglie e poi si muove nel dramma dei rossi socialisti, analitici, la adoro, si guardino quei ragazzotti già
vecchiarelli rappresentati ne Il valletto di Chez Maxime ('27, a Buffalo), ne Il lift ('25,
Centre Pompidou
di Parigi) ridondante di orgoglio persino nei genitali inguantati e ne Il chierichetto ('28, all'Orangerie
di Parigi), miriadi di stereotipi ingannati in mirabili pennellate di bianco puro per linde e piccolissime
borghesie che credono, che impiegano per anni le proprie giornate a servire acque sante e torrentizie
furberie; e quei bimbi emaciati nelle braccia fievoli di madri sgomente, allupati in colori lividi non solo
per la miseria e la ferocia degli uomini che li ammazzeranno, ma per i sogni mai vissuti dalle promesse
delle prime notti d'amore, per la protezione tradita dal fonte battesimale; e quelle case carnivore in verdi
folgorati da vermigli, dalla ruggine del tempo, qui e là ramate, prussiane, mattone crepato, per riparare
un insieme di numeri e di nomi senza significato, fragilità tempestate da altri onnipresenti verdi,
tamponati e sfumati da miscele sapienti pastose oleose, furiosissime, vedute astigmatiche, storte alla
El Greco, con tinte tremolanti, sbronze, per rendere la stolidità che dentro vi trasuda, accumulo di
terremoti di latenti violenze, abbandonate sulla tela come candele storpie, in trip, fugaci; e quei gladioli
seriali, sanguigni, grumosi, su sfondo nero anarchico per meglio esaltare delle braci avanzate nella
tragedia del proscenio, sangue terrigno e sospeso con petalosa grazia dentro gambi serpentini in
ascensione, nelle grida dei perseguitati ammucchiati in Spagna, in Francia, in Austria, in Polonia, in
Ungheria, in Grecia, in Albania, in Russia, in Belgio, in Olanda, in Italia, in Romania, in Jugoslavia,
in Portogallo, in Cecoslovacchia, in Bulgaria, in Germania, in Etiopia, in Gran Bretagna, eccetera
eccetera.
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