Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
La mistica dello sfasciacarrozze
Jan Hacking, fra le ricche pieghe de La riscoperta dell'anima (Feltrinelli, 1996), porta alla luce
quello che
potrebbe essere individuato come un corrispettivo urbano e moderno dello stato di trance, tanto studiato dagli
antropologi nelle società cosiddette «primitive». È lo stato di chi viaggia da solo, a lungo, in
automobile - magari
nel quotidiano esercizio di pendolarismo. Hacking parla espressamente di una «dissociazione da guida» che
può
ben essere messa in rapporto a quella diagnosi di «automatismo ambulatorio» con cui Charcot tentò
d'innovare
il prestigio proprio e della psichiatria francese nel 1888 (con la differenza che un Charcot d'oggidì
potrebbe
parlare di un «automatismo ambulatorio a supporto simbiotico automobilistico»). In modo sbrigativamente
ottimistico questo stato dissociativo - checchè gli psichiatri intendano con esso - viene considerato
«innocuo»,
ma, forse, se se ne estendesse l'analisi in chiave ideologica se ne scorgerebbe anche le sembianze più
deleterie.
Sulla perversa relazione che ha avvinto l'uomo e l'automobile molto è stato scritto e molto, purtroppo,
si dovrà
scrivere - nella speranza che qualcuno, prima o poi, dall'analisi passi a vie di fatto. Il regista David
Cronenberg, assecondando per l'ennesima volta il suo gusto per il torbidume (Videodrome, La
zona morta, La mosca, Inseparabili, Il pasto nudo, etc. con risultati diversissimi), prende un racconto di
Ballard
e ne fa Crash, un titolo che è già un rumore ed uno sconquasso. Fra le
degenerazioni della vita automobilistica,
dunque, c'è anche quella - strettamente parente di vizi sadomasochistici di più ampia tradizione
-
dell'interconnessione fra sesso e incidente. Come dire che da quella dissociazione indotta dalla guida può
scaturire
non solo il rincitrullimento ma anche la soluzione alle pulsazioni sessuali represse e compresse. Ecco, allora, da
vicino - anzi, da vicinissimo, con l'ossessiva applicazione stilistica da parte del regista di canoni iperrealistici -
alcuni personaggi che, fra incidenti casuali e no, fra lamiere contorte e agonizzanti, fra sfasciacarrozze e
lavamacchine, a cento all'ora o da fermi, sul cofano o sui sedili posteriori, con una pazienza ed una tenacia degne
delle migliori cause cercano orgasmi e, qualche volta, li ottengono. Si riempiono di cicatrici e si avvalgono dei
più raffinati strumenti ortopedici, parlano del sesso come di un «incidente stradale» o dell'estetica di un
corpo
modellizzato dalla tecnologia; in un rigurgito di consapevolezza critica avvertono l'avanzare di nuove
psicopatalogie indotte dall'automobile. Già Lynch, nei suoi film, aveva fatto balenare sullo sfondo del
suo
occidente malato tremendi incidenti stradali - e il film americano d'azione in genere non ne fa mai mancare -, ma
qui, per Cronenberg, non c'è altro. Lo scontro frontale come grado superiore dell'ascesi e la mistica del
tamponamento: ogni narrazione in cui inserirli, in pratica, è superflua. Che ciò porti ad una
critica della società ci permettiamo di dubitarne, che ciò annoi parecchio, invece, è fuor
di
dubbio. Che il tema, invece, abbia un senso e che valesse la pena proporlo è altresì certo. Tuttavia
- a parte
l'insistenza fin paradossale sul sesso -, già nella connotazione dei personaggi sta il limite ideologico della
fatica
di Cronenberg. Costoro, infatti, sono tutti, già in partenza, situati ai bordi di quella comunità di
«normali» che
rappresenta davvero l'epidemia di massa dell'infezione automobilistica: la coppia principale ha già le sue
brave
tare da noia di lusso e sesso, una delle prime vittime di scontri frontali scioglie la propria vedovanza con una
velocità che pare eccessiva, il personaggio fondamentale è addirittura un fanatico che vive
organizzando
spettacolini di scontri automobilistici clandestini, nessuno di costoro ha un granchè da lavorare per vivere
e
l'ultima cosa di cui si preoccupano è il conto del meccanico o del carrozziere. Sono già
predisposti, in altre parole,
al baratro o al gard-rail che li attende. Diverso sarebbe stato se, alla psicopatologia dell'automobile, vi fosse
condotto il ragioniere del piano di sopra e la casalinga che incontri al supermercato, cioè la «brava gente»
comune
e asettica, monda di stigmi sociali e ben integrata nelle convenienze della comunità assuefatta.
Rappresentando
il patologico tramite una campionatura di eccesso si finisce - reazionariamente - con il tranquillizzare e con il
compiacersene. Coloro che, rimasti incastrati in quell'angusto abitacolo mentale, guidando l'automobile diventano
gradualmente mostri - sia che si eccitino sessualmente o che, più prosaicamente, si caccino le dita nel naso
- sono
molto più a portata di mano di quanto Crash non suggerisca. Basta scendere in strada,
osservarli ai semafori, o
in coda, o quando guardano morbosamente l'incidente che è toccato a qualcuno di loro.
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