Rivista Anarchica Online
Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)
In disparte
Ho un problema che in qualche modo vi riguarda e che ci tengo a discutere con voi. Un problema che vorrei
affrontare con una certa serenità e anche risolvere in fretta mantenendo un certo senso della prospettiva.
Dico sul
serio: mi arriva davvero tanto materiale accompagnato dalle vostre lettere dove, a parte qualche vecchio
compagno che non l'ha mai fatto, mi si richiede immancabilmente il trafiletto, l'articoletto, le due parole
giusto-perchè-sai-Marco-ci-tengo-a-come-la-pensi-e-voglio-leggerlo-sulla-A/Rivista Anarchica. Succede
sempre
più spesso negli ultimi tempi, diciamo nell'ultimo anno, e la situazione si è fatta decisamente
pesante tanto che
ho pensato di darci un taglio: non me la sento di continuare con questa farsa. Non ho mai inteso occupare
spazio qui dentro essendo quello che fa le recensioni dai sotterranei, la produzione
marginale, la sottocultura delle periferie e balle varie. Questo non è il posto giusto, io non sono la persona
adatta.
Non è questo che volevo, non è questo quello che voglio per me qui dentro. Per tutta una serie
di casini più che
altro personali (un sacco di lavoro, qualche problema di salute in famiglia, ho cambiato casa - tanto per fare degli
esempi concreti) ho "sospeso" Musica&Idee l'estate scorsa, davvero senza sapere se poi ritornavano tempo
e
voglia e testa e occasioni di riprendere tutto in mano. Non ho detto niente a nessuno, avevo altro da fare. Me ne
sono stato in disparte, e basta. Ma mi sono accorto che vi siete accorti che non c'ero. In fondo mi aspettavo una
qualche reazione, ma non immaginavo una quantità così elevata di lettere, messaggi, telefonate:
ma perché anche
questo mese non ci sei, sei una presenza costante e si sente che manca qualcosa (esagerati), ma scusa ti è
arrivato
il cd e la cassetta e la fanzine sai pensavo che il pacchetto se lo fossero fregato quelli delle poste. No. Quelli delle
poste stavolta non c'entrano. Niente più Musica&Idee, per favore. Non così, almeno. Le
recensioni leggetele
altrove, sul settimanale o sul mensile musicale che più si adatta alle vostre preferenze. Ce ne sono dozzine
in
edicola, comprate e leggete e sostenete quei giornali se vi va di farlo. Ma questa è un'altra storia.
Questo è un luogo di informazione e discussione nato e mandato avanti con dei
presupposti un po' diversi. Non è un giornale normale: è una rivista anarchica, non
dimentichiamolo né
sottovalutiamolo anche se è scritto in piccolo in copertina. E non ci sono pubblicità o sovvenzioni
ma
sottoscrizioni e collette, non giornalisti professionisti ma compagni che si sbattono per tenere in vita in maniera
decente questo giornale controcorrente, diverso, senza padroni. Questo giornale anarchico. A modo mio, sono tra
questi. Mantenere in piedi uno spazio di informazione etichettabile grosso modo come "musicale", una briciola
nella galassia di interessi e rivolgimenti, uno spazio comunque importante (anche per voi, stando a quanto ho visto
e sentito in questi tredici anni) mi sembra una cosa giusta, e per questo sono disposto a farmi il culo ma bisogna
vedere come e soprattutto perché e per chi. Non mi va di sprecare questa occasione dando una mano di
bianco
a un rapporto stantio. Il vestito di quello che fa le recensioni così strane e un pochino snob sul giornale
marginale
e alternativo (e le mie parole le appiccicate poi nelle rassegne stampa accanto ai ritagli della stampa ufficiale) mi
sta stretto addosso e comunque è una divisa che non voglio indossare. Mi chiedete di restare: io resto. E
resto
volentieri. Qui dentro, e nel modo che mi viene più bene e che più mi piace (conta anche questo,
dopotutto).
Racconterò delle storie: storie vere oppure inventate, più spesso un misto delle due. Recensioni.
Bugie. Seghe
mentali. Pretesti. Chiamatele come volete, poi magari fatemelo sapere.
Quell'ambulanza lontana
Tarda estate, in treno verso casa. Il treno dei pendolari, quaranta minuti di strada se non c'è casino,
poi qualche
chilometro in bici e finalmente arrivo a casa. Attrezzatura indispensabile del pendolare moderno: vestiti
comodi, pochi spiccioli bastano, qualcosa da leggere
non importa cosa, importa invece un po' di musica che faccia compagnia. Oggi ho con me l'ultimo Senzapatria
e una ci-sessanta riciclata con dentro registrati quasi per intero Welcome to the cruel
world di Ben Harper da
una parte e The lee tide degli Howth Castle dall'altra. Di solito non c'è casino,
ma oggi siamo proprio inchiodati
appena fuori della stazione di Mira, dopo neanche cinque minuti di strada. Qualcuno ogni tanto fa il furbo e passa
sotto le sbarre del passaggio a livello, certi sfigati ci rimettono il motorino o la bici o l'auto quando va bene. Altri
attraversano il passaggio a livello chiuso non perché hanno fretta di andare da qualche parte, ma
perché vogliono
andarsene in fretta da questo mondo e da questa vita. Il treno si ferma, si sente un'ambulanza lontana, o forse
è
la polizia. Qualcuno che deve raccogliere i pezzi, prendere misure, fare delle foto, tenere lontano i curiosi. La voce
gira in fretta a cavallo del vento caldo, in altalena dentro e fuori dei finestrini. C'è qualcuno che si
è buttato sotto
al treno. Qualcuno, non si sa chi. Sotto al treno. E sopra al treno fermo allora sì che si bestemmia,
qualcuno se
la prende col capotreno cazzo-sempre-in-ritardo-treni-di-merda, oppure ma guarda se quella scema doveva
buttarsi sotto il treno proprio oggi e proprio adesso. Solo gli alberi, lì fuori del finestrino, se ne stanno
zitti, fermi,
in silenzio quasi a voler mostrare un po' di rispetto e di compassione per quel qualcuno che ha scelto così
drasticamente. Ma gli alberi della campagna non hanno orologi, non devono prendere treni, non devono andare
da nessuna parte. Questo è un treno di pendolari. Mi guardo intorno, quasi sempre le stesse facce nascoste
dietro
il giornale o affondate nei libri, gli occhi chiusi dietro gli occhiali da sole, nell'aria del vagone il ronzio appena
percettibile delle cicale che stanno lì fuori si mescola con i brandelli di cento musiche diverse che
traboccano
dagli auricolari dei walkman. Nessuno guarda fuori. Il confine del mondo è un quadrato fatto da un
finestrino,
un foglio da leggere, un paio di lenti scure dietro cui nascondere lo smarrimento, una cassetta che oggi gira
intorno una o due volte in più.
Brividi lungo la schiena
Sono morto e non lo so / vivo e agisco / gli esseri vivi indicano la morte col loro allegro lavoro /
così come i morti
indicano la vita col loro silenzio / Quando la roccia diventa aria, io sarò là. Jack
Kerouac, da "Mexico City Blues"
Difficile trattenere l'emozione: succede sempre ascoltando per la prima volta un nuovo disco dove dentro ci
sono
Lalli e Stefano. I brividi scorrono copiosi lungo la schiena, viene la pelle d'oca e il cuore fa un balzo in gola. Non
che, con il proseguire degli ascolti (in molti casi consumando letteralmente i dischi) la cosa cambi, anzi. Questo
disco mi piace moltissimo, ma ho sbagliato a registrarlo per usarlo nei miei viaggi monotoni di ogni giorno. Avrei
dovuto scegliere qualcosa di meno impegnativo. Non sono mai riuscito ad ascoltare certe musiche, certe canzoni,
e fare contemporaneamente qualcos'altro. Leggere, devo smettere. Concentrarmi su qualche pensiero, niente.
Queste musiche, queste canzoni mi portano via. Lontano. Passi per Ben Harper, comunque difficile da usare
come gomma sonora da masticare, ma ho proprio sbagliato
a portare con me The lee tide. Non è musica da consumare, e questo già
si sapeva, ma la vera ragione è che non
riesco ad "adoperare" musiche scritte e suonate da amici: è un misto di rispetto, curiosità, sorpresa
e tenerezza
che si mescola alla voglia di ascoltare. Succede con tutti, piuttosto indistintamente: con gli equilibrismi
chitarristici di Nick Didkovski e coi manifesti cantati dei Crass, che tanto mi hanno fatto crescere, pensare,
riflettere. O con le contorsioni meravigliose di Eugene Chadbourne, non finirò mai di stupirmi di come
sappia
arricchire di così tanta gioia il suo mestiere di chitarrista giramondo. Non penso a loro come
musicisti. Sono amici, più che altro, e tante volte ascoltare un loro disco è un modo per
sentirli vicini, dal momento che si abita a centinaia se non migliaia di chilometri di distanza. Da quanto tempo
non ti vedo, Lalli? Da quanto tempo non beviamo un caffé assieme? Da quanto tempo, Stefano, non
riusciamo a parlare un po' di noi due, senza quel mucchio di libri/dischi/concerti
che ci avvicina sì, ma che allo stesso tempo ci tiene distanti?
Howth Castle The lee tide [Inisheer, CD] Reperibilità:
distribuzione diretta (scrivete a Inisheer c/o Stefano
Giaccone, c.so Siracusa 66 10134 Torino) oppure nei soliti giri e negozi che sapete. Alcune copie sono disponibili
a 20.000 lire nella lista di Musica per A. "Sharon, adesso hai un marito e una famiglia, io ho la mela
della tentazione e un serpente di diamanti attorno
al braccio. Ma hai ancora la tua musica, così come i miei occhi si poggiano sulla terra e il cielo. Canti le
tue
canzoni per gli amici e per la tua famiglia, mentre tra breve io riprenderò il mio
vagabondare..." Joni Mitchell, da "A song for Sharon"
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