Rivista Anarchica Online
Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)
Beneficenza & polemiche
Escono nelle prossime settimane il secondo ed il terzo volume della raccolta "Voix Vulgaires",
proseguimento
ideale dell'iniziativa discografica internazionale a sostegno di A/Rivista Anarchica iniziata con "F/Ear this!"
(1986) e andata avanti con "Les mystéres des Voix Vulgaires" (1990). Alla raccolta,
organizzata da Marco Pandin, hanno partecipato gruppi ed individui provenienti da diversi paesi
del mondo, che hanno offerto contributi musicali, poetici e grafici. Tutti hanno messo a disposizione
gratuitamente il proprio materiale: molte sono le opere inedite o precedentemente pubblicate in forme diverse
o in edizioni limitate. Il mese prossimo pubblicheremo una presentazione dell'iniziativa ed una
lista guidata ai brani delle due raccolte.
Oggi, invece, diamo spazio a Marco che desidera mettere in chiaro alcuni punti fondamentali.
Quasi una lettera aperta ai compagni. Mi sento come se fossi inchiodato su di
una sedia a rotelle invisibile. Per motivi personali, familiari, economici,
di salute etc. sono costretto a seguire il Movimento da casa, per telefono, tramite lettera. Il mio contributo
è
minimo, me ne rendo conto e me ne dispiace immensamente, ma è onestamente tutto quello che posso
dare. Non ho più un'immagine pubblica, per così dire, dal momento che ho smesso da tempo
le mie attività: non faccio
più dei dischi, non pubblico libri né giornali e, peggio, non esco neanche più di casa per
bazzicare ambienti
musicali e "politici". La salute pessima dei miei genitori prima (sia mio padre che mia madre prima di morire
hanno passato mesi e
mesi dentro e fuori di continuo tra ospedali e case di cura), i problemi gravi con mia figlia Valentina (è
nata
praticamente cieca, e ha delle enormi difficoltà di relazione) poi, mi hanno tenuto e mi tengono fuori dal
giro,
lontano dalle iniziative, dalla vita degli amici e dei compagni, dai centri sociali, dai concerti, dalle riunioni e dalle
manifestazioni. Certo che mi piacerebbe uscire, vedere gente, discutere, fare casino in compagnia. Invece
passo il mio tempo in
corsa fra l'ufficio e casa, accontentandomi di telefonare e mandare dei messaggi scritti ad amici e compagni che
non riesco a raggiungere ed incontrare diversamente. Seguire un bambino handicappato costa: soldi a parte,
servono tempo ed energie. Tanto, tutto il tempo. Tante,
praticamente tutte le energie: non si fa mai abbastanza, non è mai ora di sedersi a tavola per la cena, non
è mai
ora di andare a dormire, non si riesce mai a trovare una mezz'ora di tranquillità non dico per fare l'amore
ma
almeno per ascoltarsi un disco. È frustrante, lo so, ma mi sono ridotto a rubacchiare qualche briciola
di tempo libero solo in ufficio, con tutte le
conseguenze che ne derivano, o la sera tardi a casa (se non c'è altro da fare: stirare, lavare etc.) sperando
che le
bambine (Marta adesso ha tre anni, Valentina quattro) dormano tranquille fino a mattina. Alla mattina, poi, si
ricomincia. E via alla grande.
Le iniziative discografiche a sostegno di A/Rivista Anarchica. Purtroppo, tutto
quello che di "politico" mi riesce di combinare in concreto si riassume in una collaborazione
scritta (e spesso a intermittenza) con la redazione di A/Rivista Anarchica. Lo faccio volentieri, mi piace e
sembra piaccia anche a loro visto che la cosa va avanti da più di tredici anni senza
che ci siano stati degli scazzi, lamentele o censure. L'idea di pubblicare dei dischi a sostegno della A/Rivista
è nata nel 1985: allora avevo qualche soldo messo da
parte e ho anticipato la cifra necessaria alla stampa di "F/Ear this!", uscito poi nel 1986. Da allora in poi ho avuto
sempre maggiori difficoltà: la mia disponibilità di testa, di tempo e di denaro è sempre
diminuita. I tempi intercorsi tra le iniziative che ho curato sono geologici, lo so, ma io faccio quello che
posso: a ben quattro
anni di distanza da "F/Ear this!" sono riuscito a pubblicare "Voix Vulgaires #1" (1990) e solo adesso, dopo sette
anni, ce la faccio con una nuova uscita. Perchè vi racconto tutto questo? I soldi per "Voix #2" e "Voix
#3" li ho trovati chiedendo un prestito, piano piano
li restituisco a rate mensili. Non sono riuscito a fare diversamente. E pensare che secondo qualcuno avrei "messo
su pancia" organizzando un'attività commerciale sfruttando il circuito della A/Rivista Anarchica. Bella
storia:
io vendo dischi altrimenti invendibili appiccicandoci sopra un po' di cellophane alternativo, voi coglioni ci cascate
e mi mandate i vostri soldi. Le cose non stanno così, diciamocelo una volta per tutte. Il mio lavoro
per queste iniziative è ed è sempre stato
volontario e non retribuito: la cosa è facilmente verificabile visto che sono disponibili tutti i movimenti
di denaro
relativi ai dischi (sia le specifiche iniziative di sostegno che la lista di "Musica per A") presso la
redazione. Mettiamo meglio a fuoco la mia posizione, allora, una volta per tutte: mi sento coinvolto in questa
attività come
"attivista raccoglisoldi", non come "discografico intrallazzato". Faccio dei dischi perché fare dei
dischi mi viene un po' meglio che fare conferenze, libri, concerti o spettacoli
teatrali. Se ne fossi capace farei dell'altro: pittura, ceramica, vino, marmellate, torte, fotografie che poi cercherei
di vendere. Fare dischi non è la cosa più importante della mia vita, né il mio lavoro:
è una cosa che mi piace e che faccio
volentieri. Queste iniziative si sono rivelate più che positive per la A/Rivista, che ha sempre bisogno di
idee oltre
che di soldi per andare avanti. E non è cosa da poco. Per me il problema sta da tutta un'altra parte:
non c'è nessun altro che lo fa, nessun altro che lo vuole fare o che
si ingegna a farlo. L'unica altra esperienza di dischi a sottoscrizione è stata l'Attack Punk, un'etichetta
indipendente gestita dagli anarcopunks di Bologna, che aveva pubblicato nel 1984 il disco "4 per A, A per
tutti".
Il meccanismo L'idea che sta dietro alle iniziative che porto avanti è
semplice, forse cretina: chiedo dei contributi (nastri, disegni,
poesie etc.) a gente che conosco e che mi capita di conoscere. Loro me li danno, ogni tanto. Io li adopero. Poi
mando in cambio qualche copia del libretto, del disco, della cassetta. Fine. Una cosa che è stata apprezzata
è che
dico chiaramente e subito che il contributo verrà utilizzato a sostegno di una casa editrice
anarchica. Chiedo quasi a tutti quelli che riesco a intercettare, sempre sperando di non rompere i coglioni
perché, si sa,
quando si chiede qualcosa a qualcuno si rischia sempre di urtarne la suscettibilità. Spesso però
funziona, ho
anch'io le mie tecniche: magari faccio un po' leva sui rapporti personali, sull'amicizia: proprio per questo non
mi sono mai preoccupato per un rifiuto, però di solito cerco di evitare le situazioni impossibili. Alla
2a Fiera dell'Autogestione a Padova, una delle mie rare uscite in pubblico, c'è stata molta gente che
è rimasta
sorpresa dalla semplicità di questo meccanismo, compagni che sono rimasti di stucco di fronte al mio
"coraggio"
(come dicono) di chiedere dei contributi musicali a quella che loro chiamano "gente famosa" e per questo
ritengono irraggiungibile. Per me non è stato difficile: da sempre ho cercato di non inciampare nello
scalino psicologico che divide gli artisti
dal pubblico, più che altro perché una volta suonavo anch'io e, per un vago senso di fratellanza
e complicità, non
mi sono mai posto il problema del dove stare, del dove collocarmi. Non mi sono mai fermato dinanzi a certi
ostacoli come la SIAE, le tasse o le fatture perché so bene che ci sono
delle difficoltà oggettive, magari dei problemi di lavoro, di copyright, di contratto etc., ostacoli che ci
sono e che
spesso non si possono scavalcare così facilmente. Ho incontrato molta gente che vive della musica
che crea. Certo, sulla creatività come merce si può discutere
finchè volete. Resta il fatto che in questa parte del mondo e in questo periodo storico la fame si scaccia
col pane,
il pane costa soldi, e i soldi per pagare il pane si devono trovare. Non me la sono mai presa per una risposta
negativa, anzi tendo ad accettare le varie scuse, anche le più assurde, come buone, senza piagnistei, senza
rompere
i coglioni. Di delusioni ne ho avuta più di qualcuna, ma per fortuna sono sopravvissuto: artisti
notoriamente "impegnati" non
solo ed esclusivamente sul fronte musicale sono nella realtà spicciola molto ma molto meno disponibili
di quanto
si possa immaginare. La cosa che però mi ha fatto più dispiacere è sbattere la faccia
su situazioni di sfiga spaventosa, tipo personaggi
mitici come Pip Pyle e Lady June che dopo una vita sulla strada e dopo aver prodotto opere memorabili non
riescono a trovare un registratore decente, eppure offrono un contributo con tutto l'amore di cui sono capaci.
La scelta del materiale Le scelte sono del tutto casuali: una prova può
essere l'estrema eterogeneità degli stili, delle forme d'espressione,
della qualità delle registrazioni, della notorietà e degli orientamenti politici dei partecipanti alle
compilation che
ho curato. Certo, intervengo anch'io con delle scelte personali. Bisogna farlo perché se il budget mi
consente la stampa di
un solo CD non posso pubblicarne otto perché "bisogna" utilizzare tutte le registrazioni che mi mandano.
In
mezzo oltretutto c'è anche della vera merda: delle cose orribili, roba sfigatissima e vere seghe mentali,
delle
mezz'ore di vocalizzi e sintetizzatori e rumori di sassi, che senza dubbio avranno anche un qualche valore e
significato (che posso anche rispettare e sui quali non mi metto neanche a discutere, ci mancherebbe) ma che alla
fine andrebbero ad occupare fisicamente mezz'ora di spazio sul CD o sulla cassetta che voglio fare, mezz'ora
preziosa che magari viene tolta ad altri. Io cerco di andare a intuito, assecondo i miei gusti e le mie preferenze
visto che il lavoro alla fine lo faccio io e
non mi va proprio di utilizzare del materiale che non mi convince, che non mi stimola, che non mi incuriosisce.
Cerco di usare delle registrazioni di buona qualità tecnica per evitare degli interventi di restauro in studio
(comunque non ne sono mai stati fatti), però so apprezzare anche chi mi manda una cassetta del cazzo
strausata
registrata clandestinamente sottoterra, e la uso anche. Ancora, nonostante possano essere più
"attraenti" dal punto di vista commerciale (non bisogna dimenticare che
i dischi bisogna venderli altrimenti di soldi per A/Rivista Anarchica non se ne raccolgono) non preferisco i nomi
famosi agli sconosciuti. Non uso neanche criteri di selezione per affinità ideologica: posso sentirmi,
senza fatica, affettivamente vicino
al mio amico carissimo Guo DaNian che fa l'anarchico in Cina, e pure rispettare gli orientamenti politici di
Ferdinand Richard, che ha una storia personale a sinistra forse meno lontana e diversa dalla mia rispetto a quella
di Guo. Oppure riesco ad avere rapporti di amicizia forte e sincera con Pete Wright dei Crass e non usare una
sua canzone
senza mettermi paranoie, e allo stesso tempo entusiasmarmi per un nastro arrivato come regalo a sorpresa da un
certo David Moss, mai visto prima, e conosciuto solo attraverso i suoi dischi e qualche intervista. Non ho mai
chiesto a un musicista, o a un poeta, o più generalmente a un amico un contributo in quanto "anarchici",
o
"alternativi", o altro ancora. Avrei dovuto? E perchè mai?
In conclusione Questa specie di lettera aperta serve a spiegarvi i perché,
i chi e i come che stanno dietro a questo lavoro e ad altre
iniziative come questa. Sentivo il bisogno di raccontarvi tutto perché, in avanzata fase di realizzazione
di questa
iniziativa, ho avuto degli scazzi molto pesanti (e che ho vissuto malissimo) con un caro e vecchio amico e
compagno, che si è sentito in dovere di contestare tutta questa mia leggerezza politica nell'affrontare le
mie
iniziative. Mi ha detto che le mie scelte sono sbagliate, che creo degli spazi per gente che non ha niente a che
vedere col
circuito anarchico e antagonista e che anzi sfrutta le occasioni che offro per costruirsi una rispettabilità
politica
all'interno del circuito alternativo. Non solo, ha criticato i miei metodi "individualisti", visto che faccio tutto
da solo e non ho collegamenti politici
col Movimento (e sì che mi conosce bene, e sa delle mie storie e della mia situazione). Non contento, mi
ha
anticipato il boicottaggio di questa e delle mie altre iniziative. Almeno fino a quando non cambierò
metodi e
strategie (e dopo aver fatto pubblica autocritica, presumo...). Il Circuito, il Movimento, i Collegamenti?
Ecco, vedete: è qui che ho delle difficoltà a capire, è qui che davvero
perdo l'orientamento. E' qui che mi si prende di sorpresa. Ho dato un'occhiata tutt'attorno. Un'occhiata a me,
ai vari partecipanti, all'indirizzario di quelli che hanno
richiesto i vari dischi e cd, a tutti quelli che in questi anni mi hanno scritto, telefonato, parlato, incontrato. Bene,
i confini di questo "circuito", o meglio del Circuito con la c maiuscola di cui mi si parla, faccio davvero tanta
fatica a trovarli. Forse perché, alla leggera e senza dare uno spessore ideologico o una prospettiva
politica a queste iniziative, non
mi sono mai messo lì a cercarli, a segnarli, a pensarli. Sono partito da altre strade: mi sono ficcato
dentro a questi giri perché mi piacevano la gente, la musica e le parole
delle canzoni, perchè mi piaceva l'andazzo generale se volete. Mi piaceva l'idea di far girare della
musica e delle idee su e giù per un circuito assurdo e trasversale proprio
perchè spontaneo, del tutto casuale. Forse sarà anche vero: devo proprio aver sbagliato da
qualche parte. Forse ho sbagliato già dall'inizio. Ho fatto
tutto da solo, senza "collegamenti", fuori del "movimento" e, soprattutto, fuori dal Movimento.
E adesso? Devo sbaraccare? Andarmene? Scomparire del tutto? Dovrei
restituire i nastri a Gigi Masin e a Stephen James
perché la musica sperimentale del primo ed i virtuosismi del secondo mal si sposano con le
sonorità spigolose,
acide e pestone che esige la dura vita nelle trincee dell'antagonismo metropolitano? Oppure dovrei sospendere
i rapporti con Lalli, Stefano Giaccone e Pete Wright perché i gruppi storici in cui suonavano (militavano,
meglio)
non sono più attivi da anni? E i Crass, proprio loro, che hanno mandato oggi una registrazione fatta tredici
anni
fa? Archeologia? Vecchiume? Poveri hippes cinquantenni che non si rassegnano? Dovrei mandare affanculo
Linton Kwesi Johnson, Tony Coe, gli Stormy Six che hanno sì aderito con entusiasmo
ma che mi hanno chiesto di pagare i diritti fonomeccanici (la SIAE, per intenderci) per i loro pezzi? E sfanculare
Peeni Waali e Kalahari Surfers perché non vengono a suonare nei centri sociali, quando non ci vado
neanch'io? Perché dovrei entrare in queste logiche di spartizione fra buoni e cattivi, tra bravi
compagni e fottuti bastardi? Non
mi va, non me la sento. Non me la sento di giudicare nessuno, per questi motivi non me la sento di dire no a
nessuno. Sono convinto che i problemi su cui ci si deve confrontare siano ben altri, che il terreno della
discussione sia più
lontano, che le canzonette siano dei pretesti. Mi spiace immensamente che ci siano degli scazzi: sto male a
vedere che l'amicizia e la fraternità si vengono a
dissolvere come scoregge di fronte a mezz'ora di musica. Mi spiace che si arrivi a questo, mi spiace che si
prendano strade diverse e addirittura direzioni opposte, ma questa
è la vita e davvero non so che farci.
Bene, ho finito. Grazie per aver letto tutto, e soprattutto grazie a quelli che compreranno questo disco. Grazie
in
anticipo a tutti quelli che compreranno anche i prossimi: vorrei tanto riuscire a mandarne in porto degli altri, spero
di farcela magari col vostro aiuto. Grazie a tutti quelli che non mi hanno più visto, e che hanno capito.
Un abbraccio forte.
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