Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 237
giugno 1997


Rivista Anarchica Online

Mascolinità e guerra
di Andreas Steck

Senza negare che le strutture economiche e politiche sono una causa di guerra, un'analisi della mascolinità solleva alcune nuove domande per gli antimilitaristi

"Che stia combattendo per la Croazia, per la Bosnia, per la Serbia, per l'Indocina o l'Uzbekistan, in qualunque guerra, che sia liberatore o imperialista, il guerriero stupra le donne. Sente nella sua testa, nella sua pistola, nel suo organo sessuale che tutte le invenzioni della civiltà lo incoraggiano a farlo." Così scriveva la femminista belgradese Lepa Mladjenovic sul numero di marzo 1993 di Peace News. "Tutto ciò," continuava, "non ha nulla a che vedere con la ricreazione, se così la si può chiamare, ma è piuttosto la conferma del proprio potere e la soddisfazione di entrare a far parte del branco dei 'veri uomini'."
Per molti anni le femministe hanno richiamato l'attenzione sui legami tra la violenza maschile e la guerra. Queste analisi sono state spesso concentrate sulla violenza espressa verso le donne in tempo di guerra, ma questa è solo una parte di un disegno più ampio che comprende la violenza verso gli altri uomini e la violenza verso se stessi - la cosiddetta "triade della violenza degli uomini", che si lega alla costruzione sociale della mascolinità.
Cambiare i concetti di mascolinità
Sarebbe troppo facile insistere sul "guerriero" come personificazione della mascolinità. Sebbene questa sia un'immagine importante della mascolinità, è evidente che le immagini della mascolinità stanno cambiando, e questa è una conseguenza del cambiamento d'immagine della femminilità e del cambiamento delle domande economiche.
Innanzi tutto, la mascolinità non aveva mai avuto un'immagine unica, ma diverse, per quanto mai parimenti valutate. Solo alcuni uomini corrispondevano all'immagine "John Wayne" dell'uomo forte, atletico, potente e di successo, indipendente dagli altri. E la mascolinità ha sempre assunto forme differenti tra le classi media e lavoratrice, la popolazione rurale e la comunità degli affari. Ma per lungo tempo la mascolinità alla "John Wayne" (o dell'uomo Marlboro) è stata la cosiddetta "mascolinità egemonica", vale a dire, la forma di mascolinità più accreditata, e la sua espressione più appariscente era l'immagine del "guerriero" nell'epoca degli eserciti di massa e (forse) della coscrizione.
Ma i tempi sono cambiati. Non soltanto il movimento di liberazione delle donne ha parzialmente liberato le donne dagli stereotipi corrispondenti della femminilità, ma il vecchio disegno della mascolinità egemonica corrispondeva sempre meno alle domande dell'economia. L'immagine della rivalità, della competizione aperta e spesso violenta tra gli uomini, mal si accordava con le domande di un'economia altamente specializzata, nella quale è richiesta la cooperazione.
Tutto questo ha favorito l'incorporazione nel disegno della mascolinità egemonica di nuovi valori: oggi gli uomini dovrebbero essere almeno in parte collaborativi, dovrebbero preoccuparsi degli altri ed esprimere persino (alcuni) sentimenti. Questa mascolinità modificata è ancora sessista e omofoba; richiede ancora il successo (forse più che in passato) e il potere sugli altri, soprattutto sulle donne. Non è certamente solo una coincidenza che ciò risponda a un cambiamento dell'immagine dell'esercito, non più una primitiva forza di combattimento, ma una "forza di polizia" o "costruttore di pace" globale, altamente tecnologicizzato.
Entrambi i processi - il cambiamento della mascolinità e dell'esercito - sono ancora in corso, e, come sempre nei processi sociali, ci sono numerose contraddizioni. Ma così come l'esercito non diventerà mai un "movimento pacifista", la mascolinità non potrà mai esistere senza una qualche forma di patriarcato.
Mascolinità e antimilitarismo
Cosa significa questo per l'antimilitarismo? Appare ovvio che il rapporto tra mascolinità e guerra non può essere limitato allo stupro in tempo di guerra e al legame maschile nell'esercito. E' molto più profondamente radicato nel concetto di mascolinità.
Senza voler negare che le strutture politiche ed economiche sono una causa di guerra, un'analisi della mascolinità solleva alcune nuove domande per gli antimilitaristi, soprattutto se "siamo decisi a batterci per eliminare tutte le cause di guerra" (dichiarazione del WRI - War Resisters' International). Nel suo Thesis on Militarised Masculinity, Uli Wohland sostiene che "senza un ri-orientamento di vasta portata di tutto il lavoro pacifista e antimilitarista, delle iniziative e delle azioni di resistenza, finiamo per lavorare in sostegno di un'ossessione mascolina sciovinista e guerrafondaia."
Come primo passo, tale ri-orientamento deve comprendere il cambiamento delle strutture sessista e patriarcale in organizzazioni antimilitariste. Tutti noi sappiamo che le organizzazioni più antimilitariste sono dominate dagli uomini (e certamente il WRI non fa eccezione!), e operano secondo uno stile politico maschile. Le donne sono spesso responsabili dell'"ambiente interno" dei nostri gruppi, mentre gli uomini sono responsabili del lavoro pubblico. E se le donne diventano attiviste, non ci si aspetta forse che agiscano secondo i valori maschili? Non siamo noi stessi a incoraggiare nelle nostre organizzazioni il comportamento mascolino tradizionale, con lo "stakanovismo" e la soppressione dei bisogni individuali? (Nel mio caso è sicuramente così!)
Noi antimilitaristi, nelle nostre azioni non-violente e nell'immagine dei resistenti totali che sono "abbastanza forti" da affrontare la prigione e via dicendo (lo scrivo come resistente totale), continuiamo a riprodurre lo stereotipo di genere dell'"uomo forte e potente". Non intendo suggerire che queste azioni siano sbagliate in sé. Sono ancora necessarie e forse oggi più di sempre. Ma dal mio punto di vista, un'azione non-violenta dev'essere sempre indirizzata a tutte le forme di violenza: diretta, strutturale e culturale. Questo è molto difficile, non solo per gli uomini, ma particolarmente per loro, perché noi non stiamo soltanto interpretando un ruolo maschile, siamo espressione della nostra mascolinità costruita - anche se siamo eccentrici.
Riuscire a fare i conti con questo dato, sia come uomini sia come donne, è un compito di quelli che ti accompagnano tutta la vita. Ma un aspetto essenziale della lotta antimilitarista è di "rimuovere tutte la cause di guerra", e non di aggiungersi a esse. E' davvero giunta l'ora di includere la questione del genere nella nostra opera contro il militarismo!

(traduzione di
Stefano Viviani dal periodico pacifista inglese Peace News - novembre '96)