Rivista Anarchica Online
I nuovi lettori
di Filippo Trasatti
In un bel racconto di Erri De Luca, teso e scevro d'ogni sentimentalismo, un padre
morente cerca di riannodare
il filo tagliato del rapporto con il figlio, spiegandogli che cosa sono stati i libri per lui. Ovviamente non sono
d'accordo, ma ciò che li lega insieme, ancora per una volta, è la morte imminente, la scomparsa
della memoria
e quasi la necessità rabbiosa di afferrare ciò che resta. I libri, dice il padre, "sono l'unico posto
dove l'esperienza
che uno fa del mondo, trova le parole d'accompagnamento". Il padre indica cioè nell'esperienza della
lettura la
sua funzione di duplicazione del mondo e dell'esperienza, ma ancor più fa pensare a una sorta di
musica che
ci accompagna nella vita. Per fare una buona esperienza di lettura ci vogliono cioè l'esperienza del mondo,
una
certa capacità di ripiegamento riflessivo su di sé (che poi è la solitudine attenta e lucida),
e un buon orecchio. E'
esattamente ciò che ancora manca nell'età di formazione e che la scuola ha continuato in fondo
a minare. Non
servono a nulla le lamentazioni di convegni apocalittici e studiosi integrati sulla crisi del libro oggi. Sembra di
sentir risuonare da sempre nelle orecchie questi temi epocali: il libro sta per morire? E se un giorno si avverasse
la profezia di Fahrenheit 451? Se il libro stampato è una tecnologia umana, sorta in un certo momento
storico,
non dovrà anch'essa tramontare ed essere sostituita da altre tecnologie più "moderne"? Si
parla da anni di crisi del libro a causa dell'impatto delle nuove tecnologie. Forse proprio da questa crisi
abbiamo da imparar qualcosa. Oppure possiamo continuare a far finta di nulla come se i libri avessero ancora la
stessa funzione di 100 o 50 anni fa. La paura, degli insegnanti, degli educatori e degli editori, a parole anche
dei politici (anche se va ricordato sempre
il parere di Himmler sull'educazione dei polacchi: "Non ritengo indispensabile che imparino a leggere"; da tener
buona perché può tornar di moda), ma più in generale di tutte le persone che amano la
cultura è che il libro venga
spazzato via dalla televisione e dal computer, magari integrati e dunque ancor più potenti. I giovani, si
dice,
leggono sempre meno; ma a ben vedere non è vero: magari è più difficile trovare il
diciottenne che legga sua
sponte Thomas Mann, ma i cosiddetti giovani in generale leggono più di quel che non si dica. E leggono
praticamente senza nessun aiuto, forse leggono più contro e nonostante, che grazie a. D'altra parte chi si
assume,
ammesso che questo abbia senso, (e perché) il compito di proteggere la cultura del libro? La scuola? Gli
editori?
Il governo? A me sembra che più che il libro, stia già tramontando un modo particolare
d'approccio al libro che
chiamerei "scolastico", in riferimento alla scuola ma anche al metodo scolastico tardomedioevale. E' che non
regge più quel rapporto con il libro come autorità, perché semplicemente nel nostro
mondo esso ha cambiato
funzione. Provate a pensare che cosa ha significato (e significa) per voi il libro nell'età adolescenziale,
e com'è
cambiato nel corso del tempo il vostro rapporto con la lettura. E' cambiato e cambia non solo la tecnologia,
ma anche il modo di accostarsi al libro. Le storie della lettura ci
mostrano quanto diversi siano stati i modi di accostarsi alla lettura prima e dopo l'invenzione della forma-libro.
E' celebre il brano delle Confessioni in cui Agostino, in visita a S. Ambrogio, vescovo di Milano,
nota con stupore
che legge in silenzio: "I suoi occhi correvano sulle pagine e la mente ne penetrava il concetto, mentre la voce e
la lingua riposavano." L'uso della lettura silenziosa, diffusasi nei monasteri per rispettare il silenzio, divenne a
poco a poco una pratica corrente. La lettura è progressivamente disincarnata, perde il corpo e la voce e
diventa
puramente spirituale. Se questa è la direzione di sviluppo ci vorranno altri secoli, con notevoli
trasformazioni
tecnologiche ed etologiche, perché il nuovo modello arrivi effettivamente ad imporsi nell'epoca della
scolastica.
Ivan Illich ha illustrato magistralmente il rapporto tra corpo e lettura utilizzando il concetto di corporage. Per i
monaci la lettura impegnava ancora tutto il corpo, non soltanto gli occhi com'è per noi. Era un modo di
vivere
che li accompagnava per tutta la giornata. Sette volte al giorno erano riuniti insieme in chiesa a leggere e ad
ascoltare salmi e durante il lavoro la lettura veniva ruminata attraverso un continuo borbottio. Il testo sacro e i
suoi suoni costituivano per così dire la partitura di un'intera vita (Nella vigna del testo,
Cortina edizioni, Milano
1994). Nel Basso Medioevo, a cavallo tra XII e XIII secolo, epoca di pieno sviluppo del metodo scolastico,
avvengono altri mutamenti importanti. E' l'epoca in cui cominciano a circolare libri cartacei, seppur ancora
piuttosto fragili e rari. Illich (Conversazioni con Ivan Illich, Eleuthera, Milano 1992) ha visto in Ugo
da S.Vittore
a metà del XII secolo una sorta di spartiacque tra due modalità diverse di accostarsi al testo;
è nella sua epoca che
avvengono quei cambiamenti importanti nella percezione della pagina del testo, che costituiscono lo sfondo del
successivo mondo gutenberghiano in cui abbiamo imparato a vivere come se fosse naturale. Dopo Ugo da
S.Vittore si va perdendo quella coralità, quello spazio uditivo comune che erano lo sfondo della lettura
monastica.
Il lettore viene progressivamente a legarsi in un rapporto più stretto e chiuso con la pagina. "Dopo la
morte di
Ugo, il suono delle righe della pagina si spegne e la pagina diventa uno schermo per l'ordine voluto dalla mente."
E' questo modello gutemberghiano che forse non regge più o più correttamente, sta perdendo
rapidamente la
propria posizione dominante. Se per secoli il libro è stato un territorio ben conosciuto, praticato e dunque
assai
rassicurante, come una vera e propria casa, oggi stanno dissolvendosi i suoi confini, il suo carattere di recinto
chiuso. Lo si vede, ad esempio, in quel modello nuovo e ancora poco esplorato che è la forma ipertestuale.
L'ipertesto è un'opera aperta che offre al lettore una rete fondamentale che egli può percorrere
seguendo ogni
volta gli itinerari che gli sono più congeniali. Un rapporto più attivo, insomma. Le nuove
tecnologie forzano il
rapporto di lettura tradizionale, lo rimettono in discussione, ci spingono a leggere in modo diverso i libri. Questi,
da monoliti che erano, diventano macchine, che possono essere smontate e ricomposte. Da idoli, artefatti umani.
Infine, le metafore della "navigazione", offrono quel movimento che mancava alla lettura tradizionale. E' una
specie di reazione dei nomadi contro i sedentari. Forse non è del tutto casuale che si legga tanto in
movimento.
Chi viaggia spesso sa che la metropolitana, o i treni dei pendolari, anche alle ore più impossibili, sono
piene di
lettori accaniti che leggono di tutto: quotidiani, riviste, libri pocket, dispense universitarie. C'è qualcosa
di
particolare in questa lettura: quasi un'ebbrezza del leggere in movimento, lontani da casa, dalla biblioteca, dalle
voci note, nomadi metropolitani, cacciatori di storie. E' come una condizione di sospensione da terra durante la
quale possiamo lasciarci andare più liberamente al viaggio della lettura. Illich, con il suo consueto
acume, ci mostra un mondo, quello dei monaci, che risiedono nelle stesso luogo (poche
decine di metri quadrati) per tutta la vita, dunque sedentari al massimo grado, che hanno un rapporto con la lettura
ben più ricco del nostro, un rapporto in cui il corpo ha una parte essenziale. I nomadi di oggi, con il corpo
atrofizzato davanti allo schermo, sono alla ricerca di un nuovo rapporto con la lettura, corporeo in
contrapposizione all'immaterialità della parola elettronica, più vivo di quello con i testi canonici,
più mobile come
quello con le nuove tecnologie dell'elettronica.
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