Rivista Anarchica Online
Se siamo anarchici
Sul numero 240, novembre 1997, di "A Rivista Anarchica" ho letto una lunga lettera di
Alfredo Mazzucchelli
sulle vicende che hanno caratterizzato la vita di suo padre e sulle polemiche che le hanno accompagnate in campo
anarchico. A differenza di altri compagni non ho avuto la sorte di conoscere Ugo Mazzucchelli nè ho mai
partecipato alle polemiche a cui la lettera fa riferimento e, di conseguenza, ritengo di poter esprimere nel merito
della lettera stessa un parere non viziato da troppi preconcetti. L'argomento che sostiene lo scritto di Alfredo
Mazzucchelli mi sembra abbastanza chiaro: una cosa sarebbe
l'anarchismo come teoria politica generale ed un altra la concreta attività che gli anarchici conducono.
Da questa
tesi deriva la valutazione che, di fronte alle diverse questioni che ci troviamo ad affrontare, sarebbe più
libertario
regolarsi seguendo la regola del caso per caso che seguire ciecamente la teoria anarchica (sarebbe forse
più
corretto parlare di teorie anarchiche) come ci è stata tramandata. La tesi in questione è
effettivamente suggestiva, in quanto anarchici dovremmo disobbedire agli obblighi che
l'anarchismo ci imporrebbe. Va detto che, se il problema si ponesse in questi termini, Alfredo Mazzucchelli
avrebbe indubbiamente ragione. Non ritengo, però, che la via propostaci sia molto ricca di
potenzialità innovative
e questo per diversi motivi che cercherò di riassumere: - in primo luogo una teoria politica, e in
particolare quella anarchica che fa della sperimentazione un elemento
cardine della propria esistenza, non è una fede religiosa ma un assieme di convincimenti di carattere
generale che
pretendono di essere verificabili e criticabili razionalmente. Se la teoria non rende conto dei fatti che pretende di
spiegare, la teoria stessa è falsa e va abbandonata o, quantomeno, radicalmente corretta; - in altri
termini, se giungessimo alla conclusione che si deve difendere la repubblica italiana, che vi sono guerre
a cui è opportuno dare il nostro appoggio, che il parlamentarismo è una via utile per la difesa delle
libertà e dei
diritti delle classi subalterne ecc. non diremmo nulla di scandaloso ma dovremmo concludere che l'anarchismo
non ha alcuna ragion d'essere e potremmo, ad esempio, diventare dei democratici senza troppi problemi. Nei casi
in questione, infatti, non si porrebbero in discussione aspetti magari importanti ma non fondanti della tradizione
anarchica ma le sue stesse radici; - se restiamo anarchici è perché riteniamo, al contrario, che
non sia possibile affidare a coloro che detengono il
potere il compito di garantire i nostri interessi e le nostre libertà e che, per dirla in una forma vecchia ma
sempre
attuale, che l'emancipazione del proletariato sarà opera del proletariato stesso o non sarà. Ritengo
opportuno far
notare che l'Internazionale non affermò affatto che il proletariato si sarebbe necessariamente emancipato
ma che
si sarebbe emancipato solo se avesse operato in questa direzione. Si coglieva, di conseguenza, una
possibilità e
non una legge della storia che si sarebbe realizzata a prescindere dall'azione degli uomini e delle donne
coinvolti; - questa tesi, che ritengo assolutamente ragionevole, ha delle conseguenze altrettanto ragionevoli
dal punto di vista
della pratica politica come, per fare un solo esempio, la critica radicale del parlamentarismo. Questa critica si
traduce, di conseguenza, non nel fare dell'astensione elettorale un dogma e del voto un peccato, ma nello scegliere
le forme d'azione che possono favorire l'emancipazione delle classi subalterne e, sempre per riassumere in una
frase un'elaborazione secolare, l'azione diretta. Se qualcuno, poi, soffre per il fatto di non votare è
opportuno che
voti e, per parte mia, può votare tutti i giorni prima e dopo i pasti. Resta evidente che il movimento
anarchico,
in quanto soggetto politico, sociale e culturale, se facesse una scelta elettorale accetterebbe in pieno le regole
politiche che pretende di combattere; - se si passa, però, dal voto in generale al caso particolare del
voto di Ugo e Alfredo Mazzucchelli credo sia
opportuna un'ulteriore considerazione. Non mi risulta che alcun giornale abbia dedicato articoli al fatto, per fare
un esempio immaginario, che il ragionier Rebaudengo di Torino si è recato a votare e che ha votato per
il PPI.
Se si è parlato della scelta di votare da parte di alcune persone è perché si tratta di
individui noti come anarchici
che hanno fatto una scelta, diciamo così, bizzarra o, se si preferisce, anticonformista. La scelta
significativa non
è stata tanto quella di andare a votare quanto quella di farne un caso giornalistico. Non capisco allora
perché
Alfredo Mazzucchelli si stupisca del fatto che degli astensionisti abbiano criticato una scelta e, soprattutto, una
propaganda parlamentarista mentre si dovrebbe stupire, casomai, se fosse avvenuto il contrario. La stessa
considerazione vale per la difesa della repubblica, per la posizione internazionalista, ecc.. A questo proposito, mi
limito a far rilevare il fatto che non mi risulta che il popolo dell'Iraq sia stato liberato dalla tirannide che lo
opprimeva e che, per attribuire ai bombardamenti americani un obiettivo del genere, è necessaria una
fiducia nelle
democrazie occidentali che un democratico liberale di vecchia data, di norma, non ha affatto; - Alfredo
Mazzucchelli nella sua lettera pone l'accento su di un presunto purismo degli anarchici che non
vivrebbero i problemi della gente comune. Per la verità non ritengo che sia un nostro dovere il vivere
immersi
nel popolo, se qualcuno volesse e potesse darsi all'eremitaggio farebbe benissimo a farlo. Il fatto, però,
è che tutti
gli anarchici che conosco vivono normalmente, e senza che la cosa sia un problema, nell'ambito di ambienti non
anarchici, svolgono un'attività lavorativa di un qualche tipo, sono afflitti dai mali comuni alla
società, conducono delle lotte, se ci riescono, con altre persone che non sono, di norma, anarchiche,
ecc.. Certamente il movimento
anarchico ha un'influenza limitata nell'attuale situazione ma le ragioni di questo dato sono, a mio parere, di tipo
diverso da un presunto purismo. Certo, se appoggiassimo l'attuale ordine sociale, saremmo in maggioranza ma
sarebbe una maggioranza diversa da quella che desideriamo e, quindi, ci tocca restare in minoranza che ci piaccia
o meno. Se, poi, Mazzucchelli o altri vogliono porre l'accento sui difetti del movimento anarchico, hanno tutto
il diritto di farlo e io stesso sono convinto che ne abbia molti ma certo non potrà liberarsene
abbandonando
l'anarchismo stesso; - sulla questione del fascismo, infine, che molti siano convinti della necessità
di una pacificazione è cosa nota e,
per la verità, mi sembra che la discriminante antifascista sia stata abbandonata da molti che
dell'antifascismo
avevano fatto una bandiera, PDS in testa. Io credo che, in quanto rivoluzionari, noi siamo avversari del
capitalismo e dello stato e che, di conseguenza, più che pensare a cercare una pacificazione con i fascisti
dovremmo rompere la pace che ci viene imposta da tutti gli sfruttatori di destra e di sinistra. E, soprattutto,
dovremmo ricordare che, se un qualsiasi movimento di emancipazione sociale importante si svilupperà,
i fascisti
non li troveremo nelle osterie a bere pacificamente con noi ma nelle piazze e sui posti di lavoro a combatterci
così
come troveremo tutti i difensori di questa società. Non è dunque per odio cieco verso gli avversari
o per amor
della violenza che dobbiamo rifiutare ogni pacificazione con i nostri nemici ma per un salutare istinto di
sopravvivenza. Che, poi, non sia certo la violenza cieca o la ricerca dello scontro per lo scontro l'atteggiamento
che ci deve caratterizzare credo sia evidente ma non mi risulta che i nostri compagni coltivino simili
bestialità.
Cosimo Scarinzi (Torino)
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