Rivista Anarchica Online
Contro la tecnologia
Ho accolto con piacere l'intervento di Marco Cagnotti, pubblicato nel numero dello scorso
febbraio nello spazio
della sua stessa rubrica "Libera rete". Ciò perché, trattandosi di una rubrica di carattere
tecnico-pratico, rivolta
per lo più ad un pubblico interessato all'uso delle reti multimediali, considero positivamente che il
curatore abbia
scelto di uscire dagli schemi propri di quello spazio, per accettare il confronto con quanti si pongono criticamente
riguardo allo spazio, per accettare il confronto con quanti si pongono criticamente riguardo internet e, più
in
generale, alle nuove tecnologie. Aggiungerò che attendevo che sulle pagine di A potesse nascere un
dibattito
sull'argomento che, mi auguro, possa allargarsi e approfondirsi. Entrando nel merito, Marco Cagnotti mette in
guardia dagli estremismi, sia da parte degli adoratori del computer e di Internet, sia da parte degli antitecnologici
a oltranza. Il che mi lascia d'accordo, in via di principio, in quanto non sopporto gli assolutismi e I dictat da
qualsiasi parte provengano. Anche se non credo si possano ridurre senza problemi posizioni come quelle
cyberpunk a semplici mitizzazioni romantiche, o I variegati movimenti eco-alternativi, neopagani, neoluddisti,
o via discorrendo a soli sognatori bucolici. La realtà e le ragioni di ogni diversa posizione hanno radici
profonde,
che non vanno banalizzate. Per il resto il discorso di Marco è semplice e chiaro: la tecnologia in
sé è solo un mezzo e "l'essenziale è saper
scegliere il mezzo più adatto allo scopo che si vuole ottenere e al pubblico che si vuole raggiungere ".
Quindi il
fine dovrebbe regolare il mezzo, come ho avuto modo di sottolineare nel mio precedente intervento. Ma qui
Marco intende il mezzo come quello più adatto ad esempio a informare o a far circolare le proprie idee.
In tal
senso, è ovvio, Internet è adattissima, almeno entro i suoi limiti attuali in cui viene azzerato il
tempo o quasi e
i referenti sensoriali sono limitati a vista e udito; limiti che peraltro la ricerca sulla realtà virtuale sta
già
rapidamente colmando. Ma se consideriamo il mezzo anche come eticamente legato al fine che si vuole
raggiungere, qualche piccolo
problema in più, qualche dubbio, possiamo porcelo. E infatti anche Marco se lo pone, quando dice: "La
tecnologia
in sé non è né buona né cattiva. Dipende dall'uso che noi facciamo in essa.
Dipende soprattutto, se siamo noi a
usare lei o lei a usare noi". Pur adombrando questo dubbio, Marco però non lo dipana: parla
diffusamente di come possiamo usare la
tecnologia, ma tace di come essa possa usarci. Il discorso che io voglio sollevare è invece proprio questo.
Metto
in dubbio la presunta neutralità tecnologica: in che senso si considera neutro, cioè eticamente
irrilevante, il
computer, strumento che invece incide in un certo senso nella realtà di ogni giorno, trasformandoci,
modellandoci,
usandoci, forse. Un attimo, ma siamo noi stessi ad aver creato il computer, come potremmo essere usati da lui?
(Scusate il lui umanocentrico). Ci sono alcune caratteristiche intrinseche nella tecnologia, intesa almeno come
tecnologia dalla rivoluzione
industriale ad oggi, che ne fanno sempre più un soggetto anziché un oggetto nelle relazioni
umane. Cercando di essere sintetici: 1 - La tecnologia crea adattamento. L'uomo si adatta per natura
alle nuove invenzioni, sempre che non si senta snaturato da esse. L'esempio lampante
è quello delle etnie tribali che resistono all'invasione tecnologica, se riescono, perché sanno che
essa ha il potere
di annientare la loro cultura. Può darsi che questo effetto violento semplicemente non venga percepito
da noi,
uomini/ donne tecno del Primo Mondo o Secondo che sia, perché precedenti livelli tecnologici ci abbiano
preparati, in qualche modo desensibilizzandoci. Adattamenti tipici sono quelli della persona all'automobile,
con tutta la psicopatologia del caso e la tragedia
sommersa e normale delle morti sull'asfalto, l'inquinamento dell'aria e della mente e via dicendo; oppure quello
della gente alla televisione, che nella massa raggiunge livelli paradossali di coinvolgimento ed introiezione, che
sono gli stessi meccanismi ben noti ai pubblicitari. C'è già, soprattutto in America del nord,
un'ampia casistica
di casi di disturbi psichici derivati da un ossessivo uso del computer, che in determinati soggetti diventa quasi
esclusivo, divenendo quasi sostituzione della realtà. 2 - La tecnologia perpetua se stessa. Ogni nuova
invenzione ha sempre portato a degli adattamenti, però
soprattutto adesso gli adattamenti devono essere più veloci. È cambiato il ritmo. Ogni nuova
invenzione crea la
strada per la successiva, formandone i presupposti necessari. Così con tutte queste considerazioni non
voglio
negare l'importanza che, nel breve periodo, Internet non possa costituire un'occasione di scambio di idee a
distanza dagli aspetti anche positivi. Il problema che mi pongo è di cosa questo faccia parte e di dove ci
possa
portare. O ancora, di cosa ci deprivi. Così non possiamo fare a meno di nuove tecnologie che
rimedino ai limiti delle precedenti cui già abbiamo
adattato la nostra economia e la nostra cultura. Ciò è quanto porta al detto: il progresso
è inarrestabile. Non si possono fermare le macchine, ma non si può
neppure andare al minimo, di rallentare non se ne parli, si può giusto discutere se siano leciti dei limiti
all'accelerazione. 3 - La tecnologia tende ad essere sostitutiva della realtà. Ogni nuova tecnologia
ci ha sempre deprivato di qualcosa. La polvere da sparo ha tolto al cacciatore l'animalesca
tensione dell'arco che lo riavvicinava alla preda; la lampadina ha fatto le prove generali per la sostituzione della
luce solare. Pacificamente parliamo di luce naturale e artificiale, senza porci molti perché. Anche il
televisore di
casa emana luce, così come lo schermo del computer. Per quanti queste luci sono già oggi
sostitutive di quella
naturale? Tutti noi siamo deprivati sensorialmente, perché un palazzo ci occlude la vista sul mare, o
perché stiamo
troppo a lungo chiusi in edifici o macchine, il bambino riconosce le piante sullo schermo ma non le ha mai
incontrate. Pian piano la tecnologia può sostituire larghissime realtà, con rischi dittatoriali di tipo
orwelliano. Con questi spunti rischio forse di mettere troppa carne al fuoco, ma mi sforzo di riassumere i miei
pensieri. La tecnologia ci sta allontanando dalla natura. C'è chi sostiene che la catastrofe ecologica
sia già innescata e che
le innovazioni scientifiche tendano già a preparare un dopo vivibile, una sorta di "day after"
ipertecnologico, in
cui sia contenuto tutto il testamento della terra. Ma dalla natura ci siamo già allontanati: il processo
è circolare.
Che questo sia vissuto come male o come bene fa parte delle differenze umane, forse più di carattere che
di
opinione, così come dall'etica, che è comunque umana. È importante ammettere questo,
ma anche tenere conto
dello stretto rapporto fra scienza, tecnologia e potere, sia negli aspetti di produzione (automazione, manipolazione
genetica) che di che di controllo della comunicazione (se tutto passa attraverso la macchina è più
facile trovare
prima o poi il modo di controllarlo; oppure, proprio perché passa attraverso la macchina è solo
un punto già
previsto).
Carlo Bellisai (Capoterra - Ca)
Interessanti le osservazioni di Carlo, ma... manca la risposta a una domanda essenziale: che fare? È
evidente che
la rapida diffusione della tecnologia su larga scala pone problemi gravi. Resta tuttavia da decidere come risolverli.
Rifiutandola in blocco? Spostandosi a piedi invece che in automobile? Scrivendo a mano invece che con il
computer? Tornando ai segnali di fumo al posto di Internet? Ma non sono forse "tecnologia" anche le suole delle
scarpe, la penna a sfera e il fuoco che usiamo per produrre il fumo? Dove vogliamo porre il limite? E
perché
proprio lì e non un po' più indietro, o un po' più avanti? Che ci piaccia o no, è
in questo mondo tecnologizzato che ci tocca vivere e agire per diffondere il pensiero e la
pratica libertari. E il mondo va avanti per i fatti suoi, con il computer e la televisione, con le automobili e gli aerei,
con il telefono e la posta elettronica. Rinunciare ad usarli significa rinunciare alla possibilità di interagire
in
maniera costruttiva e proficua con persone e contesti che vadano al di là del quartiere in cui viviamo. Che,
onestamente, mi sembra un po' poco. Come anarchici, siamo sensibili allo stretto legame fra i mezzi e i fini.
Nessun mezzo è eticamente neutro. La sua
rilevanza etica sta nel mezzo stesso ma anche nell'uso che noi ne facciamo, nell'attenzione che manteniamo desta
nel servircene. Attenzione all'assuefazione e all'abitudine. Attenzione ai danni possibili a noi stessi e all'ambiente
che ci circonda. Attenzione alle rinunce e alle deprivazioni. I rischi che tu paventi sussistono, ma rinunciare alla
tecnologia tout court per evitarli è una soluzione che reca più danno che
giovamento. Specialmente se conserviamo sempre la consapevolezza sia di ciò che stiamo facendo
che del modo in cui lo
facciamo, dei mezzi che adoperiamo e dei loro limiti. I questo senso, e solo in questo, siamo noi che dobbiamo
usare la tecnologia, e non lei che deve usare noi. Per non dimenticare mai il nostro ruolo di artefici. Saluti
libertari...
Marco Cagnotti
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