Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Per la memoria di Silvio Ceccato
Il 2 dicembre dell'anno appena trascorso è morto Silvio Ceccato. Dal 1964 in avanti è stato
il mio Maestro, ho
avuto l'onore di lavorare sotto la sua direzione, prima, e di potermi intrattenere in amicizia con lui, poi. È
allora
comprensibile che io abbia fatto un minimo di attenzione a come i giornali hanno dato notizia della sua morte ed
a quel genere letterario, tutto particolare, che è il "coccodrillo", ovvero i necrologi preconfezionati in cui
si rende
conto di una vita intera che, da poco, se n'è andata. Innanzitutto, c'è da fare una
considerazione di ordine cronologico, sulla tempestività della notizia. Nei giornali
del giorno 3, neppure un cenno. Il giorno 4 ci arrivano "Il Corriere della Sera", "La Stampa" e "Repubblica". Il
giorno 5, "L'Unità" e "Il Giorno". "Il Sole 24 Ore" attende, ovviamente, l'inserto cultural-scientifico della
domenica 7, e "Il Corriere della Sera", sorprendentemente, il 28 dicembre. Sembrerebbe l'esito di un'ardua
dialettica: "Qui dicono che è morto Silvio Ceccato", "E chi è ?". Ed ecco, allora, la ricerca di uno
"specialista".
Il quale, non avendo mai letto le migliaia di pagine scritte da Ceccato e non potendosele leggere in poche ore,
improvvisa. A cominciare dalla data della morte: per Giorello ("Corriere") e per Bottazzini ("Il Sole") sarebbe
morto il giorno
3; altri, come De Falco ("Il Giorno") ricorrono a penose perifrasi oscure (del tipo "a poche ore dalla sua
scomparsa" - è un modo per autogiustificarsi nella disinformazione. Per proseguire sui modi con cui si
è cercato
di sintetizzare il suo pensiero o il suo apporto al mondo che ha vissuto. Già i titoli la dicono lunga: "Addio
a
Ceccato, il filosofo che cercava la felicità attraverso le macchine", "Morto Ceccato, papà della
cibernetica", "Ceccato, cibernetico per grandi e bambini", oppure "Ceccato e l'utopia dell'uomo-macchina") o
"Adamo II ha
perso il suo profeta". È vero che negli articoli si trova il peggio, ma è anche vero che, in questi
titoli,
stringatamente, questo peggio è ben rappresentato. L'affermazione relativa ad un Ceccato filosofo
può esser
fatta da due tipi di persone: da quelle che di suo non hanno letto alcun scritto pubblicato tra il 1949 e il 1996, e
da quelle che, deliberatamente, avrebbero voluto rivolgergli un insulto. La sua ghettizzazione nell' ambito della
cibernetica, invece, su qualche pretesto potrebbe basarsi. Infatti è sicuramente vero che Ceccato si
è occupato
anche di macchine - più sulla carta che in ferraglia - dal 1953 alla seconda metà degli anni
Sessanta: aveva idee
che potevano trovare applicazione parziale anche in quel campo e, fino a che ha trovato qualcuno che gli passasse
uno stipendio, in quel campo si è dato da fare. Con risultati teorici indubbiamente più consistenti
di quelli di tanti
celebrati colleghi. Adamo II non fu affatto una macchina intelligente in grado di riconoscere le forme degli
oggetti , come afferma Bottazzini scambiandolo per il cronista meccanico , ma fu, comunque, un marchingegno,
presentato a Milano nel 1956, che simulava la formazione di un numero limitatissimo di categorie mentali. Tanta
enfasi su questa quindicina d' anni, ignorando il quadro teorico complessivo elaborato da Ceccato prima durante
e dopo, non può non insospettire. E anche il tirare in ballo questi nostri anni che vedono i computer
battere a
scacchi i campioni umani e l' informazione correre libera su Internet , dicendo che tutto ciò in qualche
modo
gli renderebbe giustizia (Giorello), o il cadere nel ridicolo dichiarando che Ceccato fu il primo a parlare,
attraverso la televisione, di un oggetto chiamato computer (Calcagno) - detto di uno che ha scritto fino all' ultimo
con la macchina da scrivere e che il computer non sapeva nemmeno come accenderlo -, sembra perfettamente
funzionale alla scorciatoia che si è, collettivamente, si noti, deciso di prendere. Ciò ha
permesso che, al posto di Ceccato, si parlasse d'altro. Spettacolariz-zando la scienza (le macchine
intelligenti e scemenze del genere) e aggregando l' ignoto al noto - un procedimento che ha sempre il potere di
rassicurare. Così si è parlato soprattutto di Wiener e della sua
cibernetica, giungendo ad asserzioni palesemente
false ed in malafede come allorquando, nel tentativo di eludere e minimizzare il pensiero di Ceccato, Bottazzini
dichiara che Ceccato fu affascinato dalle teorie del matematico americano Norbert Wiener di cui sarebbe stato
uno dei primi e più entusiasti interpreti e divulgatori . Mentre chiunque abbia letto qualcosa di Ceccato
sa che a
Wiener Ceccato riserva critiche ferocissime, che contesta perfino la sua definizione della cibernetica (scienza del
controllo e della comunicazione nell'animale e nella macchina) e che, non a caso, ha sempre parlato della propria
come di una terza cibernetica (la seconda , per Ceccato, era la bionica, ovvero scienza dell' imitazione del
biologico) per distinguersi da Wiener. Quanto non si è travasato in cibernetica, si è buttato
in buontemponerie ("papà", "per grandi e bambini", "cercava
la felicità", "un pò stravagante", l'accento sulla sua voglia di scherzare e sull'ironia) - nell'innocuo,
insomma. Questo parlar d'altro da parte degli zelanti servitori del Potere e della sua Cultura, in realtà,
ha più di un
fondamento. Ceccato (e la Scuola Operativa Italiana cui ha dato origine - un'entità di cui nessun
coccodrillista
si è ricordato in alcun modo) ha lasciato due eredità intimamente connesse: un'analisi della
filosofia come
fenomeno storico - con relativa denuncia della sua intrinseca truffaldinità e della sua funzione di
subalternità al
Potere - ed una proposta di analisi dell' attività mentale - con relativo modello dei rapporti fra questa
attività e
il linguaggio. Le due eredità sono connesse perché, come mostra Ceccato, non si potrebbe
pervenire alla seconda
senza essersi sbarazzati della prima. Non si tratta di un lascito di poco conto. Hume, Berkeley e Kant ci sono
arrivati vicino, ma il fosso non l' hanno saltato. Marx, nonostante le buone intenzioni, è rimasto ancora
più
indietro e, nel nostro secolo, è stata tutta una gara - fra filosofi e scienziati sproloquianti - a chi arretrava
di più
(non a caso Alberoni, su Il Corriere della Sera del 5 gennaio, festeggiava il trionfo del bisogno di sacro, di
mistero, di magico e di trascendenza sulla dittatura della scienza in questo nostro finale di secolo). Queste
eredità, peraltro, sono da quasi cinquant' anni patrimonio di elaborazione della Scuola Operativa Italiana,
ma di
questa entità - che in quanto tale obbligherebbe a fare i conti con qualcosa di diverso da cibernetica e
buontemponerie - nessuno si è ricordato, secondo il romantico (e mistificatorio) modello esplicativo della
storia
delle idee che vorrebbe il singolo, isolato e geniale, produrre la scintilla in totale assenza e di terreno di coltura
e di altri protagonisti. Non sarebbe la prima volta che i coccodrilli finiscono con l' avere ragione - la storia
della nostra cultura è zeppa
di perfetti imbecilli e malintenzionati fatti passare dal regime del loro tempo per dotti sublimi e filantropi, a
dimostrazione indiretta di quante persone valide e perbene siano state fatte passare per inette e teppiste - ed
impostare così, fra il serio ed il faceto, la figura umana di Silvio Ceccato una volta per tutte, secondo
canoni
narrativi accomodanti. Farò ciò che potrò affinché ciò non accada, ma
si tratterà del consueto scontro impari
dall'esito scontato. Tuttavia, fino a che le carte originali (libri, saggi, articoli e relazioni a congressi) sono ancora
in giro, chi nutrisse amore per la cultura della sovversione e chi volesse davvero riconsiderare il mondo a partire
dal modo con cui se lo costituisce - avendo presente quanto questa consapevolezza possa tradursi nelle prime
mosse di ogni pratica della sovversione -, fa ancora in tempo a farsene un' idea in proprio.
P.s.: Silvio Ceccato è nato a Montecchio Maggiore (Vicenza) nel 1914.
Con Vittorio Somenzi e Giuseppe
Vaccarino, dal 1949 al 1965, ha fondato e diretto Methodos , una rivista internazionale dedicata,
prima, ai temi
del linguaggio e della logica, poi, alla cibernetica. Ha diretto il Centro di Cibernetica e di Attività
Linguistiche
dell' Università degli Studi di Milano. La sua critica radicale della filosofia è ben esposta
in Il Teocono o della
via che porta alla verità (in Methodos I, 1, 1949; poi, in edizione più
popolare in "Il Delatore" , 1, 1964 e, con
aggiunte, sotto il titolo Il gioco del teocono, edito da Scheiwiller, Milano 1971;
un'analisi critica delle prime due
edizioni è stata condotta da Carlo Oliva e dal sottoscritto in "Pensiero e Linguaggio in operazioni" , II,
7/8, 1971)
e ne Il linguaggio con la Tabella di Ceccatieff, libro introvabile pubblicato da Hermann,
a Parigi, nel 1951, ma
ristampato, con glosse dell' autore, in Un tecnico fra i filosofi, vol. II, edito da Marsilio,
a Padova, nel 1966. Una delle poche sintesi ben fatte del suo pensiero è La mente vista
da un cibernetico, pubblicato dalla Eri, a
Torino, nel 1972. Gli sviluppi più maturi del suo modello dei rapporti tra linguaggio e pensiero sono
riscontrabili
in Linguaggio consapevolezza pensiero, edito da Feltrinelli, a Milano, nel 1980 (scritto in collaborazione con
Bruna Zonta), e Il linguista inverosimile, edito da Mursia, a Milano, nel 1988 (scritto
in collaborazione con Carlo
Oliva). I suoi studi sull' estetica sono ripercorsi criticamente ne La fabbrica del bello,
edito da Rizzoli, a Milano,
nel 1987. La bibliografia generale dei suoi scritti è reperibile in Internet al seguente
indirizzo: www.geocities.com/athens/delphi/1460. Infine, immodestamente, rammento che del pensiero di
Ceccato e degli
sviluppi della Scuola Operativa Italiana mi sono occupato in numerosi saggi (perlopiù irreperibili, perfino
da me)
ed in due libri: L'individuazione e la designazione dell'attività mentale, edito
da Espansione, a Roma, nel
1994, e Scienza, storia, racconto e notizia, edito dalla Società Stampa Sportiva,
a Roma, nel 1996.
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