Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 28 nr. 243
marzo 1998


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Per la memoria di Silvio Ceccato

Il 2 dicembre dell'anno appena trascorso è morto Silvio Ceccato. Dal 1964 in avanti è stato il mio Maestro, ho avuto l'onore di lavorare sotto la sua direzione, prima, e di potermi intrattenere in amicizia con lui, poi. È allora comprensibile che io abbia fatto un minimo di attenzione a come i giornali hanno dato notizia della sua morte ed a quel genere letterario, tutto particolare, che è il "coccodrillo", ovvero i necrologi preconfezionati in cui si rende conto di una vita intera che, da poco, se n'è andata.
Innanzitutto, c'è da fare una considerazione di ordine cronologico, sulla tempestività della notizia. Nei giornali del giorno 3, neppure un cenno. Il giorno 4 ci arrivano "Il Corriere della Sera", "La Stampa" e "Repubblica". Il giorno 5, "L'Unità" e "Il Giorno". "Il Sole 24 Ore" attende, ovviamente, l'inserto cultural-scientifico della domenica 7, e "Il Corriere della Sera", sorprendentemente, il 28 dicembre. Sembrerebbe l'esito di un'ardua dialettica: "Qui dicono che è morto Silvio Ceccato", "E chi è ?". Ed ecco, allora, la ricerca di uno "specialista". Il quale, non avendo mai letto le migliaia di pagine scritte da Ceccato e non potendosele leggere in poche ore, improvvisa.
A cominciare dalla data della morte: per Giorello ("Corriere") e per Bottazzini ("Il Sole") sarebbe morto il giorno 3; altri, come De Falco ("Il Giorno") ricorrono a penose perifrasi oscure (del tipo "a poche ore dalla sua scomparsa" - è un modo per autogiustificarsi nella disinformazione. Per proseguire sui modi con cui si è cercato di sintetizzare il suo pensiero o il suo apporto al mondo che ha vissuto. Già i titoli la dicono lunga: "Addio a Ceccato, il filosofo che cercava la felicità attraverso le macchine", "Morto Ceccato, papà della cibernetica", "Ceccato, cibernetico per grandi e bambini", oppure "Ceccato e l'utopia dell'uomo-macchina") o "Adamo II ha perso il suo profeta". È vero che negli articoli si trova il peggio, ma è anche vero che, in questi titoli, stringatamente, questo peggio è ben rappresentato. L'affermazione relativa ad un Ceccato filosofo può esser fatta da due tipi di persone: da quelle che di suo non hanno letto alcun scritto pubblicato tra il 1949 e il 1996, e da quelle che, deliberatamente, avrebbero voluto rivolgergli un insulto. La sua ghettizzazione nell' ambito della cibernetica, invece, su qualche pretesto potrebbe basarsi. Infatti è sicuramente vero che Ceccato si è occupato anche di macchine - più sulla carta che in ferraglia - dal 1953 alla seconda metà degli anni Sessanta: aveva idee che potevano trovare applicazione parziale anche in quel campo e, fino a che ha trovato qualcuno che gli passasse uno stipendio, in quel campo si è dato da fare. Con risultati teorici indubbiamente più consistenti di quelli di tanti celebrati colleghi. Adamo II non fu affatto una macchina intelligente in grado di riconoscere le forme degli oggetti , come afferma Bottazzini scambiandolo per il cronista meccanico , ma fu, comunque, un marchingegno, presentato a Milano nel 1956, che simulava la formazione di un numero limitatissimo di categorie mentali. Tanta enfasi su questa quindicina d' anni, ignorando il quadro teorico complessivo elaborato da Ceccato prima durante e dopo, non può non insospettire. E anche il tirare in ballo questi nostri anni che vedono i computer battere a scacchi i campioni umani e l' informazione correre libera su Internet , dicendo che tutto ciò in qualche modo gli renderebbe giustizia (Giorello), o il cadere nel ridicolo dichiarando che Ceccato fu il primo a parlare, attraverso la televisione, di un oggetto chiamato computer (Calcagno) - detto di uno che ha scritto fino all' ultimo con la macchina da scrivere e che il computer non sapeva nemmeno come accenderlo -, sembra perfettamente funzionale alla scorciatoia che si è, collettivamente, si noti, deciso di prendere.
Ciò ha permesso che, al posto di Ceccato, si parlasse d'altro. Spettacolariz-zando la scienza (le macchine intelligenti e scemenze del genere) e aggregando l' ignoto al noto - un procedimento che ha sempre il potere di rassicurare. Così si è parlato soprattutto di Wiener e della sua cibernetica, giungendo ad asserzioni palesemente false ed in malafede come allorquando, nel tentativo di eludere e minimizzare il pensiero di Ceccato, Bottazzini dichiara che Ceccato fu affascinato dalle teorie del matematico americano Norbert Wiener di cui sarebbe stato uno dei primi e più entusiasti interpreti e divulgatori . Mentre chiunque abbia letto qualcosa di Ceccato sa che a Wiener Ceccato riserva critiche ferocissime, che contesta perfino la sua definizione della cibernetica (scienza del controllo e della comunicazione nell'animale e nella macchina) e che, non a caso, ha sempre parlato della propria come di una terza cibernetica (la seconda , per Ceccato, era la bionica, ovvero scienza dell' imitazione del biologico) per distinguersi da Wiener.
Quanto non si è travasato in cibernetica, si è buttato in buontemponerie ("papà", "per grandi e bambini", "cercava la felicità", "un pò stravagante", l'accento sulla sua voglia di scherzare e sull'ironia) - nell'innocuo, insomma.
Questo parlar d'altro da parte degli zelanti servitori del Potere e della sua Cultura, in realtà, ha più di un fondamento. Ceccato (e la Scuola Operativa Italiana cui ha dato origine - un'entità di cui nessun coccodrillista si è ricordato in alcun modo) ha lasciato due eredità intimamente connesse: un'analisi della filosofia come fenomeno storico - con relativa denuncia della sua intrinseca truffaldinità e della sua funzione di subalternità al Potere - ed una proposta di analisi dell' attività mentale - con relativo modello dei rapporti fra questa attività e il linguaggio. Le due eredità sono connesse perché, come mostra Ceccato, non si potrebbe pervenire alla seconda senza essersi sbarazzati della prima. Non si tratta di un lascito di poco conto. Hume, Berkeley e Kant ci sono arrivati vicino, ma il fosso non l' hanno saltato. Marx, nonostante le buone intenzioni, è rimasto ancora più indietro e, nel nostro secolo, è stata tutta una gara - fra filosofi e scienziati sproloquianti - a chi arretrava di più (non a caso Alberoni, su Il Corriere della Sera del 5 gennaio, festeggiava il trionfo del bisogno di sacro, di mistero, di magico e di trascendenza sulla dittatura della scienza in questo nostro finale di secolo). Queste eredità, peraltro, sono da quasi cinquant' anni patrimonio di elaborazione della Scuola Operativa Italiana, ma di questa entità - che in quanto tale obbligherebbe a fare i conti con qualcosa di diverso da cibernetica e buontemponerie - nessuno si è ricordato, secondo il romantico (e mistificatorio) modello esplicativo della storia delle idee che vorrebbe il singolo, isolato e geniale, produrre la scintilla in totale assenza e di terreno di coltura e di altri protagonisti.
Non sarebbe la prima volta che i coccodrilli finiscono con l' avere ragione - la storia della nostra cultura è zeppa di perfetti imbecilli e malintenzionati fatti passare dal regime del loro tempo per dotti sublimi e filantropi, a dimostrazione indiretta di quante persone valide e perbene siano state fatte passare per inette e teppiste - ed impostare così, fra il serio ed il faceto, la figura umana di Silvio Ceccato una volta per tutte, secondo canoni narrativi accomodanti. Farò ciò che potrò affinché ciò non accada, ma si tratterà del consueto scontro impari dall'esito scontato. Tuttavia, fino a che le carte originali (libri, saggi, articoli e relazioni a congressi) sono ancora in giro, chi nutrisse amore per la cultura della sovversione e chi volesse davvero riconsiderare il mondo a partire dal modo con cui se lo costituisce - avendo presente quanto questa consapevolezza possa tradursi nelle prime mosse di ogni pratica della sovversione -, fa ancora in tempo a farsene un' idea in proprio.

P.s.: Silvio Ceccato è nato a Montecchio Maggiore (Vicenza) nel 1914. Con Vittorio Somenzi e Giuseppe Vaccarino, dal 1949 al 1965, ha fondato e diretto Methodos , una rivista internazionale dedicata, prima, ai temi del linguaggio e della logica, poi, alla cibernetica. Ha diretto il Centro di Cibernetica e di Attività Linguistiche dell' Università degli Studi di Milano. La sua critica radicale della filosofia è ben esposta in Il Teocono o della via che porta alla verità (in Methodos I, 1, 1949; poi, in edizione più popolare in "Il Delatore" , 1, 1964 e, con aggiunte, sotto il titolo Il gioco del teocono, edito da Scheiwiller, Milano 1971; un'analisi critica delle prime due edizioni è stata condotta da Carlo Oliva e dal sottoscritto in "Pensiero e Linguaggio in operazioni" , II, 7/8, 1971) e ne Il linguaggio con la Tabella di Ceccatieff, libro introvabile pubblicato da Hermann, a Parigi, nel 1951, ma ristampato, con glosse dell' autore, in Un tecnico fra i filosofi, vol. II, edito da Marsilio, a Padova, nel 1966.
Una delle poche sintesi ben fatte del suo pensiero è La mente vista da un cibernetico, pubblicato dalla Eri, a Torino, nel 1972. Gli sviluppi più maturi del suo modello dei rapporti tra linguaggio e pensiero sono riscontrabili in Linguaggio consapevolezza pensiero, edito da Feltrinelli, a Milano, nel 1980 (scritto in collaborazione con Bruna Zonta), e Il linguista inverosimile, edito da Mursia, a Milano, nel 1988 (scritto in collaborazione con Carlo Oliva). I suoi studi sull' estetica sono ripercorsi criticamente ne La fabbrica del bello, edito da Rizzoli, a Milano, nel 1987. La bibliografia generale dei suoi scritti è reperibile in Internet al seguente indirizzo:
www.geocities.com/athens/delphi/1460. Infine, immodestamente, rammento che del pensiero di Ceccato e degli sviluppi della Scuola Operativa Italiana mi sono occupato in numerosi saggi (perlopiù irreperibili, perfino da me) ed in due libri: L'individuazione e la designazione dell'attività mentale, edito da Espansione, a Roma, nel 1994, e Scienza, storia, racconto e notizia, edito dalla Società Stampa Sportiva, a Roma, nel 1996.