Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 92
maggio 1981


Rivista Anarchica Online

Orwell - Tutti gli animali sono eguali, ma alcuni animali sono più eguali degli altri
di Jules Elisard / Giuseppe Aliverti

Iniziamo, con lo scritto su Orwell, una serie di articoli di carattere letterario-filosofico che hanno come unico denominatore la speranza - in chi scrive - di realizzare un'utopia. Quale?
Come tutte le utopie è più difficile descriverla che realizzarla, o, meglio, la difficoltà nel mettere in pratica ciò che la teoria intravvede, questa volta è capovolta, perché, sebbene sia impegnativo un onesto lavoro su di un determinato autore letterario che presenti venature libertarie, tuttavia non è impossibile. Ci vuole un bel Coraggio (una bella Faccia-di-bronzo) per mettersi in testa di affrontare (oggi!) l'Utopia dell'estetica anarchica!
Infatti la vera difficoltà si presenta allorquando - descritti, analizzati, interpretati alcuni autori - si cerca di formulare un "giudizio interpretativo" che caratterizzi una "lettura interessata" del personaggio, dell'argomento, della problematica e così via.
La tentazione è forte. Volersi cimentare con l'estetica anarchica è a dir poco affascinante e coinvolgente. Lei è lì, bella, profumata e seducente, pronta ad invitarti ad un giro di valzer su pagine e pagine di romanzi, saggi, poesie, su pitture, film, teatro. Ma con quale faccia avresti il coraggio di dirle: "Non so danzare". E allora ti butti in questo vorticoso giro con la stessa grazia di un elefante alle prese con il tutù.
"Profili libertari" è, per l'appunto, un grosso elefante con un trasparentissimo tutù alla vita che tra una piroette e un giro di vite cercherà di dimostrare le proprie dis-grazie. Ma cercando di allontanarci da questa compiaciuta similitudine simbolica vorremmo presentarvi il nostro metodo.
Non vi è niente di più artigianale del "nostro" metodo. Artigianale perché si verrà formando essenzialmente sull'esperienza acquisita dalla lettura critica dei testi, rifiutando aprioristicamente un criterio di giudizio estetico, nell'intento di rilevare - dov'è possibile - la capacità di giudizio critico che lo stesso autore dà di sé. Per questo fatto non ci stupiremmo se, alla fine di un ciclo di letture su diversi autori, dovessimo riscontrare ben poche similitudini estetiche capaci di caratterizzarsi in chiave libertaria. In fondo siamo sempre degli elefanti che danzano!
Di conseguenza, il metodo ha un criterio di scelta. Difficile è spiegarvi il come ed il perché verranno letti, ri-letti e discussi autori come Orwell, Camus, Tolstoj e altri ancora. Per alcuni, la scelta si spiega da sé, per altri è l'amore di chi scrive nel "leggerli" che li ha trascinati nel giro vorticoso di questo valzer.
Ma tradiremmo le nostre intenzioni se continuassimo in questi sproloqui di sapore formalistico-contenutistico,; preferiremmo essere giudicati più dal lavoro svolto che dalle buone, anzi ottime intenzioni. Un'ultima grazia rivolta ai ballerini di professione: perdonateci se, nel difficoltoso impegno di essere sensibili come libellule, dimostreremo tutta la nostra pesantezza. Siamo elefanti!

Bibliografia

Ecco la bibliografia degli scritti di George Orwell pubblicati in italiano:
Giorni in Birmania, Longanesi 1975;
La figlia del reverendo, Garzanti 1968;
Fiorirà l'aspidistria, Mondadori 1975;
Omaggio alla Catalogna, Il Saggiatore 1975;
Una boccata d'aria, Mondadori 1980;
La fattoria degli animali, Mondadori 1978;
1984, Mondadori 1980.
Scritti di Orwell sono pubblicati anche nell'antologia Tra sdegno e passione, a cura di E. Giachino, Rizzoli 1977.
Da segnalare anche la parte riguardante Orwell nel volume Utopia e totalitarismo di Franco Livorsi, Tirrenia Stampatori 1979.

Leggere George Orwell, per noi anarchici, è leggere "uno dei nostri". Poco importa se sia poi vero o no: è uno dei nostri! In questa chiave di lettura, che tenteremo di dare dell'autore e delle sue opere, di questo problema non si parlerà, anche se è bene sottolineare fin dall'inizio che Orwell non era e non è mai stato un anarchico. Il nostro interesse ed il nostro apprezzamento per questo autore stanno nella sua carica di umanità, in cui è riuscito a conciliare la verità con un profondo bisogno di libertà. E già questo non è poco per un genere umano, come quello degli intellettuali, che la bramosia della gloria, del tributo di apprezzamenti e dell'arroganza nel sentirsi diverso rendono costantemente in balia del potere, il quale è l'unico in grado di elargire tutto questo a buon mercato: la compravendita. Non diremo che Orwell non si è venduto al potere: diremo semplicemente che, se Orwell l'ha fatto, lo ha fatto con molta discrezione e senso della misura. Anche questo, nella miseria generale, può essere interpretato come un pregio. Ma Orwell non custodisce solo questo pregio; la fermezza con la quale ha voluto scrivere cose delle quali era meglio tacere e far finta di ignorare attestano in lui una profonda tensione verso la libertà ad ogni costo, ed in questo Orwell si è avvicinato al pensiero libertario: abbracciandolo, ma non sposandolo. Orwell concubino.
Scrittore contemporaneo, muore a 46 anni di tubercolosi. Era il gennaio del 1950; finalmente aveva ottenuto una profonda notorietà come scrittore e saggista grazie soprattutto ad un apologo esopiano, la nota Fattoria degli animali, che sebbene fosse stata boicottata da tutti gli editori inglesi nel 1943, quando l'alleanza fra Oriente e Occidente non poteva e non doveva essere incrinata anche a costo di falsificare la verità, fu pubblicata successivamente negli Stati uniti durante il '46 - quindi in piena guerra fredda - ed il Book of the month Club la scelse e ne smerciò mezzo milione di copie. Un successo insperato per uno scrittore che aveva dovuto affidarsi quasi sempre ad amici anarchici per poter vedere pubblicati i suoi scritti più interessanti ed amati; così avvenne per la citata Fattoria degli animali che vide la luce nel '44 grazie ad un tipografo anarchico, ma che per i modesti mezzi editoriali non riuscì a toccare il grande pubblico. Non fu però il solo libro ad essere boicottato da una "libertà di stampa" troppo simile alla nostra; il bellissimo Omaggio alla Catalogna, libro del '37 in cui venivano denunciati i compiti controrivoluzionari dei comunisti nella rivoluzione spagnola, nemmeno alla morte di Orwell, a dodici anni dalla pubblicazione, riuscì ad esaurire le 1500 copie della prima edizione. Ma chi era nella vita questo sconosciuto scrittore, questo signor Eric Arthur Blair che, come abbiamo detto, ricevette una qualche notorietà soltanto nei tre o quattro anni precedenti la sua dipartita?
La famiglia Blair economicamente era di modeste condizioni; suo padre lavorava come semplice funzionario nell'Amministrazione civile dell'India e dopo notevoli sforzi riuscì a racimolare la cifra necessaria per mandare in una prestigiosa Public School in Gran Bretagna il giovane Eric. I biografi attestano con compiacenza che il rapporto fra il ragazzo e l'istituzione educativa non fu certo dei migliori; racconto classico di un disadattato sociale che fin dai primi anni conosce sulla propria pelle la divisione del mondo in sfruttati e sfruttatori(!). Resta comunque il fatto che terminati gli studi in maniera poco brillante ed impossibilitato a continuarli per mancanza dell'ottenimento di una borsa per Oxford o per Cambridge, fece domanda di arruolamento nella polizia dell'Impero e chiese il trasferimento in Birmania.
Da questa triste esperienza, Orwell trasse lo spunto per un romanzo del '34, Giorni in Birmania, in cui viene analizzata con severa descrizione sociologica la forma dei rapporti che intercorrono fra il shaib bianco e i negri birmani. È uno spaccato fedele di una società in piena decomposizione, dove la comunità britannica dei colonialisti cerca, con i metodi più disumani e razzisti, di esercitare il potere su di una popolazione negra che, pur non essendo ancora capace di prendere coscienza della propria potenza e quindi di indirizzarla verso una progettualità rivoluzionaria chiaramente definita, non per questo accetta il dominio britannico, ma è costantemente alla ricerca di un moto insurrezionale che lo scalzi. Orwell sa di essere dalla parte dell'oppressore e sa di essere un oppressore. Figura di poliziotto "democratico" sui generis, non si dipinge in un quadro positivo, ma riflette sull'impossibilità di essere giusti quando, comprendendo in che direzione si trova la giustizia, ci si trova in quella opposta. Romanzo descrittivo, Giorni in Birmania non dimostra ancora la capacità dell'autore di superare l'analisi caricaturale dei personaggi per un'analisi psicologica di essi: purtuttavia rimane sempre una prova brillantemente superata rispetto alla fedeltà dell'analisi politica che, fin d'ora, e sebbene dall'altra parte della barricata, rimane lucida, nell'identificare e nel denunciare dove si annidano i germi dell'oppressione e dello sfruttamento. La vita del poliziotto per Eric durò cinque lunghi anni. Verso la fine del '27 riuscì ad anticipare una lunga licenza a causa del riacutizzarsi del suo male ai polmoni e, in questo frangente, una volta raggiunta Londra, diede le proprie dimissioni. Così, all'età di ventiquattro anni, si trovò senza conoscere un mestiere e senza lavoro, ma con un'idea fissa nel cervello: scrivere!
Sono anni tristi e miserevoli, anni che lo videro girare per l'Europa - e soprattutto per Parigi, allora capitale artistica del mondo - dove, a contatto con il sottoproletariato urbano, gli viene spontanea l'analogia fra i negri schiavizzati e i vagabondi dei dormitori pubblici. È una presa di coscienza che in ogni qual modo risente della propria condizione sociale; e per questa e da questa presa di coscienza non può che nascere una descrizione passionale, sentimentale ma al tempo stesso distaccata e non partecipata della vita misera del sottoproletariato inglese. Una sorta di neo-verismo, oseremmo definirlo, nel quale Orwell scopre un mondo, lo analizza, ne partecipa in quanto si cala in tutto e per tutto fra i sottoproletari fino a condividerne i dormitori pubblici le notti al fresco ed in galera, facendolo però ancor più sentire parte di un altro mondo. Da queste esperienze, da questa "calata" nella realtà dei barboni, pesca materiale per un successivo romanzo, La figlia del Reverendo, del 1935, in cui, a fianco del tema principale - la frustrazione causata da insoddisfazioni sessuali - trova spazio una descrizione analitica delle condizioni dei vagabondi, dei loro dormitori pubblici, delle loro raccolte stagionali di luppolo nel Kent, in una comprovata povertà, dove "la miseria si moltiplica", per dirla con Poe. Anche questo romanzo risente dell'impronta troppo caricaturale dei suoi personaggi: una figlia del reverendo oppressa dalla cultura religiosa e reazionaria del padre che la inibisce nei rapporti umani con le persone dell'altro sesso, ma non fino al punto di impedirle di conoscere un libertino socialista intento in tutti i modi a ricondurla sulla "cattiva strada". La trama del romanzo si snoda intorno ad una crisi d'identità del personaggio principale, permettendo così a Orwell di descrivere l'ambiente vittoriano di un'Inghilterra sedotta dal mito dell'Impero.
Gli anni che corrono fra il 1930 e il 1935, anni in cui egli è di nuovo in Inghilterra, ritrovano Eric alle prese con la triste quotidianità. Dei suoi primi scritti, pochissimi vedono la pubblicazione, e con questi introiti Eric non riesce a sbarcare il lunario, per cui è costretto a insegnare in scuole private, fare il precettore ad alcuni ragazzi ed assumere un impiego in una libreria. Sebbene, dunque, le condizioni di esistenza siano alquanto scoraggianti, Orwell non desiste dal coltivare la sua passione e, così, ai primi due romanzi se ne aggiunge un terzo, Fiorirà l'aspidistria, del 1936. L'aspidistria è un fiore grasso, simbolo delle povere case in cui vivono i proletari londinesi, un fiore che, come la miseria, è duro a morire. Come tutti i romanzi, Fiorirà l'aspidistria è autobiografico: narra la vicenda di un giovane scrittore che, ancora ignoto al pubblico, affronta una titanica lotta contro la povertà. In questa lotta, Gordon Comstock, il protagonista del libro, rifiuta ogni mediazione con il dio-denaro, pur essendo consapevole che questo rifiuto - che si materializza nell'offerta di un "buon posto di lavoro" - lo porterà ad abbracciare una miseria nera che si concretizza in un rifiuto a vivere. Romanzo "borghese", Fiorirà l'aspidistria è il meglio che Orwell abbia prodotto in questi suoi esordi di scrittore; la capacità d'introspezione psicologica lo conduce in questo romanzo a un'abbandono dell'aspetto caricaturale; acquista così una limpida freschezza lo svolgimento, rendendo piacevole la lettura. Per la prima volta, la "storia d'amore" in esso contenuta supera la melensa avventura d'appendice di un lui e di una lei, armonizzandosi con l'insieme del racconto e facendo di questa "storia d'amore" la vera trama, in cui il conflitto tra l'accettazione di una povertà non compromessa e la possibilità di condurre una tranquilla vita borghese all'ombra di un "buon posto" è il preambolo delle migliori opere su questo tema, centrale in Orwell.
Proprio in questo periodo, il suo editore, Victor Gollancz, non del tutto convinto delle capacità di scrittore dimostrate da Orwell, fondato il Left Book Club, incarica il nostro Eric di compiere un lavoro d'inchiesta sulle condizioni dei minatori occupati e disoccupati, dandogli in anticipo la somma di 500 sterline. Questo nuovo lavoro lo impegna a fondo e la nuova "calata" tra i poveri lo mette in contatto, per la prima volta, con il proletariato. La differenza a Eric balena subito agli occhi: lo sfruttamento massacrante cui vengono sottoposti i minatori, provoca in lui una presa di coscienza che lo porta, per la prima volta, a schierarsi a fianco del proletariato nella dura lotta di classe e a intravvedere tra i suoi compiti di scrittore l'impegno di divulgare le idee socialiste. È ancora in questo frangente che Eric si accorge di come i sindacati, preposti alla tutela degli interessi dei minatori, svolgano invece un ruolo normalizzatore all'interno del ciclo produttivo legittimando di fatto, nonostante le severe denunce, lo sfruttamento e la divisione in classi di questa società. Questa esperienza fra i minatori e il ruolo che i sindacati e il partito laburista svolgono all'interno della lotta di classe, lo convincono su quanto ci sia di vero e provato nella convinzione da lui stesso sperimentata e mai più dimenticata: "Ogni ideologia rivoluzionaria deriva parte della sua forza dalla segreta convinzione che nulla potrà mai venire mutato"!
Corrono i fatidici anni del '36. La situazione mondiale non è rosea, e la paura della Germania nazista, sempre più pericolosa ed aggressiva a poco meno di tre anni dal putsch hitleriano, fa stringere ulteriormente le file degli oppositori del fascismo. In Italia Mussolini e il suo apparato amministrativo raggiungono una relativa tranquillità: istituito il confino per i prigionieri politici, superata la fase critica del '24, legiferate tutta una serie di norme che minano qualsiasi libertà d'espressione e di rivendicazioni sociali, per gli antifascisti non resta che l'esilio e l'impegno oltreconfine nella rivoluzione spagnola. La Francia, nonostante il successo del Fronte Popolare di Leon Blum, di fatto non si trova in una situazione alquanto democratica, e la scelta del partito comunista francese di appoggiare il Fronte sa troppo di un diktat sovietico per mantenere in funzione conservatrice dei solidi contatti col capitalismo francese più che una vera e propria adesione alla linea "trasformista" di Blum. Ma il '36 è anche l'anno della rivoluzione spagnola e della speranza per milioni di uomini e di donne di poter finalmente costruire una società di liberi ed uguali nella quale l'azione diretta, l'autogestione, il federalismo possano finalmente venire applicati. Il popolo in armi contro il golpe franchista ricevette, fin dal primo momento, un profondo attestato di solidarietà da parte di tutti gli sfruttati del mondo; la posta in gioco dichiarata sul tavolo spagnolo era ben più alta della lotta contro Franco: era una rivoluzione sociale!
Eric parte in dicembre alla volta di Barcellona, con l'intento di tracciare, in una serie di articoli, il quadro della situazione spagnola; ma, una volta giuntovi, ne viene subito attratto e, accantonato il primo scopo, ne abbraccia uno più grandioso: la difesa della libertà a fianco dei rivoluzionari. Fin dalle prime pagine del suo romanzo "storico", Omaggio alla Catalogna, si penetra a fondo nel clima emotivo creato dei sentimenti che inondarono Eric una volta giunto a Barcellona. L'atmosfera di solidarietà dei giorni di luglio, la simpatia, la serenità che tranquillamente circolavano per le strade di una città che, sebbene insorta, era ben lungi dall'esimersi dal fuoco franchista, trasformarono Eric da un cronista "imparziale" ad un militante convinto della rivoluzione. Ecco come, fin dalle prime battute del romanzo, Orwell ci trasmette la sua adesione all'atmosfera rivoluzionaria di Barcellona: La città aveva un aspetto disordinato e squallido, strade e palazzi avevano bisogno di riparazioni, le vie, nottetempo, erano oscurate per il pericolo d'incursioni aeree, i negozi in gran parte miseri e sprovveduti. La carne scarseggiava e il latte era praticamente introvabile, difettavano carbone, zucchero e farina, e c'era una grande penuria di pane.... Tuttavia, da quello che si poteva giudicare, il popolo era soddisfatto e pieno di speranze. Non c'era disoccupazione e il costo della vita era ancora estremamente basso; si vedevano pochissime persone palesemente ridotte alla vera miseria e non c'erano neppure accattoni, ad eccezione degli zingari. Soprattutto, si sentiva nell'aria una gran fiducia nella rivoluzione e nel futuro, l'impressione di essere improvvisamente immersi in un'era di uguaglianza e di libertà.
Abbiamo riportato una così lunga citazione di Omaggio alla Catalogna perché in questa mezza paginetta s'intravvede lo "stile" che accompagnerà la descrizione di una Catalogna insorta in tutte le 180 pagine del libro: niente è romanzato, non vi sono né i buoni, né i cattivi. Certo: Orwell desidera, anzi vuole che la rivoluzione spagnola vinca sulle truppe franchiste, perché è portatrice di uguaglianza e libertà rispetto alla barbarie del Caudillo; ma comprende che gli scarafaggi, i pidocchi, i topi, la sporcizia sono elementi comuni ad entrambe le trincee, anche se indubbiamente è più facile sopportarli quando si sa di dover combatterli solo per sé stessi, per i propri bisogni, i propri desideri e non per un qualsiasi potere. Le numerose pagine di descrizione della guerra in trincea, o meglio, della non-guerra sul fronte aragonese, possono sembrare per un "soldatino della rivoluzione" le più melense e noiose di tutto il libro: a noi invece sono apparse le più vere e più vive perché capaci di descrivere l'orrore per la guerra, qualsiasi guerra, nella sua lurida quotidianità fatta di fango e di noia. Non siamo pacifisti: sappiamo di dover combattere per raggiunger le condizioni possibili per una società libera e libertaria, ma sappiamo, e lo sappiamo grazie anche ad Orwell, quanto sia noioso combattere!
A Barcellona Eric risiede nella caserma Lenin, dove si trova il comando generale del POUM, e dopo una sommaria esercitazione con "fucili Mauser del 1896" viene spedito con le milizie del partito sul fronte aragonese e da lì dopo due mesi sul fronte di Huesca. Il perché Eric abbia militato fra i marxisti del POUM è un fatto più casuale che non una scelta politica; certamente l'essere intervenuto nella rivoluzione spagnola per conto della sinistra indipendente del partito laburista ha fatto sì che egli militasse tra i "trotskjsti" ma come ebbe a scrivere in privato ad un suo amico Jack Common (nell'ottobre '37): Se avessi capito un po' meglio la situazione, probabilmente mi sarei unito agli anarchici. Del resto, anche in Omaggio alla Catalogna egli non nasconde le proprie simpatie: Per quanto contassero le mie preferenze, puramente personali, avrei voluto unirmi agli anarchici.
Oltre al primo impatto con una situazione rivoluzionaria della retrovia, Eric non ne ebbe altri, se non il brevissimo periodo di ritorno immediato dal fronte perché ferito in modo serio in prossimità della carotide, quando ebbe appena il tempo di accorgersi che a Barcellona per i militanti del POUM e gli anarchici erano iniziate le purghe staliniste. Cosicché la vita di Eric era una vita al fronte dove le lotte politiche erano mediate dal fatto di trovarsi in una "fossa comune". Il fronte aragonese non era un fronte difficile e le milizie del POUM avevano per di più il compito di coprire le azioni improvvise dei "cenetisti" a Saragozza; per esplicita ammissione, Eric nel giro delle prime tre settimane non ebbe modo di sparare un colpo, anche se l'efficiente meccanica dei fucili sputava pallottole appena il calcio riceveva un urto nel semplice atto di deporlo. Il pericolo non consisteva nei franchisti, ma nelle proprie armi che scoppiavano in mano cosicché veniva da chiedersi se il fortunato era colui che possedeva un'arma o chi non l'aveva! Non avevamo né elmetti né baionette, ben poche rivoltelle o pistole, e non più di una bomba a mano ogni cinque dieci uomini. La bomba in uso a quei tempi era un terribile oggetto noto come "bomba FAI", essendo fabbricata dagli anarchici allo scoppio della guerra. Costruita sul principio della bomba Mills, la leva era tenuta abbassata non da una sicura, ma da un pezzo di nastro adesivo. Si strappava il nastro e ci si liberava della bomba alla massima velocità. Si diceva di queste bombe che erano "imparziali": uccidevano l'uomo contro cui venivano lanciate e l'uomo che le scagliava. Particolare non indifferente: in Spagna non si giocava, si moriva!
Come abbiamo detto, Eric in Catalogna restò principalmente al fronte ed un'idea di cosa stava effettivamente accadendo nella Generalidad ed al governo potè averla soltanto dopo che fu ritornato a Londra. L'assurdità della lotta intestina fra anarchici e comunisti, fin dal primo istante, doveva sembrargli stupida e suicida; ma questa opinione mutò quando, in quei brevissimi giorni di convalescenza a Barcellona, capì che l'atmosfera era del tutto cambiata. La militarizzazione delle milizie era una manovra bolscevica per togliere la possibilità effettiva agli anarchici ed ai trotskisti di salvare la rivoluzione dalle manovre di un governo borghese che, fin dall'ottobre del '36, della rivoluzione sociale non voleva più sentirne parlare.
Allo scopo di frenare ogni tendenza rivoluzionaria e rendere la guerra la più somigliante possibile a qualunque altra guerra, si rese necessario gettare a mare le opportunità strategiche che si offrivano.... C'è ben poco dubbio che le armi fossero deliberatamente non distribuite affinché non ne andassero a finire troppe nelle mani degli anarchici, che le avrebbero poi usate a scopo rivoluzionario; per conseguenza, la grande offensiva d'Aragone, che avrebbe dovuto scacciare Franco da Bilbao, e fors'anche da Madrid, non fu mai sferrata.... Forse lo slogan del POUM e degli anarchici "la guerra e la rivoluzione sono inseparabili" era meno campato in aria di quel che possa sembrare.
Di quello che effettivamente successe fra il '36 ed il '39, la cocente sconfitta della Rivoluzione Sociale, ne attesta l'unica e sola verità. Nella storiografia ufficiale, essendo la verità contrabbandata con il Potere, nulla è rimasto di reale, a tal punto che i rivoluzionari, quelli che fin dall'inizio dichiararono di combattere non per una guerra, bensì per la rivoluzione, sono stati fatti passare come controrivoluzionari ed addirittura fascisti. In questa storia Eric dovette imbattersi e pagarne duramente le spese, perché ebbe il coraggio di denunciare i veri nemici della rivoluzione: Franco e Stalin, a tal punto da essere boicottato dal suo editore, Victor Gollancz, e da uno dei suoi redattori, Kingsley Martin, del "New Statesman". Così Orwell si ritrova da solo a difendere le cause di una Rivoluzione Sociale e di tutti quelli che per essa sono morti, sotterrati dalle menzogne e dalla propaganda imposta da Mosca che gli intellettuali di sinistra, quei Pansy Left, come lui li chiama, spudoratamente ostentavano.
Gli anni successivi al ritorno dalla Catalogna sono anni difficili, soprattutto per l'acutizzarsi della malattia ai polmoni; le precarie condizioni di vita in trincea e la ferita lì riportata minano le fibre del suo organismo a tal punto che è costretto, proprio per ragioni di salute, a migrare in un paese caldo: il Marocco. Qui, in una relativa tranquillità, ma sempre all'ombra del male, riesce a portare a termine il romanzo Una boccata d'aria (1939) che, essendo stato steso proprio alla vigilia del secondo conflitto mondiale, assume anzitutto il carattere di divulgatore delle idee pacifiste di Orwell. Il racconto, proprio perché tenta di esprimere delle considerazioni generali sulla guerra ed in particolare modo riguardo il periodo prebellico, si astiene dall'inserirsi nei conflitti di classe, preferendo un'analisi, allora di moda, del man in the street, dell'uomo della strada. Ma queste prese di posizione in favore del non intervento durano molto poco, e, verso la fine del '39, in Eric si risveglia la nuova fase del "patriottismo" e del giusto intervento in guerra. Come nella fase in cui Orwell si era dichiarato a favore del movimento contro la guerra mantenne solidi e proficui contatti con il movimento anarchico inglese e le sue pubblicazioni, così la "svolta interventista" segnò il periodo più glaciale dei rapporti con il nostro movimento.
Proprio dalla fine del '39 si può dire che Eric dichiarò guerra agli anarchici, in quanto solo loro, con alcuni marxisti rivoluzionari, si erano opposti al conflitto mondiale e al rigurgito neopatriottico che allora avvolse l'Inghilterra e contaminò lo stesso Orwell. Intruppato dallo spirito di difensore della patria, non esitò a considerare gli anarchici come "oggettivamente favorevoli al fascismo", lo stesso giudizio che all'indomani della rivoluzione spagnola i comunisti avevano rivolto contro gli anarchici e che aveva visto in Eric un acerrimo nemico. Ed in questa presa di posizione, contraddittoria soprattutto rispetto alla propria esperienza di militante per la libertà e la verità, Orwell si mantenne fino agli ultimi giorni della sua vita in una polemica peraltro sincera e amichevole contro l'anarchismo e gli anarchici; molti dei suoi attacchi al movimento erano infondati e superficiali, altri avevano invece il pregio di mettere in questione tutta una serie di problematiche che soltanto l'occhio smaliziato di Eric riusciva a porre. Con una serie di saggi critici su autori inglesi come Swift - l'autore dei Viaggi di Gulliver - cerca di risolvere lo spinoso problema fra la libertà e l'organizzazione in una società anarchica; riflettendo appunto sulla quarta parte dei Viaggi di Gulliver, afferma che lo scrittore ha voluto fare il ritratto di una società anarchica non governata da una legge come di solito questa è intesa, ma da comandi-dettami della "Ragione". Ma cos'è questa "Ragione" - e i suoi comandi-dettami - se non una tendenza totalitaria che è implicita nella visione anarchica o pacifista della società? E continuando: In una società dove non sussiste alcuna legge e, in teoria, alcuna costrizione, l'unico giudice del comportamento è la pubblica opinione. Ma la pubblica opinione, per il tremendo, imperioso bisogno di irreggimentarsi in un gregge di pecore, è meno tollerante di qualsiasi sistema legislativo. Quando gli esseri umani sono governati dal "Non Fare...", l'individuo può permettersi una qualche originalità, ma quando è governato, supponiamo, dall'"Amore" o dalla "Ragione", egli è sottoposto a continue pressioni affinché regoli il suo comportamento ed i suoi pensieri in esatta conformità a quelli degli altri. Certamente non è un problema da poco, e non si può risolverlo con l'insufficiente affermazione che in una società liberata dallo sfruttamento e dall'oppressione, in pratica solo nell'Anarchia, la volontà di ogni singolo coinciderà con la volontà della collettività, perché, da anarchici, crediamo che non lo sia proprio. È vero: la massima libertà può esprimersi nella peggiore delle costrizioni, in quanto questa libertà può essere intesa come "obbligo ad essere liberi avendo libertà"! Ma poiché crediamo che l'Anarchismo non si limiti nell'avere libertà di giudizio, ma soprattutto consista nell'essere nella libertà di potere / dovere compiere una scelta, o, in altre parole, in quanto siamo convinti che l'Anarchismo non sia un fattore ideologico, bensì metodologico dell'essere liberi nella libertà, le osservazioni di Orwell ci convincono ancor di più e hanno uno sprone affinché la nostra prassi metodologica che tende ad unificare i mezzi dell'anarchismo con la finalità dell'anarchia siano un valido antidoto contro qualsiasi ideologia della "libertà"!
Sebbene, come abbiamo detto, il periodo che va dal '39 fino agli ultimi anni della sua vita sia stato un periodo involutivo per il pensiero di Eric, involutivo in quanto la sfumatura libertaria, che da sempre contrassegnava il suo socialismo, è andata via via degradandosi ulteriormente fino ad assumere tonalità liberali, come appunto la difesa del patriottismo, motore immobile della coscienza del popoli inglese, purtuttavia la produzione letteraria di George Orwell, acquistando una forma ed uno stile sempre più perfetti, assume connotazioni chiaramente libertarie ed antitotalitarie. È il decennio in cui esplode la piena maturità di scrittore provato, con La fattoria degli animali (1943) e con l'ultimo romanzo, di genere fanta-politico, 1984 (1948). Delle vicende riguardanti la pubblicazione dell'opera esopiana di Orwell abbiamo già scritto in apertura; il particolare interesse che un'opera come La Fattoria degli animali suscita in chi la legge è principalmente dovuto all'immediata freschezza di analisi e di contenuto politico con la quale si presenta al lettore. Satira politica del regime totalitario sovietico, questa "favola" ha il pregio ed il gusto di prendere come pretesto il singolare (l'organizzazione burocratica del potere bolscevico) per affermare il molteplice, ovvero la convinzione che qualsiasi organizzazione sociale - che sia frutto della rivoluzione, oppure frutto di "rapporti naturali" - basantesi sull'autorità e la gerarchia è costretta a divenire una società fondata sulla menzogna e sulla schiavitù.
L'ordito del racconto è semplicissimo, quasi didattico, nel senso che cerca di trarre insegnamento da una tristissima esperienza, la rivoluzione d'ottobre, per dimostrare le inevitabili conseguenze della delega da parte degli sfruttati dei propri interessi-desideri ad un qualsiasi Potere del Partito. Nella presa del potere della Fattoria Jones si assiste alla parodia della presa di potere in Russia nell'ottobre del '17; Orwell descrive l'insurrezione degli animali (proletariato) come necessità primaria di libertà dall'oppressione e dallo sfruttamento degli uomini (capitalismo). Non tradendo il suo spirito socialista, Eric tende a ricollegare la giusta insurrezione al pensiero ideologico marxista-leninista che nel racconto è rappresentato dal sogno del Vecchio Maggiore (Marx) all'inizio del primo capitolo. Senonché già in questo "sogno" c'è un preciso avvertimento contro la logica conseguenza del marxismo-leniniano: E ricordate che nel combattere l'uomo non dobbiamo venirgli ad assomigliare. Anche quando l'avrete distrutto, non adottate i suoi vizi. Nessun animale vada mai a vivere in una casa, o dorma in un letto, o vesta panni, o beva alcolici, o fumi tabacco, o maneggi denaro, o faccia commercio. Tutte le abitudini dell'uomo sono malvagie. E soprattutto nessun animale divenga tiranno ai suoi simili. Deboli e forti, intelligenti o sciocchi, siamo tutti fratelli. Mai un animale uccida un altro animale. Tutti gli animali sono uguali.
A prescindere da qualsiasi critica in merito al contenuto moralistico del sogno del Vecchio Maggiore, fin dall'inizio si nota come Orwell precisi che la propria critica alla Rivoluzione non è una critica reazionaria, ma una critica che, denunciando i soprusi del capitalismo, avverte pure che ogni degenerazione del socialismo in chiave leninista conduce ad un mondo privatistico fondato di nuovo sulla miseria dei più e sulla ricchezza per pochi. La freschezza del racconto ci suggerisce l'impossibilità di farne un riassunto capace di esaltarne la bellezza nel leggerlo; il nostro intento sarà invece rivolto a cercare di analizzare brevemente i personaggi più emblematici di questa favola.
Come abbiamo visto, il Vecchio Maggiore rappresenta la buon anima di Carlo Marx che, giunto alla soglia della sua vita e della sua stupidità, muore lasciando in eredità i precetti dell'animalismo (comunismo). Riguardo al fatto che anche il Vecchio Maggiore sia raffigurato nelle sembianze di un porco, così come anche gli altri esponenti di partito dell'animalismo, lasciamo a voi ogni dovuta interpretazione ed ogni commento del fatto. Di questi maiali, tre risaltano per la voluta somiglianza con i veri maiali di storica memoria: Palladineve (Trotskij), Napoleone (Stalin) e Clarinetto, raffigurazione del fedele burocrate di Partito impegnato nell'indottrinamento degli animali. La lotta all'interno del potere fra questi due Maiali, Palladineve e Napoleone, è la fedele trascrizione in chiave satirica della lotta che contrappose Stalin a Trotskij fra il 1924 ed il 1927; nessuna parte del racconto è un'alterazione di ciò che avvenne realmente fra questi due porci, ma la fedele trascrizione dei motivi e del significato che condussero la Russia sovietica da una dittatura sul proletariato... ad una dittatura sul proletariato.
Gondrano e Berta, i due cavalli, rappresentano invece la base del partito bolscevico; la loro generosità per la Rivoluzione è vissuta nella sua forma più commovente e fedele, tradotta brillantemente da Orwell nel motto di Gondrano "Lavorerò di più!". Questo vero rivoluzionario pronto a sacrificarsi per gli ideali dell'animalismo, il militante rivoluzionario che ha delegato il Partito a pensare per lui, l'operaio capace della più grande abnegazione, una volta risultato incapace di continuare da vivo la sua funzione di carne da macello, lo diventa anche da morto, portato via su un furgone del macellaio sotto la spudorata finzione ideologica di trasportarlo in un ospedale per le dovute cure. È questa una delle pagine più belle del libro di Orwell, quando gli animali, accortisi di quanto sta realmente succedendo a Gondrano, fanno ogni possibile sforzo per liberarlo e lo incitano disperatamente a liberarsi. Ma per Gondrano la Rivoluzione è ormai finita! Di tutti gli animali della Fattoria, l'asino Benjamin rappresenta colui che fin dal primo momento ha intuito e in seguito compreso grazie alla sua presa di coscienza come la loro rivoluzione fosse stata tradita, anzi fosse servita per l'instaurazione di un nuovo potere: il potere burocratico. Merita, a questo proposito, lasciare al suo autore la descrizione di questo meraviglioso personaggio:
Benjamin era la bestia più vecchia della fattoria e la più bisbetica. Parlava raramente, e quando apriva bocca era per fare ciniche osservazioni: per esempio, diceva che dio gli aveva dato la coda per scacciare le mosche, ma che sarebbe stato meglio non ci fossero né coda né mosche. Solo fra tutti gli animali non rideva mai. Se gli si domandava il perché, rispondeva che non vedeva nulla di cui si potesse ridere. Ma, senza dimostrarlo apertamente, era devoto a Gondrano: i due usavano passare insieme la domenica nel piccolo recinto dietro lorto, brucando l'erba fianco a fianco senza mai aprire bocca.
Degli altri animali ricordiamo Molly, la cavallina del signor Jones ammaliata dagli zuccherini e dai nastrini della vecchia società dei consumi; il gatto, l'eterno sfaticato pronto ad imboscarsi subito se nell'aria di un miglio sentiva odore sudato di lavoro; il corvo Mosé, simbolo della religione e delle sue imposture al servizio del potere, qualunque potere; ed infine le oche, la massa di manovra che nella loro cantilena, nel ripetere quei pochi precetti compresi dell'animalismo, sono di grandissimo aiuto agli assetati di potere ed ai loro giochi.
Questa è La fattoria degli animali, una favola esopiana che Orwell ci ha voluto raccontare non per farci addormentare, ma bensì per tenerci svegli e allerta proprio quando l'interesse del potere è somministrarci abbondanti sonniferi incapsulati nella "problematicità della storia". Contro queste pillole dorate, Orwell - in un periodo di piena alleanza fra il governo inglese e l'Unione Sovietica - quando gli intellettuali di sinistra, i pansy left, gareggiavano con la stessa Mosca nel rappresentare Stalin salvatore e padre della libertà, ebbe il coraggio di andare controcorrente, facendo di tutto pur di pubblicare il libro nel '44, convinto che se libertà vuol dire veramente qualcosa, significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuole sentire.
Ed eccoci giunti agli ultimissimi anni di Eric. Il focolaio ai polmoni si acutizza e così la meritata notorietà acquisita dopo durissimi, lunghi anni di desolazione non può essere goduta nel suo pieno. Abbiamo già detto come le vicissitudini di Orwell influissero profondamente sul suo lavoro di scrittore in una perfetta opera di simbiosi mutualistica; così il suo ultimo romanzo, 1984, risente notevolmente della sua esperienza oltre che di scrittore ormai apprezzato dal grosso pubblico, soprattutto di uomo ricco delle proprie passate vicende, e profondo cultore di queste.
Si, 1984 è il compendio, la summa delle sue esperienze di lotta non tanto per questa o per quell'altra ideologia, quanto per riaffermare che lottare per la libertà in libertà, ne vale proprio la pena: si diviene ciò che si è. Come l'esperienza della rivoluzione spagnola ha profondamente influito sul romanzo La fattoria degli animali dandogli una visione smaliziata, cinica, ma reale della "rivoluzione tradita", allo stesso modo, se non di più, le lotte fra l'affermazione di una società libera ed antiautoritaria e l'istituzione di uno stato totalitario e gerarchico contrassegnano prepotentemente la trama ed il contenuto di questo romanzo di fantapolitica. Si è detto, da parte di numerosi critici, che il pessimismo esasperante di una visione del mondo ormai incapsulato nelle morse del totalitarismo burocratico è dovuto in parte anche alle precarie condizioni fisiche in cui il suo organismo si trovava negli ultimi anni; niente di più vero. Ma limitarci soltanto a questa affermazione ci sembra poco corretto intellettualmente, perché in questo modo si tenta di esorcizzare il problema posto da Orwell, rifiutandolo in quanto malato.
Noi crediamo che il problema sia un altro. Se con La fattoria degli animali l'idea di fondo di questo libro - l'instaurazione della menzogna e della schiavitù in qualsiasi organizzazione gerarchica ed autoritaria - poteva essere controllata e pilotata contro un nemico ben preciso, il potere bolscevico, in 1984 questo tentativo di esorcizzare il diavolo vestendolo con i panni dell'avversario non solo è destinato a fallire, ma implicitamente è la conferma, l'approvazione della tesi sostenuta da Orwell nell'opera: la funzione dell'ideologia come "falsa coscienza" al servizio del Potere, qualunque Potere, che giustifica di credere ad una cosa e nel suo contrario secondo i mutevoli rapporti di forza in cui chi è detentore del Potere viene a trovarsi. In altre parole: la storia non più (se forse lo è mai stata) come magistra vitae, bensì come magistra imperii!
L'ideologia viene descritta ed interpretata da Orwell nei tre dogmi principali del bis-pensiero (per l'appunto l'ideologia): 1) La guerra è pace; 2) La libertà è schiavitù; 3) L'ignoranza è forza.
La guerra è pace. Come abbiamo detto, l'ideologia in quanto falsa coscienza ha la proprietà di negare ciò che afferma, e poiché, come qualsiasi altro pensiero metafisico, ha le radici ramificate in terra, la materialità di questo assunto sta nell'organizzazione sociale che si è data: la proprietà e dei mezzi, e degli strumenti atti alla produzione. Orwell in 1984 descrive la necessità di questo potere, così strutturato, nel fomentare la guerra senza fine, una guerra che non crei un vincitore né un vinto, ma che permetta ai sistemi di potere, apparentemente in contrasto, di trar nuova linfa per il sistema produttivo: La guerra, come si vede, non solo viene incontro al bisogno di distruzione necessaria, ma si raffigura anche in una forma psicologicamente accettabile. Come principio sarebbe altrettanto semplice, per tenere occupate e quindi per disperdere le eccedenze di manodopera del mondo, costruire templi e piramidi, far buche nel terreno e poi riempirle di nuovo, o anche semplicemente produrre vaste quantità di beni, e poi distruggerle appiccando incendi.
Così come, per il consenso psicologico a questo dominio:... è assolutamente necessario che egli abbia una fede cieca, che sia un fanatico ignorante, i cui sentimenti fondamentali han da essere la paura, l'odio, l'adulazione e lo stato orgiastico del trionfo. Si richiede, in altre parole, che egli abbia la mentalità conforme allo stato di guerra. Dunque la guerra, per il Potere, ha il compito di garantire lo status quo, la perpetuità di questo sistema, quindi la pace di esso!
La libertà è schiavitù. Nell'ideologia è proibito pensare in modo diverso da quello in cui il Potere impone di pensare. Ma è necessario, si deve pensare come il Potere detta, in una libertà di pensiero divenuta schiava dell'ideologia che interpreta a seconda dei rapporti di forza fra gli "antagonisti", non solo i fatti presenti, ma persino il passato, la storia, costruendo di conseguenza una visione del mondo incapsulata in un sistema di pensiero dialettico sia esso idealistico oppure materialistico. Per questo ogni autonomia di pensiero fuori da schemi dialettici è proibita, e l'ignoranza del Potere a cui bisogna sottostare diviene forza del Potere. Da qui il terzo dogma ideologico:
L'ignoranza è forza. Da questa premessa assiomatica si snoda l'intreccio di un romanzo piacevolissimo nella lettura; un romanzo carico di tensione emotiva in cui l'impersonalità fredda del Potere del partito e della sua opposizione si scontra con la personalità passionale, dispiegata in una delicata storia d'amore, fra gli unici due personaggi del libro: Winston e Julia. Non ci stancheremo mai di ripetere che l'esperienza di Orwell uomo, oltre che di scrittore, si condensa armoniosamente in tutte le parti del romanzo; un'esperienza che lo ha condotto ad abbracciare un pensiero libero ed indipendente, capace di andare controcorrente affermando la propria autonomia da qualsiasi ideologia di Potere o di Libertà. Riassumere il racconto è un peccato, si tradirebbe senza dubbio il pathos che lo avvolge; ci interessa invece sottolineare l'antiutopia che 1984 è capace di trasmettere al lettore. Anti-utopia in quanto 1984 non è un luogo immaginario, come il significato etimologico della parola "où-tòpos" sta a significare, ma è il luogo costruito dal Potere nell'espressione più avanzata della sua burocrazia, della sua tecnologia, della sua psico-polizia. Un luogo tristemente attualizzato nella nostra società, che aspetta solo i video-spia, le settimane dell'odio, l'aspetto totalizzante del "politico" per riprodurne l'esatta trascrizione.
Il 1984 è prossimo e l'anti-utopia orwelliana è l'ormai nota "Ragion di Stato", che da Kant ad Hegel fino a Marx, nella sua completezza leniniana, non ha fatto altro che materializzare, nella putrefatta morale del potere, la triste figura barbara del Leviatano di Hobbes. Una morale del potere che 1984 incamera e fa propria in questa pessimistica ma pur sempre vera e reale analisi di O'Brien: Il Partito ricerca il potere esclusivamente per i suoi propri fini. Il bene degli altri non ci interessa affatto; ci interessa soltanto il potere. Né la ricchezza, né il lusso, né una lunga vita, né la felicità hanno un vero interesse per noi; ci interessa soltanto il potere, il potere puro. La differenza tra noi e le oligarchie del passato consiste in questo, che noi sappiamo quello che facciamo. Tutti gli altri, anche quelli che ci rassomigliano più da vicino, erano vili ed ipocriti. I nazisti tedeschi e i comunisti russi si avvicinarono molto ai nostri metodi, ma non ebbero mai il coraggio di dichiarare apertamente i loro motivi, le loro ragioni. Essi pretesero, e forse perfino credettero, d'essersi impadroniti del potere con la propria elezione e iniziativa, e per un tempo limitato, e che all'angolo della strada ci fosse un paradiso nel quale gli uomini potessero essere liberi ed uguali. Noi siamo tutt'altra cosa. Noi sappiamo benissimo che nessuno s'impadronisce del potere con l'intenzione di abbandonarlo in seguito. Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell'intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell'intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere.
Come sempre, una cosa ha inizio per avere fine. La capacità di uscire da questo aforisma è il superamento. Non sappiamo se questo scritto critico su Orwell abbia presente il proprio superamento, o semplicemente sia rimasto imprigionato tra un inizio e una fine: il nostro tentativo forse è stato appena abbozzato, forse ancora è fallito, annegato in descrizioni ed analisi inutili. Non abbiamo voluto imporre un modo di lettura delle opere di George Orwell, né questo scrittore aveva bisogno di qualcuno che lo introducesse alla lettura critica. Il nostro tentativo è stato quello di cercare di interessare chi ancora non conosce Orwell a leggerlo, non perché Orwell come pensiero, come metodo, come azione sia stato molto simile a quelle strane bestie che sono gli anarchici. Non solo per questo. Saremmo ancora più stupidi di Gramsci o di Lukacs se analizzassimo l'espressione artistica dell'uomo in base all'utilità di questa ad un Principe, sia esso il Partito oppure la Lotta di Classe; l'arte - se proprio vogliamo entrare in merito ai "massimi sistemi" - noi l'intendiamo come libera volontà espressiva dell'uomo, di ogni uomo, indipendentemente dall'oggettualizzarsi di questa in una ideologia. Anzi, proprio perché "libera volontà espressiva" male si accorderebbe con l'asservimento ad una ideologia, ad una rimozione sublimata, al puro gusto del "bello".
Poiché crediamo nell'utopia, crediamo nell'arte, nella poesia; un'arte che non diventi una funzione politica; e neppure vogliamo che la politica sia una funzione dell'arte, ma che l'arte si esprima poeticamente distruggendo tutto ciò che vi è di politico, di ideologico, di falso cosciente. Forse è proprio in questo l'interpretazione che noi abbiamo dato del lavoro artistico di Orwell, e forse è proprio per questo che lo scrittore inglese ci è stato utile come apripista di questa serie di letture. Sicuramente l'opera di George Orwell è un superamento anche di questa interpretazione anti-ideologica dell'arte, della poesia, della vita: niente di più facile. Ma le piacevoli ore trascorse con i suoi libri debordanti di storie, preoccupazioni, gioie, dubbi, inganni, soddisfazioni ci hanno convinto ancor di più che la qualità di un romanzo dipende dalla tensione con cui si uniscono l'osservazione esatta e la correzione o l'approfondimento del reale da parte dell'immaginario. (A. Colin)

Jules Elisard