Rivista Anarchica Online
Orwell - Tutti gli animali sono eguali, ma alcuni animali sono più eguali degli altri
di Jules Elisard / Giuseppe Aliverti
Iniziamo, con lo scritto su Orwell, una serie di articoli di carattere letterario-filosofico che
hanno come unico denominatore la speranza - in chi scrive - di realizzare un'utopia. Quale? Come
tutte le utopie è più difficile descriverla che realizzarla, o, meglio, la difficoltà nel mettere
in pratica ciò che la teoria intravvede, questa volta è capovolta, perché, sebbene sia
impegnativo
un onesto lavoro su di un determinato autore letterario che presenti venature libertarie, tuttavia
non è impossibile. Ci vuole un bel Coraggio (una bella Faccia-di-bronzo) per mettersi in testa di
affrontare (oggi!) l'Utopia dell'estetica anarchica! Infatti la vera difficoltà si presenta
allorquando - descritti, analizzati, interpretati alcuni autori -
si cerca di formulare un "giudizio interpretativo" che caratterizzi una "lettura interessata" del
personaggio, dell'argomento, della problematica e così via. La tentazione è forte.
Volersi cimentare con l'estetica anarchica è a dir poco affascinante e
coinvolgente. Lei è lì, bella, profumata e seducente, pronta ad invitarti ad un giro di
valzer su
pagine e pagine di romanzi, saggi, poesie, su pitture, film, teatro. Ma con quale faccia avresti il
coraggio di dirle: "Non so danzare". E allora ti butti in questo vorticoso giro con la stessa
grazia di un elefante alle prese con il tutù. "Profili libertari" è, per l'appunto, un
grosso elefante con un trasparentissimo tutù alla vita che
tra una piroette e un giro di vite cercherà di dimostrare le proprie dis-grazie. Ma cercando di
allontanarci da questa compiaciuta similitudine simbolica vorremmo presentarvi il nostro
metodo. Non vi è niente di più artigianale del "nostro" metodo. Artigianale
perché si verrà formando
essenzialmente sull'esperienza acquisita dalla lettura critica dei testi, rifiutando
aprioristicamente un criterio di giudizio estetico, nell'intento di rilevare - dov'è possibile - la
capacità di giudizio critico che lo stesso autore dà di sé. Per questo fatto non ci stupiremmo
se,
alla fine di un ciclo di letture su diversi autori, dovessimo riscontrare ben poche similitudini
estetiche capaci di caratterizzarsi in chiave libertaria. In fondo siamo sempre degli elefanti che
danzano! Di conseguenza, il metodo ha un criterio di scelta. Difficile è spiegarvi il come
ed il perché
verranno letti, ri-letti e discussi autori come Orwell, Camus, Tolstoj e altri ancora. Per alcuni,
la scelta si spiega da sé, per altri è l'amore di chi scrive nel "leggerli" che li ha trascinati nel
giro vorticoso di questo valzer. Ma tradiremmo le nostre intenzioni se continuassimo in questi
sproloqui di sapore formalistico-contenutistico,; preferiremmo essere giudicati più dal lavoro svolto che dalle
buone, anzi ottime
intenzioni. Un'ultima grazia rivolta ai ballerini di professione: perdonateci se, nel difficoltoso
impegno di essere sensibili come libellule, dimostreremo tutta la nostra pesantezza. Siamo
elefanti!
Bibliografia
Ecco la bibliografia degli scritti di George Orwell pubblicati in italiano: Giorni in Birmania,
Longanesi 1975; La figlia del reverendo, Garzanti 1968; Fiorirà
l'aspidistria, Mondadori 1975; Omaggio alla Catalogna, Il Saggiatore 1975; Una
boccata d'aria, Mondadori 1980; La fattoria degli animali, Mondadori
1978; 1984, Mondadori 1980. Scritti di Orwell sono pubblicati anche nell'antologia Tra
sdegno e passione, a cura di E.
Giachino, Rizzoli 1977. Da segnalare anche la parte riguardante Orwell nel volume Utopia e totalitarismo
di Franco
Livorsi, Tirrenia Stampatori 1979.
Leggere George Orwell, per noi anarchici, è leggere "uno dei nostri". Poco importa se sia poi
vero o no: è uno dei nostri! In questa chiave di lettura, che tenteremo di dare dell'autore e delle
sue opere, di questo problema non si parlerà, anche se è bene sottolineare fin dall'inizio che
Orwell non era e non è mai stato un anarchico. Il nostro interesse ed il nostro apprezzamento per
questo autore stanno nella sua carica di umanità, in cui è riuscito a conciliare la verità con
un
profondo bisogno di libertà. E già questo non è poco per un genere umano, come quello degli
intellettuali, che la bramosia della gloria, del tributo di apprezzamenti e dell'arroganza nel sentirsi
diverso rendono costantemente in balia del potere, il quale è l'unico in grado di elargire tutto
questo a buon mercato: la compravendita. Non diremo che Orwell non si è venduto al potere:
diremo semplicemente che, se Orwell l'ha fatto, lo ha fatto con molta discrezione e senso della
misura. Anche questo, nella miseria generale, può essere interpretato come un pregio. Ma Orwell
non custodisce solo questo pregio; la fermezza con la quale ha voluto scrivere cose delle quali
era meglio tacere e far finta di ignorare attestano in lui una profonda tensione verso la libertà ad
ogni costo, ed in questo Orwell si è avvicinato al pensiero libertario: abbracciandolo, ma non
sposandolo. Orwell concubino. Scrittore contemporaneo, muore a 46 anni di tubercolosi. Era il gennaio del
1950; finalmente
aveva ottenuto una profonda notorietà come scrittore e saggista grazie soprattutto ad un apologo
esopiano, la nota Fattoria degli animali, che sebbene fosse stata boicottata da tutti gli editori
inglesi nel 1943, quando l'alleanza fra Oriente e Occidente non poteva e non doveva essere
incrinata anche a costo di falsificare la verità, fu pubblicata successivamente negli Stati uniti
durante il '46 - quindi in piena guerra fredda - ed il Book of the month Club la scelse e ne
smerciò
mezzo milione di copie. Un successo insperato per uno scrittore che aveva dovuto affidarsi quasi
sempre ad amici anarchici per poter vedere pubblicati i suoi scritti più interessanti ed amati; così
avvenne per la citata Fattoria degli animali che vide la luce nel '44 grazie ad un tipografo
anarchico, ma che per i modesti mezzi editoriali non riuscì a toccare il grande pubblico. Non fu
però il solo libro ad essere boicottato da una "libertà di stampa" troppo simile alla nostra; il
bellissimo Omaggio alla Catalogna, libro del '37 in cui venivano denunciati i compiti
controrivoluzionari dei comunisti nella rivoluzione spagnola, nemmeno alla morte di Orwell, a
dodici anni dalla pubblicazione, riuscì ad esaurire le 1500 copie della prima edizione. Ma chi era
nella vita questo sconosciuto scrittore, questo signor Eric Arthur Blair che, come abbiamo detto,
ricevette una qualche notorietà soltanto nei tre o quattro anni precedenti la sua dipartita? La famiglia
Blair economicamente era di modeste condizioni; suo padre lavorava come semplice
funzionario nell'Amministrazione civile dell'India e dopo notevoli sforzi riuscì a racimolare la
cifra necessaria per mandare in una prestigiosa Public School in Gran Bretagna il giovane Eric. I
biografi attestano con compiacenza che il rapporto fra il ragazzo e l'istituzione educativa non fu
certo dei migliori; racconto classico di un disadattato sociale che fin dai primi anni conosce sulla
propria pelle la divisione del mondo in sfruttati e sfruttatori(!). Resta comunque il fatto che
terminati gli studi in maniera poco brillante ed impossibilitato a continuarli per mancanza
dell'ottenimento di una borsa per Oxford o per Cambridge, fece domanda di arruolamento nella
polizia dell'Impero e chiese il trasferimento in Birmania. Da questa triste esperienza, Orwell trasse lo spunto per
un romanzo del '34, Giorni in Birmania,
in cui viene analizzata con severa descrizione sociologica la forma dei rapporti che intercorrono
fra il shaib bianco e i negri birmani. È uno spaccato fedele di una società
in piena
decomposizione, dove la comunità britannica dei colonialisti cerca, con i metodi più disumani e
razzisti, di esercitare il potere su di una popolazione negra che, pur non essendo ancora capace di
prendere coscienza della propria potenza e quindi di indirizzarla verso una progettualità
rivoluzionaria chiaramente definita, non per questo accetta il dominio britannico, ma è
costantemente alla ricerca di un moto insurrezionale che lo scalzi. Orwell sa di essere dalla parte
dell'oppressore e sa di essere un oppressore. Figura di poliziotto "democratico" sui generis, non si
dipinge in un quadro positivo, ma riflette sull'impossibilità di essere giusti quando,
comprendendo in che direzione si trova la giustizia, ci si trova in quella opposta. Romanzo
descrittivo, Giorni in Birmania non dimostra ancora la capacità dell'autore di superare l'analisi
caricaturale dei personaggi per un'analisi psicologica di essi: purtuttavia rimane sempre una
prova brillantemente superata rispetto alla fedeltà dell'analisi politica che, fin d'ora, e sebbene
dall'altra parte della barricata, rimane lucida, nell'identificare e nel denunciare dove si annidano i
germi dell'oppressione e dello sfruttamento. La vita del poliziotto per Eric durò cinque lunghi
anni. Verso la fine del '27 riuscì ad anticipare una lunga licenza a causa del riacutizzarsi del suo
male ai polmoni e, in questo frangente, una volta raggiunta Londra, diede le proprie dimissioni.
Così, all'età di ventiquattro anni, si trovò senza conoscere un mestiere e senza lavoro, ma
con
un'idea fissa nel cervello: scrivere! Sono anni tristi e miserevoli, anni che lo videro girare per l'Europa - e
soprattutto per Parigi,
allora capitale artistica del mondo - dove, a contatto con il sottoproletariato urbano, gli viene
spontanea l'analogia fra i negri schiavizzati e i vagabondi dei dormitori pubblici. È una presa di
coscienza che in ogni qual modo risente della propria condizione sociale; e per questa e da questa
presa di coscienza non può che nascere una descrizione passionale, sentimentale ma al tempo
stesso distaccata e non partecipata della vita misera del sottoproletariato inglese. Una sorta di
neo-verismo, oseremmo definirlo, nel quale Orwell scopre un mondo, lo analizza, ne partecipa in
quanto si cala in tutto e per tutto fra i sottoproletari fino a condividerne i dormitori pubblici le
notti al fresco ed in galera, facendolo però ancor più sentire parte di un altro mondo. Da queste
esperienze, da questa "calata" nella realtà dei barboni, pesca materiale per un successivo
romanzo, La figlia del Reverendo, del 1935, in cui, a fianco del tema principale - la frustrazione
causata da insoddisfazioni sessuali - trova spazio una descrizione analitica delle condizioni dei
vagabondi, dei loro dormitori pubblici, delle loro raccolte stagionali di luppolo nel Kent, in una
comprovata povertà, dove "la miseria si moltiplica", per dirla con Poe. Anche questo romanzo
risente dell'impronta troppo caricaturale dei suoi personaggi: una figlia del reverendo oppressa
dalla cultura religiosa e reazionaria del padre che la inibisce nei rapporti umani con le persone
dell'altro sesso, ma non fino al punto di impedirle di conoscere un libertino socialista intento in
tutti i modi a ricondurla sulla "cattiva strada". La trama del romanzo si snoda intorno ad una crisi
d'identità del personaggio principale, permettendo così a Orwell di descrivere l'ambiente
vittoriano di un'Inghilterra sedotta dal mito dell'Impero. Gli anni che corrono fra il 1930 e il 1935, anni in cui
egli è di nuovo in Inghilterra, ritrovano Eric
alle prese con la triste quotidianità. Dei suoi primi scritti, pochissimi vedono la pubblicazione, e
con questi introiti Eric non riesce a sbarcare il lunario, per cui è costretto a insegnare in scuole
private, fare il precettore ad alcuni ragazzi ed assumere un impiego in una libreria. Sebbene,
dunque, le condizioni di esistenza siano alquanto scoraggianti, Orwell non desiste dal coltivare la
sua passione e, così, ai primi due romanzi se ne aggiunge un terzo, Fiorirà l'aspidistria,
del
1936. L'aspidistria è un fiore grasso, simbolo delle povere case in cui vivono i proletari londinesi,
un fiore che, come la miseria, è duro a morire. Come tutti i romanzi, Fiorirà
l'aspidistria è
autobiografico: narra la vicenda di un giovane scrittore che, ancora ignoto al pubblico, affronta
una titanica lotta contro la povertà. In questa lotta, Gordon Comstock, il protagonista del libro,
rifiuta ogni mediazione con il dio-denaro, pur essendo consapevole che questo rifiuto - che si
materializza nell'offerta di un "buon posto di lavoro" - lo porterà ad abbracciare una miseria nera
che si concretizza in un rifiuto a vivere. Romanzo "borghese", Fiorirà l'aspidistria è
il meglio
che Orwell abbia prodotto in questi suoi esordi di scrittore; la capacità d'introspezione
psicologica lo conduce in questo romanzo a un'abbandono dell'aspetto caricaturale; acquista così
una limpida freschezza lo svolgimento, rendendo piacevole la lettura. Per la prima volta, la
"storia d'amore" in esso contenuta supera la melensa avventura d'appendice di un lui e di una lei,
armonizzandosi con l'insieme del racconto e facendo di questa "storia d'amore" la vera trama, in
cui il conflitto tra l'accettazione di una povertà non compromessa e la possibilità di condurre una
tranquilla vita borghese all'ombra di un "buon posto" è il preambolo delle migliori opere su
questo tema, centrale in Orwell. Proprio in questo periodo, il suo editore, Victor Gollancz, non del tutto convinto
delle capacità di
scrittore dimostrate da Orwell, fondato il Left Book Club, incarica il nostro Eric di compiere un
lavoro d'inchiesta sulle condizioni dei minatori occupati e disoccupati, dandogli in anticipo la
somma di 500 sterline. Questo nuovo lavoro lo impegna a fondo e la nuova "calata" tra i poveri
lo mette in contatto, per la prima volta, con il proletariato. La differenza a Eric balena subito agli
occhi: lo sfruttamento massacrante cui vengono sottoposti i minatori, provoca in lui una presa di
coscienza che lo porta, per la prima volta, a schierarsi a fianco del proletariato nella dura lotta di
classe e a intravvedere tra i suoi compiti di scrittore l'impegno di divulgare le idee socialiste. È
ancora in questo frangente che Eric si accorge di come i sindacati, preposti alla tutela degli
interessi dei minatori, svolgano invece un ruolo normalizzatore all'interno del ciclo produttivo
legittimando di fatto, nonostante le severe denunce, lo sfruttamento e la divisione in classi di
questa società. Questa esperienza fra i minatori e il ruolo che i sindacati e il partito laburista
svolgono all'interno della lotta di classe, lo convincono su quanto ci sia di vero e provato nella
convinzione da lui stesso sperimentata e mai più dimenticata: "Ogni ideologia rivoluzionaria
deriva parte della sua forza dalla segreta convinzione che nulla potrà mai venire mutato"! Corrono i
fatidici anni del '36. La situazione mondiale non è rosea, e la paura della Germania
nazista, sempre più pericolosa ed aggressiva a poco meno di tre anni dal putsch hitleriano, fa
stringere ulteriormente le file degli oppositori del fascismo. In Italia Mussolini e il suo apparato
amministrativo raggiungono una relativa tranquillità: istituito il confino per i prigionieri politici,
superata la fase critica del '24, legiferate tutta una serie di norme che minano qualsiasi libertà
d'espressione e di rivendicazioni sociali, per gli antifascisti non resta che l'esilio e l'impegno
oltreconfine nella rivoluzione spagnola. La Francia, nonostante il successo del Fronte Popolare di
Leon Blum, di fatto non si trova in una situazione alquanto democratica, e la scelta del partito
comunista francese di appoggiare il Fronte sa troppo di un diktat sovietico per mantenere in
funzione conservatrice dei solidi contatti col capitalismo francese più che una vera e propria
adesione alla linea "trasformista" di Blum. Ma il '36 è anche l'anno della rivoluzione spagnola e
della speranza per milioni di uomini e di donne di poter finalmente costruire una società di liberi
ed uguali nella quale l'azione diretta, l'autogestione, il federalismo possano finalmente venire
applicati. Il popolo in armi contro il golpe franchista ricevette, fin dal primo momento, un
profondo attestato di solidarietà da parte di tutti gli sfruttati del mondo; la posta in gioco
dichiarata sul tavolo spagnolo era ben più alta della lotta contro Franco: era una rivoluzione
sociale! Eric parte in dicembre alla volta di Barcellona, con l'intento di tracciare, in una serie di articoli, il
quadro della situazione spagnola; ma, una volta giuntovi, ne viene subito attratto e, accantonato il
primo scopo, ne abbraccia uno più grandioso: la difesa della libertà a fianco dei rivoluzionari. Fin
dalle prime pagine del suo romanzo "storico", Omaggio alla Catalogna, si penetra a fondo nel
clima emotivo creato dei sentimenti che inondarono Eric una volta giunto a Barcellona.
L'atmosfera di solidarietà dei giorni di luglio, la simpatia, la serenità che tranquillamente
circolavano per le strade di una città che, sebbene insorta, era ben lungi dall'esimersi dal fuoco
franchista, trasformarono Eric da un cronista "imparziale" ad un militante convinto della
rivoluzione. Ecco come, fin dalle prime battute del romanzo, Orwell ci trasmette la sua adesione
all'atmosfera rivoluzionaria di Barcellona: La città aveva un aspetto disordinato e squallido,
strade e palazzi avevano bisogno di riparazioni, le vie, nottetempo, erano oscurate per il
pericolo d'incursioni aeree, i negozi in gran parte miseri e sprovveduti. La carne scarseggiava e
il latte era praticamente introvabile, difettavano carbone, zucchero e farina, e c'era una grande
penuria di pane.... Tuttavia, da quello che si poteva giudicare, il popolo era soddisfatto e pieno
di speranze. Non c'era disoccupazione e il costo della vita era ancora estremamente basso; si
vedevano pochissime persone palesemente ridotte alla vera miseria e non c'erano neppure
accattoni, ad eccezione degli zingari. Soprattutto, si sentiva nell'aria una gran fiducia nella
rivoluzione e nel futuro, l'impressione di essere improvvisamente immersi in un'era di
uguaglianza e di libertà. Abbiamo riportato una così lunga citazione di Omaggio
alla Catalogna perché in questa mezza
paginetta s'intravvede lo "stile" che accompagnerà la descrizione di una Catalogna insorta in tutte
le 180 pagine del libro: niente è romanzato, non vi sono né i buoni, né i cattivi. Certo: Orwell
desidera, anzi vuole che la rivoluzione spagnola vinca sulle truppe franchiste, perché è portatrice
di uguaglianza e libertà rispetto alla barbarie del Caudillo; ma comprende che gli scarafaggi, i
pidocchi, i topi, la sporcizia sono elementi comuni ad entrambe le trincee, anche se
indubbiamente è più facile sopportarli quando si sa di dover combatterli solo per sé stessi,
per i
propri bisogni, i propri desideri e non per un qualsiasi potere. Le numerose pagine di descrizione
della guerra in trincea, o meglio, della non-guerra sul fronte aragonese, possono sembrare per un
"soldatino della rivoluzione" le più melense e noiose di tutto il libro: a noi invece sono apparse le
più vere e più vive perché capaci di descrivere l'orrore per la guerra, qualsiasi guerra, nella
sua
lurida quotidianità fatta di fango e di noia. Non siamo pacifisti: sappiamo di dover combattere
per raggiunger le condizioni possibili per una società libera e libertaria, ma sappiamo, e lo
sappiamo grazie anche ad Orwell, quanto sia noioso combattere! A Barcellona Eric risiede nella caserma Lenin,
dove si trova il comando generale del POUM, e
dopo una sommaria esercitazione con "fucili Mauser del 1896" viene spedito con le milizie del
partito sul fronte aragonese e da lì dopo due mesi sul fronte di Huesca. Il perché Eric abbia
militato fra i marxisti del POUM è un fatto più casuale che non una scelta politica; certamente
l'essere intervenuto nella rivoluzione spagnola per conto della sinistra indipendente del partito
laburista ha fatto sì che egli militasse tra i "trotskjsti" ma come ebbe a scrivere in privato ad un
suo amico Jack Common (nell'ottobre '37): Se avessi capito un po' meglio la situazione,
probabilmente mi sarei unito agli anarchici. Del resto, anche in Omaggio alla Catalogna egli
non nasconde le proprie simpatie: Per quanto contassero le mie preferenze, puramente personali,
avrei voluto unirmi agli anarchici. Oltre al primo impatto con una situazione rivoluzionaria della retrovia,
Eric non ne ebbe altri, se
non il brevissimo periodo di ritorno immediato dal fronte perché ferito in modo serio in
prossimità della carotide, quando ebbe appena il tempo di accorgersi che a Barcellona per i
militanti del POUM e gli anarchici erano iniziate le purghe staliniste. Cosicché la vita di Eric era
una vita al fronte dove le lotte politiche erano mediate dal fatto di trovarsi in una "fossa comune".
Il fronte aragonese non era un fronte difficile e le milizie del POUM avevano per di più il
compito di coprire le azioni improvvise dei "cenetisti" a Saragozza; per esplicita ammissione,
Eric nel giro delle prime tre settimane non ebbe modo di sparare un colpo, anche se l'efficiente
meccanica dei fucili sputava pallottole appena il calcio riceveva un urto nel semplice atto di
deporlo. Il pericolo non consisteva nei franchisti, ma nelle proprie armi che scoppiavano in mano
cosicché veniva da chiedersi se il fortunato era colui che possedeva un'arma o chi non l'aveva!
Non avevamo né elmetti né baionette, ben poche rivoltelle o pistole, e non più di una bomba
a
mano ogni cinque dieci uomini. La bomba in uso a quei tempi era un terribile oggetto noto come
"bomba FAI", essendo fabbricata dagli anarchici allo scoppio della guerra. Costruita sul
principio della bomba Mills, la leva era tenuta abbassata non da una sicura, ma da un pezzo di
nastro adesivo. Si strappava il nastro e ci si liberava della bomba alla massima velocità. Si
diceva di queste bombe che erano "imparziali": uccidevano l'uomo contro cui venivano lanciate
e l'uomo che le scagliava. Particolare non indifferente: in Spagna non si giocava, si moriva! Come
abbiamo detto, Eric in Catalogna restò principalmente al fronte ed un'idea di cosa stava
effettivamente accadendo nella Generalidad ed al governo potè averla soltanto dopo che fu
ritornato a Londra. L'assurdità della lotta intestina fra anarchici e comunisti, fin dal primo istante,
doveva sembrargli stupida e suicida; ma questa opinione mutò quando, in quei brevissimi giorni
di convalescenza a Barcellona, capì che l'atmosfera era del tutto cambiata. La militarizzazione
delle milizie era una manovra bolscevica per togliere la possibilità effettiva agli anarchici ed ai
trotskisti di salvare la rivoluzione dalle manovre di un governo borghese che, fin dall'ottobre del
'36, della rivoluzione sociale non voleva più sentirne parlare. Allo scopo di frenare ogni tendenza
rivoluzionaria e rendere la guerra la più somigliante
possibile a qualunque altra guerra, si rese necessario gettare a mare le opportunità strategiche
che si offrivano.... C'è ben poco dubbio che le armi fossero deliberatamente non distribuite
affinché non ne andassero a finire troppe nelle mani degli anarchici, che le avrebbero poi usate
a scopo rivoluzionario; per conseguenza, la grande offensiva d'Aragone, che avrebbe dovuto
scacciare Franco da Bilbao, e fors'anche da Madrid, non fu mai sferrata.... Forse lo slogan del
POUM e degli anarchici "la guerra e la rivoluzione sono inseparabili" era meno campato in
aria di quel che possa sembrare. Di quello che effettivamente successe fra il '36 ed il '39, la cocente
sconfitta della Rivoluzione
Sociale, ne attesta l'unica e sola verità. Nella storiografia ufficiale, essendo la verità
contrabbandata con il Potere, nulla è rimasto di reale, a tal punto che i rivoluzionari, quelli che
fin dall'inizio dichiararono di combattere non per una guerra, bensì per la rivoluzione, sono stati
fatti passare come controrivoluzionari ed addirittura fascisti. In questa storia Eric dovette
imbattersi e pagarne duramente le spese, perché ebbe il coraggio di denunciare i veri nemici della
rivoluzione: Franco e Stalin, a tal punto da essere boicottato dal suo editore, Victor Gollancz, e
da uno dei suoi redattori, Kingsley Martin, del "New Statesman". Così Orwell si ritrova da solo a
difendere le cause di una Rivoluzione Sociale e di tutti quelli che per essa sono morti, sotterrati
dalle menzogne e dalla propaganda imposta da Mosca che gli intellettuali di sinistra, quei Pansy
Left, come lui li chiama, spudoratamente ostentavano. Gli anni successivi al ritorno dalla Catalogna sono
anni difficili, soprattutto per l'acutizzarsi della
malattia ai polmoni; le precarie condizioni di vita in trincea e la ferita lì riportata minano le fibre
del suo organismo a tal punto che è costretto, proprio per ragioni di salute, a migrare in un paese
caldo: il Marocco. Qui, in una relativa tranquillità, ma sempre all'ombra del male, riesce a portare
a termine il romanzo Una boccata d'aria (1939) che, essendo stato steso proprio alla vigilia del
secondo conflitto mondiale, assume anzitutto il carattere di divulgatore delle idee pacifiste di
Orwell. Il racconto, proprio perché tenta di esprimere delle considerazioni generali sulla guerra
ed in particolare modo riguardo il periodo prebellico, si astiene dall'inserirsi nei conflitti di
classe, preferendo un'analisi, allora di moda, del man in the street, dell'uomo della strada. Ma
queste prese di posizione in favore del non intervento durano molto poco, e, verso la fine del '39,
in Eric si risveglia la nuova fase del "patriottismo" e del giusto intervento in guerra. Come nella
fase in cui Orwell si era dichiarato a favore del movimento contro la guerra mantenne solidi e
proficui contatti con il movimento anarchico inglese e le sue pubblicazioni, così la "svolta
interventista" segnò il periodo più glaciale dei rapporti con il nostro movimento. Proprio dalla
fine del '39 si può dire che Eric dichiarò guerra agli anarchici, in quanto solo loro,
con alcuni marxisti rivoluzionari, si erano opposti al conflitto mondiale e al rigurgito
neopatriottico che allora avvolse l'Inghilterra e contaminò lo stesso Orwell. Intruppato dallo
spirito di difensore della patria, non esitò a considerare gli anarchici come "oggettivamente
favorevoli al fascismo", lo stesso giudizio che all'indomani della rivoluzione spagnola i
comunisti avevano rivolto contro gli anarchici e che aveva visto in Eric un acerrimo nemico. Ed
in questa presa di posizione, contraddittoria soprattutto rispetto alla propria esperienza di
militante per la libertà e la verità, Orwell si mantenne fino agli ultimi giorni della sua vita in una
polemica peraltro sincera e amichevole contro l'anarchismo e gli anarchici; molti dei suoi attacchi
al movimento erano infondati e superficiali, altri avevano invece il pregio di mettere in questione
tutta una serie di problematiche che soltanto l'occhio smaliziato di Eric riusciva a porre. Con una
serie di saggi critici su autori inglesi come Swift - l'autore dei Viaggi di Gulliver - cerca di
risolvere lo spinoso problema fra la libertà e l'organizzazione in una società anarchica; riflettendo
appunto sulla quarta parte dei Viaggi di Gulliver, afferma che lo scrittore ha voluto fare il ritratto
di una società anarchica non governata da una legge come di solito questa è intesa, ma da
comandi-dettami della "Ragione". Ma cos'è questa "Ragione" - e i suoi comandi-dettami - se non
una tendenza totalitaria che è implicita nella visione anarchica o pacifista della società? E
continuando: In una società dove non sussiste alcuna legge e, in teoria, alcuna costrizione,
l'unico giudice del comportamento è la pubblica opinione. Ma la pubblica opinione, per il
tremendo, imperioso bisogno di irreggimentarsi in un gregge di pecore, è meno tollerante di
qualsiasi sistema legislativo. Quando gli esseri umani sono governati dal "Non Fare...",
l'individuo può permettersi una qualche originalità, ma quando è governato, supponiamo,
dall'"Amore" o dalla "Ragione", egli è sottoposto a continue pressioni affinché regoli il suo
comportamento ed i suoi pensieri in esatta conformità a quelli degli altri. Certamente non è
un
problema da poco, e non si può risolverlo con l'insufficiente affermazione che in una società
liberata dallo sfruttamento e dall'oppressione, in pratica solo nell'Anarchia, la volontà di ogni
singolo coinciderà con la volontà della collettività, perché, da anarchici, crediamo
che non lo sia
proprio. È vero: la massima libertà può esprimersi nella peggiore delle costrizioni, in quanto
questa libertà può essere intesa come "obbligo ad essere liberi avendo libertà"! Ma
poiché
crediamo che l'Anarchismo non si limiti nell'avere libertà di giudizio, ma soprattutto
consista
nell'essere nella libertà di potere / dovere compiere una scelta, o, in altre parole, in quanto siamo
convinti che l'Anarchismo non sia un fattore ideologico, bensì metodologico dell'essere liberi
nella libertà, le osservazioni di Orwell ci convincono ancor di più e hanno uno sprone
affinché la
nostra prassi metodologica che tende ad unificare i mezzi dell'anarchismo con la finalità
dell'anarchia siano un valido antidoto contro qualsiasi ideologia della "libertà"! Sebbene, come abbiamo
detto, il periodo che va dal '39 fino agli ultimi anni della sua vita sia
stato un periodo involutivo per il pensiero di Eric, involutivo in quanto la sfumatura libertaria,
che da sempre contrassegnava il suo socialismo, è andata via via degradandosi ulteriormente fino
ad assumere tonalità liberali, come appunto la difesa del patriottismo, motore immobile della
coscienza del popoli inglese, purtuttavia la produzione letteraria di George Orwell, acquistando
una forma ed uno stile sempre più perfetti, assume connotazioni chiaramente libertarie ed
antitotalitarie. È il decennio in cui esplode la piena maturità di scrittore provato, con La
fattoria
degli animali (1943) e con l'ultimo romanzo, di genere fanta-politico, 1984 (1948). Delle
vicende
riguardanti la pubblicazione dell'opera esopiana di Orwell abbiamo già scritto in apertura; il
particolare interesse che un'opera come La Fattoria degli animali suscita in chi la legge è
principalmente dovuto all'immediata freschezza di analisi e di contenuto politico con la quale si
presenta al lettore. Satira politica del regime totalitario sovietico, questa "favola" ha il pregio ed
il gusto di prendere come pretesto il singolare (l'organizzazione burocratica del potere
bolscevico) per affermare il molteplice, ovvero la convinzione che qualsiasi organizzazione
sociale - che sia frutto della rivoluzione, oppure frutto di "rapporti naturali" - basantesi
sull'autorità e la gerarchia è costretta a divenire una società fondata sulla menzogna e sulla
schiavitù. L'ordito del racconto è semplicissimo, quasi didattico, nel senso che cerca di trarre
insegnamento
da una tristissima esperienza, la rivoluzione d'ottobre, per dimostrare le inevitabili conseguenze
della delega da parte degli sfruttati dei propri interessi-desideri ad un qualsiasi Potere del Partito.
Nella presa del potere della Fattoria Jones si assiste alla parodia della presa di potere in Russia
nell'ottobre del '17; Orwell descrive l'insurrezione degli animali (proletariato) come necessità
primaria di libertà dall'oppressione e dallo sfruttamento degli uomini (capitalismo). Non tradendo
il suo spirito socialista, Eric tende a ricollegare la giusta insurrezione al pensiero ideologico
marxista-leninista che nel racconto è rappresentato dal sogno del Vecchio Maggiore (Marx)
all'inizio del primo capitolo. Senonché già in questo "sogno" c'è un preciso avvertimento
contro
la logica conseguenza del marxismo-leniniano: E ricordate che nel combattere l'uomo non
dobbiamo venirgli ad assomigliare. Anche quando l'avrete distrutto, non adottate i suoi vizi.
Nessun animale vada mai a vivere in una casa, o dorma in un letto, o vesta panni, o beva
alcolici, o fumi tabacco, o maneggi denaro, o faccia commercio. Tutte le abitudini dell'uomo
sono malvagie. E soprattutto nessun animale divenga tiranno ai suoi simili. Deboli e forti,
intelligenti o sciocchi, siamo tutti fratelli. Mai un animale uccida un altro animale. Tutti gli
animali sono uguali. A prescindere da qualsiasi critica in merito al contenuto moralistico del sogno del
Vecchio
Maggiore, fin dall'inizio si nota come Orwell precisi che la propria critica alla Rivoluzione non è
una critica reazionaria, ma una critica che, denunciando i soprusi del capitalismo, avverte pure
che ogni degenerazione del socialismo in chiave leninista conduce ad un mondo privatistico
fondato di nuovo sulla miseria dei più e sulla ricchezza per pochi. La freschezza del racconto ci
suggerisce l'impossibilità di farne un riassunto capace di esaltarne la bellezza nel leggerlo; il
nostro intento sarà invece rivolto a cercare di analizzare brevemente i personaggi più
emblematici di questa favola. Come abbiamo visto, il Vecchio Maggiore rappresenta la buon anima di Carlo
Marx che, giunto
alla soglia della sua vita e della sua stupidità, muore lasciando in eredità i precetti
dell'animalismo (comunismo). Riguardo al fatto che anche il Vecchio Maggiore sia raffigurato
nelle sembianze di un porco, così come anche gli altri esponenti di partito dell'animalismo,
lasciamo a voi ogni dovuta interpretazione ed ogni commento del fatto. Di questi maiali, tre
risaltano per la voluta somiglianza con i veri maiali di storica memoria: Palladineve (Trotskij),
Napoleone (Stalin) e Clarinetto, raffigurazione del fedele burocrate di Partito impegnato
nell'indottrinamento degli animali. La lotta all'interno del potere fra questi due Maiali,
Palladineve e Napoleone, è la fedele trascrizione in chiave satirica della lotta che contrappose
Stalin a Trotskij fra il 1924 ed il 1927; nessuna parte del racconto è un'alterazione di ciò che
avvenne realmente fra questi due porci, ma la fedele trascrizione dei motivi e del significato che
condussero la Russia sovietica da una dittatura sul proletariato... ad una dittatura sul proletariato. Gondrano e
Berta, i due cavalli, rappresentano invece la base del partito bolscevico; la loro
generosità per la Rivoluzione è vissuta nella sua forma più commovente e fedele, tradotta
brillantemente da Orwell nel motto di Gondrano "Lavorerò di più!". Questo vero rivoluzionario
pronto a sacrificarsi per gli ideali dell'animalismo, il militante rivoluzionario che ha delegato il
Partito a pensare per lui, l'operaio capace della più grande abnegazione, una volta risultato
incapace di continuare da vivo la sua funzione di carne da macello, lo diventa anche da
morto,
portato via su un furgone del macellaio sotto la spudorata finzione ideologica di trasportarlo in
un ospedale per le dovute cure. È questa una delle pagine più belle del libro di Orwell, quando gli
animali, accortisi di quanto sta realmente succedendo a Gondrano, fanno ogni possibile sforzo
per liberarlo e lo incitano disperatamente a liberarsi. Ma per Gondrano la Rivoluzione è ormai
finita! Di tutti gli animali della Fattoria, l'asino Benjamin rappresenta colui che fin dal primo
momento ha intuito e in seguito compreso grazie alla sua presa di coscienza come la loro
rivoluzione fosse stata tradita, anzi fosse servita per l'instaurazione di un nuovo potere: il potere
burocratico. Merita, a questo proposito, lasciare al suo autore la descrizione di questo
meraviglioso personaggio: Benjamin era la bestia più vecchia della fattoria e la più
bisbetica. Parlava raramente, e quando
apriva bocca era per fare ciniche osservazioni: per esempio, diceva che dio gli aveva dato la
coda per scacciare le mosche, ma che sarebbe stato meglio non ci fossero né coda né mosche.
Solo fra tutti gli animali non rideva mai. Se gli si domandava il perché, rispondeva che non
vedeva nulla di cui si potesse ridere. Ma, senza dimostrarlo apertamente, era devoto a
Gondrano: i due usavano passare insieme la domenica nel piccolo recinto dietro lorto, brucando
l'erba fianco a fianco senza mai aprire bocca. Degli altri animali ricordiamo Molly, la cavallina del signor
Jones ammaliata dagli zuccherini e
dai nastrini della vecchia società dei consumi; il gatto, l'eterno sfaticato pronto ad imboscarsi
subito se nell'aria di un miglio sentiva odore sudato di lavoro; il corvo Mosé, simbolo della
religione e delle sue imposture al servizio del potere, qualunque potere; ed infine le oche, la
massa di manovra che nella loro cantilena, nel ripetere quei pochi precetti compresi
dell'animalismo, sono di grandissimo aiuto agli assetati di potere ed ai loro giochi. Questa è La
fattoria degli animali, una favola esopiana che Orwell ci ha voluto raccontare non
per farci addormentare, ma bensì per tenerci svegli e allerta proprio quando l'interesse del potere
è somministrarci abbondanti sonniferi incapsulati nella "problematicità della storia". Contro
queste pillole dorate, Orwell - in un periodo di piena alleanza fra il governo inglese e l'Unione
Sovietica - quando gli intellettuali di sinistra, i pansy left, gareggiavano con la stessa Mosca nel
rappresentare Stalin salvatore e padre della libertà, ebbe il coraggio di andare controcorrente,
facendo di tutto pur di pubblicare il libro nel '44, convinto che se libertà vuol dire veramente
qualcosa, significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuole sentire. Ed eccoci giunti agli
ultimissimi anni di Eric. Il focolaio ai polmoni si acutizza e così la meritata
notorietà acquisita dopo durissimi, lunghi anni di desolazione non può essere goduta nel suo
pieno. Abbiamo già detto come le vicissitudini di Orwell influissero profondamente sul suo
lavoro di scrittore in una perfetta opera di simbiosi mutualistica; così il suo ultimo romanzo,
1984, risente notevolmente della sua esperienza oltre che di scrittore ormai apprezzato dal grosso
pubblico, soprattutto di uomo ricco delle proprie passate vicende, e profondo cultore di queste. Si,
1984 è il compendio, la summa delle sue esperienze di lotta non tanto per questa o per
quell'altra ideologia, quanto per riaffermare che lottare per la libertà in libertà, ne vale proprio la
pena: si diviene ciò che si è. Come l'esperienza della rivoluzione spagnola ha profondamente
influito sul romanzo La fattoria degli animali dandogli una visione smaliziata, cinica, ma reale
della "rivoluzione tradita", allo stesso modo, se non di più, le lotte fra l'affermazione di una
società libera ed antiautoritaria e l'istituzione di uno stato totalitario e gerarchico contrassegnano
prepotentemente la trama ed il contenuto di questo romanzo di fantapolitica. Si è detto, da parte
di numerosi critici, che il pessimismo esasperante di una visione del mondo ormai incapsulato
nelle morse del totalitarismo burocratico è dovuto in parte anche alle precarie condizioni fisiche
in cui il suo organismo si trovava negli ultimi anni; niente di più vero. Ma limitarci soltanto a
questa affermazione ci sembra poco corretto intellettualmente, perché in questo modo si tenta di
esorcizzare il problema posto da Orwell, rifiutandolo in quanto malato. Noi crediamo che il problema sia un
altro. Se con La fattoria degli animali l'idea di fondo di
questo libro - l'instaurazione della menzogna e della schiavitù in qualsiasi organizzazione
gerarchica ed autoritaria - poteva essere controllata e pilotata contro un nemico ben preciso, il
potere bolscevico, in 1984 questo tentativo di esorcizzare il diavolo vestendolo con i panni
dell'avversario non solo è destinato a fallire, ma implicitamente è la conferma, l'approvazione
della tesi sostenuta da Orwell nell'opera: la funzione dell'ideologia come "falsa coscienza" al
servizio del Potere, qualunque Potere, che giustifica di credere ad una cosa e nel suo contrario
secondo i mutevoli rapporti di forza in cui chi è detentore del Potere viene a trovarsi. In altre
parole: la storia non più (se forse lo è mai stata) come magistra vitae, bensì
come magistra
imperii! L'ideologia viene descritta ed interpretata da Orwell nei tre dogmi principali del
bis-pensiero (per
l'appunto l'ideologia): 1) La guerra è pace; 2) La libertà è schiavitù; 3)
L'ignoranza è forza. La guerra è pace. Come abbiamo detto, l'ideologia in
quanto falsa coscienza ha la proprietà di
negare ciò che afferma, e poiché, come qualsiasi altro pensiero metafisico, ha le radici ramificate
in terra, la materialità di questo assunto sta nell'organizzazione sociale che si è data: la
proprietà
e dei mezzi, e degli strumenti atti alla produzione. Orwell in 1984 descrive la necessità di
questo
potere, così strutturato, nel fomentare la guerra senza fine, una guerra che non crei un vincitore
né un vinto, ma che permetta ai sistemi di potere, apparentemente in contrasto, di trar nuova linfa
per il sistema produttivo: La guerra, come si vede, non solo viene incontro al bisogno di
distruzione necessaria, ma si raffigura anche in una forma psicologicamente accettabile. Come
principio sarebbe altrettanto semplice, per tenere occupate e quindi per disperdere le eccedenze
di manodopera del mondo, costruire templi e piramidi, far buche nel terreno e poi riempirle di
nuovo, o anche semplicemente produrre vaste quantità di beni, e poi distruggerle appiccando
incendi. Così come, per il consenso psicologico a questo dominio:... è
assolutamente necessario che egli
abbia una fede cieca, che sia un fanatico ignorante, i cui sentimenti fondamentali han da essere
la paura, l'odio, l'adulazione e lo stato orgiastico del trionfo. Si richiede, in altre parole, che egli
abbia la mentalità conforme allo stato di guerra. Dunque la guerra, per il Potere, ha il compito di
garantire lo status quo, la perpetuità di questo sistema, quindi la pace di esso! La libertà
è schiavitù. Nell'ideologia è proibito pensare in modo diverso da quello in cui il
Potere
impone di pensare. Ma è necessario, si deve pensare come il Potere detta, in una libertà di
pensiero divenuta schiava dell'ideologia che interpreta a seconda dei rapporti di forza fra gli
"antagonisti", non solo i fatti presenti, ma persino il passato, la storia, costruendo di conseguenza
una visione del mondo incapsulata in un sistema di pensiero dialettico sia esso idealistico oppure
materialistico. Per questo ogni autonomia di pensiero fuori da schemi dialettici è proibita, e
l'ignoranza del Potere a cui bisogna sottostare diviene forza del Potere. Da qui il terzo dogma
ideologico: L'ignoranza è forza. Da questa premessa assiomatica si snoda l'intreccio di
un romanzo
piacevolissimo nella lettura; un romanzo carico di tensione emotiva in cui l'impersonalità fredda
del Potere del partito e della sua opposizione si scontra con la personalità passionale, dispiegata
in una delicata storia d'amore, fra gli unici due personaggi del libro: Winston e Julia. Non ci
stancheremo mai di ripetere che l'esperienza di Orwell uomo, oltre che di scrittore, si condensa
armoniosamente in tutte le parti del romanzo; un'esperienza che lo ha condotto ad abbracciare un
pensiero libero ed indipendente, capace di andare controcorrente affermando la propria
autonomia da qualsiasi ideologia di Potere o di Libertà. Riassumere il racconto è un peccato, si
tradirebbe senza dubbio il pathos che lo avvolge; ci interessa invece sottolineare l'antiutopia che
1984 è capace di trasmettere al lettore. Anti-utopia in quanto 1984 non è un
luogo immaginario,
come il significato etimologico della parola "où-tòpos" sta a significare, ma è il luogo
costruito
dal Potere nell'espressione più avanzata della sua burocrazia, della sua tecnologia, della sua
psico-polizia. Un luogo tristemente attualizzato nella nostra società, che aspetta solo i
video-spia,
le settimane dell'odio, l'aspetto totalizzante del "politico" per riprodurne l'esatta trascrizione. Il 1984 è
prossimo e l'anti-utopia orwelliana è l'ormai nota "Ragion di Stato", che da Kant ad
Hegel fino a Marx, nella sua completezza leniniana, non ha fatto altro che materializzare, nella
putrefatta morale del potere, la triste figura barbara del Leviatano di Hobbes. Una morale del
potere che 1984 incamera e fa propria in questa pessimistica ma pur sempre vera e reale analisi di
O'Brien: Il Partito ricerca il potere esclusivamente per i suoi propri fini. Il bene degli altri non ci
interessa affatto; ci interessa soltanto il potere. Né la ricchezza, né il lusso, né una lunga vita,
né
la felicità hanno un vero interesse per noi; ci interessa soltanto il potere, il potere puro. La
differenza tra noi e le oligarchie del passato consiste in questo, che noi sappiamo quello che
facciamo. Tutti gli altri, anche quelli che ci rassomigliano più da vicino, erano vili ed ipocriti. I
nazisti tedeschi e i comunisti russi si avvicinarono molto ai nostri metodi, ma non ebbero mai il
coraggio di dichiarare apertamente i loro motivi, le loro ragioni. Essi pretesero, e forse perfino
credettero, d'essersi impadroniti del potere con la propria elezione e iniziativa, e per un tempo
limitato, e che all'angolo della strada ci fosse un paradiso nel quale gli uomini potessero essere
liberi ed uguali. Noi siamo tutt'altra cosa. Noi sappiamo benissimo che nessuno s'impadronisce
del potere con l'intenzione di abbandonarlo in seguito. Il potere non è un mezzo, è un fine. Non
si stabilisce una dittatura nell'intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione
nell'intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della
tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere. Come sempre, una cosa ha inizio per
avere fine. La capacità di uscire da questo aforisma è il
superamento. Non sappiamo se questo scritto critico su Orwell abbia presente il proprio
superamento, o semplicemente sia rimasto imprigionato tra un inizio e una fine: il nostro
tentativo forse è stato appena abbozzato, forse ancora è fallito, annegato in descrizioni ed analisi
inutili. Non abbiamo voluto imporre un modo di lettura delle opere di George Orwell, né questo
scrittore aveva bisogno di qualcuno che lo introducesse alla lettura critica. Il nostro tentativo è
stato quello di cercare di interessare chi ancora non conosce Orwell a leggerlo, non perché
Orwell come pensiero, come metodo, come azione sia stato molto simile a quelle strane bestie
che sono gli anarchici. Non solo per questo. Saremmo ancora più stupidi di Gramsci o di Lukacs
se analizzassimo l'espressione artistica dell'uomo in base all'utilità di questa ad un Principe,
sia
esso il Partito oppure la Lotta di Classe; l'arte - se proprio vogliamo entrare in merito ai "massimi
sistemi" - noi l'intendiamo come libera volontà espressiva dell'uomo, di ogni uomo,
indipendentemente dall'oggettualizzarsi di questa in una ideologia. Anzi, proprio perché "libera
volontà espressiva" male si accorderebbe con l'asservimento ad una ideologia, ad una rimozione
sublimata, al puro gusto del "bello". Poiché crediamo nell'utopia, crediamo nell'arte, nella poesia; un'arte
che non diventi una funzione
politica; e neppure vogliamo che la politica sia una funzione dell'arte, ma che l'arte si esprima
poeticamente distruggendo tutto ciò che vi è di politico, di ideologico, di falso cosciente. Forse
è
proprio in questo l'interpretazione che noi abbiamo dato del lavoro artistico di Orwell, e forse è
proprio per questo che lo scrittore inglese ci è stato utile come apripista di questa serie di letture.
Sicuramente l'opera di George Orwell è un superamento anche di questa interpretazione anti-ideologica
dell'arte, della poesia, della vita: niente di più facile. Ma le piacevoli ore trascorse con
i suoi libri debordanti di storie, preoccupazioni, gioie, dubbi, inganni, soddisfazioni ci hanno
convinto ancor di più che la qualità di un romanzo dipende dalla tensione con cui si uniscono
l'osservazione esatta e la correzione o l'approfondimento del reale da parte dell'immaginario.
(A. Colin)
Jules Elisard
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