Rivista Anarchica Online
Che male fa la gelosia
di Mario G. Verdini
«Amo moltissimo la mia ragazza e sono ricambiato. Il mio problema è questo: quando sono
con lei in luoghi pubblici e qualcuno la nota (senza che lei faccia niente per questo) e comincia
a guardarla (è bella!) con una certa fissità e con quei significati, a me dà molto fastidio e mi
innervosisco. Mi è perfino accaduto di rivolgermi al voyeur di turno, chiedendogli che cosa
avesse da guardar tanto e poco mancò alla lite. Come se non bastasse, quando accadono queste
cose me la prendo anche con la mia ragazza, non le rivolgo la parola per ore, scatto per un
nonnulla, mi sento triste e trascurato, le rivolgo parole violente, l'accuso di cose non commesse,
mi dilungo sui particolari senza capire il perché e la cosa stranamente mi eccita. Una volta l'ho
anche picchiata. Ora a stento mi controllo e sempre provo malessere. Lei mi rimprovera di
comportamento assurdo, si sente umiliata e scoppia in lacrime spesso ... La verità è che ho paura
di essere lasciato per un altro ed ho fisso l'incubo di saperla tra le braccia di un estraneo... Cosa
devo fare?». Questo è il testo di una lettera ad una rivista a firma di Carlo N., ma potrebbe essere stata
firmata da Gianni o da Alberto o da chiunque altro che come Carlo si «innervosisce quando
qualcuno posa gli occhi sulla sua ragazza», occhi che a lui appaiono allusivi, concupiscenti e
rapaci; occhi che da lui, il geloso, sono visti pieni di significati morbosi e che, a sentirlo,
dovrebbero essere rivolti altrove, da qualsiasi altra parte fuorché sulla amata; occhi magnetici
e supposti capaci di trasmettere una sorta di malia erotica, capaci di traviare il candore
dell'amata, la quale, com'è notorio, essendo la propria e non una a caso, è oltremodo «fedele»
e mai eppoi mai sensibile alle lusinghe di provenienza estranea ... Lui, il geloso, in quel caso
scatta, s'infuria, mena cazzotti e soffre, lui ahimè, del mal d'amore! Effettivamente, a parte lo scherzo, siamo ancora lontani dal giorno che vedrà sconfitta la
gelosia, anzi, di questo passo c'è da credere che per certi individui (e sono pur sempre la
maggioranza) che hanno impostato erroneamente il loro rapporto affettivo con l'altro/a, c'è da
credere, dicevamo, che il problema sia destinato ad aggravarsi, smontando di brutto le più rosee
previsioni di quelli che si illudevano che le tematiche e le rivendicazioni per una sessualità libera fossero
oramai superate e pleonastiche o svianti. Insomma il grosso del problema, il nocciolo nudo e
crudo è rimasto inalterato nell'intimo dell'essere umano e minaccia di aggravare la sua misura
e le sue influenze negative via-via che trascorrono i tempi (o contro il trascorrere dei tempi,
svolgendo una funzione conservatrice e reazionaria). Ci fanno credere questo, constatazioni di vario ordine e prima fra tutte la pretesa
liberalizzazione - che è ben altra cosa della libertà per come noi la intendiamo - di certi
comportamenti sociali ed in specie quelli della donna. Innanzitutto dobbiamo prendere atto dell'importanza che nella società contemporanea, quella
che è stata definita come «società dello spettacolo», è venuta ad assumere l'immagine nella
pubblicità, nell'informazione, nell'educazione e nella cultura più generale. Probabilmente mai
quanto di questi tempi è stato fondamentale l'uso - e a volte l'abuso - dell'organo visivo,
dell'occhio: il voler vedere, il tentar di capire osservando una o più immagini è all'ordine del
giorno, in certi casi addirittura è una scienza nuova e una professione nuova quella che concerne
la tecnica della rappresentazione per immagine. Quella televisiva è recentissima. Così la donna che si dice finalmente uscita allo scoperto abolendo gli antiquati concetti del
«pudore» che la volevano costantemente velata e pudibonda, con lo sguardo basso e
vergognoso, ella stessa incapace di sostenere tale sguardo al cospetto di un uomo -
atteggiamento ipocrita che confermava l'imposizione almeno verbale alla passività -, oggi
rivendica per sé il diritto all'uso totale delle sue facoltà, compresa quella dell'osservazione
minuziosa ed esprime in tal modo un desiderio di conoscenza a partire proprio da questa
osservazione particolareggiata dell'aspetto dell'altro sesso. Ricordiamo ancora una volta la significativa presenza femminile alla esibizione dei due nudi
di Riace; il successo tra il pubblico femminile della mostra fotografica a Roma di R.M. Thorpe,
fotografo di nudi di colore maschili, o le numerose lettere di lettrici alle riviste femminili con
le quali si fa richiesta di frequente pubblicazione di foto di uomini spogliati e in pose artistiche. Negli Stati
Uniti, ma anche in certi club privati dei paesi del Nord Europa, ci sono e vanno per la maggiore,
dei locali in cui il tradizionale numero di «strip-tease» eseguito da una avvenente ragazza, è
stato sostituito da quello dove chi si denuda pezzo dopo pezzo è un maschio: il pubblico,
neanche a dirlo, è generalmente costituito da donne di ogni età e ceto. Certamente si tratta di un
fenomeno esclusivo, un caso limite e riferibile ad una esigua minoranza di donne, ma è
altrettanto certo che queste tendenze una volta generalizzate e diffuse grosso modo, avranno per
risultato l'edizione di una donna nuova che non si farà più scrupolo di decidere in prima persona,
di scegliere, di compiere gesti inconsueti (come per esempio il prendere l'iniziativa nel «gioco
dell'amore») pur di affermare la propria volontà anche in campo sessuale. In questo caso il
pericolo che corre la donna è quello di riprodurre gli schemi dell'universo pornografico del
maschio, cioè di aderire inconsciamente all'immaginario erotico maschile (l'adorazione dell'apparenza prima ancora che della sostanza, l'adorazione del «grande fallo», ecc.), di accoppiare,
in due parole, il desiderio alla volgarità e distanti anni luce dal buon gusto. Le conseguenze
sarebbero delle peggiori e porterebbero all'eccesso le tendenze che già adesso tra alcuni maschi
si vanno facendo largo. Mi riferisco a quella immagine dell'uomo moderno che i «persuasori
occulti» della pubblicità commerciale stanno tentando di far passare con un'operazione di
propaganda capillare: quella immagine dell'uomo un po' vanesio e molto narcisista che si
gongola all'idea di essere guardato con ammirazione e che di questo ne fa uno scopo. Si vedano
le sue frequenti sedute nei saloni di bellezza «unisex», l'aumento del consumo dei prodotti
cosmetici per uomo e così via. Evitando questo rischio, solo allora le donne potranno guardare l'uomo con occhio fermo e
deciso e potranno giudicarlo, e la sua autorità, il suo dominio nella scala gerarchica potrà essere
messo in discussione. Alcuni si troveranno in una situazione imbarazzante abituati come sono
a non essere misurati e paragonati, ma a misurare ed a paragonare. La loro psicologia non accetterà di buon grado un simile ribaltamento
comportamentale e alcuni si rivolgeranno ancora una volta alle sane, vecchie tradizioni che
vogliono la donna col capo chino, lo sguardo a terra, un sentimento di timore reverenziale verso
il maschio (per meschino che sia) e assoluta passività. Questi uomini inetti non saranno più che
i rappresentanti di un mondo piccolo e antico. Ecco dunque che i timori che Carlo esprime nella sua lettera diventano comprensibili (non
dico «giustificabili», ma ripeto, comprensibili): egli, nelle cose del suo mondo a scartamento
ridotto, teme soprattutto di veder rifiutata l'autorità del «suo» sacro scettro; ha paura, tanta paura
da riuscire violento verso di sé (perché ne soffre) e verso l'esterno (che tortura senza motivo),
di perdere il potere psicologico e materiale che fin'ora ha esercitato sull'oggetto della sua
attenzione sessuale. Carlo crede, a torto o a ragione, di correre il rischio di farsi rapire la «sua»
ragazza, di ritornare un paria, un nullatenente ed il suo fuorviato istinto di conservazione ne
rimane offeso. Finalmente in questi termini riusciamo a dare una forma abbastanza esatta e completa della
gelosia, definizione che ci porta a concludere che la gelosia o il «proprietarismo corporale» o
l'esclusivismo in amore conduce in quasi tutti i casi a dei gesti di usurpazione dell'altrui
personalità o a dei crimini che richiamano l'intervento della legge (non solo nel suo aspetto di
sanzione matrimoniale) e delle sanzioni penali. Quindi prima di tutto la gelosia è motivo di
diminuzione della libertà individuale e poi un fattore archico. Invece l'abbondanza delle
esperienze è frequentemente la conseguenza della scomparsa dei pregiudizi gerarchici e
l'inaugurazione di uno stato psicologico di benevolenza reciproca non competitiva. Ma a questo punto vale la pena di sottolineare cos'è la gelosia in amore per fare opera gradita a quanti e soprattutto a quante vorranno evitare di contrarre la pessima abitudine di guardare al
futuro senza aver prima fatto «tabula rasa» dei criteri di valutazione che tali quali come sono
fondati sul pregiudizio borghese, costituiscono null'altro che l'inficiazione di ogni progetto
innovativo. Da qualsiasi punto si voglia vedere, a tutte le fonti a cui si voglia far risalire la sua origine, ne
sorte che la gelosia è una forma morbosa del sentimento: l'uno considera l'altra o viceversa,
come «sua proprietà», come «cosa» su cui si ha assoluto potere, ed alla cui prerogativa non si
rinuncia, pena la caduta dell'autostima. Premesso ciò è chiaro che per l'individualista anarchico
quello della gelosia è un problema che nemmeno si pone. Pluralista negli affetti quale egli è, non
si attende che una o l'altra delle sue amicizie e/o dei suoi amori gli renda conto dei propri gesti
o dei propri sentimenti che tale partner e tal'altro ritiene non lo riguardino almeno nei termini
che implicano la gelosia. Inoltre l'idea dell'«autostima» che egli si è fatta, non è quella ordinaria
e borghese. In quella permanente attenzione che sta nel non far soffrire alcuno, nel non limitare
le proprie possibilità, i propri interessi né quelli del partner è sempre l'amore che vince sulla
ristretta mentalità comune. Edmund Bergler, uno degli psicoanalisti che maggiormente hanno analizzato la questione della
gelosia, ha concluso che il geloso manifesta in primo luogo inconsce tendenze di curiosità
ansiosa. Egli immagina fortemente presunti incontri della persona oggetto della sua attenzione
con quella rivale e vive simili rappresentazioni in modo masochistico, ossia godendone e
soffrendone ad un tempo stesso. Da moltissimi sogni analizzati dagli studiosi - Aronson e Pines,
per esempio - è risultato che immaginare un'infedeltà del partner significa semplicemente
proiettare sull'altra persona ciò che il soggetto - il geloso - in realtà vorrebbe compiere. Infatti,
nel mentre che sovente non si tollera ricevere una infedeltà, è così facile giustificare, minimizzare o perdonare a se stessi un proprio tradimento. Quante volte si sente dire dall'uomo che non ammette infedeltà da parte della propria compagna che lui, tanto
e come vuole, può essere infedele: la donna verso l'uomo, invece, non lo deve assolutamente
neppure pensare. E' o non è l'uomo, e non la donna, cacciatore? A Carlo che chiede cosa fare, a lui che in ogni uomo vede un pericoloso concorrente sessuale
e ne è furibondo fino alla violenza stupida, si dovrebbe chiedere a nostra volta di fare un attento
esame dei propri sentimenti verso quella ragazza che l'accompagna: potrebbe uscirne, alla fin
dei conti, che la verità è che egli non ama affatto la «sua» ragazza, ma la «possiede» solamente
e nel senso più deleterio dell'espressione e cioè gerarchicamente, da padrone a schiava. Potrebbe
anche saltar fuori - a ben guardare la faccenda - che in quel suo credere ogni altro uomo più
capace di sé, tanto quanto può bastare a detronizzarlo, più capace in amore, in «savoir-faire»,
in simpatia, in bellezza, in fascino ecc. ecc., si celi una latente forma di omosessualità o,
comunque, anche se negata con la ragione, una sottile, sotterranea ma tenace forma di
ammirazione omofila. Allora Carlo si verrebbe ad identificare strettamente con la «sua» ragazza
e ne riuscirebbe a carpire perfino i desideri più intimi, sarebbe anche capace di indurre in lei
certi movimenti e certi pensieri che altrimenti ella non avrebbe (o non ha). Si spiegherebbero
così le botte che la poveretta deve prendere e le umiliazioni che Carlo le fa patire: come in uno
specchio, Carlo in lei insulta se stesso e in lei si punisce dolorosamente per quei desideri
omosessuali che non sa vivere che attraverso la sua ragazza, ormai diventata più che «sua» e
parte propria di Carlo, se non Carlo addirittura sdoppiato nella sua ambiguità repressa: da una
parte la resistenza virile ed energica, dall'altra il femminino di sé che lui vuole castigare e tenere
sottomesso. Ma in tal caso si andrebbero a toccare questioni di attinenza patologica e non è questo il centro
del nostro argomento, la gelosia, di cui qui abbiamo di nuovo la conferma sintetica della sua
componente morbosa.
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