Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 103
estate 1982


Rivista Anarchica Online

Un revival dissacratorio?
di Fausta Bizzozzero

Le vie del marxismo sono infinite. E quelle dei suoi ultimi epigoni anche. Credevamo di aver acquisito, col tempo e l'esperienza, una sufficiente dose di scetticismo e di impermeabilità nei confronti di quel piccolo mondo pazzo e obliquo che è la sinistra in Italia. Ma ci eravamo sbagliate. Ci sono ancora cose in grado di stupirci e di farci fare grasse risate ... amare. Come il recente repèchage, ad opera dell'ARCI di Bologna, dell'erotismo anni '50 e della sua massima vestale Dodò d'Hambourg, regina del Crazy Horse, simbolo per eccellenza del peccato con la P maiuscola. E appena lei ha ripreso a spogliarsi ha fatto impazzire Bologna. E i giornali. E la RAI. E gli intellettuali dall'aria snob che si pigiavano in prima fila con la scusa di partecipare ad un revival dissacratorio, tesi e attenti a cogliere l'ombra di un capezzolo o di un pelo.
Soprattutto è impazzita la gente: uomini e donne, docenti universitari e commesse, tutti a far la fila per ore per conquistarsi un biglietto o una sedia. Quelli del GranPavese, il circolo Arci-democratico (sic!) convertitosi all'«erotismo ironico», organizzatori della serata, si sono fregati le mani dalla soddisfazione. I bolognesi sono arrivati in massa a pigiarsi all'ingresso, a prendersi a pugni in risse furibonde. Sono stati respinti a centinaia.
Loro, i pochi privilegiati che hanno assistito allo show e al corso di spogliarello prontamente organizzato dal GranPavese - una settimana di strip, tavole rotonde, canzoni oscene degli anni '20, esibizioni di Dodò e del pubblico - sono rimasti entusiasti. Al punto che Dodò s'è decisa a tirar fuori dalla naftalina le sue sfavillanti «toilettes originali» e a dar spettacolo con un grande revival in un piccolo teatro off dell'amministrazione provinciale, solitamente consacrato ai misteriosi riti dell'avanguardia. Un successo senza precedenti.
Un successo che fa pensare, che deve far pensare. Certo un'iniziativa di questo tipo sarebbe stata addirittura impensabile dieci anni fa, certo allora nessun sinistrese avrebbe avuto il coraggio di parteciparvi, certo alte grida di sdegno si sarebbero levate soprattutto da parte dei vetero-marxisti notoriamente superbacchettoni, reazionari e tradizionalisti in campo sessuale, e da parte delle femministe. Ma ora donne e uomini di sinistra, con identico entusiasmo, si sono buttati alla scoperta di questo erotismo archeologico e hanno scoperto che è eccitante, stimolante.
Diverse sono le possibili letture del fenomeno. Forse gli uomini si sono stancati della sessualità libera, senza veli, che era sembrata una conquista dopo il fatidico '68; forse si sono accorti che la facilità del fare all'amore ne riduceva i contenuti a puro esercizio fisico, forse si sono resi conto di non poter accettare un tipo di donna nuovo, che stava nascendo, e che finalmente voleva essere soggetto e non oggetto anche nell'amore.
Forse le donne si sono stancate di cercare la strada di una reale emancipazione, forse si sono accorte di non essere capaci di accettare le scelte difficili e faticose che questa comporta: la coerenza, la rinuncia a qualsiasi tipo di «protezione» psicologica, anche l'accettazione della solitudine. la fatica di diventare «persona» senza perdere l'essenza della femminilità. Forse hanno scoperto che «prima» tutto era più facile e piacevole e hanno deciso di reimparare vecchi gesti e vecchi trucchi per piacere agli uomini. Forse uomini e donne hanno deciso di abdicare, di lasciar perdere quei sogni che si sono dimostrati tanto difficili da realizzare, e di ritornare alla sicurezza di un passato nemmeno poi tanto lontano. Quel che è certo è che nel campo della sessualità come in tutti gli altri, la sinistra ha dimostrato in questi dieci anni una profonda incapacità propositiva e progettuale, non ha saputo inventare e costruire nuovi modi d'amare, di essere, di vivere. O forse i vecchi schemi, i ruoli tradizionali, le vecchie fantasie erotiche frutto di una storica e invitta repressione sessuale, non sono mai state rifiutate completamente, hanno continuato a covare, come il fuoco sotto la cenere, sotto le critiche e i tentativi di un cambiamento tutto sommato superficiale, non interiorizzato.
E allora, finita la ventata innovatrice, ecco il ritorno al sesso-peccato, allo spogliarello, alle antiche arti della seduzione. Ecco Dodò d'Hambourg. Secondo quanto ha dichiarato in un'intervista lei, la vedova nera, non ha bisogno di alibi culturali e non capisce tutto questo affannarsi, discutere, sviscerare l'erotismo. Si spoglia perché le piace e basta. Quando parlano di lei come simbolo del peccato (quello con la P maiuscola, che ha turbato i sonni maschili di una intera generazione) si scompiscia addirittura dalle risate: «E' incredibile, bellissimo ... Io sono una donna perfettamente normale. E che la gente mi creda peccatrice, sensuale, ammaliatrice ... mi diverte da morire». E prosegue: «Mi divertivo come una matta a sconvolgere il pubblico. Alla fine della guerra la gente era affamata di tutto, anche di sesso. Bastava pochissimo per scandalizzare: facevi vedere una coscia ed era già la fine del mondo». Dopo la coscia, qualcos'altro, in un gioco di darsi-negarsi. Non ha mai voluto spogliarsi del tutto: «E' il segreto del mio successo, lasciare spazio all'immaginazione, al sogno (...) Spogliarsi in pubblico è un'esperienza molto sensuale. Lo sguardo della gente è come una cosa calda, sensuale, che ti avvolge e ti sostiene».
Una vittima? Certamente, anche se si è autoconvinta, ha dovuto autoconvincersi di non esserlo per poter continuare a fare il suo lavoro. Anche lei si è servita di un alibi, ma con se stessa. Ha dovuto credere di usare il pubblico anziché di esserne usata, di vendicarsi di un pubblico guardone e represso giocando con le sue fantasie e repressioni. In realtà è sempre stata schiava del suo pubblico, ma schiava intelligente, che del suo padrone conosce ogni intimo pensiero e desiderio, ogni sfumatura, ogni fantasia e facendole proprie riesce ad assecondarle, a soddisfarle, a stimolarle, a prevenirle nel migliore dei modi. Forse Dodò d'Hambourg non esiste neppure. O meglio esiste solo in quanto proiezione di un immaginario sessuale tipicamente ed esclusivamente maschile.
Lei dice di credere nelle donne e nel femminismo: «Le donne sono cento volte meglio degli uomini. Ti aiutano, ti stanno vicino. ti difendono. Ma non ti chiedono niente in cambio. Femminista io? Certo. Tutto quello che ho me lo sono conquistato da sola, anche se i miei sbagli li ho pagati cari. Ho sempre cercato di essere libera, di essere me stessa nonostante tutto. Be', non lo sono?». No, cara Dodò, non lo sei proprio. E come potresti, racchiusa come sei dentro uno spazio simbolico che non è tuo e non è, né potrà mai essere, di nessuna donna?