Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 103
estate 1982


Rivista Anarchica Online

Quindi, contro lo stato
di Giuseppe Gessa

Ogni sforzo teso ad una riattualizzazione del pensiero anarchico non può che incontrare la nostra approvazione. Ma l'articolo di Marenghi esce, a mio parere, almeno in parte, da quelli che sono i termini etici che contraddistinguono l'anarchismo stesso, questo per alcune affermazioni del redattore dell'articolo che ci sembra necessario controbattere. Tentare di fare una ricostruzione storico-politica dell'anarchismo non è cosa facile, si rischia sempre di trovarsi invischiati in alcuni luoghi comuni che la cultura borghese o marxista è riuscita ad imporre come «verità» .
Mi sembra utile a questo proposito, tentare di analizzare - sia pure schematicamente - l'approccio che l'anarchismo ha avuto con il concetto di rivoluzione. Se la rivoluzione è un sovvertimento radicale e profondo dell'ordinamento esistente, le forme ed i modi con i quali questo sovverimento si attua, sono quelli che il movimento sociale o politico riesce ad esprimere. La percezione e la via marxista alla rivoluzione sono qualitativamente differenti da quelle espresse dal movimento anarchico. Se per i primi la rivoluzione era innanzitutto un evento storicamente determinato, per l'anarchismo l'educazione alla libertà doveva avvenire già nel corso dell'azione rivoluzionaria. Era all'interno dell'organizzazione rivoluzionaria che dovevano essere sperimentate le pratiche assembleari e di rifiuto della delega che la società futura avrebbe espresso. Questa straordinaria attenzione etica alle forme ed ai mezzi con cui condurre l'azione rivoluzionaria si ritrova già espressa dai fondatori della Prima Internazionale: «la società futura non dovrà essere che la universalizzazione dell'organizzazione che l'Internazionale si sarà data». Tanto più l'organizzazione anarchica sarebbe riuscita a diffondersi tra le masse, tanto meno la rivoluzione sarebbe stata un mero momento distruttivo. La rivoluzione diventava quindi l'evento che avrebbe eliminato quelle barriere (lo stato) che impedivano alla società nuova di esprimersi.
E' proprio il diverso approccio alla problematica della rivoluzione che impedisce all'anarchismo di muoversi verso una logica di
potere. Le considerazioni di Marenghi rispetto ai fatti spagnoli mi trovano completamente dissenziente. Gli eventi che diedero vita alla rivoluzione spagnola erano conseguenza della enorme pressione rivoluzionaria delle masse oppresse. Alle spalle delle comunità autogestite del Levante e della Catalogna c'era infatti un gigantesco lavoro di propaganda svolto dalle organizzazioni anarchiche e anarcosindacaliste. Atenei libertari, cooperative di consumo, una miriade di pubblicazioni e iniziative editoriali, fecero sì che alla spontaneità libertaria della rivoluzione si accompagnasse una consapevolezza ideologica precisa. Ma perché falli la rivoluzione spagnola? Certamente anche per cause esterne quali la supremazia militare dei fascisti o il tradimento dei comunisti. Ma quello che mi interessa è capi re come si mossero le organizzazioni anarchiche. Ebbene, l'errore tragico dei libertari spagnoli fu proprio quello di avere sottoposto la rivoluzione libertaria alle esigenze della guerra civile. L'errore fu di non avere portato a compimento l'opera iniziata dai contadini andalusi e dagli operai catalani che misero in atto le prime forme di autogestione. Fu di avere sostituito questa autogestione con la pianificazione eterodiretta dai burocrati comunisti appoggiati dalla dirigenza cenetista. Fu la militarizzazione delle forze rivoluzionarie che sostituì il popolo in armi. Fu la burocrazia che strozzò le speranze di una società nuova in Spagna. Fu quindi la paura della rivoluzione che atterrì anche i dirigenti cenetisti, non la rivoluzione solo come sovverimento militare, ma la rivoluzione come fenomeno culturale, come ribaltamento totale di valori, in fin dei conti come espressione di Anarchia.
Il grande scollamento tra pensiero ed azione dell'anarchismo spagnolo fu proprio l'incapacità di portare fino in fondo le conseguenze della rivoluzione anarchica. Ma quale ruolo deve giocare oggi l'anarchismo, in una società come la nostra dove l'evento rivoluzionario sembra essere divenuto una chimera? La mancanza di una strategia anarchica della trasformazione pone senza dubbio non pochi problemi allo sviluppo dell'azione anarchica nella nostra epoca. Se giustamente è da rifiutare per la sua aberrante logica totalitaria il sostitutismo leninista delle B.R., non meno deleterio sarebbe lo spostamento del progetto anarchico verso l'area del riformismo democratico.
L'anarchismo, proprio per la sua straordinaria attenzione critica al problema del dominio, sotto qualsiasi forma si rappresenti, e in quanto progetto più completo di una società priva di oppressione, si separa irrimediabilmente dal marxismo che sortisce solo la sostituzione dei detentori del potere. Questa attenzione al problema della libertà, come forza propulsiva di una società egualitaria, separando marxismo e anarchismo, separa irrimediabilmente anche anarchismo e democrazia. L'anarchismo è infatti rivoluzionario proprio perché non si limita ad una critica parziale ad un particolare tipo di sfruttamento (il capitalismo), ma è attento alla formazione del dominio sotto i suoi molteplici aspetti. L'anarchismo non deve quindi essere considerato come una variabile impazzita della «grande teoria marxista», ma neppure come una pezza d'appoggio all'ideologia liberal-democratica.
Parlavamo prima della mancanza di una strategia anarchica della trasformazione. E' forse possibile tentare di sopperire a questa mancanza con la formula dell'autogestione? Il tentativo di creare qui ed ora quegli elementi della società libertaria, sarebbe senza dubbio un fatto di rottura nello scenario della società del dominio. Questo perché oltre a realizzare nel presente la nuova socialità libertaria e sperimentare l'educazione alla libertà, sarebbe nel contempo un momento di rottura con gli apatici e tetri rapporti sociali che la società del dominio impone o diffonde. L'autogestione in quanto espressione di nuovi rapporti sociali che mettono in crisi i vincoli e le forme della società autoritaria escluderebbe automaticamente il sostitutismo leninista e irrimediabilmente autoritario di cui parlavo prima. Come evitare, però, che l'autogestione si trasformi o in una sterile gestione di una periferia abbandonata dal dominio o in una cogestione riformista dell'esistente? Come evitare che l'autogestione anarchica diventi paraddossalmente funzionale al sistema che vorrebbe combattere?
Oggi l'istituzione Stato tende ad allargare sempre di più il suo campo di influenza. Lo Stato non esprime più le sue mire sulla società attraverso il solo uso della forza militare. Esso tende invece a trasferire i propri codici, i propri modelli comportamentali, direttamente sulla società. La società non sembra più essere divisa dallo Stato ma le forze che agiscono in essa tendono ad esprire e ad adottare le stesse formule e gli stessi codici dello Stato.
Il Carnevale di Venezia rappresenta l'assurdo paradosso di come l'istituzione crei e gestisca anche il momento della festa considerato come una genuina espressione della creatività popolare. L'esempio potrà sembrare paradossale ma mi pare invece importante.
Perché l'autogestione contrasti davvero l'azione totalizzante dello Stato è quindi necessario che riesca a diffondere nella società un reale spirito rivoluzionario e di opposizione intransigente allo spettacolo del dominio. L'anarchismo deve sviluppare quella tensione radicale al cambiamento, anche attraverso momenti rivoluzionari. Deve quindi convincere la gente che un cambiamento dello spazio societario, in cui vivere una vita da uomini liberi, sia possibile e desiderabile rispetto alla pacifica ma servile qualità della vita che il potere le offre.
La conquista e l'allargamento di spazi di libertà e di agibilità politica è quindi un obbiettivo che il nostro movimento deve costantemente seguire. Ma ciò deve essere fatto con il preciso intento di restringere e delimitare sempre di più l'influenza dell'istituzione nel tessuto sociale. Dobbiamo quindi evitare che lo Stato diventi l'unico e il solo mediatore possibile dei rapporti sociali.
Per concludere possiamo quindi affermare che non saremo certo noi a disconoscere le differenze qualitative che esistono tra dittatura e democrazia. E' senza dubbio preferibile la democrazia liberale al gulag marxista. Ma il progetto anarchico si separa da quello democratico proprio sul terreno della libertà: la democrazia la concede e la modella rispetto alle varie congiunture storiche, l'anarchismo propone alla gente di viverla e di crearla.
Per dirla con Stirner: Qualunque cosa voi doniate loro, essi reclameranno sempre di più, perché essi non vogliono niente di meno che l'abolizione di qualsiasi dono.