Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 108
marzo 1983


Rivista Anarchica Online

Quella cartolina strappata
di Agostino Manni

«Generale, queste macchine hanno un difetto... ». Vi ricordate di quella poesia di Brecht in cui il poeta rammentava ai generali i limiti delle loro «perfette» macchine di guerra? «Avete armi molto potenti - diceva - ma queste armi hanno pure bisogno di qualcuno che prema il grilletto; avete aeroplani che solcano il cielo lanciando ordigni di morte, ma deve pur esservi qualche aviere che li faccia levare in volo e che sganci sulle città il loro carico distruttore; avete mostruose macchine da guerra che però sarebbero inutili se qualcuno non le guidasse». Hai soldati efficienti, generali addestrati, pronti ad eseguire i tuoi ordini, pronti ad uccidere, perfetti strumenti mortali; ma anche loro hanno un «difetto»: questi uomini possono «pensare».
Io, oltre ad una possibilità di salvezza, oltre ad una sfida del piccolo uomo al potente, vi lessi un atto d'accusa, una parola di disprezzo dell'uomo all'altro uomo, dell'uomo che lotta all'uomo che rinuncia, all'uomo che ha perso la sua dignità, all'uomo che ha smesso di «pensare».
Stranamente l'ultima volta che ho scritto qualcosa sull'esercito, sui militari, sulle caserme, sul principio d'autorità che si fa legislatore e regola di questo mondo infame e assurdo, è stato proprio per lanciare un'accusa, per denunciare una situazione di miseria - culturale, intellettuale, affettiva - che trasforma quel principio in morte, in suicidio - o assassinio - portandolo alle sue logiche conseguenze. Avevo parlato di un ragazzo di 25 anni che dopo aver subito nella psiche, nell'affettività distrutta, le più terribili torture, aveva messo fine alla sua esistenza fisica, corporale, l'ultima esistenza ormai rimastagli. Questa volta, la denuncia, l'accusa non parte da un individuo distrutto, da un individuo che in fin dei conti ha rinunciato, da uno che non voleva - o non poteva - più lottare; questa volta ad accusare sono dei ragazzi, dei compagni che sono, sì, testimonianza di una rinuncia, di un rifiuto che assume ben altri significati. Sto parlando degli obiettori totali; di quei compagni come Franco Pasello, Sergio Cattaneo, Pippo Scarso, Orazio Valastro, Mauro Zanoni e altri, prima o dopo o insieme a loro, che attraverso un atto di rinuncia, attraverso un rifiuto totale esprimono tutta intera la loro volontà di lotta, dando un senso e maggiore valore alla lotta di tutti noi.
«Generale, queste macchine hanno un difetto...» recita il poeta, ed è un difetto che la tecnologia militare non potrà mai eliminare, è un difetto che può far saltare in aria le regole del vostro sporco gioco, un difetto che mal si accorda con quel principio che voi volete erigere a norma di vita, ingabbiando le nostre esistenze, schiacciando le nostre speranze, distruggendo le nostre utopie.
Un gesto di sfida e una speranza di salvezza: ecco quello che rappresenta una cartolina strappata, ecco cosa rappresenta il rifiuto di questi compagni.
Anche quando gli aerei voleranno «da soli»; anche quando i missili sorvoleranno oceani e continenti «senza che nessuno li guidi»; anche quando intere città potranno essere trasformate in lugubri deserti da piogge mortali, da nuvole di vapori criminali, «apparentemente formatisi nel nulla»; anche quando intere popolazioni potranno essere stroncate da nemici invisibili, da invasori radioattivi da nessuno creati «apparentemente»; anche quando macchine inarrestabili, spaventose, inconoscibili minacceranno la nostra esistenza, legandola alla funzionalità di un piccolissimo misterioso pulsante; anche «allora» una macchina resterà difettosa, e «allora» quel difetto sarà la nostra sola speranza, sarà il confine tra l'umanità e la barbarie, sarà la possibilità di una vita libera intravista sull'orlo della distruzione, sarà l'inizio di una storia nuova.
Ho usato la forma futura e sembrava quasi che stessi parlando per ipotesi: ma quello che ho descritto, forse con toni apocalittici, non è il nostro domani; quello che ho descritto è la nostra vita di oggi, è la nostra esistenza di piccoli uomini legati allo «sfizio» di alcuni potenti, è la nostra impassibilità stupita di fronte ad eventi che sembrano inconoscibili e inarrestabili, è l'incoscienza dell'umanità di fronte alla sua rovina, è l'alibi della propria individuale piccolezza di fronte ad un mondo che si accetta come scontato, come determinato, come storicamente definito e intrasformabile, è il «cosa posso fare da solo?» di fronte alla propria colpevole apatia, di fronte alla propria individuale rinuncia, alla propria meschina, vigliacca, sporca rinuncia. E questa rinuncia deve essere denunciata, questa apatia deve essere accusata di colpevolezza; questi alibi devono essere smascherati come incoscienti, come ipocriti, come assassini al pari dei missili, dei presidenti, dei generali, dei fabbricanti di armi e delle loro macchine perfette; questa indifferenza, questa superficialità che è divenuta ormai legge di un mondo obbediente, di un'esistenza servile che fugge la conoscenza, che scansa la ragione, che si nutre di poche inutili sicurezze a scapito del dubbio che ricerca - e che scopre -; tutto ciò deve essere accusato di favoreggiamento ai progetti folli dell'autorità e della disciplina (perché nulla fa per contrastarli), deve essere denunciato come responsabile della sconfitta della libertà e della rovina dell'uomo, perché impedisce che quella si conquisti e che questo si riscatti. Ecco: proprio questa accusa - che non è assolutamente una condanna, che non vuole esserlo e non potrebbe esserlo - io rivolgo ad una umanità che rinuncia a farsi artefice del proprio destino, delegando la sua sorte a pochi squallidi individui; queste parole di disprezzo io trasmetto dalla penna del poeta e, forse, dalle bocche dei compagni alle orecchie sorde di quanti credono che il proprio silenzio non abbia colpe, a quanti fingono di ignorare che è anche la loro indifferenza a partorirsi le guerre e gli sfruttati, a quanti ancora ritengono che quel che succede in Libano o in Nigeria, nell'America Latina o in Afghanistan, al Cremlino come alla Casa Bianca, dietro i cancelli delle fabbriche come tra le mura delle caserme, sui banchi di scuola come davanti ai televisori, a quanti ritengono ancora che tutto questo non li coinvolga direttamente. E a questa umanità che non ha ancora compreso di essere composta da uomini, che finge ancora di non credere che il suo destino è frutto solo delle scelte individuali che questi uomini compiono, della ribellione che ognuno di loro esprime, della conoscenza che ognuno di loro acquisisce e mette in comune, delle lotte che ognuno di loro conduce contro il potere; a questa umanità indica una via di salvezza, una scelta rivoluzionaria, l'unica possibile scelta rivoluzionaria: quella di riappropriarsi del «difetto» che la distingue dagli animali, quella di ricominciare a «pensare», quella del rifiuto alle logiche del dominio e dell'obbedienza, quella di chi non accetta di diventare una perfetta macchina di morte nelle mani dei generali.
La scelta di alcuni compagni che hanno compreso perfettamente che ogni individuo, in quanto tale, è responsabile con le sue azioni, con le sue scelte - o col suo silenzio - del destino dell'umanità intera; quello di alcuni compagni che, affermando nel rifiuto «la propria dignità di uomini liberi», rendono ancora più valida la lotta di tutti noi.