Rivista Anarchica Online
Quella cartolina strappata
di Agostino Manni
«Generale, queste macchine hanno un difetto... ». Vi ricordate di quella poesia di Brecht in cui il poeta
rammentava ai generali i limiti delle loro «perfette» macchine di guerra? «Avete armi molto potenti -
diceva - ma queste armi hanno pure bisogno di qualcuno che prema il grilletto; avete aeroplani che
solcano il cielo lanciando ordigni di morte, ma deve pur esservi qualche aviere che li faccia levare in
volo e che sganci sulle città il loro carico distruttore; avete mostruose macchine da guerra che però
sarebbero inutili se qualcuno non le guidasse». Hai soldati efficienti, generali addestrati, pronti ad
eseguire i tuoi ordini, pronti ad uccidere, perfetti strumenti mortali; ma anche loro hanno un «difetto»:
questi uomini possono «pensare». Io, oltre ad una possibilità di salvezza, oltre ad una sfida del piccolo uomo al potente, vi lessi un atto
d'accusa, una parola di disprezzo dell'uomo all'altro uomo, dell'uomo che lotta all'uomo che rinuncia,
all'uomo che ha perso la sua dignità, all'uomo che ha smesso di «pensare». Stranamente l'ultima volta che ho scritto qualcosa sull'esercito, sui militari, sulle caserme, sul principio
d'autorità che si fa legislatore e regola di questo mondo infame e assurdo, è stato proprio per lanciare
un'accusa, per denunciare una situazione di miseria - culturale, intellettuale, affettiva - che trasforma
quel principio in morte, in suicidio - o assassinio - portandolo alle sue logiche conseguenze. Avevo
parlato di un ragazzo di 25 anni che dopo aver subito nella psiche, nell'affettività distrutta, le più
terribili torture, aveva messo fine alla sua esistenza fisica, corporale, l'ultima esistenza ormai rimastagli. Questa volta, la denuncia, l'accusa non parte da un individuo distrutto, da un individuo
che in fin dei conti ha rinunciato, da uno che non voleva - o non poteva - più lottare; questa volta ad
accusare sono dei ragazzi, dei compagni che sono, sì, testimonianza di una rinuncia, di un rifiuto
che assume ben altri significati. Sto parlando degli obiettori totali; di quei compagni come Franco
Pasello, Sergio Cattaneo, Pippo Scarso, Orazio Valastro, Mauro Zanoni e altri, prima o dopo o
insieme a loro, che attraverso un atto di rinuncia, attraverso un rifiuto totale esprimono tutta intera
la loro volontà di lotta, dando un senso e maggiore valore alla lotta di tutti noi. «Generale, queste macchine hanno un difetto...» recita il poeta, ed è un difetto che la tecnologia
militare non potrà mai eliminare, è un difetto che può far saltare in aria le regole del vostro sporco
gioco, un difetto che mal si accorda con quel principio che voi volete erigere a norma di vita,
ingabbiando le nostre esistenze, schiacciando le nostre speranze, distruggendo le nostre utopie. Un gesto di sfida e una speranza di salvezza: ecco quello che rappresenta una cartolina strappata,
ecco cosa rappresenta il rifiuto di questi compagni. Anche quando gli aerei voleranno «da soli»; anche quando i missili sorvoleranno oceani e
continenti «senza che nessuno li guidi»; anche quando intere città potranno essere trasformate in
lugubri deserti da piogge mortali, da nuvole di vapori criminali, «apparentemente formatisi nel
nulla»; anche quando intere popolazioni potranno essere stroncate da nemici invisibili, da invasori
radioattivi da nessuno creati «apparentemente»; anche quando macchine inarrestabili, spaventose,
inconoscibili minacceranno la nostra esistenza, legandola alla funzionalità di un piccolissimo
misterioso pulsante; anche «allora» una macchina resterà difettosa, e «allora» quel difetto sarà la
nostra sola speranza, sarà il confine tra l'umanità e la barbarie, sarà la possibilità di una vita libera
intravista sull'orlo della distruzione, sarà l'inizio di una storia nuova. Ho usato la forma futura e sembrava quasi che stessi parlando per ipotesi: ma quello che ho
descritto, forse con toni apocalittici, non è il nostro domani; quello che ho descritto è la nostra vita
di oggi, è la nostra esistenza di piccoli uomini legati allo «sfizio» di alcuni potenti, è la nostra
impassibilità stupita di fronte ad eventi che sembrano inconoscibili e inarrestabili, è l'incoscienza
dell'umanità di fronte alla sua rovina, è l'alibi della propria individuale piccolezza di fronte ad un
mondo che si accetta come scontato, come determinato, come storicamente definito e
intrasformabile, è il «cosa posso fare da solo?» di fronte alla propria colpevole apatia, di fronte alla
propria individuale rinuncia, alla propria meschina, vigliacca, sporca rinuncia. E questa rinuncia
deve essere denunciata, questa apatia deve essere accusata di colpevolezza; questi alibi devono
essere smascherati come incoscienti, come ipocriti, come assassini al pari dei missili, dei presidenti,
dei generali, dei fabbricanti di armi e delle loro macchine perfette; questa indifferenza, questa
superficialità che è divenuta ormai legge di un mondo obbediente, di un'esistenza servile che fugge
la conoscenza, che scansa la ragione, che si nutre di poche inutili sicurezze a scapito del dubbio che
ricerca - e che scopre -; tutto ciò deve essere accusato di favoreggiamento ai progetti folli
dell'autorità e della disciplina (perché nulla fa per contrastarli), deve essere denunciato come
responsabile della sconfitta della libertà e della rovina dell'uomo, perché impedisce che quella si
conquisti e che questo si riscatti. Ecco: proprio questa accusa - che non è assolutamente una
condanna, che non vuole esserlo e non potrebbe esserlo - io rivolgo ad una umanità che rinuncia a
farsi artefice del proprio destino, delegando la sua sorte a pochi squallidi individui; queste parole di
disprezzo io trasmetto dalla penna del poeta e, forse, dalle bocche dei compagni alle orecchie sorde
di quanti credono che il proprio silenzio non abbia colpe, a quanti fingono di ignorare che è anche
la loro indifferenza a partorirsi le guerre e gli sfruttati, a quanti ancora ritengono che quel che
succede in Libano o in Nigeria, nell'America Latina o in Afghanistan, al Cremlino come alla Casa
Bianca, dietro i cancelli delle fabbriche come tra le mura delle caserme, sui banchi di scuola come
davanti ai televisori, a quanti ritengono ancora che tutto questo non li coinvolga direttamente. E a
questa umanità che non ha ancora compreso di essere composta da uomini, che finge ancora di non
credere che il suo destino è frutto solo delle scelte individuali che questi uomini compiono, della
ribellione che ognuno di loro esprime, della conoscenza che ognuno di loro acquisisce e mette in
comune, delle lotte che ognuno di loro conduce contro il potere; a questa umanità indica una via di
salvezza, una scelta rivoluzionaria, l'unica possibile scelta rivoluzionaria: quella di riappropriarsi
del «difetto» che la distingue dagli animali, quella di ricominciare a «pensare», quella del rifiuto
alle logiche del dominio e dell'obbedienza, quella di chi non accetta di diventare una perfetta
macchina di morte nelle mani dei generali. La scelta di alcuni compagni che hanno compreso perfettamente che ogni individuo, in quanto tale,
è responsabile con le sue azioni, con le sue scelte - o col suo silenzio - del destino dell'umanità
intera; quello di alcuni compagni che, affermando nel rifiuto «la propria dignità di uomini liberi»,
rendono ancora più valida la lotta di tutti noi.
|