Rivista Anarchica Online
Gandhi e l'anarchismo
di Monica Giorgi
Anche se può sembrare del tutto fuori luogo inserire l'aspetto religioso di Gandhi nei contenuti di
confronto fra questi e l'anarchismo, tuttavia è inevitabile farlo, perché l'approccio universalistico e di
illuminato sincretismo della sua visione religiosa indirizza preliminarmente il discorso verso più dirette
e concrete relazioni tra pensiero e pratica gandhiana da un lato ed ideologia e storicità anarchica
dall'altro. La concezione della religiosità, intesa non come rivelazione soprannaturale, e della fede non concepita
come autorità al di fuori dell'individuo, bensì presa di coscienza e conseguente conferma etica nella
vita, è una costante non trascurabile dell'opera di laicizzazione fatta da Gandhi sui testi sacri: dai Veda
al Corano alla Bibbia. Upanishad, Bhagavad-Gita, filosofia buddista, letture e temi a cui Gandhi si
dedicò con particolare zelo nel periodo londinese e sudafricano della sua vita, oltre i significanti mistici
e i paradossi metaforici della metafisica e dell'epica induista, offrono una chiave interpretativa che
poggia sulla tecnica dell'introspezione, corredata di autocritica ed autocoscienza. Già attraverso questo
angolo si intravede la costante individualistica del pensiero gandhiano, che avrà in seguito definite
connotazioni educative e sociali. L'esperienza dell'Ashram e alcuni capisaldi fondamentali della sua
regolamentazione pratica sintetizzano connessioni e implicazioni di tecniche e temi libertari. L'azione individuale, come messa in pratica di propugnati valori di verità e amore, 'antiche come le
montagne', diventa la propaganda del fatto in questioni di vita quotidiana ed interpersonale. L'autarchia
domestica, quale spinta propulsiva e riflesso per e della indispensabile ripresa dell'economia di
villaggio, sulla cui progressiva pauperizzazione si basava la ricchezza colonialistica inglese, collega
l'edificazione morale individuale alla lotta politica di liberazione di un popolo oppresso. Inoltre autonomia personale (cresciuta sull'etica del non rubare e del non possedere) e autosufficienza
economica sono i corollari al decentramento federativo dell organizzazione territoriale dell'India contro
il dominio accentratore dello stato imperialista.
Verità e nonviolenza La pratica della Verità, intesa e vissuta nel senso di discernere, è essere presenti a se stessi in modo da
poter conservare un atteggiamento critico e creativo di fronte a qualsiasi situazione. La nonviolenza o amore fa capo al problema dei mezzi e dei fini ed ha soprattutto il significato di
un'educazione che si sforza di rendere l'individuo padrone di tutti i suoi poteri, per renderlo atto a
recare apporti innovativi nell'ambiente in cui vive. Così l'Ashram soddisfa alla duplice funzione di
struttura critica alternativa e di struttura costruttiva che incida concretamente per una nuova società.
Ma è proprio sull'aspetto educativo e sociale che proliferano le componenti libertarie del pensiero
gandhiano. L'apparente dicotomia tra individuo e società è risolta da Gandhi con la credenza nell'Advaita, cioè
nell'essenziale unità dell'uomo e di tutto ciò che vive. Una simile premessa ha molto in comune con
l'evoluzionismo anarchico di un Kropotkin, dove «l'istinto di socialità», esprimentesi come «mutuo
soccorso», giunge a conclusioni implicanti la necessità di operare direttamente sulla società in favore
dell'eliminazione delle differenze di classe e di ogni altro tipo di differenze allo scopo di instaurare quel
concetto di «giustizia sociale» che deve considerarsi come semplice sinonimo di uguaglianza. In Gandhi l'attuazione di una nuova società esige una nuova educazione: «Nai Talim» (educazione
nuova) fu appunto la denominazione data al suo piano di trasformazione educativa, che, quanto più
incide socialmente, tanto più è efficace ed individualmente orientata da un punto di vista sia
pedagogico che didattico.Il sottofondo da cui scaturisce lo schema della «New or basic education» (come più tardi venne
chiamata) è costituito dalla incompatibilità tra la natura nozionistica ed intellettuale dell'educazione
introdotta dagli inglesi in India e l'ordine nonviolento che Gandhi desiderava veder realizzato nel
paese. L'esigenza di una nuova educazione di tipo manuale è motivata da due fattori: uno politicoeconomico e l'altro psico-sociale. Il primo è evidenziato dalla complicità di un'educazione
puramente letteraria (più corretto sarebbe chiamarla istruzione) la quale, creatrice di acritici
impiegati, maliziosamente attenta ad evitare qualsiasi stimolo all'iniziativa e alle capacità produttive
del singolo, dava forza al colonialismo e all'imperialismo inglesi ed operava altresì una notevole
crisi economica sulla struttura artigianale e rurale del villaggio indiano, privandolo della necessaria
manodopera. Il secondo motivo, quello psicologico-sociale, si riallaccia alla consapevolezza che, in
una sedicente civiltà della macchina, la schiavitù e lo sfruttamento sono inevitabili. La produttività
non è programmata in vista dei reali bisogni della comunità, ma in funzione di una valorizzazione
della macchina stessa, che da mezzo di agevolazione diventa fine alienante. Gandhi non crede all'individuo disciplinato dall'esterno, viceversa crede all'individuo
autodisciplinato. La prima violenza è quella di un autoritarismo esterno; perciò quanto più diffida
dall'autoritarismo, tanto più Gandhi è persuaso della nonviolenza e, tanto più è ostile allo Stato,
tanto più è impegnato nell'educazione.
Semplificare i rapporti sociali Come per Gandhi il progresso e la civiltà consistono non nella moltiplicazione dei bisogni e di un
più alto tenore di vita, ma nella restrizione deliberata e volontaria dei bisogni, così l'utopia
anarchica tende ad una semplificazione dei rapporti sociali, divenuti complicati per la concomitanza
di interessi economici e politici di ben precise forze reazionarie, le quali salvaguardano la propria
incolumità creando intenzionali aberrazioni e mistificazioni culturali, storiche, morali. Lo stato e la
legge rappresentano l'apice e il coronamento della falsa complessità dei rapporti sociali e del loro
sclerotizzarsi. Nell'autobiografia di Nehru, attento interprete del pensiero di Gandhi, si legge: «I governi sono
notoriamente basati sulla violenza, non solo la violenza aperta delle forze armate ma quella assai
pericolosa ed esercitata sottilmente delle spie, degli informatori, degli agenti provocatori, della falsa
propaganda diretta ed indiretta tramite istruzione, stampa, ecc ... , religione ed altre forme di timore,
costrizione economica e fame .... La violenza è la linfa vitale dello stato moderno e del suo sistema
sociale. Senza l'apparato coercitivo dello stato le tasse non si verserebbero, i proprietari non
riceverebbero affitti e la proprietà privata scomparirebbe. La legge con l'aiuto delle sue forze
armate esclude gli altri dall'uso della proprietà privata. Lo stato nazionale in se stesso esiste proprio
per la violenza offensiva». Se la violenza è tutto ciò, il suo contrario risponde alla domanda delle istanze rivoluzionarie e
anarchiche della libertà nell'uguaglianza e della solidarietà nella lotta. Se innegabili sono le assonanze tra il pensiero di Gandhi e l'anarchismo, altrettanto peculiari e
profonde risultano essere le discrepanze pratiche, la cui evidenziazione comporta una critica utile
alla chiarezza dell'uno e dell'altro aspetto. L'ambiguità contenuta in certi temi rende il gandhismo di
difficile lettura per un'interpretazione anarchica del suo pensiero. La dimensione religiosa, per esempio, non viene mai messa in discussione nella sua forza
istituzionalizzante. L'ingenuità volontaristica di Gandhi basata sulla tolleranza ha cozzato contro il
realismo politico della teocrazia mussulmana e del più pacato, ma non meno intransigente e
capillarmente diffuso, spirito induista. Uno dei motivi principali del fallimento del progetto morale
gandhiano sono state proprio le lotte religiose intestine, che hanno condotto l'India alla guerra
civile, in netta antitesi all'auspicato assetto nonviolento della programmata liberazione dal dominio
colonialista. L'accento sui limiti della religiosità gandhiana conduce ad un'altra notevole discrepanza: quella
relativa al ruolo della donna e al tema della sessualità. Questa come quella vengono
obbligatoriamente inserite nell'angusto contesto del nucleo familiare e della sua dialettica
moralistica. La negazione della loro libera espressione, al di fuori di qualsiasi codificato precetto e
di finalità ruolizzate, conduce alla incontrovertibile menzogna dell'uso politico della persona e delle
sue caratteristiche, con effetti devastanti per lo sviluppo individuale e collettivo.
Un progetto ambiguo Se non è certo possibile non valutare positivamente il pathos sociale che anima il programma
economico di Gandhi, tuttavia questo resta su un piano emotivo ed ideale quando appunto si tratta
di tenerlo presente non solo contro l'invasore e la violenza del potere inglese ma per il futuro
dell'India. Paradossalmente la lotta di liberazione ha avuto più rispetto per gli inglesi dominatori
che non per il popolo indiano. L'ambiguità di un progetto che non mette in prima fila e non chiarifica costantemente la
sovversione antistituzionale sia sul fronte religioso, sia su quello politico come sulle ricorrenti
tentazioni di psicologia morale, è destinato a fallire tramutando le sue coordinate interne in
contenuti nazionalistici e fanatici. La violenza dell'istituzione trova alimento attraverso la forza militare e repressiva degli eserciti e
della polizia di stato, ma la sua «legittimità democratica» (e non per questo meno violenta ed
ingiusta) ha addentellati psicologici di massa, allorquando nell'individuo attecchiscono come 'entità
naturali' la convinzione nella sua carismatica inevitabilità. A Gandhi è mancata, in effetti, quella che nell'anarchismo è dimensione determinante e
fondamentale: l'irriducibile affermazione della libertà individuale contro la prepotenza storica e
quotidiana delle forme istituzionali.
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