Rivista Anarchica Online
Un «ingenuo» contro il totalitarismo
di Carlos Semprun Maura
George Orwell arriva a Barcellona nel dicembre 1936 con l'intenzione di scrivere alcuni articoli su
quello che sta accadendo. Ma, appena arrivato, la sua vita cambia radicalmente: l'entusiasmo nelle
strade, gli operai in armi, il fervore rivoluzionario lo coinvolgono e «molto naturalmente» - scrive -
entra nelle milizie del POUM. Gli anarchici avevano ancora il virtuale controllo della Catalogna e la rivoluzione era ancora in
pieno vigore (...). Era la prima volta nella mia vita che mi trovavo in una città in cui la classe
operaia era al potere. Praticamente ogni edificio di qualsiasi dimensione era stato occupato dai
lavoratori e su tutti sventolavano le bandiere rosse o le bandiere rossonere degli anarchici; non
c'era un muro su cui non ci fossero graffiti di falci e martelli con le sigle dei partiti rivoluzionari;
quasi ogni chiesa saccheggiata e le immagini sacre bruciate, quà e là si vedevano squadre di
operai intenti a demolire sistematicamente le chiese. Tutti i negozi, tutti i caffè esibivano scritte che
ne annunciavano la collettivizzazione; persino i lustrascarpe erano stati collettivizzati e le loro
cassette dipinte in rosso e nero! (...) Non c'erano automobili private, erano state requisite
dall'autorità militare, e tutti i tram e i tassì, come gran parte degli altri mezzi di trasporto, erano
verniciati di rosso e nero (. . .). Per le ramblas, l'ampia arteria centrale di Barcellona dove
fiumane di folla andavano e venivano senza posa, gli altoparlanti tuonavano rimbombanti canzoni
rivoluzionarie per tutto il giorno e gran parte della notte. Ed era l'aspetto della folla la cosa più
straordinaria. Esteriormente, si trattava di una città dove i ceti ricchi avevano praticamente
cessato di esistere (...). Tutti, in pratica, indossavano i rozzi panni della classe operaia, o tute blu o
qualche variante dell'uniforme dei miliziani. Tutto ciò era bizzarro e commovente (...). Soprattutto,
si sentiva diffusa nell'aria una gran fiducia nella rivoluzione e nel futuro, l'impressione di essere
improvvisamente emersi in un'era di uguaglianza e di libertà. Gli esseri umani cercavano di
comportarsi come esseri umani e non come denti di una ruota nella macchina capitalista (1). La scelta del POUM è altrettanto «naturale», poiché all'epoca Orwell era membro dell'Indipendent
Labour Party (I.L.P.), e poiché questi due partiti collaboravano in seno all'Ufficio di Collegamento
di Londra che riuniva una mezza dozzina di piccoli partiti europei della sinistra socialista
antistaliniana. Appena possibile, parte per il fronte di Aragona e là, stupefatto, passa da una sorpresa all'altra.
Orwell, che ha fatto il suo servizio militare in Birmania nell'esercito imperiale, ha nozioni molto
anglosassoni sull'arte della guerra. E in questo campo, come in molti altri, considera gli spagnoli (io
veramente non amo le generalizzazioni) come completamente folli. E incapaci. Solo due aspetti si salvano - parzialmente - ai suoi occhi. Il primo è il coraggio dei miliziani, che a
volte sfiora una temerarietà suicida: non è forse accaduto, e spesso, che abbiano rifiutato di scavare
trincee col pretesto che un uomo, un vero uomo, non si nasconde di fronte al nemico? Il secondo è
lo spirito democratico che regnava nelle colonne dei miliziani, quantomeno in quelle del POUM e
degli anarcosindacalisti della CNT: nulla della classica gerarchia militare con la sua cieca
obbedienza agli ordini. Certo esisteva un comando, ma accadeva spesso che i capi esponessero i
loro progetti ai miliziani e ne discutessero insieme. Tutto ciò cambierà poi con la militarizzazione
delle milizie, già avviata all'arrivo di Orwell, ma che si realizzerà solo dopo la sua partenza (la sua
permanenza in Spagna è durata solo sei mesi). Per quanto riguarda l'arte della guerra dei nostri miliziani rivoluzionari, Orwell ci ha lasciato pagine
gustose sulla loro incompetenza, gli ordini contraddittori, i fianchi sguarniti, le posizioni mal
protette (o abbandonate per motivi familiari) e soprattutto sull'immobilismo e sull'assenza di
immaginazione. Gustose, anche se terribili, le descrizioni sulla pochezza degli armamenti, sulla
scarsità e povertà del cibo, sulla scomodità, i topi e le pulci. E il freddo. Ah, quelle notti glaciali
dell'inverno aragonese! Mi sembra comunque che le critiche di Orwell sull'incompetenza e l'improvvisazione delle milizie,
per quanto siano giuste e sottili, siano classicamente «militari». Egli desidera un po' più di ordine,
un'organizzazione migliore, armi meno scadenti, una migliore comprensione dei movimenti e delle
intenzioni del nemico, ecc .. Certo. Ma, in realtà, il problema non è solo questo. Non è
essenzialmente questo. Il problema è il tipo di guerra che bisognava scegliere tenendo conto dei mezzi a disposizione;
slancio rivoluzionario e coraggio, innanzittutto. Aggiungiamo l'immaginazione (ahimé, poco
presente!) ed ecco gli elementi di una guerra civile rivoluzionaria. O, per usare un linguaggio più
tradizionale, una guerra di partigiani, con i suoi colpi di mano, l'effetto sorpresa, la mobilità, il
rifiuto (per quanto possibile) di un fronte fisso, portando invece la guerra all'interno del territorio
nemico, ecc. Come la guerra che abbiamo fatto alle truppe di Napoleone, per citare un solo esempio
storico. Si aggiunga che, nel contesto della Spagna del '36/'39, non si trattava solo di guerra, ma
anche di sforzarsi di portare la rivoluzione sin dietro le linee nemiche. Ammaestrati da innumerevoli sommosse, da scioperi insurrezionali, da manifestazioni violente che
si erano successe negli anni precedenti il sollevamento militare, i militanti rivoluzionari (2)
spagnoli avevano acquisito una notevole esperienza nei combattimenti di strada. D'altra parte non
avevano forse saputo vincere in pochi giorni, o poche ore, i militari insorti - mille volte meglio
armati - praticamente in tutte le grandi città spagnole nel luglio 1936? Con lo stabilizzarsi della guerra, però, con la Spagna tagliata in due, le colonne dei miliziani si
dimostrarono incapaci si sfuggire al tipo di guerra imposto dall'avversario. Una guerra da manuale,
con trincee (finirono per essere obbligati a scavarne!) e movimenti alternati, così come sono
insegnati nella accademie militari di tutto il mondo. L'esercito spagnolo, insorto in grande maggioranza, sostenuto dall'appoggio logistico (aviazione e
artiglieria) dei nazisti tedeschi e dei fascisti italiani, era infinitamente meglio preparato a questo
tipo di guerra. Non accadeva mai nulla, sembrava che non dovesse accaddere mai nulla. «Quando
attaccheremo? Perché non attacchiamo?» Ecco le domande che si sentivano circolare giorno e
notte (...), scrive Orwell, vivamente e giustamente irritato dall'immobilismo del fronte in cui si
trova, a nord di Huesca. Per i «rossi», questo immobilismo può essere spiegato solo dalla mancanza di immaginazione e di
iniziativa (anche se la carenza di armi ha senza dubbio avuto il suo peso). Si sono subiti gli eventi,
non li si sono creati. Lo stesso vale per le armi: si sarebbe dovuto andarle a prendere dov'erano,
cioè dal nemico. Per i franchisti, invece, questo immobilismo era parte integrante di un piano più
generale. Bisognava tenere sul fronte di Aragona mentre loro attaccavano in altri settori. Ad
esempio l'Andalusia e i Paesi Baschi, rapidamente conquistati. E soprattutto Madrid,
semplicemente perché si trattava della capitale e perché la sua presa avrebbe avuto, di conseguenza,
un grande valore simbolico. Ma la città avrebbe resistito sino alla fine.
Dalla parte del Bene Non mi sembra azzardato pensare che l'esperienza spagnola di Orwell, insieme alla scoperta del
colonialismo in Birmania e del «tirare la cinghia» a Parigi e a Londra, abbia avuto un peso notevole
nella sua vita e nella sua opera. Non solo perché là in Spagna si è realizzato per lui il vecchio sogno
delle barricate proletarie, un sogno che tutti abbiamo coltivato dentro di noi. Certo egli ha descritto
ampiamente, con emozione, la gentilezza, il coraggio, la solidarietà, la nobiltà dei suoi compagni
d'armi. Ma a segnarlo profondamente è l'orrore, perché in Spagna avviene il suo impatto diretto con
la cupa faccia del totalitarismo. Lo ha detto. E' arrivato pieno di ingenuità (3). Ha scelto il campo del Bene contro il Male. I poveri
contro i ricchi. Gli sfruttati contro gli sfruttatori. Ed è stato costretto a constatare che il Male
esisteva anche nel campo del Bene. E la menzogna, il fanatismo, la repressione, persino il terrore e
l'ingiustizia! Sto parlando dei comunisti, degli stalinisti nazionali ed internazionali e, fino in fondo,
al cinismo e alla violenza sanguinaria dell'Egolatra, Stalin, che tirava personalmente le fila. Orwell li denuncia, li fustiga, ma scrive il suo libro «a caldo», nel 1937, proprio all'inizio
dell'offensiva controrivoluzionaria stalinista destinata a svilupparsi molto più ampiamente in
seguito. La sua critica, pur giusta, è quindi al di qua della realtà, che fu ancora peggiore. La guerra diventa il pretesto e la leva per la presa del potere (incompleto, certo, ma molto reale in
numerosi settori) da parte degli stalinisti durante la guerra di Spagna. Inizialmente su un piano
cosiddetto strategico: essendo militare la priorità assoluta, era necessario innanzittutto vincere la
guerra e tutto doveva sottostare a questo imperativo. Prima conseguenza di questa strategia
stalinista (appoggiata da diversi settori non-comunisti), l'opposizione feroce a quelle che allora si
chiamavano collettivizzazioni e che oggi chiamiamo (oggi che sul pianeta non ne esiste più traccia)
autogestione (4). Quanto agli anarcosindacalisti della CNT, essi pensavano che la rivoluzione dovesse in qualche
modo nutrire la guerra. Che qualunque città o villaggio conquistato dovesse essere una città, un
villaggio trasformato. Autogestito. Avevano ragione, anche se la loro pratica fu estremamente
contraddittoria. Se i membri di base dell'U.G.T. socialista partecipavano spesso alle imprese collettivizzate, le alte
sfere del partito, invece, erano più reticenti, soprattutto, beninteso, la sua ala moderata. Quanto al POUM, pensava che «questi pazzi d'anarchici» avevano messo il carro davanti ai buoi.
Chiusi nei loro schemi marxisti-leninisti, ritenevano impossibile trasformare la società prima della
«presa del potere da parte del proletariato», presa del potere che, secondo loro, non era ancora
completamente realizzata. E vedevano con un certo malessere teorico dilagare sulla Spagna
«prematuramente» il potente e spontaneo movimento autogestionario ... Ma non gli opposero che
argomenti ideologici. Gli stalinisti, invece, vi si opposero con tutte le loro crescenti forze, aiutati spesso (è ancora il caso
di precisarlo?) dai partiti «borghesi» e dai socialisti di destra. Orwell è stato tra i primi a denunciare
la politica controrivoluzionaria che Stalin impose al P.C.E. e ai suoi innumerevoli agenti
dell'Internazionale Comunista (consiglieri militari, politici, poliziotti, già!!). Questa politica può
essere sintetizzata dallo slogan, allora usato mille volte, «difesa della legalità repubblicana contro
un putsch militare fascista». Ma dietro questa facciata apparente si celava il tentativo del colpo di
stato stalinista. Si sa che la Società delle Nazioni aveva decretato il Non-Intervento (e quindi l'embargo delle armi)
nel conflitto spagnolo. I nazisti tedeschi e i fascisti italiani ruppero apertamente il patto per
sostenere i franchisti. Il Messico e l'URSS, dal canto loro, inviavano armi al campo repubblicano. Il
Messico non poteva fare granché. Quanto all'URSS, fedele alla sua tradizione di doppio-giochista,
creò una serie di società commerciali, di trasporti marittimi, ecc. allo scopo di inviare armi alla
Spagna repubblicana simulando di rispettare il Patto di Non-Intervento (5).
A chi andarono le armi Le armi non andarono al governo spagnolo né allo Stato Maggiore, bensì alle colonne controllate
dai comunisti spagnoli e/o dagli agenti, non solo sovietici, dell'Internazionale. L'aiuto «fraterno»
del grande fratello russo in generale, e le consegne di armi in particolare, costituirono una potente
leva di ricatto e di pressione politica. L'ambasciatore sovietico a Madrid Rosemberg e il Console
generale a Barcellona, Antonov-Ovssenko (6), interverranno sempre più apertamente accanto al
Governo centrale e al Governo catalano (la Generalitat). Essi non consigliano. Ordinano. E i
ministri non comunisti gemono: «Sono insopportabili! Ma cosa possiamo farci? Minacciano di non
darci più armi se non obbediamo!». All'inizio dell'estate del 1937 è il responsabile politico dell'Internazionale in Spagna, Palmiro
Togliatti (Ercoli), a decidere semplicemente di cacciare Largo Caballero dalla presidenza del
Consiglio e di mettere Negrin al suo posto. E il colmo è che vi riesce! I due uomini sono socialisti,
ma Largo Caballero è troppo a sinistra, troppo tollerante verso le «folli esperienze anarchiche».
Negrin, invece, è un uomo d'ordine e, in più, molto vicino ai sovietici (7). Certo l'operazione non
può riuscire senza la complicità dei socialisti moderati e dei partiti «borghesi» repubblicani,
anch'essi sconvolti dalla rivoluzione sociale in corso e vili di fronte al ricatto dei sovietici. Di
esempi simili se ne potrebbero citare a iosa. Efficacemente coadiuvati dagli agenti dell'Internazionale Comunista, i comunisti spagnoli riescono
così a portare a termine una serie di manovre per imporre la loro linea politica e militare. Grazie a
una distribuzione selettiva delle armi impongono una militarizzazione delle milizie e limitano
(senza riuscire ad annientarla, come invece avrebbero voluto) l'esperienza autogestionaria che
dilagava su tutta la Spagna «rossa». Si appropriano dei posti-chiave nei settori-chiave, soprattutto
nell'esercito, nella polizia, nello spionaggio e nell'amministrazione statale. Ed eliminano il POUM. L'imposizione della militarizzazione delle milizie aveva diversi obiettivi (8). Prima di tutto finirla
con gli operai e i contadini in armi, invero più adatti a trasformare la società che non a fare la
guerra. Ma era proprio questa trasformazione che non si voleva. La visione totalitaria del mondo
tipica degli stalinisti era incompatibile con la democrazia selvaggia, autogestionaria, instaurata un
po' ovunque dagli stessi lavoratori ispirati dalle idee libertarie. Per costruire un esercito classico, alla «prussiana», con una gerarchia rigida e una disciplina
implacabile, è necessario, quantomeno, disporre di ufficiali e sottufficiali. Ma il 95% di questi
avevano scelto di battersi nel campo franchista. Niente di più ovvio, quindi, viste le condizioni, che
fare appello a specialisti stranieri, esperti per aver combattuto durante la prima guerra mondiale e
nelle agitazioni rivoluzionarie che l'avevano seguita. Ovviamente, la maggior parte di loro sono
comunisti (9). Così gli stalinisti riescono a mettere le mani su gran parte dell'esercito repubblicano. Ma, alla verifica dei fatti, si può dire che questo esercito creato di punto in bianco, che
scimmiottava l'esercito nemico con i suoi gradi e i suoi galloni, le sue marce inquadrate e i suoi
saluti, è stato un cattivo esercito. L'esperienza lo ha dimostrato. Spesso è riuscito ad uccidere lo
slancio rivoluzionario dei primi mesi senza tuttavia sostituirlo con l'efficienza tanto strombazzata. E
il tipo di guerra non è cambiato: guerra di trincea ed offensive molto costose in termini di uomini
per ben pochi risultati militari: il caso di Teruel (Aragona), preso e perso a più riprese praticamente
per niente, ne è un tipico esempio. No, né prima né dopo la militarizzazione si è saputo fare su
grande scala la guerra di guerriglia rivoluzionaria che la situazione esigeva. Ma anche nel settore della polizia gli stalinisti non se la cavarono niente male! Nelle prime
settimane di fervore rivoluzionario tutti i corpi di polizia erano stati sciolti. Al fronte, come
ovunque, c'erano solo lavoratori in armi - miliziani che erano tutto fuorché degli stinchi di santo,
ma questo è un altro discorso. Poi i corpi di polizia tradizionali sono stati ricostituiti e i comunisti
riuscirono e ricoprirne (a Madrid come a Barcellona e altrove) i posti di comando. E quando non vi
riuscirono, crearono polizie parallele con l'aiuto degli specialisti del Comintern, così come crearono
le proprie reti di prigioni private (che si chiamavano «Tchekas»). Così come fecero man bassa del
servizio di spionaggio militare (il SIM), il cui capo occulto era un generale della GPU. Concepito
inizialmente come un servizio di spionaggio militare con compiti specifici nella guerra contro i
franchisti, il SIM diventerà, poco a poco, una super-polizia politica, completamente controllata
dagli stalinisti e al di fuori del controllo del Governo Repubblicano. Quando Indalecio Prieto,
socialista, ministro della difesa (quindi in piena autorità) decide di intervenire e di inviare i 6000
agenti del SIM al fronte riceve tali e tante legnate dai consiglieri sovietici che ci ripensa e rinuncia.
Il SIM resterà nelle mani degli stalinisti e dei loro alleati. L'attività principale del servizio è,
ovviamente, la caccia agli «eretici» e il metodo usato si può riassumere in una parola sinistra e
banale: la tortura. E nel suo corollario: un colpo alla nuca.
Quelle giornate del maggio '37 Ferito al collo da una pallottola vagante o da un franco-tiratore, neppure lui lo sa, e sfuggito
miracolosamente alla morte, Orwell, dopo un soggiorno in ospedale, arriva a Barcellona in
permesso di convalescenza. Capita a proposito. Capita in pieno in quelle che sono state chiamate
«le giornate sanguinose» del maggio 1937. Anche se, come Julien a Waterloo non vedrà granché di
quegli avvenimenti. Gli è stato dato il compito di fare la guardia sul tetto di una sede del POUM.
Certo ci sono dei poliziotti nello stabile di fronte, ma un dirigente del POUM ha concluso uno
strano accordo con loro: «Se voi non ci sparate, noi non vi spareremo». E l'accordo è rispettato...
mentre in tutta la città i combattimenti infuriano. Cosa sta succedendo? Si tratta dell'offensiva aperta, armata, dei comunisti alla testa della polizia
catalana, per liquidare l'autogestione, distruggere la CNT ed annientare il POUM. Nello stesso
giorno, 3 maggio, circa alla stessa ora, forze di polizia tentano di requisire con le armi, in molte
città catalane, aziende autogestite dai lavoratori. A Barcellona tentano con la Centrale Telefonica,
ma gli operai resistono con una furia che sorprende i loro aggressori. Fianco a fianco, militanti
della CNT e del POUM ergono barricate e si battono con accanimento per cinque giorni contro la
polizia e i militanti stalinisti (10). Anche se bisogna precisare che la base della CNT difende le sue
«conquiste sociali», mentre il POUM difende soprattutto la sua sopravvivenza. La battaglia si
conclude con un compromesso claudicante stabilito dai dirigenti di tutte le organizzazioni (salvo il
POUM, escluso dalle trattative) e la repressione si scatena subito dopo (11). Orwell nota con indignazione che mentre al fronte i miliziani si battevano con vecchi fucili Mauser,
con pistole e mitragliatrici che si inceppavano dopo ogni colpo, la polizia invece possiede armi
infinitamente più sofisticate. Ma da questa amara constatazione non trae tutte le conseguenze. Impegnato a difendere e a far capire il comportamento dei militanti della CNT e del POUM, egli
sottovaluta, mi sembra, la gravità del putsch stalinista. Così egli scrive: (...) Se non si è trattato di
un colpo di stato anarchico, si è trattato forse di un colpo di stato comunista - di uno sforzo concertato per
distruggere d'un sol colpo il potere della CNT? Non lo credo, anche se alcuni fatti potrebbero
condurre a una simile ipotesi. E più avanti: A questo proposito l'opinione di ciascuno dipende
dalla posizione assunta di fronte al problema: governo centralizzato o controllo operaio? Si
potrebbe arguire più pertinentemente: «Sì, la CNT aveva molto probabilmente le sue ragioni. Ma
comunque si era in guerra e loro non avevano il diritto di iniziare una lotta dietro al fronte». Su
questo sono perfettamente d'accordo. Qualunque disordine interno è stato probabilmente utile a
Franco. Ma chi è stato, di fatto, a far scoppiare la lotta? I comunisti, risponde più oltre. Senza propositi golpisti? Che dico! Senza un piano di colpo di stato,
di cui Orwell dubita? Ma andiamo! Certo oggi è più facile, dopo la lettura di ben altre testimonianze sugli avvenimenti del maggio
1937 in Catalogna e l'esperienza di altri colpi di stato stalinisti nel mondo, farsi un'opinione, ma
resta il fatto che Orwell solo con gran difficoltà riesce a vedere fin dove possono arrivare il cinismo
e la ferocia degli stalinisti. Certo egli cambierà. La sua opera successiva testimonia l'affinamento della sua analisi del
totalitarismo e gli permette di lasciarci le sue superbe «favole» politico-letterarie La fattoria degli
animali e soprattutto lo straordinario 1984 (qui, d'altronde, siamo in tema). Ma torniamo un po' indietro. Governo centralizzato o controllo operaio? dice Orwell. In effetti,
questa è la posta in gioco. O, ancora meglio, democrazia autogestionaria o totalitarismo
burocratico? Due realtà antagoniste quanto il fascismo e la democrazia. Perché dopo tutto fascismo
e comunismo non sono che due forme specifiche del totalitarismo moderno. Appena terminate le battaglie nelle strade, cadaveri fuoriescono un po' ovunque, fucilati o con una
pallottola nella nuca. Come quello di Camillo Berneri, anarchico italiano tra centinaia di altri
anarchici e membri del POUM. Sentendosi abbastanza forti, gli stalinisti hanno avviato la guerra su
due fronti: il fronte interno per liquidare (con le armi se necessario, come abbiamo appena visto) la
rivoluzione sociale di ispirazione libertaria, senza dubbio il loro nemico più odiato, e il fronte
militare.
La caccia al POUM Si apre allora la caccia al POUM. Il pretesto è semplice e classico: basta rigirare la verità e rendere
questo partito responsabile del golpe. Perché l'avrebbe fatto? E' altrettanto semplice: il POUM non
è forse un partito nazi-trotzkista, agli ordini di Franco e di Hitler? Ha voluto impadronirsi della
Catalogna per consegnarla al fascismo internazionale! (E' scritto a piene lettere nella stampa
comunista dell'epoca). Troppo sicuri di sé, gli stalinisti fabbricano alla bell'e meglio delle «prove» (talmente false che non
resisteranno un secondo al processo), per dimostrare la collusione tra il POUM e i franchisti e il
loro lavoro sotterraneo di scavo e di spionaggio. I dirigenti del POUM vengono arrestati. E Andres
Nin scompare. Il leader del POUM, Joaquin Maurinx è stato arrestato in zona franchista fin
dall'inizio della guerra, quindi è Andres Nin, l'antico compagno di Trotsky (e numero due del
partito) a diventare segretario generale. L'uomo da abbattere. Per settimane intere ci si interroga sul destino dello scomparso. La propaganda stalinista urlerà che
è fuggito, che è a Salamanca (capitale provvisoria franchista) o a Berlino. Ma la gente si interroga:
giornalisti, soprattutto stranieri, socialisti, anarchici pongono il problema al governo, esigono
spiegazioni. Zugazagoitia, ministro socialista dell'Interno, confesserà la sua ignoranza. Ad
arrestarlo sono stati elementi non identificati della polizia, senza ordini del Governo. E' tutto quello
che sa, che crede di sapere. Di fatto noi oggi siamo certi, grazie a numerose testimonianze, grazie a quella, fondamentale, di
Jesus Hernandez, ministro comunista dell'epoca, che Nin era stato arrestato e torturato a morte da
agenti molto speciali del Comintern (12). L'obiettivo, anche qui, è apparentemente semplice. Non si
tratta solo di soffocare la voce eretica di questo piccolo partito che condanna i processi e gli altri
crimini stalinisti in nome della Rivoluzione d'Ottobre. Si tratta anche e soprattutto di dimostrare,
grazie alle «prove» truccate che gli sono tanto abituali, la realtà della cospirazione internazionale
del «nazi-tirotzkismo». Trotzky non sarebbe più questo esiliato prestigioso che delira, dal Messico, sulla rivoluzione
mondiale, ma il braccio destro di Hitler, uno dei capi della cospirazione contro-rivoluzionaria su
scala mondiale... Guardate i «sabotaggi» in URSS! Guardate il POUM! E via di seguito ... Si sa che il pezzo forte dei processi fabbricati dagli stalinisti, a Mosca come a Praga o altrove, la
chiave di volta, è la confessione. Nessun dubbio quindi che Nin fu arrestato e torturato per giorni e
giorni perché confessasse tutti i crimini che gli si volevano far confessare. Tutti i crimini necessari.
Ma Nin non confesserà niente. Ne è morto. Pace alle sue ceneri. Il suo coraggio comunque aprirà una falla nell'ingranaggio della macchina infernale stalinista.
Quando si apre il processo, il tribunale si trova senza confessioni (né quelle di Nin, né quelle di
nessuno dei suoi compagni) e con delle «prove» cosi malamente fabbricate che si trova costretto a
rifiutarle. A questo si aggiungono le riserve (tardive e troppo timorose) di alcuni settori politici e
della CNT, che premono sull'opinione pubblica e sul governo negando che il POUM fosse un
cenacolo di spie e cospiratori al soldo dei franchisti. Comunque questo partito sarà sciolto, la sua stampa proibita, la maggior parte dei suoi dirigenti
imprigionati (ma non fucilati, come temeva Orwell nel suo libro e come reclamavano gli stalinisti).
Il tribunale lascia cadere l'accusa di spionaggio ma mantiene quella di «ribellione». Il POUM è
accusato di aver preso le armi nel maggio 1937 in Catalogna contro il governo legale della
Repubblica. Ma noi abbiamo fatto la stessa cosa! - esclamano alcuni elementi della CNT (altri restano muti).
Anche noi abbiamo preso le armi per difendere le collettivizzazioni!. Grida nel deserto. Senza
dubbio gli stalinisti (e non solo loro) avrebbero ben volentieri attaccato la CNT col pretesto di
accuse così fallaci: ma essa benché indebolita, era ancora decisamente troppo forte perché un simile
complotto potesse riuscire. Bisognava attendere giorni migliori. Ma i giorni migliori non
arrivarono: arrivarono, invece, le truppe franchiste.
Né Franco né Stalin Orwell viene personalmente coinvolto nella tormenta della repressione anti-POUM, anche se non è
membro di questo partito ma semplice sergente delle sue milizie. All'inizio, coraggiosamente, cerca
di intervenire per far uscire di prigione certi suoi amici del POUM. Invano. Poi la morsa poliziesca gli si chiude intorno. Deve dormire all'aperto non osando farsi registrare in
un albergo né rivolgersi ai suoi amici i cui appartamenti sono sorvegliati. Di primo mattino fa la
sua toilette in un bagno pubblico, poi incontra sua moglie venuta a raggiungerlo in Spagna (ma lei è
restata all'hotel Colon di Barcellona, salvo una o due visite al fronte). Durante il giorno recitano la parte di «una coppia di turisti inglesi» osservando, attraverso la
stampa, le rare confidenze di amici non ancora arrestati, quello che la signora Orwell ascolta
all'hotel Colon - strano caravanserraglio, brulicante di avventurieri di ogni sorta, che Orwell
descrive con umorismo - l'inesorabile avanzata delle acque della repressione anti-«trotzkista».
Eccolo quindi, come tanti altri in quei tempi e soprattutto dopo, diventare «nemico del popolo»
quando invece è andato volontariamente a battersi per lui. «Nemico del popolo» per volontà dei
proprietari della «rivoluzione», i futuri padroni del mondo... Poi viene il suo turno: il suo nome appare nelle liste nere. Il cerchio è chiuso, è la prigione o la
fuga. Decide di partire per la Francia insieme ad amici inglesi nella sua stessa situazione. Se la
polizia non li arresta alla frontiera questo dimostra solo la sua inefficienza, scrive Orwell, ed io gli
credo pienamente. Appena arrivato a Banyuls, nel Midi della Francia, egli si mette a scrivere questo
libro appassionante in cui pone, tra gli altri, un problema fondamentale: ci si doveva alleare con i
comunisti nella lotta antifascista, in Spagna o altrove, dovunque si organizzasse una Resistenza? La
risposta non è semplice, ma comunque è no. Questo libro ne è una prova anche se l'autore è meno
categorico. ' Nel 1936 gli anarchici spagnoli avevano un bello slogan (che essi non sempre hanno applicato alla
lettera): «Né Franco, né Stalin!» La risposta è ancora più scontata oggi: Franco e Hitler sono morti ma il totalitarismo post-staliniano
ha largamente diffuso il suo dominio (e i suoi crimini, i suoi processi truccati, le sue prigioni, i suoi
campi e le sue imbecillità) nel mondo. Certo persistono cecità, si finge di osservare evoluzioni
«positive» quà o là, o, peggio, si partoriscono dei mostri come le cosiddette «unioni delle sinistre»
mentre i partiti comunisti sono tutto fuorché di sinistra, e si offrono loro persino le chiavi del
potere. Comunque, dopo l'epoca descritta da Orwell, l'orizzonte si è schiarito. Siamo sempre più numerosi
a rifiutare di allearci, per quanto poco possa essere, con i peggiori nemici della democrazia. Quindi
coi nostri peggiori nemici.
(1) George Orwell, Omaggio alla Catalogna, Mondadori, Milano 1982 pagg. 5-7. (2) In questo contesto utilizzo il termine rivoluzionario in un senso lato, senza valenza ideologica né
giudizio storico. Si tratta di uomini e di donne che vogliono cambiare l'ordine delle cose con tutti i mezzi,
compresa la violenza, ed instaurare un nuovo ordine ritenuto più giusto. Desidero anche sottolineare che
l'immensa maggioranza di questi militanti è composta da militanti sindacali. Se il PCE nel luglio 1936 è
un piccolo partito (25.000 aderenti), il partito socialista lo è molto, molto meno. Sono quindi i membri
dell'UGT (socialista, 800.000 aderenti nello stesso periodo) e della CNT (anarcosindacalista, 1.200.000
aderenti) che forniranno il grosso delle truppe prima e all'inizio della guerra civile. (3) Ho l'impressione che una certa ingenuità percorra come un filo rosso tutta l'opera di Orwell. Una
caratteristica che, ai miei occhi non ha nulla di negativo. Tutt'altro. (4) L'autogestione, costruita essenzialmente dagli stessi lavoratori, ma ispirata dalle idee libertarie,
assume proporzioni considerevoli nella zona repubblicana. Il 70% dell'industria e il 100% dei trasporti in
Catalogna. Tutta l'agricoltura in Aragona, almeno nel territorio «rosso». Per citare solo le regioni di cui
parla Orwell, ma il fenomeno si estese a tutta la Spagna repubblicana. (5) Contrariamente a quanto afferma una certa propaganda, queste armi furono acquistate a un prezzo
esorbitante dal governo repubblicano spagnolo. D'altronde, poiché la Francia, per evidenti ragioni
geografiche, divenne il centro di smistamento di questo traffico, il PCF vi si trovò implicato direttamente.
E poiché, come sempre in questi casi, è usuale richiedere un compenso sostanzioso in pagamento di tali
servizi, si può dire che l'oro della Banca di Spagna - l'immensa maggioranza delle armi fu pagata in oro avrà potentemente contribuito alla creazione della colossale fortuna del PCF. (6) Fucilati al loro ritorno in URSS come l'immensa maggioranza degli agenti di Stalin in Spagna. (7) Allora Ministro delle Finanze, è lui ad inviare ad Odessa l'oro della Banca di Spagna, fin dalle prime
settimane di guerra, per finanziare l'acquisto di armi. Gesto che ha un significato politico molto chiaro:
mettersi, mani e piedi legati, nelle mani dei sovietici per la fornitura di armi ma del resto non era più
possibile comprare altrove poiché le casse dello stato erano praticamente vuote. (8) Di fronte alla resistenza caparbia delle milizie anarcosindacaliste alla militarizzazione, il Governo,
spinto dai ministri comunisti e dai consiglieri sovietici, interruppe tutti gli invii di armi, munizioni, soldi e
rifornimenti alle colonne recalcitranti. (9) E quelli che non lo erano furono eliminati, fisicamente eliminati, a partire dal maggio 1937. Orwell ne
cita alcuni di sua conoscenza. (10) Contrariamente alle menzogne staliniste il fronte non è mai stato sguarnito. A battersi nelle strade
sono i lavoratori rimasti in città «per necessità produttive». Più un gruppo di miliziani in licenza come lo
stesso Orwell. (11) Quattro dirigenti anarchici facevano in quel momento parte del Governo (lo abbandoneranno dopo
l'allontanamento di Largo Caballero per ritornarvi più tardi) e le loro uniche parole d'ordine, le loro
uniche indicazioni mentre le loro truppe si battevano per difendere la rivoluzione sociale, furono
lacrimevoli discorsi in cui incitavano a cessare il fuoco, a finirla con le «lotte fratricide»! Nel corso di
tutto il conflitto sarà enorme lo scarto tra l'attività creatrice - a volte anche confusionaria - delle masse
libertarie e quella dei loro leaders, soprattutto quando ricoprono cariche ufficiali statali. Ma non è forse
sempre così? Il dato più curioso nel caso spagnolo è che malgrado il loro «tradimento» - un anarchico
può diventare generale o ministro senza rinnegare se stesso? - essi conservarono una grande e disastrosa
influenza sulla loro «base». (12) Hernandez nomina il responsabile di questo assassinio per tortura: si tratterebbe del «comandante
Carlos» (nome decisamente predestinato!), il più «demoniaco» - dice - dei collaboratori di Orlov, il capo
della GPU in Spagna. Questo «Carlos» non è altri che Vittorio Vidali che diventerà, in seguito, il
segretario del PC a Trieste.
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