Rivista Anarchica Online
Per uscire dalla crisi
di Luis Andrés Edo
Il discorso anarchico, in appoggio alla scelta sindacale, ha offerto elementi di innegabile valore per
la lotta del movimento operaio. La formulazione e la diffusione di modalità anarchiche di azione e
di organizzazione (azione diretta, autonomia, organizzazione federalista, assemblearismo, ecc.)
sono contributi dell'anarchismo militante, sviluppatisi in seno alle correnti operaie rivoluzionarie. Questi contributi, racchiusi nel fenomeno strutturale del sindacalismo, sono stati applicati in
molteplici occasioni in conformità con i loro contenuti anarchici, nonostante le molteplici difficoltà
che sempre si incontrano nel passaggio dalla teoria alla pratica. Questo è un fatto certo. Altrettanto evidente è l'impotenza e spesso l'incapacità manifesta di questo fenomeno organizzativo
anarcosindacalista nel tradurre questi contributi senza violentare i loro contenuti anarchici. A
conferma di ciò vi è il fatto che all'interno della struttura sindacale si sviluppa in continuazione un
fenomeno di «ridefinizione» delle caratteristiche anarchiche, tendente ad adulterarle e a restringere
la portata al solo ambito interno all'organizzazione. Queste immagini corrotte («sindacato di
classe», «sindacalismo autosufficiente») sono state formulate e diffuse in non poche occasioni,
proprio all'interno della struttura anarcosindacalista, in aperta contraddizione con i contributi
anarchici. Nel caso dovessero prevalere questi ultimi criteri, la struttura anarcosindacalista diverrebbe
l'elemento esclusivo della rivoluzione anarchica. E, se è certo impensabile la realizzazione di questa
rivoluzione senza la partecipazione delle organizzazioni anarcosindacaliste, è evidente d'altro canto
che questa rivoluzione dovrà realizzarsi con la partecipazione di quei settori sociali, esterni alla
scelta sindacale, che propugnano il raggiungimento di obiettivi libertari. Se in questa «ridefinizione» mistificante, generata dalle strutture, cadono anche le tendenze che
difendono l'autonomia dell'organizzazione di fronte al sistema, questo fenomeno mistificante si
aggrava ulteriormente quando la «ridefinizione» è formulata da quelle tendenze che sono disposte
ad accettare l'istituzionalizzazione dell'anarcosindacalismo. E' questo il caso attuale in Spagna,
dove noti militanti con un lungo passato anarchico, affetti da una specie di piaga (la «sindrome
istituzionale» che devasta la società civile spagnola), difendono l'istituzionalizzazione della CNT,
portando la «ridefinizione» a un livello di mistificazione assolutamente inaccettabile. Una riflessione serena su tutte queste contraddizioni ci porta a sospettare che qualsiasi definizione limiti la prospettiva e qualsiasi struttura tenda a una «ridefinizione» definitiva. Riassumendo, possiamo affermare che la struttura sindacalista, raccogliendo i contributi di azione e
di organizzazione anarchici, li interpreta e li traduce nel terreno che le è proprio. Da parte sua
l'anarchismo, pur offrendo questi elementi, non ha mai formulato una definizione
dell'anarcosindacalismo. E' dunque in seno a questa struttura sindacale che, di tanto in tanto, si è
insistito su tale definizione, principalmente per differenziare l'anarcosindacalismo da certo
sindacalismo rivoluzionario espresso da alcuni partiti politici marxisti, senza che questo desiderio
di differenziazione abbia impedito l'introduzione di elementi mistificatori. Crediamo che la caratterizzazione anarchica del sindacalismo non debba essere contrassegnata da
una definizione, ma dall'orientamento e dal contenuto della sua pratica.
Impasse del sindacalismo Quando dopo la seconda guerra mondiale vennero accettate dal sistema le principali rivendicazioni
sindacali (previdenza sociale, diritto del lavoro, riconoscimento del sindacato da parte delle
imprese, che negli anni '30 esistevano solo in parte), tutte le grandi organizzazioni sindacali si sono
volontariamente integrate nel sistema come istituzioni fondamentali del suo ingranaggio. D'altra parte il processo di negoziazione dei contratti collettivi di lavoro (in particolare di quelli del
settore industriale), essendo sottoposto ai regolamenti e alla codificazione dell'amministrazione
governativa, previamente promulgati dal potere legislativo, costituisce uno degli elementi più
importanti per lo studio del mercato: un elemento imprescindibile per lo sviluppo dello
sfruttamento capitalista, al punto che i sindacati, accettando questo processo di negoziazione, non
fanno che facilitare il perfezionamento dello sfruttamento contro i lavoratori. Il sindacalismo, con la sua istituzionalizzazione, ha perso la sua libertà d'azione illudendosi di
compensarla con una pretesa sicurezza sociale e del posto di lavoro. La «libertà di licenziamento» (in seguito alla quale il lavoratore perde il diritto e la garanzia del
posto di lavoro), l'aumento dell'economia sommersa (grazie al quale i padroni riescono a non
pagare le tasse destinate alle prestazioni sociali dei lavoratori) e, infine, la riconversione
tecnologica (la cui filosofia è l'aumento del ritmo e del volume della produzione con la
contemporanea riduzione dei posti di lavoro) sono i fattori fondamentali che determinano
l'irrefrenabile aumento di una tendenza all'insicurezza sociale e di lavoro nei rapporti di
produzione. E' facile verificare quanto questo processo di totale integrazione del sindacalismo lo privi della sua
libertà d'azione, lasciando al con tempo i lavoratori privi della sicurezza sociale e di lavoro. In questo processo di integrazione si è venuta sviluppando una contraddizione assolutamente
irresolubile ed irreversibile. In effetti i componenti dell'apparato sindacale vengono gratificati dal
capitale e dallo status di uno stato di privilegio rispetto agli altri lavoratori: è questo l'inizio di un
processo, ampiamente sviluppatosi, di sottomissione dei lavoratori agli apparati. Le strutture dirette
dei lavoratori (cioè i sindacati) perdono così il loro protagonismo. Gli apparati sostituiscono così il
movimento sindacale e la scelta rivoluzionaria del movimento operaio organizzato sindacalmente
viene ancora una volta neutralizzata. In questa situazione di innegabile impasse del sindacalismo come scelta rivoluzionaria dev'essere
analizzato il ruolo dell'anarcosindacalismo, unica tendenza di azione operaia che resiste
all'integrazione. Da questo punto di vista la prima osservazione critica che si deve fare è rivolta verso
un'organizzazione anarcosindacalista che incentrasse la sua azione nel perfezionamento di alcune
rivendicazioni sindacali (ampliamento degli spazi coperti dalla previdenza sociale, posticipazione
dell'età pensionabile, riduzione della giornata lavorativa, ampliamento delle ferie, estensione di tutti
i vantaggi ai settori finora discriminati, ecc.), cioè che puntasse sull'allargamento ed il
perfezionamento dell'applicazione e del funzionamento di tutte quelle rivendicazioni che hanno
contribuito a rendere sempre più sottile e raffinato lo sfruttamento. L'anarcosindacalismo si trova dunque in un circolo vizioso: non riesce ad avanzare in direzione
delle finalità di trasformazione sociale, si continua a mantenere contrapposto all'integrazione, e al
tempo stesso propugna l'estensione e il perfezionamento di rivendicazioni che, oggettivamente,
hanno facilitato l'integrazione nel sistema del movimento operaio organizzato sindacalmente.
Evidentemente l'impasse dell'anarcosindacalismo è innegabile. Credere che l'impasse del sindacalismo collaborazionista faciliti il successo dell'anarcosindacalismo
è un errore. L'impasse rivoluzionario provoca un «fenomeno trascinante» che pregiudica
globalmente il movimento sindacale. Non serve a molto parlare della crisi del sindacalismo, senza
metterla in relazione con la crisi generale di tutte le istituzioni e correnti della società civile: una
crisi che provoca un identico «fenomeno trascinante» che influenza tutto il corpo sociale, comprese
le organizzazioni, entità e correnti anarchiche. Gli anarchici che criticano il sindacalismo dovrebbero domandarsi se la crisi rivoluzionaria è
dovuta a ciò, oppure semplicemente se il suo impasse non è che un effetto di una crisi più generale,
che comprende anche la crisi dell'anarchismo.
La struttura necessaria Nonostante l'attuale impasse, nonostante le contraddizioni e le insufficienze che nel corso della sua
storia si sono manifestate in seno all'organizzazione anarcosindacalista, dev'essere respinta con
risolutezza l'idea di una destrutturazione. Le diverse correnti dell'anarchismo hanno avuto
necessità, e tuttora l'hanno, di un'organizzazione strutturata, stabile, capace di catalizzare l'azione di
tutte le tendenze che si manifestano nell'ambito dell'anarchismo. Tra tutte le organizzazioni presenti nella storia del movimento anarchico, nessuna meglio di quelle
anarcosindacaliste ha svolto questo ruolo. Dove il discorso anarcosindacalista non si è tradotto in
un'organizzazione influente, l'anarchismo si è limitato a vegetare. E' indubbio che oggi la funzione
catalizzatrice della struttura anarcosindacalista viene posta costantemente in discussione, ma nel
movimento libertario non è giunta alcuna proposta volta alla creazione di una struttura capace di
svolgere questa funzione. La strutturazione organica delle Federazioni Anarchiche (alle quali,
naturalmente, non ci opponiamo) non può mai essere considerata come sostitutiva di questa
funzione catalizzatrice, o perlomeno non si è mai dimostrata tale. D'altra parte, replicando a quanti ritengono che non vi sia necessità di un'organizzazione strutturata,
è sufficiente far riferimento ai processi storici e agli attuali fenomeni sociali, per osservare la
mancata incidenza dell'anarchismo quando soffre per la mancanza di un'organizzazione capace di
svolgere questa funzione catalizzatrice. Se la struttura anarcosindacalista non svolge più questa funzione, tenderà a formarsi un'altra forma
di struttura, ma i critici non l'hanno ancora trovata e perciò crediamo necessario mantenere
l'organizzazione dell'anarcosindacalismo.
Fuori e contro le istituzioni Abbiamo parlato di una de-definizione (desdefinicion) con l'obiettivo di bloccare le influenze e le
prospettive di distacco dall'organizzazione sindacale e quindi in appoggio ad una pratica transstrutturale ed extra-sindacale, in chiara opposizione ad una visione semplicemente ed
esclusivamente intra-strutturale e intra-sindacale. Ecco due esempi (tra i molti che si potrebbero utilizzare) per dimostrare l'incompatibilità tra questi
due concetti: 1) Il 19 luglio 1936, quando scoppiò in Spagna la sollevazione dei militari, la CNT non sarebbe
riuscita a farla fallire se avesse dovuto contare sulle sue sole forze. Fu possibile battere i militari
(specialmente in Catalogna) perché al suo fianco si mobilitarono i settori popolari, non integrati in
alcuna struttura ma influenzati dalla pratica trans-strutturale ed extra-sindacale portata avanti dalla
CNT nel corso di molti anni. 2) A partire dal 21 luglio 1936 gli organi rappresentativi della CNT si trovarono sottomessi ad un
ritmo infernale di riunioni, plenarias e plenos, ad un tale livello che i sindacati non riuscirono a
tenerne il ritmo senza risentire serie difficoltà di funzionamento. Il federalismo si sgretolava,
provocando una scissura tra i sindacati da una parte e gli organi federali e confederali dall'altra: un
fatto, questo, che peserà gravemente sugli orientamenti politici della CNT. Si scatenò così una
tendenza intra-strutturale degli organi rappresentativi che, senza dubbio, facilitò il cammino verso
la partecipazione della CNT al governo. In questo caso, particolarmente limite, si manifestò un
fenomeno intra-strutturale, verso il quale tendeva l'intera organizzazione nel momento in cui i suoi
organi rappresentativi non ricevevano la pressione dei rappresentati. Oggi più che mai, in questo momento caratterizzato dall'indiscutibile impasse del sindacalismo, è
necessario che la struttura anarcosindacalista dia vita ad una pratica trans-strutturale, extra-sindacale e sempre anti-istituzionale. a) Trans-strutturale. Incidere nella situazione dei settori non-istituzionalizzati (non integrati in
alcuna struttura sindacale), ogni giorno più ampi (disoccupati, cooperative nuove ed emarginate,
conflitti «selvaggi» dei lavoratori, sottosettori produttivi discriminati dall'«economia sommersa»,
ecc.) deve costituire l'obiettivo fondamentale e prioritario dell'intervento anarcosindacalista. Per
quanto possa apparire paradossale, si deve evitare un protagonismo tendente ad ottenere
l'integrazione nella struttura anarcosindacalista di tutti questi settori e sottosettori: questa
integrazione deve infatti essere il frutto di una scelta libera e volontaria, a cui si deve arrivare dopo
una pratica comune di azione, senza alcuna pressione. b) Extra-sindacale. Incidere nella pratica dei movimenti sociali, culturali e marginali il cui segno
antiautoritario li configuri in un ambito anarchizzante. Stabilire con questi movimenti alcune relazioni d'intervento congiunto, non strutturale, rifiutando
l'errata pretesa (spuntata in Spagna negli anni '76/'77) di una «CNT globalista», cioè di una
struttura nella quale dovrebbero trovar posto, accanto ai sindacati, gli atenei, i collettivi, i gruppi, le
comuni, ecc .. Una tale integrazione ci pare infondata perché, a parte il fatto che contrasta con la
diversità di tutte queste entità, introdurrebbe in seno all'organizzazione anarcosindacalista un
elemento di de-strutturazione. Lo strutturale e il non-strutturale debbono godere di un'autonomia completa nel loro rispettivo
funzionamento. Il «patto federale» proprio dell'organizzazione anarcosindacalista non è applicabile
alla caratteristica non-strutturale nella quale si sviluppano questi movimenti: questi due concetti
possono unirsi solo per formare un «patto d'azione». c) Anti-istituzionale. E' necessaria la presenza e l'intervento dell'anarcosindacalismo, sotto forma di
pressione costante su quei macrosettori del mondo del lavoro che sono integrati, rompendo gli
schemi istituzionalizzati che caratterizzano questi settori. Il metodo d'intervento deve incidere nelle
agitazioni, manifestazioni, scioperi, conflitti e trattative, contrastando gli apparati e gli organismi
sindacali istituzionalizzati. Qualunque pretesa di introdurre modifiche qualitative di segno istituzionale, accettando di
partecipare al meccanismo delle istituzioni, è una pura illusione. L'unica modifica qualitativa è
quella di rompere con le pratiche istituzionali. Al Comité de Empresa istituzionale devono opporsi i
delegati designati in assemblea. Al mandato istituzionale dei «delegati d'impresa» devono opporsi i
rappresentanti designati dall'assemblea dei lavoratori. Le assemblee dei lavoratori (di fabbrica e di categoria) possono certo prendere decisioni in alcuni
casi contraddittorie con le basi generali dell'organizzazione anarcosindacalista, ma il metodo
assembleare non è la scelta di un'ora, ma un processo di regolazione e di correzione continua nella
relazioni tra i lavoratori e, nonostante le contraddizioni che possono sorgere su questo terreno,
l'anarcosindacalismo trova qui un terreno con maggiori e migliori possibilità di riuscita che sul
terreno istituzionale.
(traduzione di Aurora e Paolo)
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