Rivista Anarchica Online
Morte di un anarchico
a cura della Redazione
Domenica 7 maggio è morto nelle carceri di Pisa il giovane
anarchico Franco Serantini, massacrato di
botte da "ignoti" poliziotti.Il massacro era iniziato il venerdì precedente, durante una
manifestazione indetta per protesta ad un
comizio fascista. Durante la prima carica eseguita poco dopo le 18 dalla polizia contro gli antifascisti,
Serantini rimaneva fermo senza opporre alcuna resistenza alla furia costituzionale dei poliziotti, furia
che
si è coperta in passato di innumerevoli encomi solenni presidenziali e di elogi di ministri vari.
Circondato
da una decina di poliziotti, il compagno Serantini viene bestialmente picchiato: la furia costituzionale
degli "agenti dell'ordine" contro il compagno Serantini raggiunge delle punte talmente violente che un
commissario della stessa polizia è costretto ad intervenire e ad arrestare Serantini "per sottrarlo
alla furia
degli agenti" come lo stesso commissario ha dichiarato.Dopo l'arresto, Serantini viene condotto nella
caserma della celere dove rimane a disposizione dei locali
poliziotti sino alle ore 1.30 della notte. Che cosa sia successo a Serantini all'interno della caserma della
Celere non è dato sapere, ma vi sono buoni motivi per ritenere che i poliziotti si siano serviti
di tale
arresto soltanto per permettere che il pestaggio continuasse in maniera razionale e senza pericolosi
testimoni.Nessun commissario inoltre poteva più intervenire per arrestare ulteriormente
Serantini e "sottrarlo alla
furia degli agenti".Alle 1.30 della notte Serantini viene finalmente trasportato nel carcere Don Bosco
e nello stesso istante
che Serantini supera il portone del carcere si verifica una violazione al cosiddetto regolamento
carcerario, violazione che - detto per inciso - ormai è diventata una regola ed una precisa prassi
intoccabile del sistema repressivo italiano. Il regolamento carcerario prescrive infatti che tutti coloro che
entrano in un carcere nella condizione di arrestati debbano passare obbligatoriamente attraverso un
controllo medico. E tuttavia non si contano più i casi di compagni e di non compagni i quali
hanno
denunciato - anche nelle aule dei tribunali - di aver subito violenze fisiche da poliziotti di differente
estrazione ministeriale, e soltanto dopo essere stati ridotti a stracci di uomini ricevettero finalmente la
grazia di venir passati alle carceri senza che nessun medico si curasse di prendere atto delle loro
condizioni fisiche.L'autopsia eseguita sul corpo di Serantini ha preso atto dell'esistenza di tumefazioni
esterne grosse
quanto un pugno, di un ematoma polmonare provocato da un colpo violentissimo, di lesioni, lividi in
ogni parte del corpo, e ben due fratture craniche: una posteriore ed una parietale. Non si può
che
constatare che il compagno Serantini è stato massacrato a furia di botte, e ciò non
può certamente essere
accaduto prima che egli venisse trasferito nelle celle della polizia, cioè in piazza, perché
un uomo ridotto
in tali condizioni non sarebbe stato in grado di reggersi sulle proprie gambe.Se l'avessero visitato e
conseguentemente ricoverato in ospedale, Serantini non sarebbe forse morto.
Dunque oltre ai sadici poliziotti che l'hanno massacrato ed ai loro dirigenti che hanno ordinato o
consentito il pestaggio, anche la direzione del carcere è responsabile della morte di
Serantini.Sabato a mezzogiorno Serantini viene interrogato dal sostituto Procuratore Sellaroli, ed anche
tale
interrogatorio rientra nelle formalità previste dalla legge. Il Procuratore non deve infatti che
appurare
la reità possibilmente confessa dell'accusato.Durante l'interrogatorio formale che il Procuratore
Sellaroli sagacemente conduce, con totale
soddisfacimento della parte lesa (la polizia!) il compagno Serantini dimostra visibilmente di stare male.
È stato trasportato a braccia dagli agenti carcerari e dichiara di sentirsi molto male. Durante
tutto il
periodo dell'interrogatorio, egli mantiene il capo appoggiato sulla superficie del tavolo, e l'ematoma che
gli era stato prodotto sulla parte posteriore del cranio, è ben visibile.Il Procuratore Sellaroli non
si degna nemmeno di appurare se il cittadino che egli sta interrogando sia
stato sottoposto al controllo medico previsto dal regolamento carcerario. Unica preoccupazione del
degno sostituto Procuratore è quindi evitare accuratamente ogni possibile intervento che possa
avere
delle noiose conseguenze per la polizia.Se il sostituto Procuratore l'avesse fatto ricoverare forse
Serantini poteva ancora salvarsi e dunque anche
Sellaroli è responsabile della sua morte.Ecco che già la catena di responsabilità
per l'assassinio di Serantini passa attraverso le principali
istituzioni repressive dello stato: la polizia, il carcere, la magistratura. Un esemplare assassinio di
stato.Domenica 7 maggio alle ore 9.30 del mattino Serantini muore, e con perfetto tempismo un
funzionario
della questura si precipita in Municipio per ottenere l'autorizzazione a rimuovere il corpo, tentando
così
di evitare il necessario esame medico, formalità decisamente scocciante anche questa e che
secondo i
poliziotti di larghe vedute andrebbe eliminata per non intralciare il "giusto compito delle forze
dell'ordine".A questo punto scoppia lo scandalo. I giornalisti si lanciano sull'episodio e scoprono che
"un giovane
studente è stato ucciso". Ma neppure tanto scandalo: si tratta di un anarchico e per di
più di un figlio di
genitori ignoti; i suoi assassini sono poliziotti e figli di buona donna. Perciò la vicenda non
giunge mai
in prima pagina e dopo un paio di giorni i giornali non ne parlano più. Intanto si sente la solita
fitta rete
di omertà, di reticenze mafiose, di scaricabarili. Ed a tappare la bocca ai compagni di Serantini
ci pensa
la polizia impedendo comizi, sequestrando volantini, incriminando.Una sola cosa ci consola. Ai funerali
del compagno Serantini non abbiamo ricevuto l'offesa di corone
inviate dal Presidente della Repubblica nè di corazzieri in alta uniforme, né di mafie
tricolori che si
contendessero la bara come nei films di Al Capone. Quando la bara è apparsa uscendo da una
fredda sala
d'obitorio, nessuna folla di borghesi e piccolo-borghesi, accecati dalla disinformazione televisiva si
è
istericamente accalcata per applaudire.
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