Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 132
novembre 1985


Rivista Anarchica Online

Dietro la stangata
di Maria Teresa Romiti

La natura, lo sappiamo bene, ama la ciclicità: a primavera aspettiamo i fiori mentre le giornate si allungano, in autunno le foglie ingialliscono e cadono, arrivano i primi freddi.
Forse perché influenzati dall'ambiente, anche gli uomini tendono ad avere ricorrenze cicliche: Natale, Pasqua, le vacanze estive, le settimane bianche e, perché no, le stangate settembrine. Arrivano tutti gli anni, insieme alle vendemmie, mentre le giornate si accorciano. Tutti gli anni ci vengono propinate come l'ultimo sforzo richiesto per riportare alla salute economica l'Italia. Ma la salute dell'Italia, alle porte a fine anno, subito dopo l'approvazione della legge finanziaria, immancabilmente, ricomincia a deteriorarsi fino a tornare allo stato comatoso il settembre successivo. Per fortuna i ministri sopportano ben altro che simili contraddizioni. Dopotutto, in politica, la memoria labile è una virtù, non un vizio. Tutti gli anni si parte dai massimi sistemi discutendo per tutto il mese sulla necessità di diminuire lo stato assistenziale, sull'imperativo per uno stato moderno ed efficiente di ritornare, almeno in parte, al mercato; si discute, seriamente o quasi, di morte del Welfare State, di stato minimo, di economia mista. Tutti gli anni si arriva alla traduzione concreta in termini spiccioli: diminuzione dei bilanci della sanità, dell'educazione, degli enti locali, pioggia di aumenti tariffari (dai trasporti alle tariffe elettriche, dai ticket alla tassa più dimenticata). L'unico tabù sono le spese militari, al minimo accenno di taglio o di aumento contenuto sale un coro da tragedia greca sulla necessità di mantenere fede ai patti di alleanza, sull'impossibilità di sopportare la minima diminuzione senza dover mettere in pericolo la difesa essenziale del nostro "sacro territorio" e via dicendo. Quest'anno è bastata la ventilata diminuzione della leva di sole 20.000 unità perché i militari cominciassero le loro geremiadi.
Anche quest'anno le idee in cantiere non brillano per originalità: aumento del ticket sui medicinali e sulle prestazioni sanitarie di circa il 10%, aumenti vari di tariffe telefoniche, luce, gas, trasporti, tasse scolastiche, eliminazione delle tariffe preferenziali, diminuzione degli assegni familiari, aumenti della tassazione INPS e via dicendo. La solita stangata che verrà solo parzialmente (e solo per i redditi medi e alti) ricompensata da una diminuzione del fiscal drag, per permettere ai cosiddetti ceti medi di sentire un po' meno il prelievo fiscale. E tutto questo servirà solo per riuscire a recuperare poco più di 10.000 miliardi, una cifra che è appena in grado di evitare che il disavanzo quest'anno raggiunga punte astronomiche. Il solito rattoppo, quindi: del resto non sarebbe possibile fare di più conciliando clientelismo, protezione a lobbie agguerrite, salvataggi vari, interessi contrastanti con un'operazione che vorrebbe essere di puro risanamento.
E poi la macchina-stato costa per tutti. Perfino gli Stati Uniti sono alle prese con disavanzi incredibili, non più controllabili. Le spese sembrano dotate di vita propria. Lo stato assomiglia sempre di più al Golem sfuggito al controllo del proprio creatore, l'idea diventata realtà: è un incubo, un buco nero che divora energia e nessuno sa più come fermarlo. Si tenta la strada dell'abbandono dello stato assistenziale per tornare al mercato, allo stato minimo, caro alla nuova destra, figlia della reagonomics, ma i risultati non sono troppo soddisfacenti. L'Inghilterra della signora Thatcher ha gli stessi problemi della Svezia, stato assistenziale per antonomasia.
Il problema è che lo stato moderno difficilmente può essere uno stato minimo. Non si può abbandonare la strada seguita fino ad oggi. Nell'ultimo scorcio di secolo i compiti della macchina-stato si sono notevolmente ampliati: salvagente di aziende in crisi, dispensatore di pubblico benessere, imprenditore, educatore, controllore e manager. Lo stato è diventato presenza costante in campi diversi. Ruoli costosi, che hanno offerto però indubbi vantaggi: controllo accurato e incrociato sulla vita quotidiana delle persone, gestione di diversi rami dell'economia, dell'educazione, della salute, dell'informazione. Lo stato è diventato un referente sempre più importante per fasce diverse della popolazione, una presenza indispensabile o presunta tale. Ovvio che non si può dire: da oggi basta.
Non è possibile ristrutturare la macchina, forse non è neppure conveniente, dopotutto. Ci si deve limitare a tagliare qualche ramo vistosamente secco, ridurre qualche spesa, ma non più di tanto. La macchina ha i suoi ingranaggi ben oliati, ormai automatici, che non possono essere cancellati. Le discussioni sul Welfare State sono solo disquisizioni teoriche, la realtà è che smantellare la macchina o solo razionalizzarla è troppo difficile. E poi nessuno lo vuole veramente. Non certo la burocrazia statale, sempre più potente, che prospera come un cancro nelle maglie della rete; non i politici, troppo interessati al mantenimento di funzioni e privilegi e preoccupati di dover pagare con l'impopolarità le decisioni; neppure i cittadini, combattuti tra l'oscura sensazione di vivere in un mondo da Grande Fratello quindi alla ricerca di spazi di libertà di uno stato meno presente e asfissiante, e nello stesso tempo stato-dipendenti, incapaci di pensarsi autonomi e di agire in prima persona, privi di alternative valide e che alla fine chiedono ancora maggiori interventi in aree diverse.
Così non resta altro che il pendolo tra destra e sinistra, tra stato assistenziale e stato meno assistenziale, tra più tasse e meno tasse, tra un partito e l'altro alla ricerca di una soluzione che non si trova. Non restano allora che le solite stangate, condite con le solite parole.