Rivista Anarchica Online
Né Reagan né
Gheddafi
di Paolo Finzi
"Abbiamo fatto il
possibile per centrare esclusivamente gli obiettivi di carattere
militare che ci eravamo prefissati, non volevamo colpire la
popolazione civile. Purtroppo quando le case sono a ridosso delle
installazioni militari, certe conseguenze sono inevitabili". Questa, in
sostanza, la risposta fornita da Reagan a chi gli chiedeva conto
delle centinaia di vittime civili in seguito all'incursione aerea
sulla Libia. Come dire: affari loro, la prossima volta si facciano le
case più in là. La strage effettuata dagli aerei USA levatisi in
volo dalle basi inglesi, con il successivo lancio (fuori bersaglio)
dei missili libici contro Lampedusa, ha fatto vivere a tutti noi ore
pesanti. Forse era dalla ormai lontana crisi dei missili a Cuba che
non si respirava così densa, cosi intossicante, l'aria della vigilia
della guerra. Siamo scesi in
piazza, in tanti. Per urlare il nostro NO ALLA GUERRA, per
ritrovarci, per non lasciarci andare alla sensazione di impotenza che
in queste occasioni si fa inevitabilmente più acuta - e rischia di
diventare paralizzante. Quando, in poche parole, la gente si accorge
che in alcuni momenti (ma in realtà non è sempre così?) tutto
dipende da "loro", da chi sta lassù, da chi può pigiare il
fatidico bottone. Siamo scesi in
piazza, ma in piazza - a Milano come in tante altre parti d'Italia -
ci siamo ritrovati ancora una volta immersi tra tanti "pacifisti
a senso unico" durissimi nel condannare la bestiale aggressione
americana, lucidi nel denunciare i rischi ai quali il nostro Paese si
trova esposto in conseguenza della sua adesione alla NATO, coerenti
nel reclamare l'immediata uscita dell'Italia. Tutte cose giustissime,
sacrosante. Sull'altra faccia
della medaglia, però, silenzio. Fuori la Sesta Flotta dal
Mediterraneo. E le navi da guerra russe? Silenzio. No alla politica
guerrafondaia di Reagan. E a quella di Gheddafi? Silenzio. Solidarietà con il
popolo palestinese! Certo, come con tutti i popoli, che hanno diritto
di vivere in pace. Tutti, appunto. Per farla breve,
dai settori politicizzati, partitizzati, gruppettarizzati, insomma
dai "pacifisti a senso unico" inquadrati nei rispettivi spezzoni
di corteo è giunto, ancora una volta, un messaggio di unilateralità
anti-americana, che è il sintomo preciso della non-volontà di
cogliere i meccanismi più profondi e decisivi che stanno alla radice
del militarismo e della guerra: i meccanismi del potere, della
violenza istituzionale, del nazionalismo, del fanatismo religioso. Tutte cose che si
trovano in varia misura in tutti gli Stati. Solidarietà al popolo
libico, allora. Così come solidarietà a tutti i popoli della Terra.
Ma lotta contro il suo governo, che è - tra l'altro - tra i più
totalitari e oppressivi. E lotta contro gli altri governi. Sembra assurdo, ma
tra tanto pacifismo a senso unico il semplice slogan NÈ REAGAN NÈ
GHEDDAFI assume un significato dirompente rispetto al conformismo
sinistrese. In molti cortei
questo slogan lo abbiamo letto su cartelli e striscioni portati in
piazza da singoli individui, da gruppi spontanei, da alcune scuole,
insomma da gente che forse senza profonde analisi politiche ha
sentito da che parte bisognava "schierarsi". Con nessuna delle
parti in lotta, appunto. O meglio, contro tutti i signori della
guerra.
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