Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 137
maggio 1986


Rivista Anarchica Online

La scena travestita
di Pino Bertelli

Omosessualità, travestimenti, "diversità". II cinema ha affrontato mille volte, in mille modi, questi aspetti. A partire dal cinema muto, poi Charlot, Stanlio e Ollio, ecc.

"Le false credenze e i pregiudizi ingiustificati nei confronti di un tipo di comportamento sessuale maschile e femminile conosciuto come omosessualità, o amore fra persone dello stesso sesso, sono stati fino ad oggi predominanti e ancora adesso influenzano gran parte della popolazione. Uomini e donne omosessuali, attratti quindi da persone del proprio sesso, vengono spesso considerati come malvagi criminali o libertini... Ci sono omosessuali in ogni classe sociale (fra i colti e gli ignoranti, nei ceti più alti e in quelli più bassi della popolazione, nelle grandi città e nei paesi, fra i rigidi moralisti e fra le persone più aperte e tolleranti); e infine che l'amore per una persona del proprio sesso può essere puro e nobile come l'amore per una persona dell'altro sesso, perché la sola differenza è l'oggetto del desiderio, non la natura dell'amore ".

Dal programma originale distribuito nel corso delle proiezioni del "primo film" omosessuale, "ANDERS ALS DIE ANDEREN" (1919) di Richard Oswald.

Il cinema muto americano ha graffiato la morale comune nel travestimento e nei turbamenti dell'arte di rompere gli schemi. Contro il linguaggio dell'ovvio che è sempre e solo quello della merce, i "grandi guitti" dello schermo muto hanno saccheggiato la follia, l'organizzazione, la quotidianità della società opulenta, dove sono ridicolizzati gli specialisti del bavaglio, cioè quelli che producono definizioni, desideri, bisogni, i padroni dei significati della Lingua, i carcerieri dell'immaginario in frantumi.
Su piani e linguaggi diversi, Buster Keaton, Charlie Chaplin, Roscoe "Fatty" Arbuckle, John Bunny, Wallace Beery, Eddie Cantor, Ben Turpin, Harold Lloyd, Graucho Marx, Stan Laurel e Oliver Hardy hanno scardinato la razionalità della norma, l'ideologia autoritaria della società conservatrice interpretando ruoli femminili.
La maschera, il "gag", il travestitismo che circolano nei loro film hanno composto una grammatica della trascendenza che ha sviscerato sullo schermo una tra le più radicali critiche del comportamento sociale.
La "diversità" è subito spettacolo. Anche William K. Laurie Dickinson, un tecnico al servizio della "Kenitoscope Company" di Thomas A. Edison, avverte l'"attrazione deviante" e la mercificazione di successo dei "mostri fuori storia"; così, sospeso fra la ricerca scientifica e l'intuizione mercantile dell'ordinario lacerato, Dickinson gira nel "primo stabilimento cinematografico", la "Black Maria" (la Maria Nera) un film sperimentale/sonoro, "THE GAY BROTHERS" (1895) dove due uomini si abbracciano in un valzer.
Il film di Dickinson è poco più di un gioco, allora ardito. Le figure femminili di Roscoe "Fatty" Arbuckle in "MISS FATTY'S SEASIDE" (1915); John Bunny, "THE LEADING LADY" (1911); Wallace Beery nella serie "SWEEDIE" (1914/1916); Charlie Chaplin, "A WOMAN" (1915); Stan Laurel, "THE SOILERS" (1923) vanno ben oltre la "commedia degli equivoci"; spesso in modo grezzo, sommario (Bunny, Beery, Turpin, Lloyd), in qualche caso di grande complicità eversiva (Keaton, Chaplin, "Fatty", Laurel, Marx), questi guitti della "felicità del rovescio" hanno trattato il tema del travestimento come riscatto di un'ingiustizia subita come uomini e, in altri panni, cioè come donne, riescono ad imporsi proprio sugli oggetti del loro stato di inferiorità, sui loro oppressori ridotti a stupidi manichini condannati all'anonimato familiare.
Banchieri, poliziotti, bottegai, preti, giornalisti, operai, madonne del buon costume americano ecc... sono ridotti a burattini senza fili dove (nel caos del vuoto di potere) le imperfezioni, i desideri, l'immaginazione di un reale che è rappresentazione dei propri sogni diviene il linguaggio della coscienza. Gli sguardi censori del conformismo cristiano/marxista/borghese sono aggirati nei segni dell'ammiccamento e, morta la risata, restano negli occhi dei curiosi le tracce della trasgressione.
Cinema della lateralità, del margine esploso, queste facce del disamore urbano invitano a non sognare ma a ridere di una verità "mancina" che non ammette repliche. Nel momento che vengono applauditi, allo stesso tempo sono allontanati. È il taglio "mancino" della loro comicità che è respinto perché in qualche modo indica la smagliatura, l'insicurezza, l'eversione e la paura di un'immagine riflessa, compromessa, asservita che è quello che ognuno non vuole farsi sentire di dire.
Ogni "mancino" è un'offesa al pubblico pudore. René Zazzo tesse così la sua celebre difesa del "mancinismo": "Il mancino, per il solo fatto di essere mancino, è soggetto di scandalo in una società di mandestri. Lo scandalo si aggrava di tutte le tare che il mancino porta in sé: è maldestro, guarda storto, farfuglia, balbetta. La sua intelligenza è diminuita e il suo carattere intrattabile. È un inadatto in perpetuo"(1).
In modo eretico, l'omosessualità è qui considerata una forma di "mancinismo"; le influenze dell'educazione della famiglia e dell'adattamento nella società nelle minoranze omosessuali è un'interrogazione che trova la risposta in Montaigne: "Noi definiamo contro natura ciò che avviene contro il costume".
Le bastonature dei "diversi" si ritrovano nelle testimonianze dei primi segni/scritti dell'umanità. Dai papiri egiziani del 2000 a.C., alla mitologia greca, alla Bibbia, l'omosessualità è considerata un pericolo o una malattia. Se l'Inghilterra vittoriana tramutava la pena di morte nel carcere a vita per coloro che erano "affetti" da omosessualità, la Germania di Hitler riusciva ad eliminare oltre un milione di "invertiti" nei campi di sterminio. L'Italia fascista si limitava ad allontanare gli "effeminati" dai posti pubblici ghettizzandoli al confino.
Ancora negli anni '40/'50 l'America puritana, anticomunista, ripuliva gli Uffici di Stato dagli omosessuali, comunisti, anarchici che incrinavano il quadro perfetto della democrazia formale. In questa America bigotta e cialtrona, Wilhelm Reich fondò l'"Orgone Institute"; denunciato per i suoi esperimenti sulla liberazione sessuale dalla "Food and Drug Administration", Reich si rifiutò di esporre le sue teorie nella veste di imputato; per non collaborazione e disprezzo della corte viene condannato e muore d'infarto nella galera di Lewisburg il 3 novembre 1957.
Nel 1975 in Unione Sovietica, la purezza burocratica del socialismo di Stato condanna l'omosessualità del maggiore regista cinematografico sovietico, Serghiej Paradjanov, alla carcerazione e alla soppressione di tutte le sue opere.
Il trionfo della straccioneria borghese dell'umanità evoluta è scritto nei roghi, nelle forche, nelle fucilazioni dei soggetti della devianza: "La loro condanna è iscritta a priori nel nostro spirito, apparendo già nel linguaggio che usiamo per definirli e giudicarli: essi rovesciano l'ordine delle cose, portano in sé un principio contrario alla rettitudine e alla dirittura. Li si chiama i "gaucher". È tutto dire".(2)
La devianza, il rovesciamento, l'omosessualità convivono nella storia del cinema (e in quella dell'umanità) come frattura della cultura della menzogna e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo; "l'inconscio precede la coscienza e la logica del processo storico obiettivo, precede la logica soggettiva dei suoi protagonisti", scrive Rosa Luxemburg(3); l'invito è dunque a dar sfogo all'immaginario reale, al deragliamento (con ogni mezzo) dai binari costituiti.

La scena travestita
Il gioco travestito dello schermo muto lacera il velo del costume. I travestitismi di John Bunny, "THE LEADING LADY"; Roscoe "Fatty" Arbuckle "MISS FATTY'S SEASIDE LOVERS" o "FATTY IN CONEY ISLAND" (FATTY ALLA FESTA, 1917); Wallace Beery, "SWEEDIE" ad es., tendono ad una comicità grezza ma per niente "folle". Bunny e "Fatty" pesavano oltre cento chili ma i loro personaggi si muovevano nell'aggressività asmatica (Bunny) e nella dolcezza timida ("Fatty") sul filo doppio dell'ambiguità, cioè non proponevano il ribaltamento e la distruzione del ruolo maschile, disegnavano con pregnante puntualità momenti e situazioni femminili.
Nella serie "SWEEDIE", Beery si pone su altri registri. Anticipa di non poco certe figure del fumetto; Minnie di Walt Disney; Blondie di Chic Young; Olivia di Elzie Crisler Segar; Lucy di Charles M. Schulz; qui come in Beery la seduzione sta nell'esuberanza del ruolo femminile, nella visione manichea di un mondo conquistato, senza altri spazi, altre realtà.
Sono Charlie Chaplin e Stan Laurel a cogliere nel travestitismo femminile l'evoluzione della comicità basata sulla corsa, lo "slap-stick" (schiaffo-bastone), il lieto fine; tecnica della dismisura la comicità del cinema muto sbordava fuori dalla Commedia dell'arte, dal Circo, dalla disubbidienza della strada manifestata contro i condizionamenti dell'ambiente. Contro l'ordine autoritario non si poteva né ridere né prenderlo sul serio. Fuori da ogni spirito di adattamento e dentro una teoria di contrasto dei luoghi deputati all'edificazione della società come organizzazione delle apparenze (Famiglia, Chiesa, Lavoro, Esercito, Stato) - la comicità "maledetta" del disordine salutare espressa nella surrealtà dello schermo muto americano - rovesciava negli occhi delle platee sbalordite le forche e i segni straccioni della raffinata cultura borghese.
Come Spinoza, che ci invitava a "non ridere né a piangere, ma a comprendere", molti di questi terroristi della risata sfrondavano sulle corde del disturbo, della distruzione dei rituali e dei feticci dell'ordinamento sociale per indicare i percorsi della liberazione nel trapasso delle classi. Nei loro spartiti improvvisati, nella loro irrazionalità dirompente, in frammenti inattuali della transizione scagliati contro la parete del buon/costume borghese, hanno anche messo la faccia degli oppressi e i loro desideri di rivolta. Dialettica della liberazione, infatti, il loro cinema si muove sulle teste dei tiranni e nella soggezione dei vinti.
In "A WOMAN" (CHARLOT SIGNORINA) Chaplin dilata la regola del gioco. Tolti i baffetti, affinata la camminatura, conquistato un corpo di donna mostra che non esistono sogni proibiti ed ogni forma di trasgressione assume la minaccia, la pratica di una psicologia liberata dai processi di condizionamento che insinua la disobbedienza, la separazione dai territori confezionati dai produttori di un sistema.
Chaplin in "A WOMAN" disillude il rituale, deforma la realtà conosciuta, si appropria di una maschera femminile per evidenziare i tarli della banalità borghese. È così attento alla distruzione dei valori dominanti che Louis Delluc scrive: "Un signore ammodo s'ingonnella, s'imparrucca, s'incappella da gran dama e ci rende un po' inquieti. E nel frattempo si fa finta di ridere sino alle lacrime...".(4) L'inquietudine che avverte Delluc non era soltanto per il travestimento femminile di Chaplin; alla Keystone Charlot aveva già indossato abiti da donna in "A BUSY DAY" (MADAME CHARLOT, 1914) e "THE MASQUERADER" (CHARLOT ATTORE, 1914); quello che Delluc vedeva sullo schermo travalicava la farsa, porgeva una disciplina delle differenze, svuotava i contenuti del conforme nella metastoria irriverente del quotidiano.
Nella prima bobina di "A WOMAN", Charlot va a trovare la sua ragazza, il padre di lei lo getta fuori casa; nel secondo rullo Charlot si traveste da donna e fa innamorare di sé non solo un giovane borghese ma anche il padre della ragazza. Il lieto fine è d'obbligo. Gettati gli abiti femminili Charlot è ora accolto nel tepore familiare. Tutto torna a posto. La facciata è salva. Le sbandate del capo/famiglia per un uomo travestito sono ricondotte nell'archivio delle cose da dimenticare.
Il tempo mercantile dell'utopia/Capitale è un tempo di soggezione generalizzata, di morte nucleare, di terrorismo economico, di guerre multinazionali, di colonizzazione del sapere; si tratta di muoversi all'interno di questo tempo morto, che non è il nostro, cioè il tempo degli oppressi, degli emarginati, dei devianti; questo è un tempo circoscritto, determinato, filtrato nell'opulenza armata della società industriale avanzata.
Il realismo primitivo di Chaplin riusciva a mettere "in ridicolo tutta la solennità commerciale del cinema americano con una offesa permanente alla dignità" (Georges Sadoul) di cartapesta di un impero economico corrotto e corruttore di milioni di occhi; Charlot tira calci ai poliziotti, ai borghesi, ai ladri, difende spaurite fanciulle da enormi, cattivi omacci invadenti, deride il conforme nell'annullamento della propria identità, della propria ideologia; la sua "arte del cinematografo" s'innalza sui gradini irriverenti dell'ingiustizia sociale per cadere, nella maturità, nel qualunquismo umanistico/mondano della speranza e della tolleranza sentiti e vissuti come fede e teologia di un divenire razionale ed equilibrato.
Charlot invitava l'edificazione di un mondo armonioso, una specie di "paese della felicità" dove tutti amano tutti, dove l'amore "puro" vince sulle forze del male. Il fatto è che Chaplin non riusciva a vedere intorno a sé i becchini della democrazia armata che avevano bruciato sulla sedia elettrica Sacco e Vanzetti, i cantori dell'efficienza organica del capitalismo montante che dissolvevano la ragione degli ultimi ergendosi a giudici dei rituali sociali, a carnefici delle inquietudini esplosive.
L'educazione dell'immaginazione che Chaplin portava sulla tela non sembra uscire fuori da "utopisti positivi" come William Godwin (5), Tommaso Moro (6), Tommaso Campanella (7) o Charles Fourier (8); quello che gli itinerari pubblici contribuiscono a confermare è la forza che Chaplin ha messo nella cancellazione della sua modesta infanzia al n.3 di Pownall Terrace, in Kennington Road, a Londra, l'ubriachezza del padre, la pazzia della madre, l'ospizio di Lambeth; le 609 pagine della sua autobiografia (9) definiscono tutto il suo conservatorismo, disegnano l'immagine vera di un signore senza passato e con un futuro luminoso nei parchi e nei giochi di società che il fabbricatore di cannoni, stampa, cinema, miniere, fabbriche, banche ecc., W. Randolph Hearst, organizzava per i semidei di Hollywood.
Così L.S. Vygotskij: "Noi siamo governati dalle abitudini. Da ciò consegue che sviluppare l'intelletto significa sviluppare molte capacità specifiche e indipendenti e formare molte abitudini specifiche, poiché l'attività di ciascuna capacità dipende dal materiale sul quale questa capacità opera. Il miglioramento di una funzione o di un'attività specifica dell'intelletto influisce sullo sviluppo di altre funzioni o attività solo quando esse hanno elementi comuni" (10). La risposta chapliniana a questi quesiti è lo stile tombale dell'emarginazione e la propria completa estraneità alle bastonature degli oppressi.
Ricomposti gli argini della comicità del disordine fiondata sullo schermo nei 35 "Film Keystone" (1914), spuntato l'anarchismo plebeo dei 15 "Film Essany" (1915/1916), rotto il corrosivo risentimento dei vinti nel moralismo vittoriano che circolava nei 12 "Film Mutual" (1916/1917) Charlot s'incammina sulla strada maestra della convenzione e non è assurdo dire che Chaplin "e i numerosi comici d'oggidì, facendo ridere le grandi masse, le aiutano a sopportare senza scrupoli i loro guai, e specialmente i loro disagi economici" (11).
Affinata la tecnica nei 9 "Film First National" (1918/1922), ricomposta e diffusa la maschera umile del vagabondo fuori del tempo nei 9 lungometraggi della "United Artists" (1923/1957), Chaplin gonfia la rispettabilità degli sfruttati nella lingua doppia degli apologeti del lamento, dei gendarmi dei saperi, dei produttori di opinione, si ferma sulla soglia del sacro, cioè della macchina/Capitale, e nelle risposte che non si dà, negli sputi che non tira contro i feticci che lo hanno promosso ad "arte", sprofondano i fremiti di una realtà suburbana recintata, in attesa di esplodere, che Chaplin, evidentemente, non conosce.
Il terrore l'abbiamo già alle spalle, di fronte abbiamo il vuoto dei simulacri. Si tratta di dare inizio alla distruzione dell'aura artistica, delle ideologie correnti. La cultura della catastrofe è la teologia della speranza modellata sul terrore quotidiano.
A partire da "A DOG'S LIFE" (VITA DA CANI, 1918); "SHOULDER ARMS" (CHARLOT SOLDATO, 1918); "THE KID" (IL MONELLO, 1921); "THE PILGRIM"-(IL PELLEGRINO 1923) e così via con "THE GOLD RUSH" (LA FEBBRE DELL'ORO, 1925); "CITY LIGHTS" (LE LUCI DELLA CITTÀ, 1931); "MODERN TIMES" (TEMPI MODERNI, 1936); "THE GREAT DICTATOR" (IL DITTATORE, 1940) Chaplin si addomestica all'umanismo mercantile della "macchina dei sogni", della "santa puttana" che ovatta gli sguardi degli ultimi in categorie e consumatori di mitologie: dipendenza e asservimento suggeriscono svaghi e culture, segnano l'elogio funebre della soggettività.

Senza illusioni
Chaplin ha fatto anche film senza illusioni. "THE TRAMP" (CHARLOT VAGABONDO, 1915) o "THE CIRCUS" (1928), testimoniano che il suo sguardo sul mondo è tutt'altro che mansueto; se di lato la disarmonia gestuale del piccolo vagabondo rappresenta l'accezione di una società fortemente organizzata che tralascia, emargina, incarcera i soggetti inadattati, nel fondo della maschera, nella solitudine inguaribile del clown di strada si avverte qualcosa di minaccioso: "egli proietta per così dire sul mondo circostante il suo lato violento e dominatore e che solo tale proiezione della propria colpevolezza produce quell'innocenza da cui, allora, egli attinge più violenza di quanto potrebbe fare da qualsiasi violenza (...) il suo lato buono, che i bambini applaudono, è esso stesso ottenuto da quello cattivo, che cerca invano di distruggerlo in quanto egli l'ha già distrutto prima nella propria immagine" (12).
È con "MONSIEUR VERDOUX" (1947) che Chaplin scaglia uno dei più spietati attacchi alla morale cristiano/borghese e ai filistei dell'umanismo mercantile. Qui Chaplin schianta ogni pallore dell'ideologia dominante, mostra i rituali e la simulazione di un'etica artificiata nel fittizio (nel profitto), una moralità repressiva che ha come primo scopo il perpetuare la propria immagine democratica.
Non ci sembra, come scrive Guido Oldrini, che "In 'Verdoux' Chaplin ritragga un tipo sociale già oggettivamente superato dallo sviluppo della storia. Come uomo troppo all'antica, egli cede a debolezze sentimentali incompatibili con la spietatezza delle leggi del capitalismo monopolistico. La sua sconfitta assume dunque nel film il senso di una sconfitta storica" (13). È vero piuttosto il contrario. Verdoux non è un personaggio superato dall'oggettività storica né tantomeno uno psicopatico che "cede a debolezze sentimentali"; Verdoux esprime una salutare violenza perché è specchio, anello di rottura di una società violenta! Verdoux uccide per un sottile piacere sovversivo, sfugge alle categorie del pazzo e dell'assassino, ritaglia un mondo nuovo dagli scampoli schizofrenici ereditati dall'insegnamento criminale di un'umanità demente.
Quello che Verdoux esprime è la trasvalutazione di tutti i valori, la più radicale messa a morte della facciata sociale. Verdoux agita il proprio dolore nell'omicidio e nel disprezzo per gli uomini li assolve della loro indecorosa ignoranza: "per i mediocri essere mediocri è una felicità" (Friedrich Nietzsche).
Verdoux traveste l'ordinario. Legittima ogni tipo di rivolta. Dà al grigiore quotidiano la gioia di esistere. I suoi omicidi sono una forma d'amore, l'atto puro di un nichilista che cancella con la morte la brutalità idealizzata nel terrorismo transnazionale della Chiesa, del Capitale, del Comunismo di stato. Il suo gesto estremo nega la vita come figurazione della dipendenza, insorge contro ogni senso di colpa, di castigo, non chiede grazia né redenzione, sfonda con la sua condanna a morte le menzogne e i delitti di ogni tribunale, incarna la maledizione spettacolare della società pianificata.
La garbata ironia di Stan Laurel ha spesso giocato sugli stessi registri di Chaplin. Svagato, sornione, dispensatore di caos Laurel assorbe nella sua filiforme figura maltrattamenti, ingiurie, violenze; non reagisce mai direttamente, piange come un bambino, senza lacrime.
Il caso, la difficoltà di parlare, di muoversi nel mondo che lo circonda si rivoltano sempre a suo favore; case che crollano, auto che esplodono, uomini che cadono da precipizi, donne che finiscono sotto i treni, bambini che affondano nell'immondizia ecc., segnano gli itinerari eversivi sollevati dalla maldestria di Laurel. Ciò che fa gli succede. I disastri a catena che si scatenano intorno a lui non sono avvertiti come coscienza dell'atto violento (ad es. vedi le pedate che Charlot tira ai poliziotti); Laurel si esprime nell'autoemarginazione totale, ciò che è forte nella sua "maschera" è l'invito alla digressione temporale, al disturbo della confezione, alla frammentazione della norma adoperati contro la canalizzazione delle idee.

Stanlio e Ollio
Ed è proprio una farsa di Laurel a portare in primo piano l'omosessualità maschile. In "THE SOILERS" (1923) accade di tutto; la corsa all'oro in Alaska arricchisce un disperato, Laurel; il solito sceriffo (che è anche il solo bandito del paese) deruba il cercatore d'oro e i due si battono per tutto il film. Sfasciano il saloon, e Laurel riesce a vincere il cattivo. Nel corso della lotta tra Laurel e lo sceriffo un cowboy "volteggia gaiamente davanti alla macchina da presa, con le mani sui fianchi. Fa l'occhiolino ai due uomini, si scompiglia i capelli davanti a uno specchio (...); Laurel esce dal saloon, affonda "il viso tra le mani con un'aria sconsolata. Il cowboy gay fa capolino da una finestra del secondo piano e inaspettatamente lancia a Laurel un bacio, sillabando con le labbra le parole - "Mio Eroe" - (rafforzate da una fiorita didascalia). Ma Laurel lo respinge con un'espressione di disgusto e il cowboy, seccato, gli fa cadere sulla testa un vaso di petunie. Nella scena finale, lo spazzino porta via Laurel insieme alla spazzatura" (14).
Il disgusto per l'omosessualità in Laurel sarà poi sempre meno velato. L'incontro con Oliver Hardy è decisivo. I due comici si compenetrano a tal punto che ogni segnale femminile o/e ogni situazione familiare che tracciano sulla tela, divengono luoghi di aggressione, di intolleranza, di coercizione; anche il mondo esterno alla loro "dimensione ludica" della vita è sentito e visto come costrizione, imbrigliamento dell'immaginario soggettivo.
Laurel e Hardy "riescono a funzionare contemporaneamente da uomo e da donna. Con loro non c'è spazio per nessun altro. Fanno le faccende di casa, dormono nello stesso letto (un letto matrimoniale), vivono le tensioni della coppia sposata" (15). Fuori dai pregiudizi e rotto il velo delle apparenze, Laurel e Hardy intrecciano salaci situazioni d'amore; "LIBERTY" (1929) di Leo Mc Carey o "TWICE TWO" (LUI E L'ALTRO o, anche, "ANNIVERSARIO DI NOZZE", 1933) di James Parrot, delineano con puntualità i motivi del travestitismo, l'uso sistematico del trucco femminile come situazione psicologica omosessuale sul gioco degli scambi; proscenio disvelatore di stati sotterranei di un maleamore coperto.
Laurel e Hardy aboliscono i vettori canonici del "comico" e della "SPALLA". La simbiosi emerge nella comicità del crollo. La catastrofe dell'ordinario è la morale evidente dell'umanità, spazio evangelico di una umiliazione storica divenuta intollerabile.
La gestualità è ridotta al minimo, il dialogo ossificato nei codici del banale. Il "gag" (la trovata) è lo sfaldarsi delle cose intorno all'innocenza, alla purezza metastorica di due figure anomale; le metafore velenose che fuoriescono dalla disarmonia distruttrice di Laurel e le sverniciature del reale disvelate nei momenti seduttivi di Hardy travalicano l'immediato, lo spontaneismo, la bruciatura della risata; la "surrealtà" negativa dei due comici riproduce le influenze e le dipendenze di un quotidiano sottomesso, di un'umanità diminuita e servizievole che ha perso ogni coscienza di sé, cioè ogni conoscenza del proprio esistere che non sia armonia con la corazza caratteriale del discorso dominante.
Gli intarsi della "commedia spontanea" di Laurel e Hardy delineano un sapere della comicità suburbana complesso e assai meno schematico di quanto un loro snaturato allievo, Jerry Lewis, creda. Intere sequenze girate in piano americano, ambientazione gustosa, ripetitività del "gag" e della gestualità inducono il lettore (lo spettatore) disattento verso le angolazioni superficiali della comicità immediata. A guardare più a fondo si scorgono i filamenti strutturali della battuta corta, della figurazione sciatta, dell'animazione goffa. Lo "Slow Burn" (lenta combustione), lo scoppio ritardato di un dolore o di una gioia è ripreso dalle magiche comiche di Sennett, ed anche un'altra coppia di guitti dello schermo muto, Roscoe "Fatty" Arbuckle e Buster Keaton avevano affinato questa tecnica, tanto che Keaton riuscì poi a farne un elemento portante del suo solitario cammino verso la fabbricazione più alta della comicità disperata.

Comicità come maschera
Interessante e praticato in ogni loro film è invece l'uso del controcampo. Il montaggio, spesso curato da Laurel, copre le assenze emozionali, le scenografie approssimative, lo spazio dell'inquadratura esagerato; intere generazioni hanno riso con Laurel e Hardy e a molti è sfuggita la carica trasgressiva omosessuale che trasudava dai loro film. In chiusa della loro vita artistica andranno anche oltre all'ammicco deviante, e nel 1951, per la regia di Leo Joannon girano "ATOLLO K" o, anche, "ROBINSON CRUSOELAND" o "UTOPIA"; il pacifismo dirompente, le bordate ironiche contro un'umanità senza speranza compromettono il film che incappa nelle maglie della censura americana. "ATOLLO K" uscirà solo nel 1954, massacrato dai tagli dei censori. È l'ultimo lavoro di Laurel e Hardy e anche la sepoltura della comicità degli "slums".
La comicità, come ogni maschera, è un travestimento. Il lazzo, lo sberleffo, la provocazione, l'ambiguità del gesto o del corpo mostrano la tessitura del conforme, rifiutano i codici della norma, ridono sull'immoralità delle istituzioni e sulla moralità incestuosa delle origini di "teatro di strada" e "commedia dell'arte", dai quali si è preso tutte le virtù distruttive e tutti i sogni dell'azione diretta agli occhi dei curiosi.
Il regno dell'ambiguità non è intorno a noi, ma è dentro di noi. La comicità è rottura, eresia, macerazione delle norme sputate sulla storia. I roghi, le forche, le galere, i campi di sterminio hanno rappresentato gli strumenti di cancellazione delle piaghe/ soggetti devianti, cioè hanno purificato l'incompetenza della società nell'autoritarismo e nel moralismo perverso, diffidente sul quale si fondano le relazioni conviviali. Ognuno si è fatto giudice della propria ignoranza e si è scagliato contro quelli che volevano uscire (o non volevano entrare) nella via maggioritaria. Quelli che volgevano il loro immaginario contro la "direzione sbagliata"! Certo, l'omosessualità è una forma di eversione sociale, scollamento e rottura con le canonizzate fantasie sulla norma che circolano nelle famiglie dabbene (proletarie o borghesi): "L'omosessualità è "anormale" perché turba i costumi e le concezioni tradizionali - le "norme" di comportamento - della nostra società, non perché trasgredisce alle "norme" naturali che non esistono. La confusione che spesso facciamo a questo proposito contribuisce più di ogni altra cosa a mistificare la vera natura del "problema dell'omosessualità". (16)
L'infanzia del cinema è subito percorsa da desideri di deviazione, travestitismo, omosessualità femminile. Le donne imparano a conoscere il proprio corpo, a mitizzarlo ma anche a odiarlo. I pantaloni sono ugualmente sfilati agli uomini con malizia e consumato mestiere e divengono anche momenti di sogno femminili: "... in questi pantaloni mi muovo in un altro modo. Mi sventolano attorno in grandi pieghe, sgarbatamente. Mi disegnano addosso i grandi passi, i volteggi, i giri fantasiosi, un nuovo equilibrio. Mi fanno venire in mente la possibilità di un'anatomia mutata, il vestito più bello sarebbero due ali".(17)
Due ali. Non per fuggire, "per imparare a conoscere le fantasie ridotte all'immobilità e occultate, riportarle nella propria esperienza; tuffarsi nell'inquietudine della storia decifrata e inutilizzata, per uscirne cariche noi stesse di inquietudine" (18). Rompere dunque il velo che opacizza la diversità nella trasparenza di un mondo morto. Appeso ai lumi melodrammatici della propria immagine mummificata nella civiltà delle macchine. Trasgredire è vivere diversamente il delirio collettivo organizzato nelle apparenze.


(1) René Zazzo: Psicologia del Bambino e Metodo Genetico, pag.204, Editori Riuniti 1973.

(2) René Zazzo: op. cit., pag. 200.

(3) Vedi: Socialismo e sessualità di Domenico Tarizzo, pag. 10, Ottaviano 1976.

(4) Louis Delluc: in Storia Generale del Cinema/Il Cinema Diventa un'Arte 1909/1920 di Georges Sadoul, pag. 380, Einaudi 1967.

(5) William Godwin: Indagine sulla Giustizia Politica, Assandri 1978.

(6) Thomas More: Utopia, Guida 1979.

(7) Tommaso Campanella: La Città del Sole, Feltrinelli 1979 .

(8) Charles Fourier: Contro la Civiltà, Guaraldi 1971.

(9) Charles Chaplin: La mia Autobiografia, Mondadori 1964.

(10) L.S. Vygotskij: Psicologia e Pedagogia, di AA.VV., pag. 31., Editori Riuniti 1971.

(11) Parker Tyler: in Chapliniana a cura di Guido Oldrini, pag. 175, Laterza 1979.

(12) Theodor W. Adorno: Parva Aesthetica, saggi 1958/1967, pag. 91, Feltrinelli 1979.

(13) Guido Oldrini: Il Realismo di Chaplin, Laterza 1981 .

(14) Vito Russo: Lo Schermo Velato/ L'Omosessualità nel Cinema, pagg. 35/36, Costa&Nolan, 1984.

(15) Andrea Vannini: Sogni Proibiti/I Comici di Hollywood (con Claudio Carabba), pag. 84, Valecchi 1979.

(16) M. Daniel-A. Baurdy: Gli Omosessuali, pag. 36, Vallecchi 1974.

(17) Gisela Von Wysocki: La Lanterna Magica/ Ombre Immagini Figure di Donne, pag. 7, La Tartaruga 1979.

(18) Gisella Von Wysocki: op. cit., pag.23.