Rivista Anarchica Online
La scena
travestita
di Pino Bertelli
Omosessualità,
travestimenti, "diversità". II cinema ha
affrontato mille volte, in mille modi, questi aspetti. A partire dal
cinema muto, poi Charlot, Stanlio e Ollio, ecc.
"Le false credenze e i pregiudizi ingiustificati nei
confronti di un tipo di comportamento sessuale maschile e femminile
conosciuto come omosessualità, o amore fra persone dello stesso
sesso, sono stati fino ad oggi predominanti e ancora adesso
influenzano gran parte della popolazione. Uomini e donne omosessuali,
attratti quindi da persone del proprio sesso, vengono spesso
considerati come malvagi criminali o libertini... Ci sono omosessuali
in ogni classe sociale (fra i colti e gli ignoranti, nei ceti più
alti e in quelli più bassi della popolazione, nelle grandi città e
nei paesi, fra i rigidi moralisti e fra le persone più aperte e
tolleranti); e infine che l'amore per una persona del proprio sesso
può essere puro e nobile come l'amore per una persona dell'altro
sesso, perché la sola differenza è l'oggetto del desiderio, non la
natura dell'amore ".
Dal programma originale distribuito nel corso delle proiezioni del
"primo film" omosessuale, "ANDERS ALS DIE ANDEREN"
(1919) di Richard Oswald.
Il cinema muto
americano ha graffiato la morale comune nel travestimento e nei
turbamenti dell'arte di rompere gli schemi. Contro il linguaggio
dell'ovvio che è sempre e solo quello della merce, i "grandi
guitti" dello schermo muto hanno saccheggiato la follia,
l'organizzazione, la quotidianità della società opulenta, dove sono
ridicolizzati gli specialisti del bavaglio, cioè quelli che
producono definizioni, desideri, bisogni, i padroni dei significati
della Lingua, i carcerieri dell'immaginario in frantumi. Su piani e
linguaggi diversi, Buster Keaton, Charlie Chaplin, Roscoe "Fatty"
Arbuckle, John Bunny, Wallace Beery, Eddie Cantor, Ben Turpin, Harold
Lloyd, Graucho Marx, Stan Laurel e Oliver Hardy hanno scardinato la
razionalità della norma, l'ideologia autoritaria della società
conservatrice interpretando ruoli femminili. La maschera, il
"gag", il travestitismo che circolano nei loro film hanno
composto una grammatica della trascendenza che ha sviscerato sullo
schermo una tra le più radicali critiche del comportamento sociale. La "diversità"
è subito spettacolo. Anche William K. Laurie Dickinson, un tecnico
al servizio della "Kenitoscope Company" di Thomas A.
Edison, avverte l'"attrazione deviante" e la mercificazione
di successo dei "mostri fuori storia"; così, sospeso fra la
ricerca scientifica e l'intuizione mercantile dell'ordinario
lacerato, Dickinson gira nel "primo stabilimento
cinematografico", la "Black Maria" (la Maria Nera) un
film sperimentale/sonoro, "THE GAY BROTHERS" (1895) dove
due uomini si abbracciano in un valzer. Il film di
Dickinson è poco più di un gioco, allora ardito. Le figure
femminili di Roscoe "Fatty" Arbuckle in "MISS FATTY'S
SEASIDE" (1915); John Bunny, "THE LEADING LADY" (1911);
Wallace Beery nella serie "SWEEDIE" (1914/1916); Charlie
Chaplin, "A WOMAN" (1915); Stan Laurel, "THE SOILERS"
(1923) vanno ben oltre la "commedia degli equivoci"; spesso in
modo grezzo, sommario (Bunny, Beery, Turpin, Lloyd), in qualche caso
di grande complicità eversiva (Keaton, Chaplin, "Fatty",
Laurel, Marx), questi guitti della "felicità del rovescio"
hanno trattato il tema del travestimento come riscatto di
un'ingiustizia subita come uomini e, in altri panni, cioè come
donne, riescono ad imporsi proprio sugli oggetti del loro stato di
inferiorità, sui loro oppressori ridotti a stupidi manichini
condannati all'anonimato familiare. Banchieri,
poliziotti, bottegai, preti, giornalisti, operai, madonne del buon
costume americano ecc... sono ridotti a burattini senza fili dove
(nel caos del vuoto di potere) le imperfezioni, i desideri,
l'immaginazione di un reale che è rappresentazione dei propri sogni
diviene il linguaggio della coscienza. Gli sguardi censori del
conformismo cristiano/marxista/borghese sono aggirati nei segni
dell'ammiccamento e, morta la risata, restano negli occhi dei curiosi
le tracce della trasgressione. Cinema della
lateralità, del margine esploso, queste facce del disamore urbano
invitano a non sognare ma a ridere di una verità "mancina"
che non ammette repliche. Nel momento che vengono applauditi, allo
stesso tempo sono allontanati. È il taglio "mancino" della
loro comicità che è respinto perché in qualche modo indica la
smagliatura, l'insicurezza, l'eversione e la paura di un'immagine
riflessa, compromessa, asservita che è quello che ognuno non vuole
farsi sentire di dire. Ogni "mancino"
è un'offesa al pubblico pudore. René Zazzo tesse così la sua
celebre difesa del "mancinismo": "Il mancino, per il solo
fatto di essere mancino, è soggetto di scandalo in una società di
mandestri. Lo scandalo si aggrava di tutte le tare che il mancino
porta in sé: è maldestro, guarda storto, farfuglia, balbetta. La
sua intelligenza è diminuita e il suo carattere intrattabile. È
un inadatto in perpetuo"(1). In modo eretico,
l'omosessualità è qui considerata una forma di "mancinismo";
le influenze dell'educazione della famiglia e dell'adattamento nella
società nelle minoranze omosessuali è un'interrogazione che trova
la risposta in Montaigne: "Noi definiamo contro natura ciò che
avviene contro il costume". Le bastonature dei
"diversi" si ritrovano nelle testimonianze dei primi
segni/scritti dell'umanità. Dai papiri egiziani del 2000 a.C., alla
mitologia greca, alla Bibbia, l'omosessualità è considerata un
pericolo o una malattia. Se l'Inghilterra vittoriana tramutava la
pena di morte nel carcere a vita per coloro che erano "affetti"
da omosessualità, la Germania di Hitler riusciva ad eliminare oltre
un milione di "invertiti" nei campi di sterminio. L'Italia
fascista si limitava ad allontanare gli "effeminati" dai
posti pubblici ghettizzandoli al confino. Ancora negli anni
'40/'50 l'America puritana, anticomunista, ripuliva gli Uffici di
Stato dagli omosessuali, comunisti, anarchici che incrinavano il
quadro perfetto della democrazia formale. In questa America bigotta e
cialtrona, Wilhelm Reich fondò l'"Orgone Institute";
denunciato per i suoi esperimenti sulla liberazione sessuale dalla
"Food and Drug Administration", Reich si rifiutò di
esporre le sue teorie nella veste di imputato; per non collaborazione
e disprezzo della corte viene condannato e muore d'infarto nella
galera di Lewisburg il 3 novembre 1957. Nel 1975 in Unione
Sovietica, la purezza burocratica del socialismo di Stato condanna
l'omosessualità del maggiore regista cinematografico sovietico,
Serghiej Paradjanov, alla carcerazione e alla soppressione di tutte
le sue opere. Il trionfo della
straccioneria borghese dell'umanità evoluta è scritto nei roghi,
nelle forche, nelle fucilazioni dei soggetti della devianza: "La
loro condanna è iscritta a priori nel nostro spirito, apparendo già
nel linguaggio che usiamo per definirli e giudicarli: essi rovesciano
l'ordine delle cose, portano in sé un principio contrario alla
rettitudine e alla dirittura. Li si chiama i "gaucher". È
tutto dire".(2) La devianza, il
rovesciamento, l'omosessualità convivono nella storia del cinema (e
in quella dell'umanità) come frattura della cultura della menzogna e
dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo; "l'inconscio precede la
coscienza e la logica del processo storico obiettivo, precede la
logica soggettiva dei suoi protagonisti", scrive Rosa Luxemburg(3);
l'invito è dunque a dar sfogo all'immaginario reale, al
deragliamento (con ogni mezzo) dai binari costituiti.
La scena
travestita
Il gioco travestito
dello schermo muto lacera il velo del costume. I travestitismi di
John Bunny, "THE LEADING LADY"; Roscoe "Fatty"
Arbuckle "MISS FATTY'S SEASIDE LOVERS" o "FATTY IN
CONEY ISLAND" (FATTY ALLA FESTA, 1917); Wallace Beery, "SWEEDIE"
ad es., tendono ad una comicità grezza ma per niente "folle".
Bunny e "Fatty" pesavano oltre cento chili ma i loro
personaggi si muovevano nell'aggressività asmatica (Bunny) e nella
dolcezza timida ("Fatty") sul filo doppio dell'ambiguità,
cioè non proponevano il ribaltamento e la distruzione del ruolo
maschile, disegnavano con pregnante puntualità momenti e situazioni
femminili. Nella serie
"SWEEDIE", Beery si pone su altri registri. Anticipa di non
poco certe figure del fumetto; Minnie di Walt Disney; Blondie di Chic
Young; Olivia di Elzie Crisler Segar; Lucy di Charles M. Schulz; qui
come in Beery la seduzione sta nell'esuberanza del ruolo femminile,
nella visione manichea di un mondo conquistato, senza altri spazi,
altre realtà. Sono Charlie
Chaplin e Stan Laurel a cogliere nel travestitismo femminile
l'evoluzione della comicità basata sulla corsa, lo "slap-stick"
(schiaffo-bastone), il lieto fine; tecnica della dismisura la
comicità del cinema muto sbordava fuori dalla Commedia dell'arte,
dal Circo, dalla disubbidienza della strada manifestata contro i
condizionamenti dell'ambiente. Contro l'ordine autoritario non si
poteva né ridere né prenderlo sul serio. Fuori da ogni spirito di
adattamento e dentro una teoria di contrasto dei luoghi deputati
all'edificazione della società come organizzazione delle apparenze
(Famiglia, Chiesa, Lavoro, Esercito, Stato) - la comicità
"maledetta" del disordine salutare espressa nella surrealtà
dello schermo muto americano - rovesciava negli occhi delle platee
sbalordite le forche e i segni straccioni della raffinata cultura
borghese. Come Spinoza, che
ci invitava a "non ridere né a piangere, ma a comprendere",
molti di questi terroristi della risata sfrondavano sulle corde del
disturbo, della distruzione dei rituali e dei feticci
dell'ordinamento sociale per indicare i percorsi della liberazione
nel trapasso delle classi. Nei loro spartiti improvvisati, nella loro
irrazionalità dirompente, in frammenti inattuali della transizione
scagliati contro la parete del buon/costume borghese, hanno anche
messo la faccia degli oppressi e i loro desideri di rivolta.
Dialettica della liberazione, infatti, il loro cinema si muove sulle
teste dei tiranni e nella soggezione dei vinti. In "A WOMAN"
(CHARLOT SIGNORINA) Chaplin dilata la regola del gioco. Tolti i
baffetti, affinata la camminatura, conquistato un corpo di donna
mostra che non esistono sogni proibiti ed ogni forma di trasgressione
assume la minaccia, la pratica di una psicologia liberata dai
processi di condizionamento che insinua la disobbedienza, la
separazione dai territori confezionati dai produttori di un sistema. Chaplin in "A
WOMAN" disillude il rituale, deforma la realtà conosciuta, si
appropria di una maschera femminile per evidenziare i tarli della
banalità borghese. È
così attento alla distruzione dei valori dominanti che Louis Delluc
scrive: "Un signore ammodo s'ingonnella, s'imparrucca,
s'incappella da gran dama e ci rende un po' inquieti. E nel frattempo
si fa finta di ridere sino alle lacrime...".(4) L'inquietudine che
avverte Delluc non era soltanto per il travestimento femminile di
Chaplin; alla Keystone Charlot aveva già indossato abiti da donna in
"A BUSY DAY" (MADAME CHARLOT, 1914) e "THE MASQUERADER"
(CHARLOT ATTORE, 1914); quello che Delluc vedeva sullo schermo
travalicava la farsa, porgeva una disciplina delle differenze,
svuotava i contenuti del conforme nella metastoria irriverente del
quotidiano. Nella prima bobina
di "A WOMAN", Charlot va a trovare la sua ragazza, il padre di
lei lo getta fuori casa; nel secondo rullo Charlot si traveste da
donna e fa innamorare di sé non solo un giovane borghese ma anche il
padre della ragazza. Il lieto fine è d'obbligo. Gettati gli abiti
femminili Charlot è ora accolto nel tepore familiare. Tutto torna a
posto. La facciata è salva. Le sbandate del capo/famiglia per un
uomo travestito sono ricondotte nell'archivio delle cose da
dimenticare. Il tempo mercantile
dell'utopia/Capitale è un tempo di soggezione generalizzata, di
morte nucleare, di terrorismo economico, di guerre multinazionali, di
colonizzazione del sapere; si tratta di muoversi all'interno di
questo tempo morto, che non è il nostro, cioè il tempo degli
oppressi, degli emarginati, dei devianti; questo è un tempo
circoscritto, determinato, filtrato nell'opulenza armata della
società industriale avanzata. Il realismo
primitivo di Chaplin riusciva a mettere "in ridicolo tutta la
solennità commerciale del cinema americano con una offesa permanente
alla dignità" (Georges Sadoul) di cartapesta di un impero
economico corrotto e corruttore di milioni di occhi; Charlot tira
calci ai poliziotti, ai borghesi, ai ladri, difende spaurite
fanciulle da enormi, cattivi omacci invadenti, deride il conforme
nell'annullamento della propria identità, della propria ideologia;
la sua "arte del cinematografo" s'innalza sui gradini
irriverenti dell'ingiustizia sociale per cadere, nella maturità, nel
qualunquismo umanistico/mondano della speranza e della tolleranza
sentiti e vissuti come fede e teologia di un divenire razionale ed
equilibrato. Charlot invitava
l'edificazione di un mondo armonioso, una specie di "paese della
felicità" dove tutti amano tutti, dove l'amore "puro"
vince sulle forze del male. Il fatto è che Chaplin non riusciva a
vedere intorno a sé i becchini della democrazia armata che avevano
bruciato sulla sedia elettrica Sacco e Vanzetti, i cantori
dell'efficienza organica del capitalismo montante che dissolvevano la
ragione degli ultimi ergendosi a giudici dei rituali sociali, a
carnefici delle inquietudini esplosive. L'educazione
dell'immaginazione che Chaplin portava sulla tela non sembra uscire
fuori da "utopisti positivi" come William Godwin (5),
Tommaso Moro (6), Tommaso Campanella (7) o Charles Fourier (8); quello
che gli itinerari pubblici contribuiscono a confermare è la forza
che Chaplin ha messo nella cancellazione della sua modesta infanzia
al n.3 di Pownall Terrace, in Kennington Road, a Londra,
l'ubriachezza del padre, la pazzia della madre, l'ospizio di Lambeth;
le 609 pagine della sua autobiografia (9) definiscono tutto il suo
conservatorismo, disegnano l'immagine vera di un signore senza
passato e con un futuro luminoso nei parchi e nei giochi di società
che il fabbricatore di cannoni, stampa, cinema, miniere, fabbriche,
banche ecc., W. Randolph Hearst, organizzava per i semidei di
Hollywood. Così L.S.
Vygotskij: "Noi siamo governati dalle abitudini. Da ciò
consegue che sviluppare l'intelletto significa sviluppare molte
capacità specifiche e indipendenti e formare molte abitudini
specifiche, poiché l'attività di ciascuna capacità dipende dal
materiale sul quale questa capacità opera. Il miglioramento di una
funzione o di un'attività specifica dell'intelletto influisce sullo
sviluppo di altre funzioni o attività solo quando esse hanno
elementi comuni" (10). La risposta chapliniana a questi quesiti è
lo stile tombale dell'emarginazione e la propria completa estraneità
alle bastonature degli oppressi. Ricomposti gli
argini della comicità del disordine fiondata sullo schermo nei 35
"Film Keystone" (1914), spuntato l'anarchismo plebeo dei 15
"Film Essany" (1915/1916), rotto il corrosivo risentimento
dei vinti nel moralismo vittoriano che circolava nei 12 "Film
Mutual" (1916/1917) Charlot s'incammina sulla strada maestra
della convenzione e non è assurdo dire che Chaplin "e i
numerosi comici d'oggidì, facendo ridere le grandi masse, le aiutano
a sopportare senza scrupoli i loro guai, e specialmente i loro disagi
economici" (11). Affinata la tecnica
nei 9 "Film First National" (1918/1922), ricomposta e
diffusa la maschera umile del vagabondo fuori del tempo nei 9
lungometraggi della "United Artists" (1923/1957), Chaplin
gonfia la rispettabilità degli sfruttati nella lingua doppia degli
apologeti del lamento, dei gendarmi dei saperi, dei produttori di
opinione, si ferma sulla soglia del sacro, cioè della
macchina/Capitale, e nelle risposte che non si dà, negli sputi che
non tira contro i feticci che lo hanno promosso ad "arte",
sprofondano i fremiti di una realtà suburbana recintata, in attesa
di esplodere, che Chaplin, evidentemente, non conosce. Il terrore
l'abbiamo già alle spalle, di fronte abbiamo il vuoto dei simulacri.
Si tratta di dare inizio alla distruzione dell'aura artistica, delle
ideologie correnti. La cultura della catastrofe è la teologia della
speranza modellata sul terrore quotidiano. A partire da "A
DOG'S LIFE" (VITA DA CANI, 1918); "SHOULDER ARMS"
(CHARLOT SOLDATO, 1918); "THE KID" (IL MONELLO, 1921); "THE
PILGRIM"-(IL PELLEGRINO 1923) e così via con "THE GOLD RUSH"
(LA FEBBRE DELL'ORO, 1925); "CITY LIGHTS" (LE LUCI DELLA
CITTÀ, 1931); "MODERN
TIMES" (TEMPI MODERNI, 1936); "THE GREAT DICTATOR" (IL
DITTATORE, 1940) Chaplin si addomestica all'umanismo mercantile della
"macchina dei sogni", della "santa puttana" che
ovatta gli sguardi degli ultimi in categorie e consumatori di
mitologie: dipendenza e asservimento suggeriscono svaghi e culture,
segnano l'elogio funebre della soggettività.
Senza illusioni
Chaplin ha fatto
anche film senza illusioni. "THE TRAMP" (CHARLOT VAGABONDO,
1915) o "THE CIRCUS" (1928), testimoniano che il suo sguardo
sul mondo è tutt'altro che mansueto; se di lato la disarmonia
gestuale del piccolo vagabondo rappresenta l'accezione di una società
fortemente organizzata che tralascia, emargina, incarcera i soggetti
inadattati, nel fondo della maschera, nella solitudine inguaribile
del clown di strada si avverte qualcosa di minaccioso: "egli
proietta per così dire sul mondo circostante il suo lato violento e
dominatore e che solo tale proiezione della propria colpevolezza
produce quell'innocenza da cui, allora, egli attinge più violenza di
quanto potrebbe fare da qualsiasi violenza (...) il suo lato buono,
che i bambini applaudono, è esso stesso ottenuto da quello cattivo,
che cerca invano di distruggerlo in quanto egli l'ha già distrutto
prima nella propria immagine" (12). È con "MONSIEUR
VERDOUX" (1947) che Chaplin scaglia uno dei più spietati
attacchi alla morale cristiano/borghese e ai filistei dell'umanismo
mercantile. Qui Chaplin schianta ogni pallore dell'ideologia
dominante, mostra i rituali e la simulazione di un'etica artificiata
nel fittizio (nel profitto), una moralità repressiva che ha come
primo scopo il perpetuare la propria immagine democratica. Non ci sembra, come
scrive Guido Oldrini, che "In 'Verdoux' Chaplin
ritragga un tipo sociale già oggettivamente superato dallo sviluppo
della storia. Come uomo troppo all'antica, egli cede a debolezze
sentimentali incompatibili con la spietatezza delle leggi del
capitalismo monopolistico. La sua sconfitta assume dunque nel film il
senso di una sconfitta storica" (13). È vero piuttosto il
contrario. Verdoux non è un personaggio superato dall'oggettività
storica né tantomeno uno psicopatico che "cede a debolezze
sentimentali"; Verdoux esprime una salutare violenza perché è
specchio, anello di rottura di una società violenta! Verdoux uccide
per un sottile piacere sovversivo, sfugge alle categorie del pazzo e
dell'assassino, ritaglia un mondo nuovo dagli scampoli schizofrenici
ereditati dall'insegnamento criminale di un'umanità demente. Quello che Verdoux
esprime è la trasvalutazione di tutti i valori, la più radicale
messa a morte della facciata sociale. Verdoux agita il proprio dolore
nell'omicidio e nel disprezzo per gli uomini li assolve della loro
indecorosa ignoranza: "per i mediocri essere mediocri è una
felicità" (Friedrich Nietzsche). Verdoux traveste
l'ordinario. Legittima ogni tipo di rivolta. Dà al grigiore
quotidiano la gioia di esistere. I suoi omicidi sono una forma
d'amore, l'atto puro di un nichilista che cancella con la morte la
brutalità idealizzata nel terrorismo transnazionale della Chiesa,
del Capitale, del Comunismo di stato. Il suo gesto estremo nega la
vita come figurazione della dipendenza, insorge contro ogni senso di
colpa, di castigo, non chiede grazia né redenzione, sfonda con la
sua condanna a morte le menzogne e i delitti di ogni tribunale,
incarna la maledizione spettacolare della società pianificata. La garbata ironia
di Stan Laurel ha spesso giocato sugli stessi registri di Chaplin.
Svagato, sornione, dispensatore di caos Laurel assorbe nella sua
filiforme figura maltrattamenti, ingiurie, violenze; non reagisce mai
direttamente, piange come un bambino, senza lacrime. Il caso, la
difficoltà di parlare, di muoversi nel mondo che lo circonda si
rivoltano sempre a suo favore; case che crollano, auto che esplodono,
uomini che cadono da precipizi, donne che finiscono sotto i treni,
bambini che affondano nell'immondizia ecc., segnano gli itinerari
eversivi sollevati dalla maldestria di Laurel. Ciò che fa gli
succede. I disastri a catena che si scatenano intorno a lui non sono
avvertiti come coscienza dell'atto violento (ad es. vedi le pedate
che Charlot tira ai poliziotti); Laurel si esprime
nell'autoemarginazione totale, ciò che è forte nella sua "maschera"
è l'invito alla digressione temporale, al disturbo della confezione,
alla frammentazione della norma adoperati contro la canalizzazione
delle idee.
Stanlio e Ollio
Ed è proprio una
farsa di Laurel a portare in primo piano l'omosessualità maschile.
In "THE SOILERS" (1923) accade di tutto; la corsa all'oro
in Alaska arricchisce un disperato, Laurel; il solito sceriffo (che è
anche il solo bandito del paese) deruba il cercatore d'oro e i due si
battono per tutto il film. Sfasciano il saloon, e Laurel riesce a
vincere il cattivo. Nel corso della lotta tra Laurel e lo sceriffo un
cowboy "volteggia gaiamente davanti alla macchina da presa, con
le mani sui fianchi. Fa l'occhiolino ai due uomini, si scompiglia i
capelli davanti a uno specchio (...); Laurel esce dal saloon, affonda
"il viso tra le mani con un'aria sconsolata. Il cowboy gay fa
capolino da una finestra del secondo piano e inaspettatamente lancia
a Laurel un bacio, sillabando con le labbra le parole - "Mio
Eroe" - (rafforzate da una fiorita didascalia). Ma Laurel lo
respinge con un'espressione di disgusto e il cowboy, seccato, gli fa
cadere sulla testa un vaso di petunie. Nella scena finale, lo
spazzino porta via Laurel insieme alla spazzatura" (14). Il disgusto per
l'omosessualità in Laurel sarà poi sempre meno velato. L'incontro
con Oliver Hardy è decisivo. I due comici si compenetrano a tal
punto che ogni segnale femminile o/e ogni situazione familiare che
tracciano sulla tela, divengono luoghi di aggressione, di
intolleranza, di coercizione; anche il mondo esterno alla loro
"dimensione ludica" della vita è sentito e visto come
costrizione, imbrigliamento dell'immaginario soggettivo. Laurel e Hardy
"riescono a funzionare contemporaneamente da uomo e da donna.
Con loro non c'è spazio per nessun altro. Fanno le faccende di casa,
dormono nello stesso letto (un letto matrimoniale), vivono le
tensioni della coppia sposata" (15). Fuori dai pregiudizi e rotto il
velo delle apparenze, Laurel e Hardy intrecciano salaci situazioni
d'amore; "LIBERTY" (1929) di Leo Mc Carey o "TWICE TWO"
(LUI E L'ALTRO o, anche, "ANNIVERSARIO DI NOZZE", 1933) di
James Parrot, delineano con puntualità i motivi del travestitismo,
l'uso sistematico del trucco femminile come situazione psicologica
omosessuale sul gioco degli scambi; proscenio disvelatore di stati
sotterranei di un maleamore coperto. Laurel e Hardy
aboliscono i vettori canonici del "comico" e della
"SPALLA". La simbiosi emerge nella comicità del crollo. La
catastrofe dell'ordinario è la morale evidente dell'umanità, spazio
evangelico di una umiliazione storica divenuta intollerabile. La gestualità è
ridotta al minimo, il dialogo ossificato nei codici del banale. Il
"gag" (la trovata) è lo sfaldarsi delle cose intorno
all'innocenza, alla purezza metastorica di due figure anomale; le
metafore velenose che fuoriescono dalla disarmonia distruttrice di
Laurel e le sverniciature del reale disvelate nei momenti seduttivi
di Hardy travalicano l'immediato, lo spontaneismo, la bruciatura
della risata; la "surrealtà" negativa dei due comici
riproduce le influenze e le dipendenze di un quotidiano sottomesso,
di un'umanità diminuita e servizievole che ha perso ogni coscienza
di sé, cioè ogni conoscenza del proprio esistere che non sia
armonia con la corazza caratteriale del discorso dominante. Gli intarsi della
"commedia spontanea" di Laurel e Hardy delineano un sapere
della comicità suburbana complesso e assai meno schematico di quanto
un loro snaturato allievo, Jerry Lewis, creda. Intere sequenze girate
in piano americano, ambientazione gustosa, ripetitività del "gag"
e della gestualità inducono il lettore (lo spettatore) disattento
verso le angolazioni superficiali della comicità immediata. A
guardare più a fondo si scorgono i filamenti strutturali della
battuta corta, della figurazione sciatta, dell'animazione goffa. Lo
"Slow Burn" (lenta combustione), lo scoppio ritardato di un
dolore o di una gioia è ripreso dalle magiche comiche di Sennett, ed
anche un'altra coppia di guitti dello schermo muto, Roscoe "Fatty"
Arbuckle e Buster Keaton avevano affinato questa tecnica, tanto che
Keaton riuscì poi a farne un elemento portante del suo solitario
cammino verso la fabbricazione più alta della comicità disperata.
Comicità come
maschera
Interessante e
praticato in ogni loro film è invece l'uso del controcampo. Il
montaggio, spesso curato da Laurel, copre le assenze emozionali, le
scenografie approssimative, lo spazio dell'inquadratura esagerato;
intere generazioni hanno riso con Laurel e Hardy e a molti è
sfuggita la carica trasgressiva omosessuale che trasudava dai loro
film. In chiusa della loro vita artistica andranno anche oltre
all'ammicco deviante, e nel 1951, per la regia di Leo Joannon girano
"ATOLLO K" o, anche, "ROBINSON CRUSOELAND" o "UTOPIA";
il pacifismo dirompente, le bordate ironiche contro un'umanità senza
speranza compromettono il film che incappa nelle maglie della censura
americana. "ATOLLO K" uscirà solo nel 1954, massacrato dai
tagli dei censori. È l'ultimo lavoro di Laurel e Hardy e anche la
sepoltura della comicità degli "slums". La comicità, come
ogni maschera, è un travestimento. Il lazzo, lo sberleffo, la
provocazione, l'ambiguità del gesto o del corpo mostrano la
tessitura del conforme, rifiutano i codici della norma, ridono
sull'immoralità delle istituzioni e sulla moralità incestuosa delle
origini di "teatro di strada" e "commedia dell'arte",
dai quali si è preso tutte le virtù distruttive e tutti i sogni
dell'azione diretta agli occhi dei curiosi. Il regno
dell'ambiguità non è intorno a noi, ma è dentro di noi. La
comicità è rottura, eresia, macerazione delle norme sputate sulla
storia. I roghi, le forche, le galere, i campi di sterminio hanno
rappresentato gli strumenti di cancellazione delle piaghe/ soggetti
devianti, cioè hanno purificato l'incompetenza della società
nell'autoritarismo e nel moralismo perverso, diffidente sul quale si
fondano le relazioni conviviali. Ognuno si è fatto giudice della
propria ignoranza e si è scagliato contro quelli che volevano uscire
(o non volevano entrare) nella via maggioritaria. Quelli che
volgevano il loro immaginario contro la "direzione sbagliata"!
Certo, l'omosessualità è una forma di eversione sociale,
scollamento e rottura con le canonizzate fantasie sulla norma che
circolano nelle famiglie dabbene (proletarie o borghesi):
"L'omosessualità è "anormale" perché turba i
costumi e le concezioni tradizionali - le "norme" di
comportamento - della nostra società, non perché trasgredisce alle
"norme" naturali che non esistono. La confusione che spesso
facciamo a questo proposito contribuisce più di ogni altra cosa a
mistificare la vera natura del "problema dell'omosessualità".
(16) L'infanzia del
cinema è subito percorsa da desideri di deviazione, travestitismo,
omosessualità femminile. Le donne imparano a conoscere il proprio
corpo, a mitizzarlo ma anche a odiarlo. I pantaloni sono ugualmente
sfilati agli uomini con malizia e consumato mestiere e divengono
anche momenti di sogno femminili: "... in questi pantaloni mi
muovo in un altro modo. Mi sventolano attorno in grandi pieghe,
sgarbatamente. Mi disegnano addosso i grandi passi, i volteggi, i
giri fantasiosi, un nuovo equilibrio. Mi fanno venire in mente la
possibilità di un'anatomia mutata, il vestito più bello sarebbero
due ali".(17) Due ali. Non per
fuggire, "per imparare a conoscere le fantasie ridotte
all'immobilità e occultate, riportarle nella propria esperienza;
tuffarsi nell'inquietudine della storia decifrata e inutilizzata, per
uscirne cariche noi stesse di inquietudine" (18). Rompere dunque il
velo che opacizza la diversità nella trasparenza di un mondo morto.
Appeso ai lumi melodrammatici della propria immagine mummificata
nella civiltà delle macchine. Trasgredire è vivere diversamente il
delirio collettivo organizzato nelle apparenze.
(1) René Zazzo:
Psicologia del Bambino e Metodo Genetico, pag.204, Editori
Riuniti 1973.
(2) René Zazzo: op.
cit., pag. 200.
(3) Vedi: Socialismo
e sessualità di Domenico Tarizzo, pag. 10, Ottaviano 1976.
(4) Louis Delluc: in
Storia Generale del Cinema/Il Cinema Diventa un'Arte 1909/1920
di Georges Sadoul, pag. 380, Einaudi 1967.
(5) William Godwin:
Indagine sulla Giustizia Politica, Assandri 1978.
(6) Thomas More:
Utopia, Guida 1979.
(7) Tommaso
Campanella: La Città del Sole, Feltrinelli 1979 .
(8) Charles Fourier:
Contro la Civiltà, Guaraldi 1971.
(9) Charles Chaplin:
La mia Autobiografia, Mondadori 1964.
(10) L.S. Vygotskij:
Psicologia e Pedagogia, di AA.VV., pag. 31., Editori Riuniti
1971.
(11) Parker Tyler:
in Chapliniana a cura di Guido Oldrini, pag. 175, Laterza
1979.
(12) Theodor W.
Adorno: Parva Aesthetica, saggi 1958/1967, pag. 91,
Feltrinelli 1979.
(13) Guido Oldrini:
Il Realismo di Chaplin, Laterza 1981 .
(14) Vito Russo: Lo
Schermo Velato/ L'Omosessualità nel Cinema, pagg. 35/36,
Costa&Nolan, 1984.
(15) Andrea
Vannini: Sogni Proibiti/I Comici di Hollywood (con Claudio
Carabba), pag. 84, Valecchi 1979.
(16) M. Daniel-A.
Baurdy: Gli Omosessuali, pag. 36, Vallecchi 1974.
(17) Gisela Von
Wysocki: La Lanterna Magica/ Ombre Immagini Figure
di Donne, pag. 7, La Tartaruga 1979.
(18) Gisella Von
Wysocki: op. cit., pag.23.
|