Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 139
estate 1986


Rivista Anarchica Online

Per l'estinzione

Sono un ex-presunto appartenente a Prima Linea in libertà provvisoria, per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva, da ormai un anno, passato più o meno piacevolmente (ma sempre con spirito gioioso) a cercare di riprendere il ritmo (il gusto no, non l'ho mai perso) alla vita.
Ora, ripreso un poco il ritmo, mi è rivenuto il gusto e la voglia di dire due parole sul problema carcere che continuo a sentire e a portarmi dentro.
Ufficialmente sono un reduce o un ex, nel senso che il percorso di trasformazione e superamento avviato soprattutto all'interno delle carceri mi ha portato ad un momento di recessione da quelli che erano momenti di combattimento e comunque di violenza politica (qualcuno mi chiama anche sporco dissociato ma... lo giuro, mi lavo regolarmente).
Oggi a distanza di tempo continuo a condividere e proseguire quel percorso che mi ha portato a superare pratiche e ideologie passate. Però alcune cosette non mi piacciono troppo, tipo un giocare a fare troppo i "buoni", un abbassamento dei livelli di vita e di buon gusto. E così in 'ste notti afose e insonni, alla ricerca dell'isola che non c'è, ho scritto 'ste due righe allegate: chissà, magari possono essere un piccolo contributo.
Con allegria.
Gli ultimi avvenimenti legati al progetto di amnistia ed alla legge sulla dissociazione sono alla base di queste piccole riflessioni. Pensate per lo più in queste afose notti estive, quando il sonno non viene e neppure calici di fresco vinello, servono a richiamarlo. O forse, molto più banalmente, l'insonnia è dovuta al fatto che questa nostra società non voglia riprendere in considerazione l'esigenza di liberarsi dalla necessità del carcere. Poi in realtà mi accorgo che continuo ad avere fisso nella mente il reincontro (come al solito in aula di tribunale, simbolo dei criteri di emergenza ed eccezionalità) con compagni/e e amici/e, con ancora sempre sbarre di mezzo. Sbarre che fermano sorrisi, attenuano parole, impediscono abbracci. E di nuovo la lacerante sensazione di disagio, di separatezza fra noi liberi e loro ancora prigionieri.
D'accordo, le ferite di dieci e passa anni di lotta armata, di terrorismo, sono ancora fresche (o almeno qualcuno le ritiene ancora tali) perché si possa mettere la parola fine. Però qualcosa si poteva fare almeno e invece...
Sì, la legge sulla dissociazione è già un passo significativo, per molti (ma non per tutti) può significare la conclusione delle proprie vicende giudiziarie. Ma ancora non è un uscire dall'emergenza e dall'eccezionalità, equazioni con cui abbiamo dovuto fare quotidianamente i conti.
La legge sulla dissociazione continua ad essere un modo eccezionale per risolvere parte del problema, continua ad essere all'interno di ottiche premiali, continua ad essere zavorrata ed ancorata dall'ideologia del pentitismo. Continua a porre divisioni tra buoni e cattivi, fra chi si è dissociato, chi ha recesso, e chi si è arroccato su posizioni continuistiche o anche solo di chi pur avendo abbandonato ottiche di lotta armata non vuole prendere posizione pubblica. Fra chi si è assunto totalmente tutte le responsabilità e le imputazioni contestate e chi pur assumendosi le proprie responsabilità continua a volersi difendere.
Ecco, la richiesta di piena assunzione di responsabilità è uno dei punti che più ci ancora all'emergenza. È un disconoscere il più elementare diritto giuridico, il diritto alla difesa. Se poi pensiamo che la quasi totalità delle accuse si basano solo su chiamate dei pentiti... Se invece la legge sulla dissociazione è uno dei passi verso una soluzione politica e sociale del problema, allora si dia un preciso segnale, affiancandole un provvedimento di amnistia e di indulto valevoli per tutti. Perché non ci possano essere detenuti imputati buoni e cattivi, il carcere è privazione della libertà per tutti coloro che vi sono rinchiusi.
E così, come ieri respingevamo la criminalizzazione di quello che era un movimento spesso di opinione e comunque di solidarietà, oggi bisogna respingere la demonizzazione nei confronti sia di chi continua a porsi in ottiche di continuismo sia di chi pur abbandonando tali ottiche di violenza politica e sociale non vuole assumere pubblica posizione. O comunque pensa più o meno romanticamente di non dover rendere conto allo Stato e alla Magistratura dei propri liberi convincimenti e posizioni personali.
Bisogna allora avere il coraggio e la capacità di rispettare l'identità e la dignità umana e politica (pur con il diritto di critica) di questi romantici "Ultimi dei mohicani" o di "Lupi marsicani" garantendo loro tutti i diritti umani, sociali e giuridici. E poi siamo seri, ma come si fa a chiedere di rinnegare, di sputare sopra a quello che siamo stati.
Pur se tutto un passato è stato rivisitato in senso critico, giungendo ad una consapevolezza di errori, di degenerazioni, non si può per questo rimuovere il tutto come fosse un tumore da asportare e gettare. Pur negli errori, nelle tragedie, nelle aberrazioni ci sono state, alla base, delle tensioni positive, miranti al superamento e alla soluzione dei tanti bisogni, problemi e necessità societarie, delle cause di disagio, di emarginazione. Non solo disastri e miserie fanno parte del nostro passato, ma anche un'enorme ricchezza di rapporti e di relazioni interpersonali, di crescita complessiva e collettiva.
Personalmente non mi vanto di ciò che è stato il mio passato e percorso politico, ma nemmeno me ne vergogno, era come una scalata al cielo tentata da una intera generazione politica e chiunque vi si avvicinava sia pure marginalmente rischiava di essere coinvolto.
Come si fa a chiederci (soprattutto a chi allora aveva 20 anni o poco meno) di rinnegare, di sputare sopra a quella che, giusta o sbagliata, è stata la nostra vita, agli affetti, gli amori, alla condivisione di tutto, di gioie e dolori, tristezze e felicità, angosce e soddisfazioni. A tutta una vita passata, vissuta, costruita assieme. Se oggi i vari percorsi di riflessione, di trasformazione, di superamento, vuoi singoli vuoi collettivi, hanno portato (purtroppo) lacerazioni e separazioni, non per questo dobbiamo affossare la consapevolezza di ciò che è stato in relazioni e uscire dal corretto piano del confronto e del dialogo pur nella differenza e distanza delle posizioni. Non per questo si devono escludere queste lacerazioni, questi pezzi di noi rimasti sulle colline, da una possibilità di liberarsi dal carcere, di ritornare ad essere chi sciamannato o scappato da casa, chi inserito o di nuovo partecipe nella società, chi solo uomo libero.
Perché trasformazione e superamento significa anche un abbandono dei deleteri modi e comportamenti politici che avevamo assunti, del nostro ritenerci detentori e profeti della verità, del verbo.
L'arroccarci su piedistalli di avanguardismo a volte bieco e sempre fine solo a se stesso, dell'agire sempre e solo a mezzo di battaglie politiche con tematiche e progetti e analisi fatte sempre cadere dall'alto come fossero manna. Del continuo riproporre discriminanti, pregiudiziali, rapporti preferenziali. Ma trasformazione e superamento è soprattutto agire muoversi per liberarsi dalla necessità del carcere. Perché il carcere non serve, non è degno di una società che si ritiene civile. Perché il carcere si deve estinguere.

Daniele Tarasco (Santhià)