Rivista Anarchica Online
Per
l'estinzione
Sono
un ex-presunto appartenente a Prima Linea in libertà provvisoria,
per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva, da ormai un
anno, passato più o meno piacevolmente (ma sempre con spirito
gioioso) a cercare di riprendere il ritmo (il gusto no, non l'ho mai
perso) alla vita. Ora,
ripreso un poco il ritmo, mi è rivenuto il gusto e la voglia di dire
due parole sul problema carcere che continuo a sentire e a portarmi
dentro. Ufficialmente
sono un reduce o un ex, nel senso che il percorso di trasformazione e
superamento avviato soprattutto all'interno delle carceri mi ha
portato ad un momento di recessione da quelli che erano momenti di
combattimento e comunque di violenza politica (qualcuno mi chiama
anche sporco dissociato ma... lo giuro, mi lavo regolarmente). Oggi
a distanza di tempo continuo a condividere e proseguire quel percorso
che mi ha portato a superare pratiche e ideologie passate. Però
alcune cosette non mi piacciono troppo, tipo un giocare a fare troppo
i "buoni", un abbassamento dei livelli di vita e di buon
gusto. E così in 'ste notti afose e insonni, alla ricerca dell'isola
che non c'è, ho scritto 'ste due righe allegate: chissà, magari
possono essere un piccolo contributo. Con
allegria. Gli
ultimi avvenimenti legati al progetto di amnistia ed alla legge sulla
dissociazione sono alla base di queste piccole riflessioni. Pensate
per lo più in queste afose notti estive, quando il sonno non viene e
neppure calici di fresco vinello, servono a richiamarlo. O forse,
molto più banalmente, l'insonnia è dovuta al fatto che questa
nostra società non voglia riprendere in considerazione l'esigenza di
liberarsi dalla necessità del carcere. Poi in realtà mi accorgo che
continuo ad avere fisso nella mente il reincontro (come al solito in
aula di tribunale, simbolo dei criteri di emergenza ed eccezionalità)
con compagni/e e amici/e, con ancora sempre sbarre di mezzo. Sbarre
che fermano sorrisi, attenuano parole, impediscono abbracci. E di
nuovo la lacerante sensazione di disagio, di separatezza fra noi
liberi e loro ancora prigionieri. D'accordo,
le ferite di dieci e passa anni di lotta armata, di terrorismo, sono
ancora fresche (o almeno qualcuno le ritiene ancora tali) perché si
possa mettere la parola fine. Però qualcosa si poteva fare almeno e
invece... Sì,
la legge sulla dissociazione è già un passo significativo, per
molti (ma non per tutti) può significare la conclusione delle
proprie vicende giudiziarie. Ma ancora non è un uscire
dall'emergenza e dall'eccezionalità, equazioni con cui abbiamo
dovuto fare quotidianamente i conti. La
legge sulla dissociazione continua ad essere un modo eccezionale per
risolvere parte del problema, continua ad essere all'interno di
ottiche premiali, continua ad essere zavorrata ed ancorata
dall'ideologia del pentitismo. Continua a porre divisioni tra buoni e
cattivi, fra chi si è dissociato, chi ha recesso, e chi si è
arroccato su posizioni continuistiche o anche solo di chi pur avendo
abbandonato ottiche di lotta armata non vuole prendere posizione
pubblica. Fra chi si è assunto totalmente tutte le responsabilità e
le imputazioni contestate e chi pur assumendosi le proprie
responsabilità continua a volersi difendere. Ecco,
la richiesta di piena assunzione di responsabilità è uno dei punti
che più ci ancora all'emergenza. È un disconoscere il più
elementare diritto giuridico, il diritto alla difesa. Se poi pensiamo
che la quasi totalità delle accuse si basano solo su chiamate dei
pentiti... Se invece la legge sulla dissociazione è uno dei passi
verso una soluzione politica e sociale del problema, allora si dia un
preciso segnale, affiancandole un provvedimento di amnistia e di
indulto valevoli per tutti. Perché non ci possano essere detenuti
imputati buoni e cattivi, il carcere è privazione della libertà per
tutti coloro che vi sono rinchiusi. E
così, come ieri respingevamo la criminalizzazione di quello che era
un movimento spesso di opinione e comunque di solidarietà, oggi
bisogna respingere la demonizzazione nei confronti sia di chi
continua a porsi in ottiche di continuismo sia di chi pur
abbandonando tali ottiche di violenza politica e sociale non vuole
assumere pubblica posizione. O comunque pensa più o meno
romanticamente di non dover rendere conto allo Stato e alla
Magistratura dei propri liberi convincimenti e posizioni personali. Bisogna
allora avere il coraggio e la capacità di rispettare l'identità e
la dignità umana e politica (pur con il diritto di critica) di
questi romantici "Ultimi dei mohicani" o di "Lupi marsicani"
garantendo loro tutti i diritti umani, sociali e giuridici. E poi
siamo seri, ma come si fa a chiedere di rinnegare, di sputare sopra a
quello che siamo stati. Pur
se tutto un passato è stato rivisitato in senso critico, giungendo
ad una consapevolezza di errori, di degenerazioni, non si può per
questo rimuovere il tutto come fosse un tumore da asportare e
gettare. Pur negli errori, nelle tragedie, nelle aberrazioni ci sono
state, alla base, delle tensioni positive, miranti al superamento e
alla soluzione dei tanti bisogni, problemi e necessità societarie,
delle cause di disagio, di emarginazione. Non solo disastri e miserie
fanno parte del nostro passato, ma anche un'enorme ricchezza di
rapporti e di relazioni interpersonali, di crescita complessiva e
collettiva. Personalmente
non mi vanto di ciò che è stato il mio passato e percorso politico,
ma nemmeno me ne vergogno, era come una scalata al cielo tentata da
una intera generazione politica e chiunque vi si avvicinava sia pure
marginalmente rischiava di essere coinvolto. Come
si fa a chiederci (soprattutto a chi allora aveva 20 anni o poco
meno) di rinnegare, di sputare sopra a quella che, giusta o
sbagliata, è stata la nostra vita, agli affetti, gli amori, alla
condivisione di tutto, di gioie e dolori, tristezze e felicità,
angosce e soddisfazioni. A tutta una vita passata, vissuta, costruita
assieme. Se oggi i vari percorsi di riflessione, di trasformazione,
di superamento, vuoi singoli vuoi collettivi, hanno portato
(purtroppo) lacerazioni e separazioni, non per questo dobbiamo
affossare la consapevolezza di ciò che è stato in relazioni e
uscire dal corretto piano del confronto e del dialogo pur nella
differenza e distanza delle posizioni. Non per questo si devono
escludere queste lacerazioni, questi pezzi di noi rimasti sulle
colline, da una possibilità di liberarsi dal carcere, di ritornare
ad essere chi sciamannato o scappato da casa, chi inserito o di nuovo
partecipe nella società, chi solo uomo libero. Perché
trasformazione e superamento significa anche un abbandono dei
deleteri modi e comportamenti politici che avevamo assunti, del
nostro ritenerci detentori e profeti della verità, del verbo. L'arroccarci
su piedistalli di avanguardismo a volte bieco e sempre fine solo a se
stesso, dell'agire sempre e solo a mezzo di battaglie politiche con
tematiche e progetti e analisi fatte sempre cadere dall'alto come
fossero manna. Del continuo riproporre discriminanti, pregiudiziali,
rapporti preferenziali. Ma trasformazione e superamento è
soprattutto agire muoversi per liberarsi dalla necessità del
carcere. Perché il carcere non serve, non è degno di una società
che si ritiene civile. Perché il carcere si deve estinguere.
Daniele
Tarasco (Santhià)
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