Rivista Anarchica Online
I
limiti della rivista
Cari
compagni, cinque
anni fa vi scrissi, insieme con Rosanna Ambrogetti, una lunga lettera
("A" 91) con cui cercavamo di dare voce ad un certo
malessere - presente fra noi pochi compagni e che anche noi avvertivamo
- nei confronti vostri e delle altre iniziative della "Editrice A". Ora
torno a fare la stessa cosa ed ancora una volta, pur rivolgendomi
specificamente a voi, penso che quanto dirò sia, con le dovute
differenze e proporzioni, in parte allargabile anche alle altre
pubblicazioni dell'editrice. Insomma, parafrasando un noto detto,
cercherò di parlare a nuora perché anche suocera intenda. Prima
di arrivare al nocciolo voglio altresì chiarire che non mi reputo
"coscienza critica" o portavoce di qualcuno ma solo uno che si
ritiene ancora un militante anarchico, estremamente aperto,
interessato e desideroso di "nuovo" ma anche intenzionato a
mantenere vivo quanto di buono c'è nell'anarchismo e nel movimento
anarchico "classico". E veniamo al dunque. È
innegabile che da quando "A" è nata moltissime cose sono
cambiate e bene ha fatto la rivista a cambiare per adattarsi ai
mutamenti, cercando contemporaneamente di cogliere quanto di positivo
e stimolante esiste attorno, e dentro, alla ristretta enclave
dell'anarchismo. In
sostanza approvo completamente la vostra intenzione di rendere "A"
sempre più aperta ai fermenti e alle esperienze di segno libertario
che sono presenti nella società, perlopiù slegati dal movimento
anarchico, ("A" 125). Un'apertura che, a mio avviso, deve
significare l'acquisizione dell'"umiltà intellettuale necessaria
ad essere continuamente aperti al dubbio, al dialogo, alla verifica,
alla curiosità per tutto ciò che è dentro e fuori di noi. Perché
quell'umiltà può permettersela, contrariamente alle apparenze, solo
chi ha la certezza della propria identità" (A. Bertolo su
"Volontà" n. 3/1984). Ed
è in quest'ottica che vorrei che "A" rimanesse una
"rivista anarchica" (come recita il vostro sempre più piccolo
sottotitolo) e cioè un ambito in cui gli anarchici trovano materiale
su cui riflettere, con cui fanno sentire la loro voce, in cui si
misurano con quelle "esperienze di segno libertario" di cui
parlate e con quanto avviene nella società. In altre parole "A"
dovrebbe, contemporaneamente, aprire sempre più gli occhi dei
compagni sul mondo e registrare ciò che questa apertura provoca in
noi e negli altri. Intendiamoci,
non sto dicendo che la rivista debba avere un carattere
esclusivamente, o prevalentemente, "militante" o propagandistico
(cose che ritengo assai poco utili, soprattutto in questo momento)
mentre penso che l'apertura che propugnate debba avvenire anche
attraverso una "sensibilità militante" perché, credo, è
principalmente così che "A" può diventare un referente,
ed uno spazio, attraverso cui coloro che ancora sono interessati a
migliorare e mutare la società dibattono ed affrontano problemi
nuovi, o questioni vecchie ma in un'ottica nuova. Ma
analizzando la rivista alla luce di quanto finora detto mi pare che
l'"apertura" sia stata più una dichiarazione di buona volontà
che una pratica realizzata. Certe
tematiche che vengono agitate fuori dal movimento anarchico (quali,
ad es., i movimenti e le lotte pacifiste, verdi antinucleari; i
problemi della situazione internazionale, del rinascente razzismo o
della comunicazione; le nuove proposte culturali, ecc.) e che
dovrebbero coinvolgere anche gli anarchici sono state da voi solo
sfiorate o poco più; attorno ad esse non c'è quasi mai stato -
almeno sulla rivista - né quel lavoro di impostazione dei problemi
né quel dibattito che sono invece necessari se veramente si vuole
che "A" diventi uno strumento attraverso cui guardare e
valutare il mondo. Ed
è in questo senso che credo sia necessario aprire le pagine a
contributi magari eterogenei, forse non sempre "giornalistici",
ma vivaci e capaci di far discutere e riflettere. In
questo caso il vostro lavoro di redazione dovrebbe essere quello di
pungolare i compagni affinché collaborino, di cooperare con essi
nello stabilire modi e toni delle collaborazioni ed a volte anche di
soli "prestatori di spazio" per contributi e/o proposte che
magari non condividerete ma che toccano problemi o idee da discutere
ed approfondire. Io
(ma non solo io) ho invece l'impressione che vi sentiate sempre meno
militanti ed abbiate la tendenza ad essere troppo "redazione", a
sostituirvi cioè a ciò che dai compagni giunge, o potrebbe
giungere, se stimolato e favorito, a volere che tutto quanto
pubblicate sia da voi condiviso totalmente o in gran parte. Ciò che
comporta il rischio di diventare, da creatori ad agitatori di idee,
di fatto censori. Sia
ben chiaro, quanto fate è certo vostro diritto farlo - la rivista è
vostra da ogni punto di vista - ma allora è inutile fare
dichiarazioni di apertura, meglio chiarire, e bene, le cose come
stanno; cosa aspettarsi da voi e cosa voi vi aspettate dagli altri,
lettori o collaboratori che siano. Meglio essere chiari su quali
rapporti volete vi leghino al resto degli anarchici e dei libertari e
questi a voi. Ho
del resto l'impressione che fatichiate non poco anche ad essere
"redazione". Un gruppo redazionale dovrebbe essere, almeno per la
mia esperienza, un insieme di individui che trova giusto e proficuo
lavorare in comune e che a tal fine cerca anche di limare - mai
tacere però - qualche opinione personale affinché il progetto
collettivo vada avanti. Voi
invece mi sembrate principalmente degli individui preoccupati
soprattutto di seguire ognuno una sua "traccia" curandosi
molto poco che essa rientri in un disegno unificante; un disegno che,
fra l'altro, mi pare di fatto inesistente o quasi. Tutto questo fa sì
che, dall'esterno, sembriate estremamente contraddittori sia al
vostro interno (e fin qui, in fondo, sarebbero soprattutto problemi
vostri) sia nei confronti di chi vi legge, di chi desidera
collaborare o instaurare un dialogo con voi. Ed ecco, forse, perché
troppo poche, e troppo facili, sono le vostre prese di posizione, col
risultato di fare una rivista spesso "aleatoria"; non una
pubblicazione teorica ma nemmeno uno spazio in cui trovare, se non
raramente, posizioni chiare, anche se discordanti fra loro, o
proposte con cui misurarsi e/o da praticare. Mentre
invece io credo che sia giunto il momento di cominciare ad unire alle
riflessioni ed all'apertura sul mondo (che sempre più, e sempre più
profondamente, deve continuare) anche delle proposte e delle idee con
cui fare i conti quotidianamente nella nostra crescita intellettuale,
nella nostra pratica, nelle nostre sperimentazioni. Ma
la rivista che leggiamo da un po' di tempo in qua è certo
interessante ma tutto sommato discontinua, spesso poco chiara, con
cui è difficile intavolare un dialogo da pari a pari, che risulta
frequentemente non più aperta ma più chiusa che non in passato. Sono
certamente duro nei vostri confronti, più di quanto vorrei essere,
vista l'amicizia che mi lega a voi e l'interesse che ho per la
rivista e non voglio certo essere liquidatorio. Spero
di avervi fatto un po' riflettere, e se ciò che ho sopra detto è,
almeno in parte, vero è questo che desiderate? E se non lo
desiderate non è ora di cominciare a porvi seriamente rimedio? Con
affetto, fraternamente
Franco
Melandri (Forlì)
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