Rivista Anarchica Online
C'è verde e
verde...
di Massimo Panizza
Al convegno
internazionale di Pescara è emersa chiaramente la distanza tra la
complessità delle mille esperienze che formano l'arcipelago verde ed
i soliti giochi di potere dei suoi "rappresentanti"
istituzionali. Ecco il resoconto di uno dei redattori di "A"
presenti a Pescara.
Pescara è verde per
tre giorni. Annegata nel cemento, soffocata da un inquinamento record
mondiale, accoglie a pochi passi dall'omonimo fiume (moribondo) il
meeting: l'"internazionale verde" si incontra qui (pardon,
non volevo insinuare). Ma non ci sono dubbi, è il verde che tira,
crescerà la sete di verde, questa è la strada per chi vuole
cambiare, la tigre da cavalcare. Una pittata di verde se la sono data
pure il sindaco e l'assessore all'ecologia che hanno fatto gli onori
di casa: "Noi, noi, noi, ...verdi pure noi". Verde pure il
papa, secondo la signora sindaco, che prega per la natura. Pescara è
frutto del loro alacre lavoro. Gran bella città, complimenti! Certamente, siamo
tutti verdi. Ma è importante fare un po' di presentazioni,
distinguere. È
importante leggere la diversità, e la diversità si colloca su uno
spettro davvero vasto: nel 1986 sentirsi verdi è facile, lo sarà
sempre di più, il problema ecologico ci investe tutti, se esiste un
istinto di sopravvivenza questo trasformerà l'ingordigia anche del
peggior speculatore. L'uomo si adegua, sopravviverà. Deve solo
decidere cosa vuole salvare. II mio mondo, la
mia Terra è una rovina. Un pianeta rovinato dalla specie umana. Ci
siamo moltiplicati e ci siamo ingozzati e abbiamo combattuto finché
non è rimasto più nulla, e poi siamo morti. Non abbiamo controllato
né gli appetiti, né la violenza; non ci siamo adattati. Abbiamo
distrutto noi stessi. Ma prima abbiamo distrutto il nostro mondo. Non
rimangono più foreste sulla mia Terra. L'aria è grigia, il cielo è
grigio, fa sempre caldo. Noi terrestri abbiamo fatto un deserto...
Laggiù noi sopravviviamo... La gente è resistente! C'è quasi mezzo
miliardo di noi. Una volta ce n'erano nove miliardi. Puoi vedere
ancora dappertutto le vecchie città. Le ossa e i mattoni vanno in
polvere, ma i piccoli pezzi di plastica no..., anch'essi non
s'adattano. Noi abbiamo fallito come specie, come specie sociale. (da
"I reietti dell'altro pianeta", Ursula
Leguin, ed. Nord). Chi sono i verdi
d'Italia? Ambientalisti, anticaccia, salutisti, antimilitaristi,
antivivisezionisti, non violenti, cristiani progressisti, green
liberal, buddisti, comunitari, antinucleari, anarchici e tanti altri,
ma i "più verdi" del reame sono gli organizzatori del
convegno, i "lista verde". Non tutti abili politicanti, ma
alcuni sì e molto. Prediligono tra le tante strade quella
istituzionale. Magari non ci credono e producono discorsi ballerini
"vorrei e non vorrei...", ma quella resta l'opzione da
seguire, l'opzione che offre concretezza, risultati. "Le liste
verdi sono solo uno strumento per far crescere i nostri valori dentro
e fuori" afferma Gianfranco Amendola. Il convegno è in gran
parte loro. Più volte viene sottolineato che l'incontro non ha un
carattere decisionale. Si parla di confronto, di far emergere una
tendenza. Non è difficile immaginare che emergerà chi ha avuto più
spazio. Qui a Pescara è
facile lasciarsi distrarre dai politicanti, ma il movimento verde mi
sembra molto di più. È nato dalla gente, da chi per sensibilità,
per fortuna, per caso si è reso conto prima di altri del degrado,
dello sfascio. Molte di queste persone hanno compiuto scelte
drastiche, molti lottano da anni, molti non si comprometteranno mai
con lo stato. Questa gente spesso agisce, informa con la propria
lotta, spende energia per i cambiamenti, ma non parla in un convegno.
Peccato che ci sia stato poco spazio per queste persone, poco o
subordinato ai leader, agli intellettuali, ai tecnici, ai
protagonisti più famosi del movimento. Anche tra gli
invitati al microfono bisogna distinguere. Chi ha affrontato il
delicato problema del rapporto con le istituzioni si è spesso
contraddetto. Perché nessuno ha voluto parlare chiaro. Da molti
interventi emerge che si vogliono stimolare le diversità, creare
strutture di base, decentralizzare (Edvige Ricci), rendere agibile la
politica a tutti (Rosa Filippini), passare il potere dalle
istituzioni ai singoli (Gianfranco Amendola), non chiudersi in un
ghetto parlamentare minoritario (Anna Donati). Questo significa
pensare in orizzontale, questo significa un cambiamento radicale
della struttura della società, rigidamente gerarchica, verticale.
Dove sta la contraddizione? Sembra che tutti
recuperino infine l'utopia delle finalità, la valenza libertaria
delle soluzioni comprimendole nel recinto istituzionale. Il sistema è
dentro di noi, "cambiare se stessi è un po' come morire" dice
giustamente Aldo Sacchetti, l'autore di "l'uomo antibiologico".
Il suo intervento è tra i più coinvolgenti: "Il mito del
potere è all'origine dei mali della società (...) a questa terra
siamo integralmente legati (...) è impossibile controllare un
processo entropico (tendenza allo squilibrio) per ottimali che siano
le istituzioni (...) urge una svolta radicale che rompa con questo
sistema". Ma sembra ignorare Kropotkin, Reclus, Bookchin,
Goodman, ecc... Non perché sia obbligatorio conoscerli. Ma credo che
avrebbe trovato un supporto teorico più organico di quanto non sia
la mescolanza che propone "tra un socialismo prima maniera (che
intenda l'anarchismo?) e la frugale armonia francescana tra uomo e
natura". Non mi interessa il percorso di Sacchetti se è arrivato
ad identificare l'origine dei mali della società con il potere. Mi
chiedo solo perché il suo discorso perde chiarezza nelle soluzioni.
Perché Sacchetti ha spiegato doviziosamente gli effetti del potere,
ma non ha speso una parola per spiegarne la causa. Cos'è il potere,
Sacchetti, come possiamo liberarcene se è dentro di noi e non lo
sappiamo riconoscere? Forse citare Kropotkin e gli altri è
imbarazzante: meglio chiamarli "vecchi socialisti" o
riferirsi a S. Francesco. Murray Bookchin si
è spinto più in là, nei limiti concessogli da una registrazione
video che ha inviato dagli Stati Uniti (per motivi di salute non ha
potuto intervenire). Le sue parole sono chiare, dure, non equivoche.
Per venti minuti ha fatto vibrare le sensibilità libertarie. Per
venti minuti ha cercato di strappare l'orizzonte del convegno, di
spostarlo più in là. Per venti minuti la sala gremita è rimasta
tesa e silenziosa; alla fine è stato salutato da un lungo applauso
né fragoroso, né concitato, ma caldo: ho avuto la sensazione che ci
sia riuscito, le sue parole sono arrivate a chi ascoltava.
Il ministro
fischiato
Dicevo, bisogna
distinguere. Gianni Mattioli e Laura Conti producono interventi
interessanti, ma delegano le responsabilità politiche. Mattioli lo
dice apertamente: "Le forze politiche devono assumersi le
responsabilità delle scelte energetiche, non delegarle ai tecnici".
Ovvero, la scelta nucleare non può basarsi sui livelli di rischio,
ma è concatenata al sociale, non servono le conferenze energetiche,
ma precise scelte politiche. Peccato che lui, tecnico, si senta in
diritto di sgravarsi da queste scelte e delegarle a chi "politico"
ha il potere di farle. Tanto delude sul piano politico tanto è
lucido, determinato, autorevole su quello scientifico: "Eliminiamo
fin da oggi un nuovo mito che sostituirà quello della fissione
nucleare: la fusione. Sono possibili reazioni di fusione pulite, ma
non sono quelle a cui si sta lavorando... Il miglior regalo al terzo
mondo è il risparmio energetico... Dobbiamo interrogarci su cosa
serve l'energia che usiamo... La cultura dell'ambiente non ha bisogno
di specializzazioni, ma di interdisciplinarità... La ricerca
scientifica deve diventare manifesta e chiara in modo che la
collettività possa operare le sue scelte (ma in che modo,
delegandole ai politici?)". Laura Conti interviene sull'educazione,
un'educazione funzionale ad un modello di società decentrata: "Il
controllo delle energie richiede la diffusione delle conoscenze
scientifiche... I giovani devono ricevere una cultura più vasta e
una diversa educazione volta ad una versatilità che valorizzi il
lavoro manuale, la disponibilità a discipline diverse e
l'integrazione tra lavoro manuale e intellettuale. L'uomo deve
giungere ad una situazione più gratificante, quella di esercitare
lavori in cui impegnare tutte le sue disponibilità". Le sale brulicano
di partecipanti attentissimi, le discordanze, le profonde differenze
si scaricano in tensioni, battibecchi, leggere contestazioni. Niente
di più, ma c'è fermento nei sotterranei di Pescara. Non sono ben
accolti gli interventi più allineati alla tendenza istituzionale,
malvisti i leader, il ministro De Lorenzo non piace per niente. Marco
Boato lo difende dai fischi, non capisce - ingenuo! - perché si
rifiuta a priori il confronto con lo stato. Cosa ci stesse a fare al
convegno dei verdi un ministro ce lo siamo chiesto in molti, caro
Marco. Adesso che sappiamo che il suo ufficio è ancora in disordine
siamo tutti più tranquilli. Anche Amendola subisce un poco il
fascino ministeriale, il nucleo speciale di ecocarabinieri annunciato
da De Lorenzo lo rassicura. Dice di non credere nell'efficacia della
sola via legale, ma un po' di sana repressione non guasta. Strane queste
giornate pescaresi, sono partito con spirito d'osservatore, ma ho
vissuto da partecipante. Ho preso appunti avidamente, quasi senza
riflettere, ho scritto ciò che mi ha colpito. Rileggendo ritrovo
nelle frasi e negli interventi le impressioni che lentamente
riaffiorano. Per la prima volta credo ho percepito "fuori"
una diffusa tensione libertaria. Nella confusione, nell'incertezza,
nelle contraddizioni fioriscono nuove pulsioni. Vorrei dire le
"nostre" pulsioni, se non temessi di volermi appropriare di
ciò che desidero condividere. Vorrei sottolineare pulsioni,
tendenze, sensibilità di base. Come uno stelo ancora incerto,
esposto ai venti, calpestabile. Sarebbe un errore
ignorarlo tanto quanto scambiarlo con un tronco. Il pericolo è
grosso, il pensiero anarchico contiene molte risposte alle domande e
agli interrogativi verdi e proprio per questo il rischio è di
soffocare lo stelo invece di aiutarlo a crescere. Credo sia
fondamentale partecipare e intervenire in questo movimento, credo che
la presenza anarchica nei vari forum di studio avrebbe lasciato un
segno. Credo che tra tante
diversità, tante tensioni e tante domande, lo spazio per una
partecipazione di segno esplicitamente libertario potrebbe essere ben
più ampio di quanto una lettura puramente ideologico-politica del
"fenomeno verde" lascerebbe intendere.
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