Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 140
ottobre 1986


Rivista Anarchica Online

C'è verde e verde...
di Massimo Panizza

Al convegno internazionale di Pescara è emersa chiaramente la distanza tra la complessità delle mille esperienze che formano l'arcipelago verde ed i soliti giochi di potere dei suoi "rappresentanti" istituzionali. Ecco il resoconto di uno dei redattori di "A" presenti a Pescara.

Pescara è verde per tre giorni. Annegata nel cemento, soffocata da un inquinamento record mondiale, accoglie a pochi passi dall'omonimo fiume (moribondo) il meeting: l'"internazionale verde" si incontra qui (pardon, non volevo insinuare). Ma non ci sono dubbi, è il verde che tira, crescerà la sete di verde, questa è la strada per chi vuole cambiare, la tigre da cavalcare. Una pittata di verde se la sono data pure il sindaco e l'assessore all'ecologia che hanno fatto gli onori di casa: "Noi, noi, noi, ...verdi pure noi". Verde pure il papa, secondo la signora sindaco, che prega per la natura. Pescara è frutto del loro alacre lavoro. Gran bella città, complimenti!
Certamente, siamo tutti verdi. Ma è importante fare un po' di presentazioni, distinguere. È importante leggere la diversità, e la diversità si colloca su uno spettro davvero vasto: nel 1986 sentirsi verdi è facile, lo sarà sempre di più, il problema ecologico ci investe tutti, se esiste un istinto di sopravvivenza questo trasformerà l'ingordigia anche del peggior speculatore. L'uomo si adegua, sopravviverà. Deve solo decidere cosa vuole salvare.
II mio mondo, la mia Terra è una rovina. Un pianeta rovinato dalla specie umana. Ci siamo moltiplicati e ci siamo ingozzati e abbiamo combattuto finché non è rimasto più nulla, e poi siamo morti. Non abbiamo controllato né gli appetiti, né la violenza; non ci siamo adattati. Abbiamo distrutto noi stessi. Ma prima abbiamo distrutto il nostro mondo. Non rimangono più foreste sulla mia Terra. L'aria è grigia, il cielo è grigio, fa sempre caldo. Noi terrestri abbiamo fatto un deserto... Laggiù noi sopravviviamo... La gente è resistente! C'è quasi mezzo miliardo di noi. Una volta ce n'erano nove miliardi. Puoi vedere ancora dappertutto le vecchie città. Le ossa e i mattoni vanno in polvere, ma i piccoli pezzi di plastica no..., anch'essi non s'adattano. Noi abbiamo fallito come specie, come specie sociale. (da "I reietti dell'altro pianeta", Ursula Leguin, ed. Nord).
Chi sono i verdi d'Italia? Ambientalisti, anticaccia, salutisti, antimilitaristi, antivivisezionisti, non violenti, cristiani progressisti, green liberal, buddisti, comunitari, antinucleari, anarchici e tanti altri, ma i "più verdi" del reame sono gli organizzatori del convegno, i "lista verde". Non tutti abili politicanti, ma alcuni sì e molto. Prediligono tra le tante strade quella istituzionale. Magari non ci credono e producono discorsi ballerini "vorrei e non vorrei...", ma quella resta l'opzione da seguire, l'opzione che offre concretezza, risultati. "Le liste verdi sono solo uno strumento per far crescere i nostri valori dentro e fuori" afferma Gianfranco Amendola. Il convegno è in gran parte loro. Più volte viene sottolineato che l'incontro non ha un carattere decisionale. Si parla di confronto, di far emergere una tendenza. Non è difficile immaginare che emergerà chi ha avuto più spazio.
Qui a Pescara è facile lasciarsi distrarre dai politicanti, ma il movimento verde mi sembra molto di più. È nato dalla gente, da chi per sensibilità, per fortuna, per caso si è reso conto prima di altri del degrado, dello sfascio. Molte di queste persone hanno compiuto scelte drastiche, molti lottano da anni, molti non si comprometteranno mai con lo stato. Questa gente spesso agisce, informa con la propria lotta, spende energia per i cambiamenti, ma non parla in un convegno. Peccato che ci sia stato poco spazio per queste persone, poco o subordinato ai leader, agli intellettuali, ai tecnici, ai protagonisti più famosi del movimento.
Anche tra gli invitati al microfono bisogna distinguere. Chi ha affrontato il delicato problema del rapporto con le istituzioni si è spesso contraddetto. Perché nessuno ha voluto parlare chiaro. Da molti interventi emerge che si vogliono stimolare le diversità, creare strutture di base, decentralizzare (Edvige Ricci), rendere agibile la politica a tutti (Rosa Filippini), passare il potere dalle istituzioni ai singoli (Gianfranco Amendola), non chiudersi in un ghetto parlamentare minoritario (Anna Donati). Questo significa pensare in orizzontale, questo significa un cambiamento radicale della struttura della società, rigidamente gerarchica, verticale. Dove sta la contraddizione?
Sembra che tutti recuperino infine l'utopia delle finalità, la valenza libertaria delle soluzioni comprimendole nel recinto istituzionale. Il sistema è dentro di noi, "cambiare se stessi è un po' come morire" dice giustamente Aldo Sacchetti, l'autore di "l'uomo antibiologico". Il suo intervento è tra i più coinvolgenti: "Il mito del potere è all'origine dei mali della società (...) a questa terra siamo integralmente legati (...) è impossibile controllare un processo entropico (tendenza allo squilibrio) per ottimali che siano le istituzioni (...) urge una svolta radicale che rompa con questo sistema". Ma sembra ignorare Kropotkin, Reclus, Bookchin, Goodman, ecc... Non perché sia obbligatorio conoscerli. Ma credo che avrebbe trovato un supporto teorico più organico di quanto non sia la mescolanza che propone "tra un socialismo prima maniera (che intenda l'anarchismo?) e la frugale armonia francescana tra uomo e natura". Non mi interessa il percorso di Sacchetti se è arrivato ad identificare l'origine dei mali della società con il potere. Mi chiedo solo perché il suo discorso perde chiarezza nelle soluzioni. Perché Sacchetti ha spiegato doviziosamente gli effetti del potere, ma non ha speso una parola per spiegarne la causa. Cos'è il potere, Sacchetti, come possiamo liberarcene se è dentro di noi e non lo sappiamo riconoscere? Forse citare Kropotkin e gli altri è imbarazzante: meglio chiamarli "vecchi socialisti" o riferirsi a S. Francesco.
Murray Bookchin si è spinto più in là, nei limiti concessogli da una registrazione video che ha inviato dagli Stati Uniti (per motivi di salute non ha potuto intervenire). Le sue parole sono chiare, dure, non equivoche. Per venti minuti ha fatto vibrare le sensibilità libertarie. Per venti minuti ha cercato di strappare l'orizzonte del convegno, di spostarlo più in là. Per venti minuti la sala gremita è rimasta tesa e silenziosa; alla fine è stato salutato da un lungo applauso né fragoroso, né concitato, ma caldo: ho avuto la sensazione che ci sia riuscito, le sue parole sono arrivate a chi ascoltava.

Il ministro fischiato
Dicevo, bisogna distinguere. Gianni Mattioli e Laura Conti producono interventi interessanti, ma delegano le responsabilità politiche. Mattioli lo dice apertamente: "Le forze politiche devono assumersi le responsabilità delle scelte energetiche, non delegarle ai tecnici". Ovvero, la scelta nucleare non può basarsi sui livelli di rischio, ma è concatenata al sociale, non servono le conferenze energetiche, ma precise scelte politiche. Peccato che lui, tecnico, si senta in diritto di sgravarsi da queste scelte e delegarle a chi "politico" ha il potere di farle. Tanto delude sul piano politico tanto è lucido, determinato, autorevole su quello scientifico: "Eliminiamo fin da oggi un nuovo mito che sostituirà quello della fissione nucleare: la fusione. Sono possibili reazioni di fusione pulite, ma non sono quelle a cui si sta lavorando... Il miglior regalo al terzo mondo è il risparmio energetico... Dobbiamo interrogarci su cosa serve l'energia che usiamo... La cultura dell'ambiente non ha bisogno di specializzazioni, ma di interdisciplinarità... La ricerca scientifica deve diventare manifesta e chiara in modo che la collettività possa operare le sue scelte (ma in che modo, delegandole ai politici?)". Laura Conti interviene sull'educazione, un'educazione funzionale ad un modello di società decentrata: "Il controllo delle energie richiede la diffusione delle conoscenze scientifiche... I giovani devono ricevere una cultura più vasta e una diversa educazione volta ad una versatilità che valorizzi il lavoro manuale, la disponibilità a discipline diverse e l'integrazione tra lavoro manuale e intellettuale. L'uomo deve giungere ad una situazione più gratificante, quella di esercitare lavori in cui impegnare tutte le sue disponibilità".
Le sale brulicano di partecipanti attentissimi, le discordanze, le profonde differenze si scaricano in tensioni, battibecchi, leggere contestazioni. Niente di più, ma c'è fermento nei sotterranei di Pescara. Non sono ben accolti gli interventi più allineati alla tendenza istituzionale, malvisti i leader, il ministro De Lorenzo non piace per niente. Marco Boato lo difende dai fischi, non capisce - ingenuo! - perché si rifiuta a priori il confronto con lo stato. Cosa ci stesse a fare al convegno dei verdi un ministro ce lo siamo chiesto in molti, caro Marco. Adesso che sappiamo che il suo ufficio è ancora in disordine siamo tutti più tranquilli. Anche Amendola subisce un poco il fascino ministeriale, il nucleo speciale di ecocarabinieri annunciato da De Lorenzo lo rassicura. Dice di non credere nell'efficacia della sola via legale, ma un po' di sana repressione non guasta.
Strane queste giornate pescaresi, sono partito con spirito d'osservatore, ma ho vissuto da partecipante. Ho preso appunti avidamente, quasi senza riflettere, ho scritto ciò che mi ha colpito. Rileggendo ritrovo nelle frasi e negli interventi le impressioni che lentamente riaffiorano. Per la prima volta credo ho percepito "fuori" una diffusa tensione libertaria. Nella confusione, nell'incertezza, nelle contraddizioni fioriscono nuove pulsioni. Vorrei dire le "nostre" pulsioni, se non temessi di volermi appropriare di ciò che desidero condividere. Vorrei sottolineare pulsioni, tendenze, sensibilità di base. Come uno stelo ancora incerto, esposto ai venti, calpestabile.
Sarebbe un errore ignorarlo tanto quanto scambiarlo con un tronco. Il pericolo è grosso, il pensiero anarchico contiene molte risposte alle domande e agli interrogativi verdi e proprio per questo il rischio è di soffocare lo stelo invece di aiutarlo a crescere. Credo sia fondamentale partecipare e intervenire in questo movimento, credo che la presenza anarchica nei vari forum di studio avrebbe lasciato un segno.
Credo che tra tante diversità, tante tensioni e tante domande, lo spazio per una partecipazione di segno esplicitamente libertario potrebbe essere ben più ampio di quanto una lettura puramente ideologico-politica del "fenomeno verde" lascerebbe intendere.