Rivista Anarchica Online
Non solo natura
di Carla Atlante
Anche
affrontando la questione della necessaria convivenza tra differenti
etnie, è emerso che per molti verdi il problema ecologico ha un
esclusivo versante naturalistico, trascurando "l'ecologia
dell'uomo". Va invece
riaffermato con la massima chiarezza che se rispetto della natura
deve esserci, tanto più di rispetto dell'uomo si deve parlare.
A Pescara, al
Convegno Internazionale dei Verdi, era stata offerta, finalmente,
l'occasione per parlare dell'uomo inteso non solo come parte in causa
nel dualismo con la natura, ma come entità culturale ed etnica. E certo il problema
che si proponeva di affrontare il forum "Una questione di
identità - Italia plurietnica e cultura della convivenza" non era
cosa da poco. Che non lo fosse non lo devono avere pensato in molti,
perché, oltre ai due relatori, c'erano solo sei partecipanti. Mi è subito sorta
spontanea una domanda: che, come spesso accade, il problema ecologico
abbia, per molti verdi, un aspetto limitatamente "naturalistico",
trascurando l'"ecologia dell'uomo"? Non è mia intenzione
essere riduttiva. Ma non posso esimermi dal notare, negativamente,
come in realtà sia mancata la convinzione che serva sempre una
"cultura" a preparare il terreno in cui diffondere i
principi ed i presupposti di una diversa società e di una sana
riappropriazione di tutti quei valori ed elementi etnici verso i
quali, spesso, c'è solo un approccio di "conquista". Indubbiamente i due
relatori hanno evidenziato più di un punto degno di attenzione,
ponendo le basi per affrontare in maniera innovatrice il problema
delle diverse etnie e dei modi di fare cultura che in ognuna di esse
si forma. Tavo Burat è uno studioso che da molti anni si occupa del
problema delle minoranze linguistiche del nord-Italia, riferendosi in
particolare agli insediamenti alpini. Egli era molto preoccupato per
una possibile approvazione della Legge N. 6, - proposta da alcuni
rappresentanti di minoranze etniche - che chiede la tutela
istituzionale di tali gruppi redigendo una lista ben precisa di
"tutelati". La sua presenza al forum si è conclusa con la
proposizione di una nuova legge in contrapposizione a quella cui ho
accennato sopra. Arno Teutsch,
l'altro relatore, fa parte della lista indipendente di Bolzano ed è
quello che, almeno nelle intenzioni, mi è parso avesse maggiormente
centrato il tema del forum. È stato anche il solo che ha posto
l'accento sul pericolo di ricadere in un "revival folkloristico"
della cultura originaria, che altro non è se non un modo di svilire,
attraverso i mass-media, le realtà culturali. Viste le premesse,
è stato un vero peccato che tutto il dibattito si sia esaurito in
una schematica esposizione di relazioni. Il confronto è mancato ed i
temi del forum sono stati sfiorati a malapena. Insomma un gruppo di
lavoro che poteva rivelarsi estremamente proficuo si è concluso con
un nulla di fatto. Ciò quasi a dimostrazione del fatto che anche gli
stessi "esperti" del problema, che pure si erano lamentati
dello scarso interesse dei verdi al proposito, in fondo non hanno le
idee molto chiare su cosa sia necessario fare e proporre. Ed è qui che
sorgono i problemi, Burat e la sua nuova proposta di legge altro non
sono che la via più facile e superficiale di affrontare la tematica
della plurietnicità del nostro paese e del resto del mondo. E
soprattutto mi pare un modo coercitivo di indurre gli individui a
prendere coscienza di un problema. Non si tratta tanto di legiferare
il riconoscimento dell'esistenza di diverse culture, quanto piuttosto
di far crescere nella gente la convinzione che di "diritto"
si tratta e come tale deve inserirsi in un'interazione di rapporti
sociali che non devono essere legittimati da un'imposizione
"tout-court". Molta gente non sa neppure cosa sia un gruppo
etnico, e pensa alla convivenza delle diverse culture come ad un
generico "vogliamoci bene", che in realtà si conclude con una
inesorabile integrazione. Una cultura della
convivenza dovrebbe fornire gli elementi per far sì che i diversi
messaggi ed i bagagli culturali possano interagire tra loro, creando
uno scambio di conoscenze e di rapporti; un interscambio che permetta
l'affermazione dell'individuo e la consapevolezza che nessuno può
essere portatore di un'unica fonte storico-culturale. Essere diversi
significa innanzitutto "essere", esistere. Avere coscienza
che ciò che ci distingue è anche ciò che ci unisce perché può
darci una visione più ampia di quello che abbiamo e di quello che
potremmo avere; di ciò che abbiamo sottratto e di ciò che ci è
stato sottratto. Ed in tutto questo panorama che fa vergogna in una
"civiltà altamente avanzata", i verdi dove si sono messi?
Come si sono posti il problema i difensori dell'ambiente,
dell'habitat, della natura sopraffatta; gli oppositori di uno
sviluppo distruttore delle risorse elementari della vita umana? Ma fino a che punto
servirà e quanto varrà - sul piano dei valori etici ed umani -
salvare flora, fauna e un cemento meno brutalizzante, se le
sconvenienti "torme" di zingari saranno costrette ad
accamparsi ai limiti delle metropoli, senza alcun diritto ai più
elementari servizi igienici, "costretti" a sporcare le
strade e guardati a vista per quel loro vivere "incivile" e
così inquietante? A cosa saranno
valse le crociate ecologiche quando, dalle campagne, i figli di
quegli eterni contadini - che tra loro non si sono mai posti il
problema della lingua o la vergogna di un"'altra" cultura -
entrando nelle "educatrici" scuole dovranno scontare il fio
della loro "umile origine" e si sentiranno diversi.
Dovranno "inserirsi" senza neanche sapere cosa significa e non
riusciranno a capire ed a farsi capire fino in fondo. Se rispetto della
natura deve esserci, tanto più di rispetto dell'uomo si deve
parlare. E non tanto nel senso biologico del termine ma in quello di
"entità umana" che, nella sua accezione più vasta, va
riconosciuta, rivendicata e protetta.
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