Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 141
novembre 1986


Rivista Anarchica Online

Quale modello?
di Fausta Bizzozzero

Nel forum su "Rottura radicale o trasformazione graduale?" si sono sentite cose anche interessanti, ma si è rimasti troppo nel vago. Rifiutare l'attuale modello di sviluppo che cosa significa concretamente? Quali sono le implicazioni di questo rifiuto? E poi basta davvero il ristabilimento di un corretto rapporto uomo-natura per porre naturalmente fine anche ai rapporti di potere tra gli uomini?

Il titolo del forum, "Rottura radicale o trasformazione graduale?", era accattivante, soprattutto per quello che evocava in una come me, segnata irrimediabilmente da un approccio "politico" ai problemi. Ma pensavo anche che fosse una domanda d'obbligo per il neonato movimento verde, come per qualsiasi movimento allo stato nascente.
Il titolo - spiegava invece Fiorello Cortiana (lista verde di Milano e coordinatore del forum) - era infelice e fuorviante e il problema mal posto. "Il problema della trasformazione radicale o graduale dell'ecologia e dell'economia - sosteneva Cortiana nella sua interessante relazione introduttiva - è oggi per noi un falso dilemma, che può provocare sterili conflitti tra identità contrapposte e soprattutto tante inutili parole. Neanche una piccola comunità ecologista (...) che vive nel miraggio di una rottura radicale può sfuggire alle radiazioni passate e a quelle incombenti. Noi abbiamo il problema e il desiderio di fermare da subito la locomotiva in corsa verso il burrone. Gli atti che produciamo, siano economici o tecnologici, politici o legislativi, hanno una sola necessità: quella di capire e verificare quanto siano funzionali alla stimolazione ecologica, cioè se costituiscono il filtro per la sigaretta della crescita o invece cosa producono nel mettere in discussione il modello di sviluppo basato sulla filosofia della crescita materiale. (...) Il sistema naturale è composto da cicli e circuiti interconnessi tra loro e l'economia e la tecnologia intervengono solo in modo finalizzato su specifici pezzi di questi circuiti: per loro vale il detto il fine giustifica i mezzi, per noi i mezzi non solo debbono convalidarsi alla luce delle interconnessioni del sistema naturale, ma addirittura non ci sono fini e mete da raggiungere; per noi i mezzi, il loro modo di essere pensati e usati sono il fine perché sono la risposta alla nostra domanda su qual è il posto dell'uomo nel rapporto circolare uomo-società-ambiente".
Difficile non essere d'accordo con Cortiana quando sostiene che ai valori di un'economia basata su una stima quantitativa delle risorse bisogna opporre valori etici diversi; quando dice che bisogna costruire un nuovo sapere teorico-pratico che si opponga al sapere della cultura antropocentrica; quando dice che la rivoluzione ecologica è e deve essere da subito una rivoluzione culturale, che le proposte concrete dei verdi debbono essere convenienti oltre che convincenti e che comunque si deve imparare a fare a meno delle tecnologie dannose anche quando non esistono surrogati. Fin qui tutto bene.
Ma rifiutare il modello di sviluppo attuale cosa significa concretamente? Quali sono le implicazioni di questo rifiuto? Questo modello di sviluppo è sì basato sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, sullo scempio e sulla distruzione dell'ambiente, ma è anche basato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, su un'organizzazione sociale gerarchica, su precisi rapporti di potere, sulla disuguaglianza. Nessuno ha neppure sfiorato questo altro fondamentale aspetto del problema. Che si tratti di un rimosso collettivo, oppure di un totale disinteresse, oppure della convinzione che, per magico automatismo, il ristabilimento di un corretto rapporto uomo-società-natura ponga naturalmente fine anche ai rapporti di potere tra gli uomini?
L'altra relazione introduttiva, del direttore di "Politica ed economia", era molto più "concreta" e analizzava la graduale maggiore importanza assunta dalla "azienda verde" all'interno dell'economia nazionale sia in termini di fatturato (1% del Prodotto Interno Lordo) che in termini di occupazione (300.000 addetti) sottolineandone la prevedibile futura espansione. La domanda, ovvia, che mi sono posta è: non è forse anche questa una dimostrazione delle compatibilità/funzionalità dell'agire verde con le strutture sociali/economiche/politiche esistenti? Ma neppure gli interventi successivi - alcuni improbabili e naif, altri inscritti in una logica chiaramente istituzionale di ex-sessantottini riciclati - hanno chiarito i miei dubbi. Lo farà il tempo, suppongo.