Rivista Anarchica Online
Che cos'è
l'arte?
di AA. VV.
Domanda
difficile, se non impossibile. Forse si possono identificare alcuni
aspetti che, pur legati alla soggettività, contribuiscono a
tracciare i segni significanti dei molteplici immaginari possibili.
L'arte del saper
fare
Aut-Art, gruppo
polivalente di Forlì composto da Gherardo Chiadini, Guerriero
Cortini, Giorgio Fiumi, Paolo Silvestri e Marco Tadolini.
È una curiosità,
o meglio, una necessità adolescenziale. Quella necessità che
formulata nell'ambito di una legge universale, si pone all'inizio
delle fasi evolutive dell'arte. Giambattista Vico delineò questa
evoluzione con una consequenzialità simile: necessario, utile,
comodo, piacere, lusso e bizzarria. È
proprio nella fase del necessario che il giovane si pone tutte le
domande e in particolare modo quella sulla identificazione dell'arte.
Chi non si è posto tale domanda? Talvolta anche nei bar, veri luoghi
di riflessioni peripatetiche, s'ode un fruscio od un accenno sulla
definizione dell'arte. Non esiste in
realtà una cosa chiamata arte. Eppure tutti, in età giovanile
abbiamo almeno una volta cercato di definirla. Si può tentare di
ridefinirla ad un'età matura, come in questo caso, quando viene
riproposta la domanda ad un gruppo associazionistico che ha inserito
la parola arte nella sua denominazione e che in tal caso non può
sottrarsi ad un accenno di definizione. Una definizione
primordiale della parola arte non si perde mai, anzi convive in ogni
definizione: techne, che significa appunto arte e tecnica. Essa
esprime la bontà del fare in qualunque attività umana, un fare
pratico che appare arte quand'è saper fare e quindi un fare bene: un
miglioramento del mezzo tecnico che vuole adeguarsi al fine. La
scienza si occupa del sapere, l'arte del saper fare. È comodo, a
questo punto, riportare la definizione dell'arte di E. Gombrich,
leggermente ampliata: "Non esiste in realtà una cosa chiamata
arte. Esistono solo gli artisti: uomini che un tempo con terra
colorata tracciavano alla meglio le forme del bisonte sulla parete di
una caverna (...) Non c'è alcun male a definire arte tutte codeste
attività, purché si tenga presente che questa parola può
significare cose assai diverse a seconda del tempo e del luogo e ci
si renda conto che non esiste l'Arte con l'A maiuscola".
Gombrich giustamente pone l'attenzione sulle attività umane e le
inscrive nel tempo. Ecco il punto!
Tranne queste splendide definizioni d'arte e poche altre, si sono
date all'arte sempre definizioni inerenti un'unica dimensione, quella
dello spazio, generalmente fisso, il quale ha reso possibile solo le
mitiche definizioni di "opera d'arte" e "artista". Noi abbiamo tentato
di smuovere questa situazione e rivalutare quell'infinita quantità
di toni grigi, che si interpone tra l'uomo e l'opera, che è
l'azione. L'azione è la materializzazione del tempo; l'arte è la
materializzazione di un tempo migliore: un tempo piuttosto
movimentato, fluttuante, intermittente e scintillante, pronto a
considerarsi provvisorio: caduto al mondo in veste di suggeritore.
Materie seconde
Mirella
Bentivoglio, nata a Klagenfurt nel 1922, vive a Roma. Protagonista
dalla metà degli anni '60 della poesia visiva, ha esposto in mostre
personali e collettive in tutto il mondo. Collabora a numerose
riviste d'arte.
In passato, il
concetto di arte implicava un atto di natura "primaria"
connesso al concetto demiurgico di creazione. Oggi, per le operazioni
più vitali, non è più così. Oggi non si usano materie prime ma
materie seconde, ossia materie già culturalizzate, unità
preesistenti che contengono un valore semiologico. Quindi oggi il
concetto di arte è legato semmai al concetto alchemico di
trasformazione. Per concludere: per me l'arte oggi non è più il
riscatto culturale della materia, bensì piuttosto il riscatto
"materiale" della cultura.
Per costruire,
malgrado tutto
Vinicio Berti,
vive e lavora a Firenze. Nel 1946 fonda con altri pittori e letterati
il movimento "Arte d'oggi" e successivamente si mantiene
coerente con una impostazione di astrattismo classico. Ha esposto in
numerose mostre in tutto il mondo.
L'arte è sempre
nata come forma rappresentativa della disperata condizione dell'uomo,
oppresso da un potere sempre più negatore di libertà, di verità; è
nata, come ribellione a questo potere, come ricerca di nuove realtà,
come scoperta di nuovi spazi, per costruire malgrado tutto. Arte
dunque come forma dichiarativa di ribellione e lotta contro il
sistema oppressivo e come forma di nuova conoscenza, nuova
spazialità, come anelito alla libertà, alla costruzione
dell'avvenire.
L'arte è...
Lino Cringoli,
28 anni, originario di S. Agata di Puglia, vive e lavora a Milano. Ha
iniziato a dipingere nel 1972.
L'ARTE... È creare
un'"aurora" che ti incanta.
È aspettare che la
notte si consumi.
È l'attimo che
rinnega le madri (o i padri)
e ti mette in
armonia con l'universo.
È silenzio!...
Se la vita è rumore
l'arte non può che essere ...silenzio. (...un silenzio di
suoni)
L'arte...
...è un po' come
sotterrarsi
affondare in sé.
Scavare.
È lo sforzo di
scavare e di portare in superficie.
È
pescare...
negli oceani della
memoria.
... (tra i pensieri
che penso ce ne sono alcuni
che mi piace render
noto).
... oppure è
semplicemente cogliere.
È
una necessità
(un vizio).
È l'urgenza di
riconquistare
una dimensione
perduta.
O forse solo
sognata; che importanza ha?
È aggirare e
conquistare i momenti di magia.
È
quello che c'è tra i punti di sospensione.
È
dare senso ad ogni traccia.
È
la dimensione in cui senti che le "cose"
ti appartengono, e
tu appartieni ad esse.
È
quando ti vedi "scrivere"
...quando vedi
l'ombra delle tue dita.
L'artista
giullare
Kiki Franceschi,
nata a Livorno nel 1945, vive a Firenze dove fa parte del gruppo di
artisti libertari INI che edita "I Kuaderni INI". Si occupa
in particolare di poesia concreta, teatro e pittura sperimentale.
Se è vero che la
storia va avanti col passo del gambero, è anche vero che dopo lo
slancio in avanti sulla strada della sperimentazione degli anni '60 e
'70, c'è il colpo di coda all'indietro. La paura
tradizionale dell'anno mille, che si è tradotta nella paura che
l'arte fosse finita, che tutto fosse stato sperimentato e consumato,
di provenienza hegeliana, ha riportato in auge la figura dell'artista
ed il suo ruolo nella società; ruolo che era stato oggetto di
discussione per 50 anni e spesso negato "tout court" dalla
avanguardia. Nel momento storico del balzo all'indietro, l'artista
necessariamente ritorna ad essere lo specialista del pennello e della
tecnica. L'impegno, i contenuti, i messaggi, le provocazioni
dell'azione artistica, sono demodé. Il consenso è verso l'artista
giullare, che va a tuffarsi alienato nella tradizione più digerita.
Ed ecco i percorsi del Minotauro, i fauni che chissà perché debbono
sempre rincorrersi, i falsi totem, tutta una cultura di souvenir, di
oggettini Kitch. È
l'arte tranquillizzante per il consumo di massa. La cultura Classica
talvolta può essere usata come gendarme della storia.
Quelle muraglie
invalicabili
Mario Persico,
pittore e scenografo, è nato nel 1930 a Napoli dove vive e lavora.
Alla sua esperienza di pittore molto hanno contribuito i suoi
interessi per il terzo mondo e la sua militanza politica.
Quando parliamo di
Arte e/o creatività la prima ragionevole domanda da porsi è: di
quale Arte e/o creatività parliamo? L'arte ufficializzata (emblema
della cultura occidentale), codificata entro spazi di un "Sapere"
che ci domina e per la cui comprensione occorre un'apoditticità
strutturale anche se non del tutto estranea ad un certo intuizionismo
psicologico, oppure quell'energia vitale-naturale disseminata ovunque
nella vita, ma priva di alcuna codificazione? È mia convinzione
che la difficoltà dipenda dall'interdizione provocata nei confronti
di quest'ultima da quel "Sapere" che privilegiando la
razionalità, ha finito per erigere muraglie invalicabili fra arte
e/o creatività normalmente intesa e il manifestarsi di quel flusso
ineluttabile dell'inconscio che pur si fa rientrare entro la stessa
definizione. Non intendo,
ovviamente, svuotare di senso il ruolo e la funzione importantissima
della facoltà raziocinante, ma semplicemente rilevare come l'uso
fattone nel nostro sistema culturale abbia insterilito altre
possibilità comunicative e interpretative che pure fanno parte del
nostro patrimonio umano. La sfiducia diffusa oramai nei confronti di
quella ragione che indicava lo stato come luogo della emancipazione
dell'uomo e che, attraverso le sue molteplici ritualità, ne
controllava la sfera irrazionale ed istintuale, non ci permette di
pronunciare verità su qualunque oggetto sottoposto alla nostra
attenzione. L'Arte per la quale
io qui faticosamente raccoglierò parole, parole non ha, assimilabile
com'è a quella "categoria paradossale che, pensata fino in
fondo, si rivela capace di far saltare il costrutto teorico
dell'arte". "La differenza fra intenzione e realizzazione"
che probabilmente ne costituisce la forma materiale, è priva di
oralità e pertanto si sottrae a qualunque definizione che pretenda
d'essere esaustiva e comprensiva. Come pittore non ho
mai saputo, né so, se ho realizzato qualche cosa che possa essere
definita arte. Ho tracciato segni, ho usato colori, ed altri
materiali; ho provato suggestioni, ho amato opere non mie; ho
rubacchiato qua e là con o senza talento. Ho lavorato in complicità
col caso, ne ho colto i suggerimenti, la seduzione, la logica in esso
riposta, e con questi elementi ho costruito figure. Poi, come
qualunque altro produttore di immagini o finzioni, ho riflettuto su
questo mio atto, ma molto, certamente la parte più importante, mi
sfugge. Via, allora, a
darci dentro con frenesia, come un paranoico, un forsennato,
rincorrendo le stesse ombre e gli stessi fantasmi di sempre, mentre i
corpi del "tradimento" inevitabile si ammassano inerti
lungo il mio cammino, o sonnecchiano in salotti "bene", in
depositi di galleria, e, più raramente, in qualche museo.
Un equivoco da
sfatare
Giangiacomo
Spadari, pittore figurativo è nato a San Marino nel 1938. Vive e
lavora a Milano e a Parigi. Ha esposto in varie mostre personali e
collettive in Italia e all'estero.
È vero che chi non
si è mai occupato di arte, di fronte a un quadro o ad altre
espressioni della creatività si trova in difficoltà. Ma questo vale
per ogni manifestazione del pensiero. È
difficile entrare nel pensiero filosofico o nel mondo della
matematica senza conoscerne gli elementi, le tesi o i personaggi. Ma se per la
filosofia, per la matematica o altre discipline chiunque voglia
parlarne o interessarsi sa bene che la conoscenza della materia
specifica è necessaria, invece per l'arte una sorta di equivoco alla
base, fa credere che chiunque possa interessarsi oppure peggio ancora
si considera l'arte come comunicante a tutti i livelli, e comunque al
livello più basso della capacità culturale di usufruirne.
L'arte è vita
Nico Taminto,
nato a Gragnano (Na) nel 1949 vive a Napoli dove svolge la sua
attività di pittore.
Provate ad
immaginare un mondo senza colori né forme, senza musica e senza
poesia; chi avrebbe il coraggio di viverci? Ecco, per me l'Arte è
vita! Per quanto mi
riguarda posso dire che l'Arte è un bisogno fisiologico, come ho
bisogno di mangiare, bere, dormire, andare al cesso, così ho bisogno
di dipingere. Se mi negassero la libertà di dipingere, dovrebbero
negarmi anche la vita. L'Arte è stata per
secoli solo per i ricchi, e siccome i ricchi sono sempre stati pochi,
essa è stata fruita da pochi. Oggi che la cultura è di massa,
l'Arte è rimasta ancora incompresa dai più. Una volta il figlio del
contadino non poteva fare il medico e non capiva nulla di Arte, oggi
fa il medico e non capisce comunque di Arte, eventualmente è stato
educato alla medicina e maleducato all'Arte. Mai come oggi
l'Arte è oggetto di lottizzazione politica, se sei tesserato al
Partito Socialista Italiano non hai problemi, diventerai un
transavanguardista e avrai vita facile. Fino ad oggi abbiamo avuto
tutte le forme e tendenze espressive che potevamo immaginare, tutto è
stato fatto, non c'è più nulla da "inventare" nelle arti
visive, quindi anche nelle ultime tendenze non c'è nulla di nuovo,
guai a quell'Artista che vuole a tutti i costi il "nuovo".
Anarchici,
sveglia!
S. M. Martini,
nato nel 1934, dal 1958 è stato redattore di una ininterrotta serie
di riviste e fogli d'avanguardia italiani e stranieri.
"L'artista è
anarchico per definizione o non è": difficile non essere
d'accordo, in assoluto. Dunque non si tratta del rapporto
artista-anarchia che sarebbe bello poter riallacciare. Si
tratterebbe, se mai, di concordare finalmente una definizione di
anarchia identificata come il clima proprio dell'estetica, il dominio
proprio di essa, e di smettere definitivamente di considerare
l'anarchia una delle tante concezioni politico-economiche. Anche se
siamo tenuti al rispetto nei confronti di ciò che comunemente
s'intende per storia del movimento anarchico, resta che la
subalternità storica della concezione (e della pratica) anarchica è
dovuta al fatto che si è sempre cercato di mutarne i termini (e i
mezzi) alla politica quasi che l'anarchia non avesse una propria
visione del mondo e, per conseguenza, mezzi propri. Come si comprende,
già a questo punto il questionario appare fondato su una visione
parcellizzata e settoriale della realtà e delle semplici risposte
alle singole questioni non sarebbero plausibili. Se chi non si è mai
occupato d'arte (un non addetto ai lavori?) si trova in difficoltà
davanti a un quadro o ad altre espressioni della creatività ed
abbisogna di una chiave di lettura, ciò avviene per quel che
indicate voi stessi nella seconda domanda, e cioè che per molti
secoli il messaggio artistico è stato fruito da pochi privilegiati.
Dunque ciò appare acquisito, e allora non deve sorprendere se, chi
privilegiato non è, sia in cerca della chiave di lettura, che
propriamente consiste nel privilegio, né più né meno. Nell'ottica
tradizionale la differenza tra il prodotto di un ottimo artigiano e
quello di un artista sta nel fatto che l'opera del primo non può
evitare di configurarsi come un oggetto di natura utilitaria e quella
del secondo invece evita questo handicap, che relega ai livelli
minori le opere utilitarie. Che differenza passa tra uno
scrittoio di ebano e avorio e un quadro di paesaggio? Ma, se oggi il
messaggio artistico s'inserisce nel fenomeno della produzione e del
consumo di massa della cultura, e tuttavia ancora occorre l'accesso
ad un linguaggio necessario per la lettura, ciò significa solo che
il prodotto artistico è considerato merce, di lusso, ma merce, e la
questione resta identica a prima e tutto quello che riuscite ad
augurarvi è che in una società utopica il divario possa essere
almeno in parte colmato. Non è troppo poco?
Ma allora non c'è che da domandarsi dove è finita quella natura
necessariamente anarchica dell'artista di cui si diceva. Questa
natura, che non è tanto dell'artista quanto dell'estetica, perde
infatti il suo valore (di rottura) originario una volta canalizzata
nella produzione di un oggetto-opera, che davvero non è altro che
merce. Ma, cari compagni, avete mai sentito parlare di una estetica
gestuale, comportamentale, di una performance, di un happening? È
vero che si tenta di commercializzarne le foto, i film, le partiture
quando queste cose esistono, ma il fatto estetico non sta in tali
oggetti ma solo nell'azione dell'artista, nel momento in cui la
realizza e sempre più spesso vuole coinvolgere in pari dignità i
presenti. Si tratta di accadimenti del tutto defunzionalizzati ed
espressi negli spazi ormai residui della libertà originaria. Se dunque una
società utopica deve essere pensata, potrà solo essere quella in
cui l'estetica come comportamento quotidiano e comune svolga
finalmente il suo ruolo tra il dominio della necessità e quello
delle pulsioni primarie. Quanto al movimento anarchico (uomini,
circoli, riviste ecc.) sarebbe davvero ora che colmi i suoi ritardi e
persegua coraggiosamente tali vie, che non sono nuove, prima che sia
troppo tardi.
NOTA: Le riproduzioni che accompagnano questo dossier sono di Lorenzo Viani. Di questo pittore viareggino (1881-1936) si tiene nella sua città natale (a Palazzo Paolina, 23 dicembre '86 - 22 gennaio '87) una mostra antologica - la stessa che si è appena conclusa a Roma e che successivamente sarà allestita a Milano, Parigi e Firenze. Cresciuto nell'ambiente proletario della Versilia, profondamente segnato dall'anarchismo, dall'antimilitarismo e dall'impegno di lotta sociale, Viani vi si impegna per anni con entusiasmo, subendo processi e frequentando anarchici e sovversivi di mezza Europa. Nel 1911 cura con Alceste de Ambris un opuscolo antibellicista, contro l'avventura militare libica. Interventista nella Grande Guerra, abbandona l'anarchismo e finisce la sua traiettoria politica con l'adesione al fascismo (pur rimanendone tutto sommato ai margini). Dal punto di vista artistico Viani è ormai generalmente considerato una figura di notevole originalità e rilievo, unico "esempio" di espressionismo italiano. Gran parte della sua opera - anche dopo l'abbandono dell'anarchismo - è dedicata alla rappresentazione del mondo degli sfruttati, degli emarginati, dei "vageri".
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