Rivista Anarchica Online
Emma coi baffi
di Daniela Bognolo
Daniela Bognolo
(Venezia, 1946) vive a Milano, dove lavora come insegnante. Tra le
sue mostre personali ricordiamo "I malfattori. Fatti e
personaggi dell'anarchismo". Ha collaborato in passato alla
grafica di "A".
Perbacco! Mi sono
detta. Perbacco! Rispondere ad un questionario sull'arte e, per di
più, dalla parte dell'artista! Tante belle
domandine in fila a cui dare risposta con la competenza e la serietà
del ruolo. Dunque: cosa
significa per lei l'arte? Oh dio è il
"lei" che mi preoccupa! I compagni di "A"
che mi danno del lei? Vuoi vedere che è
una cosa di quelle ufficiali? Allora è
meglio documentarsi! Prendiamo il
breviario mai superato "Arte e Anarchia" del Wind e
rispolveriamo i concetti base: è sempre meglio farsi vedere
allineati! Attira simpatia e dà un certo non so ché di
affidabilità. Poi ci penso e mi
dico: ma a che cosa serve? Basta acquistarlo
il Wind; è più affidabile della sottoscritta con tutte
le sue puntuali interpretazioni ed è senz'altro più
chiaro delle mie elucubrazioni. Lui si che sa cosa
vuol dire arte! Io che l'artista la
faccio a tempo (quasi) perso e che i consensi che ho, se li ho, li
ottengo dai compagni che si identificano con il mio disegno della
barba di Bakunin o del profilo di Cafiero, cosa posso mai sapere? Eppure ogni tanto
fa bene mettere in fila le proprie sensazioni, idee ed opinioni: ora
ci provo e vedo cosa ne viene fuori. Però lo
faccio a modo mio senza badare alla sequenza delle domande. Perché
faccio dell'arte? "Quando la
vita è romanzo!" Beh la mia mamma lo
diceva sempre che ero portata per il disegno! E poi il benevolo
consenso dei parenti: "è proprio bravina, bisogna
assecondarla, per lei ci vorrebbe una scuola ad indirizzo artistico"
e simili altre baggianate. Così una
comincia: "guarda com'è somigliante il ritratto dello zio
Argeo; due linee qua e due ombreggiature là e sembra proprio
lui; tutta suo nonno (artista di fama, anarchico, perseguitato dai
fascisti e morto giovane)". E poi, a natale,
mentre gli altri trovavano il Monopoli o la bambola Lenci, per me
c'erano il blocco dei fogli da disegno e la scatola (carissima per le
possibilità della mia famiglia) di tempere o di colori ad
olio. Gli acrilici,
vennero molto tempo dopo! Che fare allora? L'unica cosa era
usare gli strumenti che mi erano stati messi a disposizione. Così iniziò
l'avventura! La comunicazione
attraverso il segno anziché attraverso la parola. Il disegno come
padronanza della realtà: un modo di farla propria, anziché
parlandone, disegnando. Così mi sono
trovata un'altra realtà, quella mia, mediata dallo sfratto
fresco fresco e dal cerchio cromatico di Ostwald, dalla battaglia per
entrare, alle otto del mattino, nell'autobus n° 56, strapieno, e
dal mio partner che (anche lui!) pensa che non mi dedico
sufficientemente all'espressione artistica! Risultato? Una definizione di
"arte" un po' sbilenca e rattoppata, a metà tra il
messaggio, la creazione ideale pura e la pulizia del vetro dell'auto
che nel frattempo (grazie al mio stipendio di insegnante) mi sono
potuta comperare. Anche il segno che
lascio ogni mattina sul parabrezza ha una sua logica comunicativa no? Ma ha anche
un'altra logica, precedente; quella di idea che si forma prima di
diventare segno! Che delusione poi
la realtà! Non per via della
mancanza di consenso che c'è in tutti gli aspetti quotidiani e
neanche per la ipotetica non corrispondenza tra idea e forma, ma
perché manca la valutazione oggettiva come la vorrebbe
l'artista (?) sul prodotto finito. Cosa vuol dire? A me per esempio
piacerebbe che non si liquidasse il problema critico con un giudizio
della serie: "il risultato cromatico è convincente"
oppure, "l'equilibrio nella costruzione formale è degno
di nota", ma che si potesse dibattere (ma si può?),
demistificando, l'ideale contenuto artistico (due milioni di anni di
imbroglio critico), sul significato concreto dell'elaborato e sulla
sua relazione con l'esperienza umana. Si, è vero,
puzza di sociologia ed il delirio interpretativo critico non può
certo accettare che si volgarizzi il contenuto "dell'opera
d'arte", ma è una vita che ci provo e, prima o poi,
qualcuno lo troverò che accetta questo confronto! Che sia un modo
"diverso" di giudicare "l'opera d'arte"? Oh dio è
pericoloso buttarsi su questa strada perché, qualche collega
"artista" me lo rinfaccerà, si finisce per non
definire più il sottile, sottilissimo, inconsistente confine
tra arte e artigianato. Messa alla pari di
un madonnaro della Val Lagarina? Di quelli che per tutta la vita
fabbricano quelle deliziose statuette di legno stilizzate della
madonna a mani giunte? Ma scherziamo? C'è una
bella differenza! Innanzitutto...
Innanzitutto cosa? La manualità ce l'ha migliore lui di me;
poi lui è polivalente: scolpisce e colora; poi lui produce
simboli della società e, per quanto mi riguarda, è
tutto da stabilire che documentare la caduta (si fa per dire) di
Giuseppe Pinelli del quarto piano di Fatebenefratelli sia una
necessità sociale. Mentre la madonnina
di legno con le mani giunte, non mi pare che sia il caso di
contestarlo, lo è e come! Me lo lasciate
dire, vero?, che questa universalità è un mito per la
produzione artistica con il marchio di garanzia se si continua a
considerare l'arte una parrocchia dai contenuti elevati ed
illuminati? E resterà, a
mio giudizio, un mito anche in presenza di fenomeni massificanti che
di universale hanno il fine puramente e bellamente commerciale e ben
poco di effettivamente educativo. Una parentesi: ho
detto "poco"; però per un certo verso importante. A
volte infatti la cosiddetta massificazione impone che si esca
dall'equivoco puramente estetico ed alla moda per entrare nel campo
dei contenuti: ecco questo è importante. Pericoloso, ma
importante! Pericoloso perché
diventa facile contrabbandare per cultura un'azione commerciale, ma
importante perché, dovendo giustificare un'operazione
commerciale, si tenta di vestirla di contenuti. Allora
l'immaginazione si pone in rapporto con la realtà e riconduce
il suo significato a contenuti critici, di rottura o di
sperimentazione che è costretto a spiegare. Cosa si vuole di
più? Il linguaggio è
universalizzato ed il cosiddetto artista deve adeguare le sue ipotesi
ideali alle necessità del suo mercato (solo per quanto
riguarda l'atto della fruizione, come si dice in gergo). Qui bisognerebbe
aprire il discorso delle avanguardie: ci provo? Per me non c'è
nessuna differenza tra qualsiasi movimento istituzionalizzato e
avanguardia: quest'ultima, essendo momento di maturazione "tecnica"
destinato a diventare presto istituzione, va considerata un
contributo al/del contesto sociale in cui si manifesta. La libertà
che consente la manifestazione dell'ipotesi di avanguardia è
fondamentale, ma, mi pare, non si debba discutere che gli stimoli,
anche all'avanguardia, vengono dal sociale. Non so se sono
riuscita a spiegarmi perché, è risaputo, ho dei limiti
alla chiarezza, però il concetto di fondo che mi piace
ribadire è quello della libertà. Io, quando produco
(parlo per me), penso sempre di riuscire a farlo in termini
definitivi, poi, quando ho prodotto, mi accorgo di non aver capito me
stessa e di aver prodotto un venticinquesimo di quello che volevo, e
neanche tanto bene. La mia produzione
rimane tuttavia un momento di libertà inspiegabile e, almeno
per me, è un momento di contenuto curioso e sempre innovativo. Penso che lo sia
per tutti quelli che producono qualcosa, di questo e di altri generi,
ma, nel dubbio, mi piacerebbe saperlo. Così come mi
piacerebbe conoscere fino in fondo il giudizio, al di là della
gratificazione, del famoso "fruitore". Io faccio i baffi
alla Emma Goldman vestita da centurione romano, con in mano la
lattina della Coca Cola, appoggiata ad una Lancia Stratos, mentre sta
guardando i risultati del campionato di calcio alla televisione, ma
sono riuscita a spiegare che quello che voglio comunicare è la
continuità di una società che vive le sue
contraddizioni quotidianamente e che tutti questi simboli sono, per
me, la dinamica di una cultura approssimativa in cui la Emma è
il solo punto fisso? Beh, io non lo so;
e voi?
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