Rivista Anarchica Online
Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)
Diamanda Galas
La Mute Records è
un'etichetta indipendente inglese che, pur avendo trovato buona
fortuna commerciale tramite prodotti di facile consumo, ha sempre
dimostrato un interesse costante ed una certa predisposizione per la
divulgazione di materiali musicalmente impegnati, a volte difficili
se non addirittura francamente impossibili. È
così che nel suo catalogo, assieme al pop elettronico e
danzereccio dei Depèche Mode, veri campioni delle classifiche
di vendita, si possono trovare anche dei lavori di ardua
accessibilità come “Easy listening for the hard of
hearing” di Frank Tovey e Boyd Rice, o le trasgressioni sonore
a colpi di forbici, scratch, furti e campionatore di Mark Stewart &
the Mama. Una delle più recenti pubblicazioni della Mute che
rientra in questa seconda e più attraente categoria è
“The Masque of the Red Death”, un'opera presentata
all'Ars Electronica Festival di Linz in Austria la scorsa estate
dalla vocalist e performer DIAMANDA GALAS. Si tratta di due
dischi pubblicati in tempi e confezioni separate: due diversi titoli,
forse per sottolineare le diverse strutture delle due parti
dell'opera, una esclusivamente vocale, l'altra in cui alla voce si
intrecciano le tastiere, manipolate abilmente dalla stessa Diamanda. "The Divine
Punishment" contiene la prima parte, e rappresenta
efficacemente lo "state of the art" raggiunto da quella
che è stata definita da un giornale americano "the
possessed performer": la voce di Diamanda Galas raggiunge vette
altissime e dà nuovo significato alla parola "libertà". È
impalpabile ed al tempo stesso inquietante l'interpretazione che
Diamanda Galas dà di alcuni passi della Bibbia, conferendo ad
essi un inaudito spessore, profondità, luce propria, al ritmo
di un respiro sempre più affannoso e sinistro. Indubbiamente
il brano più sconcertante è "Sono l'Antichristo",
scritto dalla Galas e recitato in lingua italiana, che suona come una
tremenda maledizione alle orecchie dell'ascoltatore preso alla
sprovvista. In "Saint of the Pit" co-prodotto da Gareth
Jones, ex Pop Group, è contenuta la seconda parte. Dalla Bibbia si
passa alle emozioni della poesia francese: Charles Baudelaire, E.J.
Corbiere e Gérard Nerval, coi loro versi carichi di
suggestione ed inquietudine. Entrambi i dischi
sono di reperibilità discreta, specialmente nei negozi che
sono soliti trattare produzioni indipendenti.
John Zorn
Altro splendido
lavoro è quello dell'improvvisatore JOHN ZORN, che in
"The Big Gundown" ultimo suo album, si cimenta addirittura
con la rielaborazione delle musiche da film di Ennio Morricone. Con la
partecipazione di artisti del calibro di Fred Frith (Skeleton Crew),
Anton Fier (Golden Palominos), Bill Laswell (Material), Arto Lindsay
(Ambitious Lovers), Bill Frisell, Robert Quine, Toots Thielemans,
Vernon Reid ed almeno venti altri, il che vale a dire il meglio
dell'avanguardia musicale di New York City, John Zorn ha realizzato
un autentico capolavoro. Speriamo non sia destinato a restare
patrimonio di pochi come tutti i suoi lavori precedenti, tutte opere
geniali e forse un po' troppo avanti rispetto ai tempi. "Questo
è un disco che ha delle idee fresche, buone ed intelligenti"
- afferma lo stesso Ennio Morricone nella presentazione/benedizione
di questo disco - "È una
realizzazione di alto livello, un lavoro eseguito da un maestro di
grande fantasia e creatività. Le mie idee sono state
realizzate (...) in una maniera attiva, ricreando e reinventando ciò
che avevo fatto in precedenza per i film. Molti avevano fatto delle
versioni delle mie musiche, ma mai nessuno in questo modo...". Come giocando con
un puzzle dalle mille tessere, John Zorn ha distrutto e ricomposto
una dozzina di musiche famose, ristrutturandole in modo che, ad
esempio, "C'era una volta il West" di John Zorn una volta
tanto non è "C'era una volta il West" di Ennio
Morricone solamente perché compositore, arrangiatore e casa
discografica si sono messi d'accordo per affermarlo. In poche parole, e
mi ripeto, un capolavoro: a musiche di una innegabile importanza
"storica" è abbinata una grande quantità di
intelligenza e freschezza. L'album è edito dalla piccola Icon,
una indie-label di New York City specializzata in musica improvvisata
e d'avanguardia che, visto il particolare carattere di questa
iniziativa, è stata aiutata nella distribuzione dalla potente
Nonesuch, affiliata alla Warner Bros. Per informazioni
sulle altre realizzazioni della Icon, rivolgetevi al New Music
Distribution Service al 500 di Broadway, New York City, New York
10012, Stati Uniti d'America includendo un paio di IRC (da richiedere
in posta) per la risposta.
Golden Palominos
Restiamo a New York
City per parlare del terzo ed ancora eccezionale album dei GOLDEN
PALOMINOS di Anton Fier. Il titolo è "Blast of
silence". Dopo aver tracciato una traiettoria velocissima nel
mondo dell'improvvisazione più intransigente con il primo ed
omonimo album del 1983, i Golden Palominos hanno trovato la loro
"missione": infondere nuova vita al pop americano. Non si
tratta però di un'opera di neocolonialismo, quanto di
un'operazione di salvataggio culturale. Il secondo album
del gruppo, edito lo scorso anno ed intitolato "Visions of
excess", era stato salutato con gioia da una folta schiera di
aficionados ed era addirittura riuscito ad intravvedere delle
discrete posizioni nelle classifiche. Se "Vision of
excess" rappresentava un viaggio brillante nel migliore
fm-oriented style del decennio passato (tappa migliore la celebre
"Omaha" dei Moby Grape, con Michael Stipe dei REM come
gradito ospite al canto), questo "Blast of silence" fa
letteralmente gridare al miracolo. I Golden Palominos hanno
resuscitato un genere musicale che era ormai dato per spacciato. Se non credete alla
reincarnazione, come potete spiegare allora "I've been the one"
e "Brides of Jesus" targate inequivocabilmente 1987, quando
i Little Feat e soprattutto Lowell George sono morti e sepolti da
tempo? In questo album grande eccitazione, grandi sospiri di
sollievo, grandi nomi: Sneaky Pete Kleinow, Peter Blegvad, Nicky
Skopelitis, T-Bone Burnette, Carla Bley e, in "Something else is
working harder", il vecchio Jack Bruce che, sempre in tema di
cadaveri eccellenti, canta come se i Cream oggi si potessero proprio
toccare con un dito. Il disco è
edito da Celluloid, e tra le pieghe dei solchi nasconde anche la voce
di Dennis Hopper. Che sia solo una casualità?
Loft
Per concludere,
vorrei segnalare l'attività del LOFT, poliedrico centro
di studi e di riproduzione di musica d'avanguardia con sede a Monaco,
in Germania. Ai Loft si
incontrano gli addetti ai lavori e gli appassionati frequentatori
delle strade più sotterranee e sconosciute dell'avanguardia
musicale, e non solo tedesca. Il programma del
Loft denota una spiccata predilezione per l'inusuale e l'eccentrico:
seminari di studi su Erik Satie, concerti di personal computer,
sculture elettroniche e macchinari producimusica inverosimili. La lista
dettagliata viene pubblicata ogni mese. Un anticipo delle
attività future comprende l'Edgard Varese Event (2 e 3
maggio), un workshop sull'uso alternativo della voce (12-14 giugno),
un festival internazionale in luglio, un altro in agosto ed un terzo,
più articolato, in novembre. The Loft,
Kirchenstr. 24, D-8000 Munchen, West Germany.
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