Rivista Anarchica Online
Rispettare le
idee
Per essere
anarchici è obbligatorio essere atei? Si domanda Gianni Ferrara.
"Anarchia fa rima con dio?" mi domandavo io ("A" 112,
agosto/settembre 1983) rispondendo proprio sulle
colonne di questa rubrica ad un intervento polemico della redazione
modenese della pubblicazione (nel frattempo cessata)
Cristianesimo anarchico. In sintesi,
penso che Gianni Ferrara possa rassicurarsi: si può essere - a mio
avviso - anarchici e al contempo appellarsi, in qualche modo, a dio.
Tanto più che con questo termine ("dio") si
possono intendere cose le più diverse: anche se - temo
- tutte un po' fumose. Meglio non imbarcarsi in discussioni di tal
genere, come già suggeriva oltre sessant'anni fa Errico Malatesta,
ai cui articoli in materia - soprattutto a quelli pubblicati tra il
1924 ed il '26 sulla rivista Pensiero e Volontà (ora
ripubblicati nel terzo dei volumi dei suoi scritti
editi negli anni '70 a cura del Movimento Anarchico Italiano) -
volentieri rimando. A Ferrara, però,
vorrei fare osservare che la stessa dignità che una concezione
profondamente laica dell'anarchismo deve concedere all'anarchismo
"teista" non può però essere negata all'anarchismo ateo,
orgogliosamente estraneo ai fumi teorici del teismo. Non credo
assolutamente all'opinione secondo cui la maggioranza necessariamente
ha ragione (se no, poveri anarchici...), e non starò qui a citare il
fatto che la stragrande maggioranza degli anarchici - non solo in
Italia - si richiami proprio a quel filone ateo ed anticlericale
dell'anarchismo che tanto impressiona Ferrara. Preferisco
ricordare le ragioni di fondo di questo ateismo, che affonda le sue
radici storiche nella cultura positivista dell'800 ma va ben oltre,
rifacendosi ad una concezione che - senza sottilizzare - possiamo
continuare a definire "materialista". Né dio né stato
c'era scritto in quel manifesto del Circolo anarchico "Ponte
della Ghisolfa" di Milano, che tanto ha colpito il lettore. È
lo stesso slogan che, spesso con l'aggiunta Né
servi né padroni, campeggia da sempre su tante bandiere
anarchiche. Ciò, con buona pace degli anarchici
teisti, non costituisce alcun attentato alla loro "libertà di
coscienza" (come sostiene Ferrara), ma semplicemente l'esposizione
- forzatamente sintetica, com'è naturale in uno slogan - della
nostra "libertà di coscienza". A Ferrara mi
verrebbe da chiedere: per essere anarchici è obbligatorio non essere
atei? Se dal punto di
vista della distinzione tra atei e teisti io mi trovo senza
incertezze dalla parte del mio compagno romagnolo Nik, il suo
intervento ciononostante - non mi piace. Sarà forse perché mi sono
avvicinato all'anarchismo nella natia Milano, ma non ho
dato forti pugni sul tavolo (in genere quando ci provo mi faccio un
male dell'ostia), non ho bestemmiato (mi hanno
insegnato fin da piccolo che è stupido e offensivo: senza senso per
chi, non credendo in dio, insulta l'inesistente, e - quel che è
peggio - lesivo della sensibilità di chi, a buon diritto, ci crede)
e non ho schiaffeggiato mia madre (che peraltro non lo faceva con
me. Perché avrei dovuto?). Nella sua foga
polemica, Nik mi pare un po' confuso, soprattutto dove
nega tolleranza (ma non "la libertà di pensare diversamente")
ai cristiani, o comunque a quelli che "col loro senso religioso
continuano ad offendere il Buon Senso raggiunto con stenti e fatiche
dall'Homo Sapiens" ecc. ecc. Il suo
argomentare mi pare ispirato da uno spirito di forte intolleranza,
che storicamente è sempre stato appannaggio delle chiese, dei
crociati, dei prevaricatori. Bisogna saper
distinguere. Una cosa è lo strapotere della chiesa cattolica, il suo
continuo tentativo di omogeneizzare a sé la società, di imporre i
suoi valori ed i suoi interessi: contro tutto ciò è indispensabile
che si riprenda quella battaglia anticlericale che purtroppo - e non
a caso - è stata messa in soffitta dai cosiddetti
laici, dalle cosiddette sinistre (radicali in testa). In forme
rinnovate, senza certe forzature che hanno fatto il loro tempo,
l'anticlericalismo deve tornare ad essere un nostro
cavallo di battaglia. Non foss'altro che perché il clericalismo è
sempre lì, a infettare la società. Ma le idee
altrui - religiose o meno - vanno innanzitutto
rispettate. Proprio in quanto anarchici, dobbiamo essere noi a
rivendicare il diritto di ciascuno di esprimerle: e questa
rivendicazione deve passare innanzi alla nostra volontà di far
trionfare le nostre. O meglio, deve esserne elemento
costitutivo. L'anarchia,
come la vedo io - per dirla in due parole - non sarà il "trionfo"
dell'ateismo e degli atei, ma la società in cui ciascuno potrà
avere e sostenere pubblicamente qualsiasi idea, sapendo che - per
quanto astrusa potrà essere giudicata anche da tutti gli altri -
sarà comunque rispettato. Criticato, anche combattuto, ma
innanzitutto rispettato. La libertà, mi
pare, è più o meno questa.
Paolo Finzi
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