Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 147
giugno 1987


Rivista Anarchica Online

Gli occhi verso l'infinito
di Alberto Panciroli

Li accomunano una grande dignità, l'energico andar contro corrente, i momenti di intensa commozione che sanno regalarci, le corde che riescono a far vibrare. Eppure Peter Handke, Werner Herzog e Wim Wenders partono da ambiti molto differenti. C'è in tutti loro un tentativo di sguardo oltre la superficie.

Esiste una bella e stretta comunione d'intenti tra personaggi diversi; vediamo il loro muoversi nella stessa direzione pur partendo da ambiti diversi: Werner Herzog, Peter Handke, Wim Wenders sono forse i più rappresentativi. C'è una grande dignità in loro, un energico andar contro corrente, ci regalano momenti di intensa commozione, riescono a far vibrare delle corde di cui non conoscevamo l'esistenza.
Sono rimasto incantato alla vista di film come "Alice nelle città", "Nel corso del tempo" e anche da molti passi dei libri di Handke così come dalla totalità della filmografia di Herzog.
Ciò che accomuna questi autori è uno slancio proteso verso la rinascita della sensibilità, del sogno e della visione, un segno di un nuovo sentire.

Linguaggio debole
Tutti i personaggi di Herzog hanno, nel film, degli occhi particolarissimi sempre fissi verso l'infinito, in un perenne stato di distanza da chi li circonda e i personaggi di Wenders ed Handke parlano pochissimo, ma rimuginano incessantemente dentro di sé. Entrambi hanno relazioni con gli altri in maniera poco corporea e poco parlata, ma qualcosa ugualmente si trasmette. È una particolare situazione dell'essere che si comunica con difficoltà, è un "linguaggio debole" appena accennato e può essere raccolto da persone nello stesso stato esistenziale. È un linguaggio che viene spesso deriso perché "incomprensibile". Questo stato di "debolezza", che colpisce i portatori di questa altra lingua genera un senso di isolamento (di cui ci si può anche gloriare, ma di cui - più spesso - si è vittima) che porta ad una naturale appartenenza con chi parla o si comporta con difficoltà. Ma non è solo "naturale appartenenza"! Si tratta di vero e proprio amore!
In particolare Herzog ci attrae per la forza che attraversa tutte le sue opere; forza che ci è resa evidente nello stile atipico e provocatorio della forma e per l'intensa suggestione che invade, prepotentemente, i nostri ragionamenti: ciò che ci dice, i soggetti del suo cinema.
Ad un primo approccio si può rimanere disorientati di fronte ai suoi film, per i modi stralunati del raccontare e per le vicende imprecise e poco attuali, ma con un po' di attenzione si può riuscire a vedere che Herzog ci mostra sempre lo stesso film, in ogni film è sempre presente la stessa storia. I nani, Aguirre, Strozek, Kaspar, Woyzec, Fitzcarraldo, Nosferatu, il documentario su Messner ed infine gli aborigeni di "dove volano le formiche verdi"; tutti questi "interpreti" ci lasciano senza fiato per la meraviglia di rivedere di film in film sempre il medesimo destino, la disperata difesa degli elementi deboli della società umana, il suo disprezzo verso chi si allontana presuntuosamente dalla natura pretendendo di dominarla, la maniera "eccessiva", metaforica, di mostrarci la parabola dei suoi eroi.
Con il massimo di chiarezza ecco lo stesso Herzog dirci ciò che pensa: "vorrei che dopo aver visto un mio film, lo spettatore uscisse a vedere il mondo, la vita, le facce della gente sotto prospettive diverse, vorrei che capisse davvero chi sono i nani e i deformi, vorrei che capisse cosa sono le loro rivolte e le norme contro cui si rivoltano, vorrei che si ritrovassero, dentro, Kaspar Hauser e fuori, avversari, quelli che lo opprimono".
Ma, nonostante queste intenzioni siano state fatte proprie anche da altri registi, assistiamo in Herzog ad un'unicità di stile assolutamente originale: in lui, i suoi temi, la prefigurazione di una realtà desiderabile, l'ideale di un vedere nuovo e purificato, vivono, si concretizzano nel corpo stesso del film.
I suoi film - come già Wenders ed Handke - tendono a ridurre al minimo la storia, lo scorrere logico e lineare di un avvenimento. Al posto di questo, e di un percorso identificabile, vi sono dei blocchi narrativi a sé stanti, praticamente intercambiabili - la sostituzione di questi blocchi, l'uno con l'altro, non cambierebbe la sostanza del film - che ci parlano quasi metaforicamente attraverso un linguaggio non più realistico, credibile, ma non per questo meno privo di senso, anzi: la suggestione di questi "segni" ha ai nostri occhi un valore ancora maggiore perché emotivamente più intensificati.
Così Herzog: "Odio il documentario, odio il cinema diretto. Al cinema i livelli di verità sono infiniti e quello del cosiddetto "cinema-verità" è il più superficiale, il più primitivo. Non cambio solo nei miei film a soggetto, cambio, invento anche nei miei documentari. Al posto della verità "vera" ce ne metto sempre un'altra, altrettanto vera ma "diversa", intensificata, potenziata".

Quella profonda desolazione
Questo autore, nei cui film vi è una mancanza totale di ironia e tenerezza, ha un'unica, piccola eccezione in una breve sequenza tratta da Strozek, in cui un medico solleva un bambino prematuro e lo stringe a lungo tra le proprie braccia, regalandoci un'inquadratura di una bellezza sospesa, intensa e lirica come poche altre: l'unica del suo cinema; quest'immagine è forse quella che realizza le aspettative sottintese di tutti i suoi sforzi: un'intensa attenzione verso la debolezza con l'intima volontà di ascoltare.
Per raggiungere questo obiettivo - in sostituzione di un possibile cinema realistico che descriva le misere sorti degli emarginati - Herzog sceglie un modo di narrare anti-realistico e visionario con l'effetto di evocare nello spettatore emozioni e riflessioni più intense e originali.
Mi piace insistere su questi particolari che sento molto vicini, perché in fondo, semplicemente, è tutto qui il fondo della faccenda, fino dalle prime immagini così importanti, seguendo via via l'itinerario senza speranza dei suoi attori, in quei finali senza vita, immutabili.
Qual è il senso così forte di questi "quadri"? Perché c'è una sovrabbondanza così eccessiva di sguardi così lontani, che sanno vedere oltre e attraverso quello che vedono gli altri? Perché un montaggio così disordinato, enigmatico, fatti, vicende, attori così particolari, anticinematografici? Si tratta di riconoscere che il cinema di Herzog è già la prefigurazione di modi di comportarsi e di indagare la vita. È già l'obiettivo a cui tendono i suoi personaggi; la vita, attraversata da una sensibilità acutizzata sempre esasperata, in grado di cogliere nella realtà rifrazioni, avvenimenti, emozioni, con tutti i sensi desti fino all'inverosimile. "(...) quasi che si trattasse non d'altro se non di fare il necessario silenzio in sé e perché le cose tornino a parlare, perché tutto rinasca".
A tutto questo Herzog ha teso in maniera quasi fisica, per quanto riguarda i protagonisti bisogna notare che a questo scopo nessuno meglio degli attori herzoghiani poteva dare corpo all'incarnazione della disperazione e dell'allucinazione, come Klaus Kinski e Bruno S.
Questi due "attori" hanno mostrato attraverso i loro volti il massimo possibile del totale straniamento, la loro quasi totale esclusione dal mondo della civiltà e attraverso i loro occhi esterrefatti passa la metafora della loro esasperata appartenenza ad un mondo sensibile, legati in maniera intuitiva e disperata alla natura. Mai gli occhi sono stati a tal punto mezzo e fine dell'inestinguibile ricerca etica di Herzog.
È questo, questo soffio vitale, questa tendenza al riacutizzare completamente se stessi che ammiro in Herzog, è questo appunto che è stato a parer mio, in diversi scritti, molto sottovalutato, in favore di interpretazioni psicanalitiche o superomistiche dei suoi lavori.

Piccole voci all'unisono
Eppure a me sembra che a volte la complessità dei suoi "passaggi" trovi momenti di intensa chiarezza e precisione, sempre strutturata in quella maniera romantica e lirica che gli è propria; come nel finale del suo bel libro "sentieri nel ghiaccio": "sul seguito ancora questo: sono andato dalla Eisner, era ancora spossata e segnata dalla malattia. Qualcuno doveva averle detto per telefono che io ero arrivato a piedi; io non volevo dirlo. Ero imbarazzato e ho steso le gambe dolenti su una seconda sedia che lei mi ha spinto davanti. Nell'imbarazzo mi è passata nella testa una cosa e dato che la situazione era comunque strana, gliel'ho detta. Insieme, ho detto, faremo un fuoco e arrostiremo i pesci. Allora lei mi ha guardato con un lieve sorriso e poiché sapeva che ero uno che andava a piedi e perciò un indifeso, mi ha compreso. Per un solo istante, senza peso, per il mio corpo esausto è passato come un soffio di dolcezza. Ho detto: Apra la finestra, da qualche giorno io so volare".
Mi piace pensare che altri autori mirino allo stesso fine per strade diverse, quasi a voler riempire ogni sorta di esperienza comunicativa con gli stessi temi. Mi pare di vedere assonanze che attraversano vari autori, senza intendere che questa sia la loro matrice unificante, ma più modestamente che comunque qualcosa emerge, e queste piccole voci all'unisono ci parlano di un tema decisamente fuori moda: forse occorre essere più silenziosi, anche più pensierosi, qualcosa va pagato per ascoltare con più attenzione ciò che accade, per crescere un rispetto per le cose e per gli uomini di cui non siamo capaci, è un po' un rallentarsi, per pensarsi e per guardare, poi, con più attenzione il resto.
In questo, si trovano accomunati anche Wenders ed Handke, con qualche significativa differenza. In questi due autori non c'è un richiamo esplicito ai soggetti dell'emarginazione, non ne costituiscono il tema privilegiato come in Herzog, ma ugualmente ho l'impressione della grande portata del loro lavoro, che induce ad attrezzare di nuovi materiali la nostra percezione della realtà.
Una scrittura ed un cinema così rarefatti eppure così straordinariamente intensi nella bellezza della loro solitudine e dei loro incontri ci riempiono di speranza: la sensazione fisica durante e dopo la lettura o la visione delle loro opere è stata per me un grosso groppo alla gola, un grande senso di dolcezza e di comprensibile malinconia.
Da un romanzo di Handke: "Intanto quassù era riuscito, finora, a mettere il sogno al suo posto, come si dice, a trattarlo appunto come un sogno. E adesso che cosa sarebbe accaduto? Che stupidaggine, che uno sguardo panoramico dall'alto riordinasse di nuovo le dimensioni! Così erano poi le dimensioni giuste? Il sogno è stato vero, e io l'ho tradito per quest'armonia forzata, pensò. Vigliacco panoramico, con lo sguardo da pilota d'aliante! Il sogno è stato forse il mio primo segno di vita dopo tanto tempo. Avrebbe dovuto mettermi in guardia. Voleva voltarmi, come si volta uno che è stato a lungo sul lato sbagliato. Io vorrei dimenticare le sicurezze sonnambulistiche, per lo stato di veglia. Dimenticare i sogni, è sempre stato facile. Perdere le sicurezze, sarà ogni giorno più faticoso, quelle sicurezze che giornalmente mi sono state imposte, come in sogno, da altri. Per esempio, la sicurezza dello sguardo con cui io da questa altura, guardo il brulichio sottostante, assicura il sogno di tutta la vita di qualcun altro. Qual'è il mio sogno vitale?, pensò Keuschnig. Dimenticherò le sicurezze se mi ricorderò di un tale sogno".
Sensazione questa, confermata in diversi suoi altri libri e che si ritrova appunto anche in Wenders, in una continua ricerca di se stessi, in perenne stato di isolamento e solitudine, i personaggi di Wenders vagano per la Germania o per l'America in continuo movimento. Motion Emotion ha detto Wenders, rilevando come in lingua inglese vi sia solo una piccolissima differenza tra le due parole.
Film dalla struttura così esile da creare stupore e confusione nello spettatore che li avvicina impreparato la prima volta. Film dalla predominanza assoluta dell'immagine sulla parola, film - con le parole di Wenders - in cui non c'è più bisogno di dimostrare ma solo di mostrare.
Ha detto bene Paolo Bertetto nell'introduzione ad un libro di scritti di Wenders: "(...) "falso movimento" ha la forma rovesciata di un itinerario geografico in cui non si acquisisce sapere nuovo, né si fa tesoro delle esperienze vissute, ma si producono condizioni di appropriazione e di estraneità, di disagio e di creatività nel nomadismo permanente. Non si accumulano esperienze formative, né si accede alla maturità, ma semmai ci si libera di una formazione inerte, inibente, per acquisire nuovi stimoli del funzionamento immediato, che non si sommano a nulla, garantiscono soltanto un breve stato di creatività, una disposizione particolare alla scrittura".

Oltre la superficie
Non vorrei essere frainteso, una grande distanza stilistica ed etica separa Herzog da Wenders; il riferimento costante della sua attività registica resta il cinema americano classico, è da lì che parte la forza vitale del suo cinema, eppure penso non sia inesatto il percepire in Wenders dei temi che lo avvicinano concettualmente ad Herzog.
In Wenders, come già detto, non c'è la difesa appassionata dell'emarginazione, ma in lui vi è il passaggio logico successivo: la proposta - in tutti i suoi film - di un "vedere" più vero, più attento, un tentativo di sguardo oltre la superficie; cosa di cui vi è un indispensabile bisogno per l'eliminazione delle barriere verso i diversi.


Wim Wenders

Cineasta profondo e con una intensità di stile molto forte, si situa al pari di Herzog all'interno di quel movimento di cineasti che alcuni anni fa veniva chiamato "il nuovo cinema tedesco"; accomunnato ad Herzog anche per uno stile lento e contemplativo, profondamente antitelevisivo.
Wenders ha sempre dichiarato una grande passione per il cinema americano classico; l'amore verso questo cinema è fondamentale per la comprensione dei suoi film. Un amore particolare, strutturato come una contrapposizione: una grande ammirazione verso di esso e l'idea di partire da lì ma con la consapevolezza di voler fare film completamente "opposti", film senza storie precise, senza colpi di scena, senza far ricorso a generi (western, film polizieschi), senza caratterizzazioni psicologiche.
Elemento stilistico presente in tutti i suoi film è l'idea del viaggio; trasposizione di una sua particolare filosofia quotidiana che lo ha spinto a dire: "Penso che il movimento mantenga costantemente l'idea del cambiamento. Non è che la gente nei miei film cambi parecchio, per non dire affatto, ciò nonostante mantiene costantemente quell'idea. In realtà il cinema stesso è viaggio, ricerca movimento. La vita stessa è ricerca di un punto fermo. E quando si crede di averlo raggiunto non si è e non si sa ancora nulla. E bisogna ricominciare a muoversi" (Wim Wenders, L'idea di partenza, Ed. Liberoscambio).
I film di Wenders in Italia: La paura del portiere, Alice nelle città, Falso movimento, Nel corso del tempo, L'amico americano, Nick's movie, Lo stato delle cose,Hammett, Paris Texas, Tokio-ga.


Peter Handke

Scrittore austriaco coetaneo di Herzog, Peter Handke ha avuto una grande influenza su Wenders grazie ad una prosa che vive in una insospettabile "coincidenza" e similitudine con il narrare wendersiano. Quello che immediatamente si coglie come tratto d'unione tra questi due autori è in primo luogo la sospensione di cui godono quelle tracce di storia presenti in entrambi, e la cura, al contrario, per quanto di poco appariscente accade, in un'intensificazione dei dettagli, dei gesti comuni e delle atmosfere del paesaggio e della natura che provocano in chi vede o legge una sensazione di "prima visione" di oggetti e gesti ovvii. Non è anche questa una nuova etica della visione? Avvinta per così dire nel campo strutturale, formale, dell'opera? Dopo aver rilevato gli interessi di Peter Handke per una certa "insicurezza dell'esistenza" (apparentata a quel senso di stranimento dei personaggi di Wenders, all'attraversamento di una frontiera, di un paesaggio inedito), Peter Handke, come già gli altri due, ci fa partecipare alla sensazione di uno sguardo "ripulito", intensificato, attraverso una meticolosissima descrizione degli eventi, dove i personaggi compiono pochi mutamenti dell'anima e si ritrovano solo alla fine (e solo in alcuni suoi libri) all'inizio di un qualche cambiamento.
Libri dal carattere principalmente "visivo" si ricongiungono idealmente ai temi di questi nuovi autori della visione.
I libri di Handke: L'ambulante; Prima del calcio di rigore; Breve lettera del lungo addio; Il peso del mondo; La donna mancina; Infelicità senza desideri; Storia con bambina; L'ora del vero sentire; Nei colori del giorno; Attraverso i villaggi; Lento ritorno a casa.


Werner Herzog

"Eccentrico, 'outsider', isolato, indefinibile, bizzarro, geniale, ispirato,mistico, con il suo atteggiamento spesso insofferente e scorbutico, intransigente, paradossale, Herzog suscita nei suoi osservatori e critici una riverenza mista a timore, come un titano ancora assopito che, destandosi, potrebbe annientare gli intrusi, i sacrileghi. Enfant prodige scopre il cinema d'intuito, senza maestri, senza modelli, dichiara di non aver mai lavorato neppure come assistente e mantiene nei confronti della tecnica un giusto disprezzo riproponendo sempre la semplicità dell'inquadratura con la macchina fissa, un montaggio che mostra le impurità in molti raccordi, la ripresa diretta del suono". (Paolo Sirianni)
Werner Herzog è nato nel 1942 a Monaco; contemporaneo di altri conosciuti registi tedeschi come Fassbinder, Schlondorff, Wenders, Kluge, Schroeter, ha avuto in Italia un buon successo soprattutto grazie ad alcuni film di "genere" (Nosferatu, Aguirre furore di Dio, ed anche Fitzcarraldo) che lo hanno avvicinato con più facilità alle grandi platee. Al di là di questi titoli è un auotore sconosciuto presso il grande pubblico, vista la non immediata comprensione dei suoi altri film. La sua originalità è fondata innanzitutto sulla maniera unica e personale di girare i suoi film.
"Il viaggio, gli incontri, la realtà di un film che si compie come evento unico, irripetibile, e assimila in sè la sorte dei suoi protagonisti, registra la costruzione delle zattere, i bivacchi, la progressiva consunzione del tutto, lo smarrimento, l'angoscia come dati non più fittizi dell'esperienza scenica. Resta, forse per l'ultima volta, il ricordo di quelle prove a cui Herzog si sottoponeva con un senso di espiazione e ricerca magica, rischiando espressamente la vita per pochi minuti di film, per testimoniare la propria presenza". (Paolo Sirianni)
Autore che non si è mai piegato alla logica del film di facile commercio, vista la radicalità dei soggetti trattati; autore che ha dichiaratamente mostrato la sorte a cui vanno incontro le persone che esprimono la propria differenza.
I suoi film più conosciuti sono: Fata Morgana; Anche i nani hanno cominciato da piccoli; Aguirre furore di Dio;L'enigma di Kaspar Hauser; Cuore di vetro;La ballata di Stroszek; Nosferatu; Woyzeck; Fitzcarraldo; Dove sognano le formiche verdi.