Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 151
dicembre 1987 - gennaio 1988


Rivista Anarchica Online

Dimenticare Pinelli
di Carlo Oliva

Bisogna fare uno sforzo, a volte, di fronte alle provocazioni del potere, per non cadere nelle trappole che ci vengono tese, reagendo nel modo in cui il potere crede, appunto, che reagiremo. Non è sempre facile, ma vale la pena di fare uno sforzo. Le trappole sono sempre trappole e, per definizione, non portano da nessuna parte.
Così, di fronte a una provocazione particolarmente squallida e dolorosa, come la decisione della giunta municipale di Milano di rimuovere da piazza Fontana la lapide che ricordava Giuseppe Pinelli, "ferroviere anarchico ucciso innocente in Questura", bisogna evitare le reazioni prevedibili e previste, per non cadere nella trappola della lamentazione e del vittimismo.
Non ci chiederemo, quindi, perché mai la giunta di Milano, una giunta democratica, con tanto di sindaco socialista, abbia preso una simile decisione. Non faremo appello alle contraddizioni ideologiche degli uomini e dei partiti che ne fanno parte. Non faremo finta di stupirci di questo ennesimo tentativo di cancellare un pezzetto di storia. Accade spesso che dopo uno scontro ideale, piccolo o grande, i vincitori cerchino di cambiare la storia, secondo un modello operativo che è più o meno lo stesso dai tempi in cui il Senato romano ordinava la damnatio memoriae di qualche imperatore uscito repentinamente di scena.
George Orwell non ha inventato niente. Da sempre i vincitori, i potenti, rimuovono lapidi, abbattono monumenti, cambiano i nomi dei luoghi e riscrivono i libri, indifferenti alle accuse di stupidità che un simile agire suscita inevitabilmente. E non c'è motivo di pensare che chi gestisce il potere oggi sia meno stupido di quanto questo paradigma comporta, solo perché la sua storia ideologica ha coinciso, fino a un certo punto, con la nostra.
Ci rifiuteremo, anche, di pagare il prezzo che qualcun altro ha pagato, con maggior o minor entusiasmo (per non far nomi, l'ottimo Giuliano Zincone sul Corriere del 15 novembre), sposando la difesa della lapide di Pinelli con la condanna di qualche cosa d'altro, per esempio dei pessimi esiti, reali o presunti, di un movimento allora tanto virtuoso. Fino a qualche anno fa, non si poteva pronunciarsi su alcunché senza dichiararsi solennemente contrari a ogni forma di violenza. Era una pratica orrendamente ipocrita, ma almeno il tema aveva un suo spessore morale. Oggi, a quanto parte, per difendere la democrazia è necessario parlar male dei COBAS. Che tristezza.
Il fatto è che quella lapide, con la sua stessa esistenza, a qualcuno dava evidentemente fastidio. E forse non tanto per le parole che vi erano incise o per le polemiche che rievocava, in fondo è vero, come hanno scritto con compiacimento tanti giornali, che gli adolescenti di oggi non sanno nemmeno chi sia quel personaggio, e buona parte di quanti gridavano per le strade che Valpreda era innocente e Pinelli era stato assassinato oggi hanno ottimi motivi personali per incoraggiare questa ignoranza.
In fondo, ci sono in giro tante lapidi in memoria di personaggi un tempo parecchio scomodi, che oggi non danno fastidio a nessuno. Anzi, è lecito persino supporre che l'esistenza stessa di una lapide consacri una certa ufficialità del soggetto cui è dedicata, ne attenui in un certo modo la scomodità, relegandolo in un limbo di cittadini illustri e beatificati.
Ma questa lapide no. Non aveva niente di ufficiale. Non era stata installata per delibera di qualche organo pubblico, in presenza di un sindaco, di un paio di ministri e dei relativi operatori televisivi, dopo un adeguato dibattito nella sede opportuna e il raggiungimento d'un "ragionevole" compromesso tra le componenti politiche. Non era, in altre parole, un documento istituzionale. L'avevamo collocata noi, come atto di sfida, come mezzo per affermare una nostra verità, come tentativo di praticare uno dei nostri obiettivi al di fuori delle mediazioni che zelantemente ci proponevano.
Il che significa, in definitiva, che quella lapide era comunque destinata ad essere rimossa, di qualunque messaggio fosse portatrice e ad opera di chiunque gestisse, al momento opportuno, la cosa pubblica. Era una lapide "anarchica" appunto, di un anarchismo non tanto ideologico quanto funzionale. Era assolutamente incompatibile con il sistema, le sue istituzioni e la sua miserabile cultura.
Ecco, senza fare della retorica movimentista o del reducismo a tutti i costi, pensiamo che su questa incompatibilità valga la pena di riflettere un poco.