Rivista Anarchica Online
Contro la guerra
di Pino Bertelli
Questo di Kubrick è un film
minimale. Attori quasi sconosciuti, un Vietnam ricostruito in
Inghilterra, qualche palma importata dalla Spagna, un paio di
elicotteri, incendi, fumi e alcuni edifici in demolizione della zona
Est di Londra bastano a Kubrick per mostrare l'insensatezza della
guerra. Di tutte le guerre. In "FULL METAL JACKET" gli
eroi non sono stanchi ma costruiti nel campo di addestramento dei
Marines a Parris Island (Carolina del Sud). Una generazione nata per
uccidere incarna la filosofia del genocidio e dell'imperialismo
squisitamente americani; leucemia politica e simulazione
dell'ordinamento democratico statunitense, emergono in ogni libro,
film o servizio televisivo che ricerchi alla radice l'origine
dell'arroganza della bandiera a stelle e strisce, lasciano riflettere
sullo spettro dell'oppressione americana che si aggira nel mondo e fa
della democrazia il paravento di una macchina da guerra. La
democrazia che non si usa, marcisce. La prima parte di "FULL METAL
JACKET" descrive le otto settimane di addestramento delle
reclute al comando del sergente Hartman (Lee Ermey). C'è
l'aspirante giornalista che imita John Wayne (Matthew Modine), il
cowboy texano (Arliss Howard), l'imbranato grassone (Vincent
D'Onofrio) ecc... insomma la crema della nuova America che gioca a
fare la guerra. A Paris Island i ragazzi dormono con
il fucile (al quale danno un nome di donna), scoprono il cameratismo,
pregano la Madonna e ne escono dei veri killer in uniforme,
scalpitanti di fare la festa ai "rossi". Dio, Patria, Esercito e Famiglia sono
il ricettacolo della paralisi sociale; la colonizzazione della
comunità e un protettorato di larve della predica politica e
dell'oscenità religiosa che cercano invano di arginare
l'approssimarsi della loro fine. Alla fine del corso il disarmonico
grassone Pyle, carica il suo M-14 con proiettili corazzati (Full
Metal Jacket), impiomba il sergente Hartman e poi si spara in bocca.
È la prima vittima
della stupidità della guerra. La seconda parte di "FULL METAL
JACKET" si raccoglie sul campo di battaglia. Nella città
di Hue, durante l'offensiva scatenata dai nord vietnamiti nei giorni
delle festività Tet (1968). Kubrick si limita a raccontare un
episodio. Una squadra di Marines contro un cecchino (che è una
donna). La ragazza fa fuori alcuni soldati, poi viene ferita e
freddata sul posto dallo scettico giornalista Joker. Ora non ha più
paura e insieme al resto del plotone s'incammina verso nuove
avventure cantando la marcia degli "amici di Topolino". Per molti versi "FULL METAL
JACKET" si riallaccia al pacifismo radicale che Kubrick ha
trattato in "ORIZZONTI DI GLORIA" (PATHS OF GLORY, 1957) e
"IL DOTTOR STRANAMORE, OVVERO COME IMPARAI A NON PREOCCUPARMI E
AD AMARE LA BOMBA" (Dr. STRANGELOVE: OR HOW I LEARNED TO STOP
WORRYNG AND LOVE THE BOMB, 1964); il film è pervaso dalla
stessa amarezza, la solita imbecille ottusità dell'apparato
militare. In "FULL METAL JACKET",
l'ironia, il pessimismo di Kubrick si fanno spessi, invitano a
guardare la guerra in modo sordido, dove ogni morte è la
celebrazione della violenza e l'apoteosi dell'assassinio in uniforme. Da qualche parte, Gustav Landauer ha
scritto: "L'emancipazione è possibile per coloro che
dentro di sé si preparano ad uscire dal capitalismo, che
smettono di svolgere un ruolo e cominciano a diventare degli esseri
umani" (1911). A una lettura più profonda, "FULL
METAL JACKET" mostra i filamenti di una società congelata
nel militarismo e nell'oppressione politica; l'oscenità della
menzogna culturale pontifica regimi dell'indifferenza e sottrae
all'immaginario popolare le azioni e i significati di un
rovesciamento di prospettiva. "FULL METAL JACKET" è
tratto dal libro di Gustav Hasford (ex-corrispondente di guerra)
"Short-Timers", che ha collaborato alla sceneggiatura
insieme a Kubrick e Michael Herr. E proprio la stesura del copione
sembra la parte minore di questo film, sotto molti aspetti singolare.
Non tanto per citazioni e rifacimenti al cinema di guerra americano
degli anni '50, piuttosto è l'esilità dei dialoghi e la
mancanza di una caratterizzazione più ampia della camerata dei
Marines, a soffocare le possibilità di analisi dei singoli
individui, quindi al rimando della loro quotidianità da
civili. La fotografia di Douglas Milsome è
di solida fattura, centrata la partitura musicale di Abigal Mead. Il
lavoro degli attori è di ordinaria amministrazione,
l'interpretazione del sergente Hartman e del grassone Pyle "buca"
per eccesso. Alcune lentezze/ripetizioni di montaggio gravano non
poco sul ritmo del film ma l'"occhio" (le inquadrature) di
Kubrick disvelano il reale oltre l'architettura/artificio dello
spettacolo bellico. "FULL METAL JACKET" è
comunque un atto di coraggio, la figurazione della stupidità
della guerra diffusa ovunque come difesa delle tradizioni e amore per
la Patria. La sconfitta dell'intelligenza e la
miseria della politica danzano insieme sulla bocca dei cannoni.
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