Rivista Anarchica Online
Autogestione a Marly
di Pons / Luque / Duboc / Mazel
"Molte cose che
si sono fatte a Marly sarebbero potute accadere anche altrove in
Francia, se solo la stampa avesse parlato di noi". Lo sostiene Jean Levy,
in quest'intervista realizzata da Suzanne Pons, Marie Laure Luque,
Catherine Duboc e Corinne Mazel e pubblicata sul n. 12/13
(inverno'82/'83) della rivista "Autogestions".
Puoi parlarci della
nascita del liceo autogestito di Marly?
Credo che non posso più
parlare di Marly come avrei fatto un anno fa. Dopo Marly, sono stato
presso l'iniziativa di Parigi; dunque le mie risposte andranno
sicuramente ad accavallarsi. Ho iniziato la mia
attività di insegnante nel 1973 in un liceo classico della
periferia parigina ed in capo ad un anno di lavoro avevo veramente la
sensazione di fare un mestiere da pazzi. Vedevo che mi sciupavo così
come gli studenti e non ero del tipo di quelli che attendono "la
grande Rivoluzione o Riforma" di chissà qual ministro. A
quell'epoca mi ero interessato molto al liceo di Oslo e
all'esperienza di Summerhill; sempre allora, avevo conosciuto le
scuole parallele di Parigi. Nel mese di gennaio
1977, ci siamo riuniti tutti i mercoledì, un gruppo da 20 a 25
ragazzi e ragazze, di seconda, prima ed ultima classe e ci siamo
messi a parlare di scuola: che si faceva a scuola? che cosa non vi si
faceva? perché non si amava la scuola? che cosa c'era stato
d'altro in Francia e all'estero? ecc. ecc. E verso il mese di giugno,
forse perché era tempo di esami, il gruppo ha espresso il
desiderio di fare qualche cosa.
Al livello delle
istanze del mercoledì, delle conversazioni, c'era una
reciprocità o una separazione tra studenti e docenti?
Come prof, tentavo di
avere un rapporto differente. Ho continuato in quegli incontri ad
essere un adulto e loro dei ragazzi, ad essere uno che si sforzava di
giocare a sua volta alla non-direzione e che non si esimeva di essere
"talvolta" direttivo fin quando non fosse sopraggiunta la
non-direttività. Quei mercoledì,
c'era un'atmosfera molto bella che non aveva nulla a che spartire con
la scuola; la gente si soffermava sino a tardi, si esprimeva molto,
si instauravano dei rapporti di comunicazione reali. Quando entravo
in quella sala io mi zittivo ed essi si sentivano talmente a loro
agio che avevano voglia di parlare. Io non parlavo loro in modo
neutro ma con l'idea che ciò che sarebbe uscito da quelle
riunioni non sarebbe stata la mia scuola, dove sarebbero venuti a
iscriversi passivamente, ma una scuola fatta tra me e loro, "me
con loro". Nel 1977, in Francia si
era sotto Giscard, ed un liceo autogestito accettato nel Sistema
Educativo Nazionale rappresentava un progetto assolutamente
irrealizzabile. Da qui l'idea era di fare una scuola parallela. E
inoltre, la volevo gratuita. Perciò occorreva trovare un
locale gratuito e dei docenti volenterosi. Un animatore di Marly ci
offrì un piccolo salone in cattivo stato. Stavo con una
compagna prof di filosofia che era entusiasta del progetto; si partì
allora con dei mezzi limitati: due docenti e 7 o 8 studenti. Allora, si cominciò
nel 1977/78, anno che ho sempre detto anno 0 poiché quell'anno
gli studenti che si aggregarono non erano tutti descolarizzati. Io
ero docente a La Celle-Saint-Cloud dove mi guadagnavo da vivere e
dove tenevo a rimanere poiché ho sempre voluto restare dentro
le istituzioni. Quell'anno 0 è
stato assolutamente necessario affinché arrivasse l'anno 1;
l'anno 1 è nato dalla volontà degli studenti che,
durante l'anno 0, si sono detti che l'anno successivo "avrebbero
veramente fatto la loro scuola". C'era un insegnante
esterno per materia ed una quindicina di giovani descolarizzati. Era
la prima volta che un gruppo di studenti decideva di preparare il
loro bac in autogestione, al di fuori del sistema educativo
nazionale. Gli insegnanti venivano a riunirsi volontariamente con gli
studenti molto poco, più o meno una volta alla settimana o
due. Partendo dall'idea che ciò che è catastrofico in
un liceo tradizionale era il fatto che il prof sta sempre alle
costole dello studente, che questi non ha mai il tempo di pensare da
se stesso, di lavorare da solo, la mia idea era che gli studenti si
autogestissero il loro programma. In altri termini, che il lavoro
fosse in un primo tempo autonomo e che poi, in un secondo momento, i
docenti animassero la sintesi collettiva del lavoro. La pedagogia era
profondamente autogestionaria e gestita da coloro che ne usufruivano
in prima persona. In una scuola, l'utente principale è lo
studente, ed il docente deve essere l'animatore di questo
auto-apprendimento o di questo itinerario di apprendimento.
C'era anche autogestione
dell'istituto (anche se non era un istituto ufficiale) nella misura
in cui si tenevano degli incontri mensili tra insegnanti e studenti.
Io avevo con loro una riunione settimanale che si chiamava "analisi
istituzionale". È
lì che sono sopravvenute le crisi, perché di crisi, ce
ne sono state. Alcuni lasciavano la
scuola per molto tempo, altri si ritrovavano soli; alcuni appena
arrivati, volevano fare della scuola uno spazio di vita. Saltuariamente, venivano
alcuni genitori ad osservarci; c'era un incontro con loro una volta
all'anno ma gli studenti non ci tenevano ad incontrare i loro
genitori a scuola, e noi pure visto che c'erano molti conflitti tra
di loro. Il terzo anno, uno
studente ha voluto fare una classe di prima a Marly; ha cercato dei
compagni, e l'anno seguente c'era una classe di prima e una di
ultima. L'anno scorso, ci sono stati tanti studenti interessati, di
cui alcuni provenienti da Parigi, che si sono divisi in due gruppi
geografici; un gruppo s'è installato a Marly ed un gruppo a
Parigi, quest'anno, perché avevano sentito che a Marly non li
si poteva accogliere tutti; si sono tutti trasferiti a Parigi e si
sono installati in una casa occupata dove sono stati espulsi
recentemente, ne ha parlato pure Le Monde senza specificare di
quale scuola si trattasse. È
deplorevole, poiché questi ragazzi che realizzano nei fatti
ciò che c'è nel rapporto Schwartz vengono trattati come
abusivi perché non trovano istituti ad accoglierli. Con l'arretramento,
penso che la scuola di Marly sia stata più autogestionaria di
Summerhill o del liceo di Oslo. Credo che potrebbe essere un modello
interessante per risolvere la crisi dell'istituzione, per lottare
contro il fallimento scolare nelle scuole di quartiere.
Quali sono stati i
risultati?
Grosso modo, un 50% di
successo al bac. Se ogni anno ci fosse stato uno studente promosso su
10, non penso che avremmo resistito. Ma il fatto di avere la metà
degli studenti che riuscivano al bac ci gratificava, anche perché
chi non ci riusciva il primo anno passava al secondo. Ho detto all'inizio che
la scuola di Marly era una scuola parallela, ma si è sempre
voluto, detto e pensato che fosse più di una scuola: uno
spazio dove la gente imparava ad essere, a conoscersi. C'erano alcuni
che avevano altri obiettivi che quello di riuscire al bac; volevano
ore per raccontare tutto quello che facevano (giornali, radio libera,
ecc.).
Qual è il
ruolo dell'insegnante nella pedagogia di Marly?
Il docente aiuta lo
studente a prendere coscienza del suo programma in modo globale, non
esita a fornirgli elementi bibliografici, lo lascia apprendere da sé,
collega i discorsi, svela le problematiche soggiacenti. Tutto tranne
che un corso magistrale. Al livello della sintesi
collettiva, il docente può avere interesse a rettificare
qualcosa che pensa essere un errore e correggerlo; non è un
docente nel senso tradizionale del termine: egli rinuncia alla sua
dinamica didattica.
Avete tentato di
essere riconosciuti dal Ministero, o avete voluto continuare in
totale autogestione?
Nel 1979/80,
l'esperienza che portavo avanti era considerata sovversiva per il
Provveditorato di Versailles. Siamo rimasti clandestini, quantomeno
informali sino al 10 maggio 1981; a partire da quel giorno, pensavo
di poter proporre l'istituzionalizzazione di una scuola come Marly.
Voglio sottolineare che quel che si pratica a Marly si pratica alla
luce del sole; e comunque Marly poneva un certo numero di problemi e
dei limiti. Il primo limite è che gli studenti descolarizzati
si presentavano come candidati liberi e per quelli che seguivano
l'insegnamento superiore non era molto semplice. Questo apre un certo
numero di orizzonti: le scuole superiori, la preparazione normale,
ecc... Non c'è registro scolastico, limite che diviene reale
allorché vuoi organizzare il tuo modello, ma che tutti non
vedono in questo modo. Il secondo limite è
che in Francia la scuola è obbligatoria e quando non sei
scolarizzato, ai tuoi genitori non spetta più l'assegno
familiare e non è affatto facile per gli studenti essere
coperti dall'assicurazione. Il terzo limite è
quello che ha giustificato la mia partenza per Parigi. A Marly, il
numero era forse interessante quando si era in tanti, quando si era
in 40 alle riunioni. Ma nella misura in cui uno dei principi
fondamentali era la libertà totale per lo studente d'essere
presente o meno, questa libertà, quando era esercitata,
portava di tanto in tanto a un lavoro indipendente, in cui ci si
ritrovava in 3 o 4. Era insufficiente ed è stato quello che mi
ha spinto a proporre dal mese di giugno la nascita di un liceo
autogestito a Parigi sul modello di Marly, ma con una popolazione
scolare, all'inizio, di 100 studenti, che è passata a 200 dato
che c'è una proporzione da rispettare tra studenti e docenti.
Attualmente, siamo 24 docenti per 150 studenti.
Nell'equipe
autogestita di Parigi, solo tu vieni da Marly o siete di più?
Un solo docente di Marly
partecipa al progetto di Parigi; gli altri non ci sono non tanto per
ragioni ideologiche, quanto perché alcuni non erano docenti
superiori, e poi altri continuavano ad avere voglia di intervenire a
Marly. Qui, il docente dedica 3 o 4 giorni alla settimana agli
studenti, mentre al liceo di Parigi è un servizio continuo che
richiede molta disponibilità.
Ritieni che
l'esperienza di Parigi sia un arretramento rispetto all'esperienza di
Marly, nella misura in cui adesso sei molto più dentro nel
rapporto prof/ studente?
È una domanda
molto difficile e bisognerebbe dire che Marly non ha funzionato così
bene come ha dato l'impressione. Molti studenti hanno manifestato più
d'una volta la sensazione d'essere smarriti ed il bisogno d'avere una
presenza più rilevante degli adulti. Quel che mi sembrava
interessante è che i prof erano meno presenti che al liceo, e
questo mi sembrava prezioso. Ho potuto dunque coniugare dei progetti
intellettuali con una realtà e un vincolo della gratuità. D'altronde, il bilancio
di due mesi di liceo autogestito a Parigi non è semplice;
alcuni docenti hanno creato stabilmente un problema di potere. Ciò
non impedisce visioni alternative, c'è una ricchezza di
riunioni, di comunicazione, e gli studenti non se ne lamentano. Sono piuttosto io che ho
un po' paura. Sono troppo estremista? Vorrei bruciare le tappe,
preferirei che il liceo autogestito di Parigi funzionasse con dei
docenti un po' meno presenti perché gli studenti hanno la
tendenza a lasciar fare loro le cose. Altri mi dicono che se non
fossimo presenti, gli studenti semplicemente non sarebbero là.
È un'analisi che rimbalza ora di qua ora di là, non
vorrei che ne nascesse una gerarchia tra le due esperienze. A Parigi,
i genitori erano reticenti all'ingresso dei loro ragazzi in questo
liceo; quando tu hai l'idea di cambiare la scuola, hai interesse a
fare una scuola alla quale possano aderire i genitori. Il liceo
autogestito di Parigi offre alla maggioranza dei genitori l'immagine
di un non-liceo perché non è un luogo dove si mettono
dei voti, dove c'è un consiglio di classe, dove c'è una
disciplina. Da noi non ci sono nemmeno le classi; questo mi consente
di dire che a Parigi si è andati più lontano nel senso
che si sono fatte "scoprire" le materie: per esempio, un
seminario sull'anarchismo può aprirsi ora allo spagnolo, ora
alla geografia, alla storia, ecc... Diciamo che il liceo di Parigi,
per il suo riconoscimento istituzionale, il suo statuto, la sua
dimensione, è un modello che può più svilupparsi
in seno al sistema educativo nazionale.
Cosa avresti da dire
in conclusione su Marly?
Penso che molte cose che
si sono fatte a Marly sarebbero potute sorgere in Francia se la
stampa avesse dapprima parlato di noi. In realtà il nostro
processo era semplice; trovare 30 mq, dei docenti o meglio degli
studenti volenterosi all'ultimo anno, e alcuni liceali che ne hanno
abbastanza del liceo. A mio avviso, se non ci fosse stato Marly, non
avremmo il liceo autogestito di Parigi. Quello è stato un
trampolino, ho imparato a credere ed a sapere che gli studenti
potevano fare a meno del prof tradizionale, del preside, dei
regolamenti. Per me, Marly è una risposta, una
soluzione alla crisi della scuola, alla noia; è anche la prova
che i ragazzi non sono tutti contrari all'apprendimento ed al sapere,
ma lo sono nella forma che viene loro proposta: sono contrari ad una
scuola che non sentono loro. A Parigi, l'uso del tempo, che non si
chiama più pianificazione, è determinato da docenti e
studenti; a Marly, lo era per lo più dagli studenti, ed era in
funzione dell'arrivo di docenti che lo determinavano. Il mio progetto, sicuro,
è politico; ritengo che se si è andati alla scuola
napoleonica, si resta napoleonici sino al momento del proprio lavoro,
compresi i prof dell'Università che hanno dei bei discorsi
autogestionari e che, nella loro pratica, sono spesso dei grandi
baroni e dei bonapartisti.
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