Rivista Anarchica Online
Rompete le file!
di Claudio Venza
Il militarismo reazionario, il neomilitarismo riformista e l'antimilitarismo rivoluzionario
Negli ultimi tre-quattro anni le analisi sulla funzione dell'esercito e del
militarismo, sua espressione, sono
state numerose e di vario genere. Questa attenzione può essere spiegata con lo sviluppo dello
spirito e
delle azioni antiautoritarie verificatosi, anche se con fasi alterne e contraddittorie, dopo il '68.
L'agitazione degli studenti, pur con tutte le caratteristiche negative date dalla natura di classe
relativamente privilegiata e dalle dirigenze di avanguardia, aveva comunque messo sotto accusa varie
strutture autoritarie. A partire dalla scuola l'interesse si era allargato agli ospedali psichiatrici, alle carceri
e, quando la ventata libertaria stava scemando, finalmente anche all'esercito. Hanno così
avuto fortuna alcune ricerche che solo pochi anni prima sarebbero rimaste pressoché
sconosciute. Valga per tutte "La macchina militare" di Angelo D'Orsi (Ed. Feltrinelli) che si avvia alle
20.000 copie vendute (1). In generale all'esercito italiano si riconoscono delle funzioni economiche
(bilancio annuo di quasi 2.000
miliardi, rapporti con l'industria bellica, approvvigionamenti,...), politiche (appoggio delle alte gerarchie
ai gruppi di destra, minaccia permanente di un colpo di stato, schedature dei sovversivi, interventi
antisciopero), ideologiche (lavaggio del cervello della naja, manifestazioni nostalgiche e nazionaliste,
associazioni di ex-combattenti e dei vari corpi). Altro materiale molto interessante è stato
elaborato dai vari gruppi antimilitaristi, ma è poco noto e
spesso sparito dalla circolazione per evitare grane giudiziarie ad autori e diffusori. Tra l'altro le ricerche
sull'esercito, quando vengono pubblicizzate, corrono il rischio di diventare corpi di reato, un reato
chiamato vilipendio. Il potere statale tollera studi di livello accademico, ma non sopporta che si
demistifichi fra le masse la
sua prediletta pupilla militare. Il reato di vilipendio è un'ennesima dimostrazione che le
libertà di pensiero
e di espressione sono, più o meno tranquillamente, represse dallo stato.
Storicamente il movimento anarchico ha avuto nei confronti del militarismo delle posizioni molto
chiare
e decise. Gli antiautoritari conseguenti, in quanto oppositori dello Stato e di ogni forma di potere, sono
sempre stati accesi antimilitaristi. In ogni associazione di classe a cui partecipavano, sostenevano la
necessità di opporsi all'esercito nella prospettiva della sua eliminazione. Nel movimento operaio
e
sindacale, poiché impostavano lotte sociali e non agitazioni settoriali, sviluppavano la critica e
conducevano agitazioni di massa contro il militarismo (2). La guerra e la leva furono denunciati
come esempi macroscopici della violenza statale contro il popolo
e le sue aspirazioni. Il massacro a cui i proletari furono mandati, soprattutto durante la prima guerra
mondiale, costituì il cardine della propaganda antimilitarista del primo dopoguerra.
Contemporaneamente
i compagni diffondevano attraverso il quotidiano "Umanità Nova" notizie sulle gravi condizioni
di vita
della truppa e sulle mene del militarismo italiano. Le rubriche antimilitariste molto frequenti nel
1920 erano intitolate "La voce del soldato" o più
chiaramente "Le barbarie della caserma" e "Sotto l'infame militarismo". I resoconti sulle carceri militari
erano presentati come notizie dalle "Tombe dei vivi", i numerosi atti di rivolta e i più rari episodi
di
fraternizzazione con lavoratori in sciopero con il titolo "Bravi soldati". Venivano pure comunicati gli
spostamenti di materiale bellico per dare modo ai compagni ferrovieri di sabotarli. Su
"Umanità Nova" quotidiano si trova un elenco di opuscoli antimilitaristi distribuiti gratis ai
soldati.
Nel 1921 compaiono vari articoli sulle agitazioni popolari contro le "compagnie di disciplina" in cui gli
ufficiali rendevano impossibile l'esistenza ai militari di leva ribelli. Non è vero, come hanno
affermato vari socialisti moderati e poi anche i comunisti, che la decisa
mobilitazione contro l'esercito abbia fatto perdere alle forze rivoluzionarie molti reduci proletari che
sarebbero stati scherniti e insultati e vilipesi dai "rossi" e quindi buttati nelle braccia del fascismo che
invece li avrebbe degnamente valorizzati. Prova ne sia, tra le altre, la fondazione della "Lega Proletaria
dei Mutilati e Reduci di Guerra". Va anzi considerato che proprio dalla tragica esperienza bellica
tutti i movimenti di classe avrebbero
dovuto partire per dimostrare ai lavoratori come lo stato e i padroni non si accontentino di sfruttarli
nella
produzione ma li usino quale "carne da cannone" nel tentativo di aumentare i propri domini a scapito
di
sfruttatori stranieri concorrenti. Caso mai c'è da rilevare il contrario e cioè che una
incompleta o
comunque insufficiente propaganda sul ruolo essenziale delle forze armate nazionali nello sfruttamento
padronale e statale non ha permesso l'allargamento e il consolidamento in tutto il popolo della coscienza
antimilitarista e quindi lo ha privato della necessaria individuazione di tutti i nemici da
battere. L'antimilitarismo è così stato per vari decenni parte integrante e qualificante
dell'attività anarchica. Il suo
posto primario nella strategia rivoluzionaria libertaria è conseguenza della logica connessione
degli
impegni internazionalisti e antistatali. Il suo ruolo dipendeva, e dipende, anche dal modo di risoluzione
di alcuni problemi fondamentali per il movimento anarchico come il rapporto tra efficienza della lotta
armata e "necessità" del comando accentrato, la ineluttabilità della violenza nello
scontro con gli
oppressori e il superamento della stessa per creare la società di liberi ed uguali, la ricerca delle
forme più
valide di opposizione all'esercito di fronte agli strumenti repressivi e disumanizzanti della istituzione
militare. Questo tipo di problemi non sorge però per quelle forze politiche che dicono di
voler emancipare il
proletariato tramite la conquista del potere statale. Per essi è utile criticare solo una forma ed
un uso
dell'esercito, cioè quello fatto dagli avversari borghesi; essendo degli estimatori
dell'autorità e
teorizzando e applicando una nuova gestione dello stato, la dittatura del proletariato, il problema dei
marxisti nei confronti dell'esercito è solo quello di farlo diventare "rosso", la stessa tinta del loro
potere
tecnoburocratico. La loro differenza con i militaristi classici è del tutto marginale: usano gli
stessi mezzi
repressivi per tutelare forme di privilegio un po' diverse. Mentre la destra, in ogni momento di crisi,
tesse gli elogi delle forze armate "al di fuori della politica,
baluardo insormontabile della Nazione e dell'ordine", la sinistra, criticando certe "degenerazioni", cerca
di valorizzare l'esercito quale garante della costituzione e del progresso democratico, e si impegna in
proposte sempre più scoperte verso gli ufficiali di tutti i gradi per chiedere la loro comprensione
assicurandosi nell'evidenza di uno spostamento del governo verso sinistra. I loro slogan "l'esercito
con il popolo, il popolo con l'esercito" semplifica questo atteggiamento.
L'esercito, per i neomilitaristi, non va attaccato per eliminarlo, anzi va protetto e popolarizzato
perché
è utile e potrà esserlo di più nel futuro. Del resto nei paesi dove la stessa gente
esercita il potere, il ruolo
sociale dell'esercito è tutt'altro che ridotto. Per tutte le formazioni autoritarie e parlamentari
il popolo deve essere governato e guidato per il suo
bene, il popolo deve formare la truppa di quella società-caserma in cui essi sono, o cercano di
diventare
i colonnelli. I principi di funzionamento del sistema statale sono infatti sempre gli stessi: rigida divisione
delle funzioni in direttive ed esecutive, privilegio per i gradi superiori e sfruttamento per i gradi inferiori,
soffocamento di ogni vero tentativo di rivoluzione (lotte di massa antiautoritarie) e inglobamento dei
rappresentanti delle classi oppresse nella logica del potere gerarchico. Avviene perciò un
fatto singolare, ma significativo. La mentalità conservatrice stima e rispetta quegli
stati socialisti dove regnano i suoi stessi principi: l'ordine, la disciplina, l'obbedienza. I pretesti in nome
dei quali si instaura il terrore di stato sono effettivamente delle questioni molto
secondarie. Solamente chi rivolge una critica assoluta e completa verso ogni autorità
può svolgere coerentemente
ed efficacemente una lotta contro il militarismo che è niente altro se non il potere nudo e crudo,
privato
di quella falsa e illusoria cornice liberale di elezioni e partiti, riforme e sindacati.
Claudio Venza
1) È questo forse il miglior libro sul militarismo italiano, anche se risente di un'impostazione
marxisteggiante: utile per l'analisi sulla leva, sul riformismo del PCI e come parziale presentazione della
lotta antimilitarista. È dotato di un esauriente e aggiornata bibliografia. Tra gli altri studi sono
interessanti il libro Il potere militare in Italia (Ed. Laterza) e l'articolo di Bova-Rochat
Le forze armate
in Italia apparso su Inchiesta anno I n.2. Giorgio Rochat è uno dei pochi
storici del militarismo italiano
dall'Unità ad oggi. Molte informazioni e critiche si trovano sulla rivista antimilitarista Se
la Patria
chiama... (Bologna, via Grieco 7) a cui collaborano anche degli anarchici, che diffonde circa
5.000 copie
al mese. 2) Vedi G. Cerrito L'antimilitarismo anarchico in Italia nel primo ventennio del
secolo (ed. R.L.) e il
recente libro di Hugo Rolland Il sindacalismo anarchico di Alberto Meschi (ed. La
nuova Italia).
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