Rivista Anarchica Online
La settimana rossa
di Daniele M.
Un esempio storico del potenziale sovversivo dell'antimilitarismo, dalla mobilitazione popolare
all'insurrezione
Nella tematica teorica e nella pratica di lotta del movimento anarchico,
un aspetto fondamentale ha
sempre avuto la lotta antimilitarista. Una antimilitarismo che non è solo rifiuto della guerra e
della sua
violenza insensata e fratricida, ma lucida convinzione che le forze militari sono il braccio armato del
potere statale, e quindi combattendo queste si combatte un aspetto dello stato; un antimilitarismo che
si differenzia nettamente da quello strumentale che contesta solo un certo tipo di
militarismo. La natura dell'antimilitarismo anarchico è ben espressa in queste parole di Luigi
Fabbri: "Senza eserciti,
senza soldati, senza gente che faccia il mestiere di esercitare la violenza sui propri simili, non è
possibile
il permanere di alcun privilegio, sia politico, sia economico (...). Logicamente chi combatte il militarismo
combatte il sistema dell'autorità dell'uomo sull'uomo (...)". È appunto su questa tematica
antimilitarista,
(fondamentale nella lotta contro lo stato), che gli anarchici riuscirono a far nascere, negli anni che vanno
dalla fondazione dei primi sindacati allo scoppio della guerra '14-'18, un vasto movimento popolare,
protagonista ed artefice dell'insurrezione del giugno 1914, in seguito definita come la "settimana rossa".
Sugli stessi temi la propaganda anarchica era riuscita a coinvolgere anche tutte le forze sindacali e
politiche che si dichiaravano rivoluzionarie.
Antimilitarismo ed anarcosindacalismo
Per giungere ad una partecipazione così numerosa ed attiva c'erano voluti decenni di
propaganda e di
attività in tutta Italia, sia attraverso i molti circoli antimilitaristi sorti a decine, sia attraverso i
molti fogli
che vennero stampati, nonostante le particolari attenzioni della polizia. Più famoso tra questi
fu
"Rompete le file", il quale uscì in due riprese, prima sotto gli auspici dei
sindacalisti rivoluzionari, poi
degli anarcosindacalisti. Scopo di questo foglio, spesso clandestino, era non solo di condurre
un'attiva propaganda contro le
istituzioni militari, ma anche di collegare questa lotta specifica a quella che si svolgeva nei campi e nelle
fabbriche, sottolineando che antimilitarismo e sindacalismo erano due aspetti della stessa lotta contro
i padroni e contro lo stato, contro lo sfruttamento e contro l'oppressione. Particolarmente
importante fu il lavoro svolto nelle caserme, dove gli anarchici cercavano di radicalizzare
all'interno delle stesse strutture militari la lotta contro l'esercito, mentre all'esterno era capillare la
denuncia contro le sevizie carcerarie cui erano sottoposti i soldati rivoluzionari incarcerati. Essi
venivano
infatti segregati nelle famigerate "compagnie di disciplina" e sottoposti ad un trattamento
inumano. Si sviluppò allora tutta una campagna di denuncia che culminò con la
rivelazione, su tutti i giornali di
sinistra, del famoso "Allegato 12", codice militare segreto in cui erano indicate tutte le
pene da usarsi
contro i soldati renitenti alla leva; tale fatto scosse l'opinione pubblica popolare che espresse in numerose
manifestazioni ed in atti contro lo stato, il malcontento ed i fermenti rivoluzionari. In questo clima
decisamente teso, il momento cruciale e più clamoroso della lotta antimilitarista lo si
ebbe quando l'anarchico Augusto Masetti, richiamato per la campagna libica del 1911, sparò
contro un
ufficiale, ferendolo, al grido di "Viva l'Anarchia, abbasso l'esercito". Era la prima volta che la gerarchia
militare veniva colpita, che il concetto stesso del militarismo veniva così fieramente negato. La
leva che
toglieva ai campi le braccia per lavorarli, le inutili guerre che avevano fatto morire migliaia di lavoratori,
venivano negate e combattute con un gesto che era una sfida. Masetti divenne subito un simbolo di lotta
e di ribellione, e tutta l'Italia fu attraversata da una crescente ondata antimilitarista e rivoluzionaria, che
politicamente trovava la cassa di risonanza maggiore nei periodici anarchici che subito intrapresero una
campagna in favore di Masetti, che rischiava la pena capitale (1).
La campagna pro-Masetti
Tutte le altre forze rivoluzionarie vengono coinvolte in questa atmosfera incandescente, lo stesso
partito
socialista, sull'Avanti! organo ufficiale, pubblica giornalmente un trafiletto dedicato alla
lotta
antimilitarista, nell'ambito della campagna a favore della liberazione di Masetti, con la collaborazione
del
futuro "duce" Mussolini, allora socialista e direttore dell'Avanti!, che definisce "martire" il Masetti, lui
che sarebbe divenuto l'alfiere del militarismo. Col passare del tempo, anziché scemare,
l'interesse intorno a Masetti continua e si accresce: anche
piccoli paesi hanno un loro circolo per la liberazione dell'anarchico. Soprattutto l'atteggiamento delle
autorità, estremamente pavido rende più decisa la protesta popolare, non sempre
verbale. Tanto famoso diviene il caso Masetti (come quello Dreyfus in Francia) che si organizzano
anche dei
comizi antimilitaristi in Francia ed in Svizzera presso le colonie italiane di emigrati. Inoltre altri fatti
che accusano le forze militari sono venuti alla luce grazie alla propaganda antimilitarista:
le rappresaglie fatte in Libia dagli ufficiali contro i soldati ribelli, le condanne subite sotto la leva da
Dario Fieramonti e Antonio Moroni, condannati per i loro precedenti sindacalisti.... Questi fatti
accendono ancor di più l'odio popolare contro gli apparati militari e, nella prospettiva di
generalizzare
la propaganda, su proposta dell'U.S.I. cui aderiscono sia i socialisti sia i repubblicani, si decide di
organizzare una giornata di lotta "per reclamare la liberazione di Masetti, di Moroni, e di tutte le vittime
del militarismo". Tutte le organizzazioni anarchiche e anarcosindacaliste danno, sui loro fogli di lotta,
il massimo risalto sull'avvenimento. L'U.S.I. scrive che: "La classe operaia non sarà libera che
il giorno
in cui, con la scomparsa delle classi, avrà debellato le ultime vestigia dello Stato. Contro il
militarismo
che costituisce il mezzo più terribile di violenza e di prepotenza di cui il governo si vale per
soffocare
nel sangue le aspirazioni del proletariato deve perciò levarsi la protesta e l'azione degli
oppressi". La propaganda deve ormai cedere il posto ai fatti, le tensioni sociali nel paese sono
diffuse, basta poco
per far precipitare la situazione: si stabilisce dunque di tenere per il 7 giugno manifestazioni in tutta
Italia. La risposta del governo non tarda a giungere per voce di Salandra, che vieta ogni manifestazione
di piazza, non potendo tollerare che proprio il 7 giugno, giorno di commemorazione dello Statuto (con
le solite parate militari), possa essere profanato con manifestazioni antimilitariste e sovversive. In tutte
le città nonostante l'ingente spiegamento di polizia, il popolo risponde con entusiasmo a questa
giornata
di lotta, ma (tranne che ad Ancona) non succedono incidenti di rilievo.
La rivolta di Ancona
Diversi gli avvenimenti ad Ancona, dove per sottolineare come le autorità politiche e militari
siano decise
ad affrontare qualsiasi protesta popolare, la seconda mossa, dopo il divieto, è di incarcerare il
notissimo
anarchico Errico Malatesta, personalità rivoluzionaria di maggior rilievo come seguito e come
esperienza, ed altri rivoluzionari. Tutti gli accessi a Piazza Roma, dove doveva tenersi il comizio,
vengono bloccati dalle forze armate. Indignati i dimostranti si riuniscono alla Camera del Lavoro per
discutere sul da farsi e la decisione fu di tenere un comizio nel pomeriggio in un locale chiuso, e
precisamente a "Villa Rossa", sede del partito repubblicano. Nel frattempo, terminate le parate militari,
Malatesta e gli altri incarcerati con lui vengono rilasciati e si recano alla Villa Rossa. Prendono la parola
lo stesso Malatesta e Pietro Nenni per i socialisti. Durante il comizio la villa viene circondata dalla
polizia
per impedire che alla fine del comizio i partecipanti formino un corteo; alle proteste dei dimostranti la
polizia per tutta risposta apre il fuoco, oltre a parecchi feriti, tre sono i morti; un anarchico e due
repubblicani. È la scintilla per la rivolta generale. Il popolo scende in piazza e l'insurrezione si
estende
a macchia d'olio in tutta Italia. Il giorno dopo le Marche e la Romagna sono entrate in sciopero, il
9 giugno lo sciopero è generale in
tutta Italia. In questi primi due giorni di lotta nell'epicentro dell'insurrezione il popolo diventa padrone
delle città; Ravenna, Ancona, Forlì, Fabriano, Iesi, Parma sono in mano alla popolazione
e si dichiarano
autonome dal governo italiano. Nel resto dell'Italia il governo è comunque assente. Anche a
Milano si
hanno giornate di lotta e il popolo raggiunge e conquista Piazza Duomo, anche se paga con un altro
morto. Il popolo, senza bisogno di guide e di "maestri", occupa gli uffici governativi e le stazioni
ferroviarie, blocca le caserme e i posti di polizia, abbatte i pali telegrafici e le insegne regie. La lotta
specifica contro il militarismo è stata superata e il popolo coscientemente e coerentemente
combatte
contro lo stato. Ma l'importanza della lotta anti-militarista non viene meno, anzi frequenti sono i
momenti
di fraternizzazione tra esercito e insorti, sintomo dell'estensione che la propaganda anti-militarista aveva
raggiunto. Con il popolo (e non alla testa del popolo, che non ha bisogno di "gloriosi partiti" che
lo guidino) tutte
le forze rivoluzionarie sono scese in piazza. Più entusiaste e combattive le organizzazioni
anarchiche e
l'U.S.I., a parole altrettanto pronti alla rivoluzione il Partito Socialista e la Confederazione Generale del
Lavoro, che deve sottostare in materia di decisioni politiche alle direttive del Partito Socialista.
Lo sciopero generale
Il giorno 9 anche la C.G.L., dopo l'U.S.I., proclama lo sciopero generale ad oltranza, nello stesso
giorno
il Sindacato Ferrovieri, che è autonomo, decide per l'entrata in sciopero, in modo che il governo
non
abbia più i mezzi per trasportare le truppe nei posti dove più violenta è
l'insurrezione. La rivoluzione
sembra ad un passo, il lavoro di tanti anni sta per dare i suoi frutti. Per maggiore sicurezza il Sindacato
Ferrovieri, che non dimentica il tradimento della C.G.L. ai suoi danni durante gli scioperi del 1907,
chiede conferma alla direzione socialista sui veri intendimenti dello sciopero, se è giunto il
momento di
portarlo alle sue estreme conseguenze. La risposta del P.S., a firma Lazzari-Morgari, conferma che allo
sciopero "non esiste limitazione condizionata". A questa categorica conferma, che lega alla
volontà del
P.S. anche le scelte della C.G.L., i ferrovieri cominciano lo sciopero generale lo stesso 9 giugno. Ma
proprio mentre la paralisi dei trasporti sta per dare il colpo di grazia allo stato, la Confederazione
Generale del Lavoro emette un assurdo e inaspettato contrordine per tutte le Camere del Lavoro
confederate: cessare lo sciopero entro la mezzanotte del giorno 10 giugno.
Il tradimento della C.G.L.
La cosa sembrò tanto assurda che in un primo tempo non fu creduta e si pensò ad
un inganno del
governo per creare confusione tra i rivoltosi e spezzare la lotta ormai ad un passo dalla rivoluzione.
Quindi venne la conferma, e se pure la rivolta continuò e in alcuni punti si estese ancora, oramai
il fronte
era spezzato e lentamente le forze in lotta aderenti alla C.G.L. cessarono lo sciopero. La rivolta, pur
scemando velocemente nei giorni seguenti continuò per tutta la settimana, ma ormai nella
delusione
generale. Questo era stato il primo dei due grandi tradimenti della C.G.L. e del P.S. ai danni dei
lavoratori che
lottavano per la loro emancipazione, ora come nel '21. Nel momento più vicino alla vittoria
scendevano
a patti col governo, spezzando l'unità della lotta e dichiarandosi apertamente contro la
rivoluzione, come
disse chiaramente Rigola, segretario generale della C.G.L., (rispondendo alle accuse di tradimento in
seguito alla decisione presa): "Felloni saremmo se avessimo predicato lo sciopero rivoluzionario e poi
lo avessimo troncato; ma nessuno di noi ha fatto questa predicazione e nessuno ha conosciuto questa
fellonia (...)". E se da una parte questa dichiarazione di Rigola è la conferma che la politica
riformista
della C.G.L. non era una scelta temporanea e di metodo, ma una scelta di fondo, conclusiva, è
d'altra
parte anche l'atto di accusa per il Partito Socialista a cui questa "fellonia" è da imputare. Infatti
in tutto
il periodo della sua esistenza organizzata il P.S. aveva predicato l'imminenza della rivoluzione e si era
sempre vestito di una fraseologia rivoluzionaria, ma nella settimana rossa (come poi nel '21) dimostra
di non avere né la volontà né l'organizzazione per farla. Al Partito Socialista
bastava il prestigio e la
potenza che aveva guadagnato con le sue capacità elettorali all'interno del sistema
borghese. Quanto mai indicativa per sottolineare l'attitudine riformista del P.S. è la
dichiarazione che Turati,
capogruppo parlamentare del Partito Socialista, fece ufficialmente in condanna della
settimana rossa:
"Il concetto fondamentale del moderno socialismo internazionale, giusta il quale le grandi trasformazioni
civili e sociali (...) non si conseguono mercè scatti di folle disorganizzate, il cui insuccesso
risuscita e
riattizza le più malvagie e stupide correnti del reazionarismo interiore, perpetuando il circolo
vizioso
della sterilità politica". Lo sdegno e la collera furono grandi dopo questi fatti, i capi
confederali responsabili della scelta, non
potevano girare per Milano, sede della C.G.L. senza che gli dessero del venduto e del traditore.
Il massacro mondiale
La fine della settimana rossa coincise con il rinascere di una repressione di tipo "crispino", in special
modo sugli anarchici, che in gran numero presero la via dell'esilio e del carcere. Ma questa repressione
doveva durare poco, perché dopo qualche mese la violenza degli stati e i loro interessi
imperialistici
dovevano scatenare un massacro mondiale che i lavoratori avrebbero pagato a caro prezzo. Gli
stessi rivoluzionari, incarcerati pochi mesi prima come teppisti, venivano liberati perché lo stato
intendeva farne "patrioti" pronti a dar la vita per la "patria", cioè carne da macello. La lotta
antimilitarista
fu portata avanti dagli stessi anarchici con diserzioni di massa e con propaganda anti-militarista tra i
soldati. Ma per quanto gli anarchici lottassero attivamente, la delusione e lo scoramento che erano
seguiti alla fine della settimana rossa, avevano stroncato la combattività di quello stesso
movimento
popolare che pochi mesi prima era giunto ad un passo dalla rivoluzione. I frutti che la settimana
rossa aveva in sé, cioè la partecipazione popolare all'insurrezione, i contenuti
libertari che portò avanti, non riuscirono ad essere colti, come abbiamo visto, per molteplici
fattori tra
cui le carenze oggettive del movimento rivoluzionario ed il tradimento riformista. Tuttavia la tematica
dell'anti-militarismo come forma avanzata di lotta di classe, il lavoro continuo, oscuro tra le masse che
distinsero gli anarchici in quel momento, sono un patrimonio di esperienza che deve essere oggi ripreso
per portare lo scontro di classe a tutti i livelli, per non cadere in un intervento di lotta parziale e per
coinvolgere ed indirizzare le masse verso la loro emancipazione in una rivoluzione globale cioè
anarchica.
Daniele M.
(1) La campagna, a parte i risultati politici di mobilitazione di massa (culminata con la "settimana
rossa")
ottenne anche la salvezza di Masetti, il quale non fu fucilato. Infatti le autorità politiche e
militari, nel
tentativo di squalificare il suo gesto e per evitare un processo, che li avrebbe sicuramente visti imputati
anziché accusatori, lo rinchiusero in manicomio, interrompendo l'azione penale. Masetti
sarà finalmente
liberato il 14 settembre 1919, grazie alle pressioni popolari.
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