Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 2 nr. 16
novembre 1972 - dicembre 1972


Rivista Anarchica Online

La settimana rossa
di Daniele M.

Un esempio storico del potenziale sovversivo dell'antimilitarismo, dalla mobilitazione popolare all'insurrezione

Nella tematica teorica e nella pratica di lotta del movimento anarchico, un aspetto fondamentale ha sempre avuto la lotta antimilitarista. Una antimilitarismo che non è solo rifiuto della guerra e della sua violenza insensata e fratricida, ma lucida convinzione che le forze militari sono il braccio armato del potere statale, e quindi combattendo queste si combatte un aspetto dello stato; un antimilitarismo che si differenzia nettamente da quello strumentale che contesta solo un certo tipo di militarismo.
La natura dell'antimilitarismo anarchico è ben espressa in queste parole di Luigi Fabbri: "Senza eserciti, senza soldati, senza gente che faccia il mestiere di esercitare la violenza sui propri simili, non è possibile il permanere di alcun privilegio, sia politico, sia economico (...). Logicamente chi combatte il militarismo combatte il sistema dell'autorità dell'uomo sull'uomo (...)". È appunto su questa tematica antimilitarista, (fondamentale nella lotta contro lo stato), che gli anarchici riuscirono a far nascere, negli anni che vanno dalla fondazione dei primi sindacati allo scoppio della guerra '14-'18, un vasto movimento popolare, protagonista ed artefice dell'insurrezione del giugno 1914, in seguito definita come la "settimana rossa". Sugli stessi temi la propaganda anarchica era riuscita a coinvolgere anche tutte le forze sindacali e politiche che si dichiaravano rivoluzionarie.

Antimilitarismo ed anarcosindacalismo

Per giungere ad una partecipazione così numerosa ed attiva c'erano voluti decenni di propaganda e di attività in tutta Italia, sia attraverso i molti circoli antimilitaristi sorti a decine, sia attraverso i molti fogli che vennero stampati, nonostante le particolari attenzioni della polizia. Più famoso tra questi fu "Rompete le file", il quale uscì in due riprese, prima sotto gli auspici dei sindacalisti rivoluzionari, poi degli anarcosindacalisti.
Scopo di questo foglio, spesso clandestino, era non solo di condurre un'attiva propaganda contro le istituzioni militari, ma anche di collegare questa lotta specifica a quella che si svolgeva nei campi e nelle fabbriche, sottolineando che antimilitarismo e sindacalismo erano due aspetti della stessa lotta contro i padroni e contro lo stato, contro lo sfruttamento e contro l'oppressione.
Particolarmente importante fu il lavoro svolto nelle caserme, dove gli anarchici cercavano di radicalizzare all'interno delle stesse strutture militari la lotta contro l'esercito, mentre all'esterno era capillare la denuncia contro le sevizie carcerarie cui erano sottoposti i soldati rivoluzionari incarcerati. Essi venivano infatti segregati nelle famigerate "compagnie di disciplina" e sottoposti ad un trattamento inumano.
Si sviluppò allora tutta una campagna di denuncia che culminò con la rivelazione, su tutti i giornali di sinistra, del famoso "Allegato 12", codice militare segreto in cui erano indicate tutte le pene da usarsi contro i soldati renitenti alla leva; tale fatto scosse l'opinione pubblica popolare che espresse in numerose manifestazioni ed in atti contro lo stato, il malcontento ed i fermenti rivoluzionari.
In questo clima decisamente teso, il momento cruciale e più clamoroso della lotta antimilitarista lo si ebbe quando l'anarchico Augusto Masetti, richiamato per la campagna libica del 1911, sparò contro un ufficiale, ferendolo, al grido di "Viva l'Anarchia, abbasso l'esercito". Era la prima volta che la gerarchia militare veniva colpita, che il concetto stesso del militarismo veniva così fieramente negato. La leva che toglieva ai campi le braccia per lavorarli, le inutili guerre che avevano fatto morire migliaia di lavoratori, venivano negate e combattute con un gesto che era una sfida. Masetti divenne subito un simbolo di lotta e di ribellione, e tutta l'Italia fu attraversata da una crescente ondata antimilitarista e rivoluzionaria, che politicamente trovava la cassa di risonanza maggiore nei periodici anarchici che subito intrapresero una campagna in favore di Masetti, che rischiava la pena capitale (1).

La campagna pro-Masetti

Tutte le altre forze rivoluzionarie vengono coinvolte in questa atmosfera incandescente, lo stesso partito socialista, sull'Avanti! organo ufficiale, pubblica giornalmente un trafiletto dedicato alla lotta antimilitarista, nell'ambito della campagna a favore della liberazione di Masetti, con la collaborazione del futuro "duce" Mussolini, allora socialista e direttore dell'Avanti!, che definisce "martire" il Masetti, lui che sarebbe divenuto l'alfiere del militarismo.
Col passare del tempo, anziché scemare, l'interesse intorno a Masetti continua e si accresce: anche piccoli paesi hanno un loro circolo per la liberazione dell'anarchico. Soprattutto l'atteggiamento delle autorità, estremamente pavido rende più decisa la protesta popolare, non sempre verbale.
Tanto famoso diviene il caso Masetti (come quello Dreyfus in Francia) che si organizzano anche dei comizi antimilitaristi in Francia ed in Svizzera presso le colonie italiane di emigrati.
Inoltre altri fatti che accusano le forze militari sono venuti alla luce grazie alla propaganda antimilitarista: le rappresaglie fatte in Libia dagli ufficiali contro i soldati ribelli, le condanne subite sotto la leva da Dario Fieramonti e Antonio Moroni, condannati per i loro precedenti sindacalisti.... Questi fatti accendono ancor di più l'odio popolare contro gli apparati militari e, nella prospettiva di generalizzare la propaganda, su proposta dell'U.S.I. cui aderiscono sia i socialisti sia i repubblicani, si decide di organizzare una giornata di lotta "per reclamare la liberazione di Masetti, di Moroni, e di tutte le vittime del militarismo". Tutte le organizzazioni anarchiche e anarcosindacaliste danno, sui loro fogli di lotta, il massimo risalto sull'avvenimento. L'U.S.I. scrive che: "La classe operaia non sarà libera che il giorno in cui, con la scomparsa delle classi, avrà debellato le ultime vestigia dello Stato. Contro il militarismo che costituisce il mezzo più terribile di violenza e di prepotenza di cui il governo si vale per soffocare nel sangue le aspirazioni del proletariato deve perciò levarsi la protesta e l'azione degli oppressi".
La propaganda deve ormai cedere il posto ai fatti, le tensioni sociali nel paese sono diffuse, basta poco per far precipitare la situazione: si stabilisce dunque di tenere per il 7 giugno manifestazioni in tutta Italia. La risposta del governo non tarda a giungere per voce di Salandra, che vieta ogni manifestazione di piazza, non potendo tollerare che proprio il 7 giugno, giorno di commemorazione dello Statuto (con le solite parate militari), possa essere profanato con manifestazioni antimilitariste e sovversive. In tutte le città nonostante l'ingente spiegamento di polizia, il popolo risponde con entusiasmo a questa giornata di lotta, ma (tranne che ad Ancona) non succedono incidenti di rilievo.

La rivolta di Ancona

Diversi gli avvenimenti ad Ancona, dove per sottolineare come le autorità politiche e militari siano decise ad affrontare qualsiasi protesta popolare, la seconda mossa, dopo il divieto, è di incarcerare il notissimo anarchico Errico Malatesta, personalità rivoluzionaria di maggior rilievo come seguito e come esperienza, ed altri rivoluzionari. Tutti gli accessi a Piazza Roma, dove doveva tenersi il comizio, vengono bloccati dalle forze armate. Indignati i dimostranti si riuniscono alla Camera del Lavoro per discutere sul da farsi e la decisione fu di tenere un comizio nel pomeriggio in un locale chiuso, e precisamente a "Villa Rossa", sede del partito repubblicano. Nel frattempo, terminate le parate militari, Malatesta e gli altri incarcerati con lui vengono rilasciati e si recano alla Villa Rossa. Prendono la parola lo stesso Malatesta e Pietro Nenni per i socialisti. Durante il comizio la villa viene circondata dalla polizia per impedire che alla fine del comizio i partecipanti formino un corteo; alle proteste dei dimostranti la polizia per tutta risposta apre il fuoco, oltre a parecchi feriti, tre sono i morti; un anarchico e due repubblicani. È la scintilla per la rivolta generale. Il popolo scende in piazza e l'insurrezione si estende a macchia d'olio in tutta Italia.
Il giorno dopo le Marche e la Romagna sono entrate in sciopero, il 9 giugno lo sciopero è generale in tutta Italia. In questi primi due giorni di lotta nell'epicentro dell'insurrezione il popolo diventa padrone delle città; Ravenna, Ancona, Forlì, Fabriano, Iesi, Parma sono in mano alla popolazione e si dichiarano autonome dal governo italiano. Nel resto dell'Italia il governo è comunque assente. Anche a Milano si hanno giornate di lotta e il popolo raggiunge e conquista Piazza Duomo, anche se paga con un altro morto. Il popolo, senza bisogno di guide e di "maestri", occupa gli uffici governativi e le stazioni ferroviarie, blocca le caserme e i posti di polizia, abbatte i pali telegrafici e le insegne regie. La lotta specifica contro il militarismo è stata superata e il popolo coscientemente e coerentemente combatte contro lo stato. Ma l'importanza della lotta anti-militarista non viene meno, anzi frequenti sono i momenti di fraternizzazione tra esercito e insorti, sintomo dell'estensione che la propaganda anti-militarista aveva raggiunto.
Con il popolo (e non alla testa del popolo, che non ha bisogno di "gloriosi partiti" che lo guidino) tutte le forze rivoluzionarie sono scese in piazza. Più entusiaste e combattive le organizzazioni anarchiche e l'U.S.I., a parole altrettanto pronti alla rivoluzione il Partito Socialista e la Confederazione Generale del Lavoro, che deve sottostare in materia di decisioni politiche alle direttive del Partito Socialista.

Lo sciopero generale

Il giorno 9 anche la C.G.L., dopo l'U.S.I., proclama lo sciopero generale ad oltranza, nello stesso giorno il Sindacato Ferrovieri, che è autonomo, decide per l'entrata in sciopero, in modo che il governo non abbia più i mezzi per trasportare le truppe nei posti dove più violenta è l'insurrezione. La rivoluzione sembra ad un passo, il lavoro di tanti anni sta per dare i suoi frutti. Per maggiore sicurezza il Sindacato Ferrovieri, che non dimentica il tradimento della C.G.L. ai suoi danni durante gli scioperi del 1907, chiede conferma alla direzione socialista sui veri intendimenti dello sciopero, se è giunto il momento di portarlo alle sue estreme conseguenze. La risposta del P.S., a firma Lazzari-Morgari, conferma che allo sciopero "non esiste limitazione condizionata". A questa categorica conferma, che lega alla volontà del P.S. anche le scelte della C.G.L., i ferrovieri cominciano lo sciopero generale lo stesso 9 giugno. Ma proprio mentre la paralisi dei trasporti sta per dare il colpo di grazia allo stato, la Confederazione Generale del Lavoro emette un assurdo e inaspettato contrordine per tutte le Camere del Lavoro confederate: cessare lo sciopero entro la mezzanotte del giorno 10 giugno.

Il tradimento della C.G.L.

La cosa sembrò tanto assurda che in un primo tempo non fu creduta e si pensò ad un inganno del governo per creare confusione tra i rivoltosi e spezzare la lotta ormai ad un passo dalla rivoluzione. Quindi venne la conferma, e se pure la rivolta continuò e in alcuni punti si estese ancora, oramai il fronte era spezzato e lentamente le forze in lotta aderenti alla C.G.L. cessarono lo sciopero. La rivolta, pur scemando velocemente nei giorni seguenti continuò per tutta la settimana, ma ormai nella delusione generale.
Questo era stato il primo dei due grandi tradimenti della C.G.L. e del P.S. ai danni dei lavoratori che lottavano per la loro emancipazione, ora come nel '21. Nel momento più vicino alla vittoria scendevano a patti col governo, spezzando l'unità della lotta e dichiarandosi apertamente contro la rivoluzione, come disse chiaramente Rigola, segretario generale della C.G.L., (rispondendo alle accuse di tradimento in seguito alla decisione presa): "Felloni saremmo se avessimo predicato lo sciopero rivoluzionario e poi lo avessimo troncato; ma nessuno di noi ha fatto questa predicazione e nessuno ha conosciuto questa fellonia (...)". E se da una parte questa dichiarazione di Rigola è la conferma che la politica riformista della C.G.L. non era una scelta temporanea e di metodo, ma una scelta di fondo, conclusiva, è d'altra parte anche l'atto di accusa per il Partito Socialista a cui questa "fellonia" è da imputare. Infatti in tutto il periodo della sua esistenza organizzata il P.S. aveva predicato l'imminenza della rivoluzione e si era sempre vestito di una fraseologia rivoluzionaria, ma nella settimana rossa (come poi nel '21) dimostra di non avere né la volontà né l'organizzazione per farla. Al Partito Socialista bastava il prestigio e la potenza che aveva guadagnato con le sue capacità elettorali all'interno del sistema borghese.
Quanto mai indicativa per sottolineare l'attitudine riformista del P.S. è la dichiarazione che Turati, capogruppo parlamentare del Partito Socialista, fece ufficialmente in condanna della settimana rossa: "Il concetto fondamentale del moderno socialismo internazionale, giusta il quale le grandi trasformazioni civili e sociali (...) non si conseguono mercè scatti di folle disorganizzate, il cui insuccesso risuscita e riattizza le più malvagie e stupide correnti del reazionarismo interiore, perpetuando il circolo vizioso della sterilità politica".
Lo sdegno e la collera furono grandi dopo questi fatti, i capi confederali responsabili della scelta, non potevano girare per Milano, sede della C.G.L. senza che gli dessero del venduto e del traditore.

Il massacro mondiale

La fine della settimana rossa coincise con il rinascere di una repressione di tipo "crispino", in special modo sugli anarchici, che in gran numero presero la via dell'esilio e del carcere. Ma questa repressione doveva durare poco, perché dopo qualche mese la violenza degli stati e i loro interessi imperialistici dovevano scatenare un massacro mondiale che i lavoratori avrebbero pagato a caro prezzo.
Gli stessi rivoluzionari, incarcerati pochi mesi prima come teppisti, venivano liberati perché lo stato intendeva farne "patrioti" pronti a dar la vita per la "patria", cioè carne da macello. La lotta antimilitarista fu portata avanti dagli stessi anarchici con diserzioni di massa e con propaganda anti-militarista tra i soldati. Ma per quanto gli anarchici lottassero attivamente, la delusione e lo scoramento che erano seguiti alla fine della settimana rossa, avevano stroncato la combattività di quello stesso movimento popolare che pochi mesi prima era giunto ad un passo dalla rivoluzione.
I frutti che la settimana rossa aveva in sé, cioè la partecipazione popolare all'insurrezione, i contenuti libertari che portò avanti, non riuscirono ad essere colti, come abbiamo visto, per molteplici fattori tra cui le carenze oggettive del movimento rivoluzionario ed il tradimento riformista. Tuttavia la tematica dell'anti-militarismo come forma avanzata di lotta di classe, il lavoro continuo, oscuro tra le masse che distinsero gli anarchici in quel momento, sono un patrimonio di esperienza che deve essere oggi ripreso per portare lo scontro di classe a tutti i livelli, per non cadere in un intervento di lotta parziale e per coinvolgere ed indirizzare le masse verso la loro emancipazione in una rivoluzione globale cioè anarchica.

Daniele M.

(1) La campagna, a parte i risultati politici di mobilitazione di massa (culminata con la "settimana rossa") ottenne anche la salvezza di Masetti, il quale non fu fucilato. Infatti le autorità politiche e militari, nel tentativo di squalificare il suo gesto e per evitare un processo, che li avrebbe sicuramente visti imputati anziché accusatori, lo rinchiusero in manicomio, interrompendo l'azione penale. Masetti sarà finalmente liberato il 14 settembre 1919, grazie alle pressioni popolari.