Rivista Anarchica Online
Non ti ha detto nulla la mamma?
di Andrea Papi
Da un decennio a Vignola, nel
Modenese, è aperto un centro sociale: Il Lambicco. Il nostro collaboratore Andrea Papi
ha intervistato alcuni suoi promotori. Al centro della chiacchierata:
autogestione, rapporti con le autorità locali, questione
droga, antimilitarismo ed altro ancora.
Dal novembre dell'ottantadue, a Vignola, cittadina importante del modenese, nota soprattutto per le rinomate ciliege esportate in tutto il mondo e fulcro della sua economia, è in atto un'esperienza unica, interessante, condotta rigorosamente e coerentemente attraverso i principi dell'autogestione. È "Il Lambicco", circolo libertario irregolare e non catalogabile, momento di esperienza altra, di fatto in opposizione con la cultura e l'etica dominanti, esempio pulsante di un modo di vivere realmente alternativo alla società dei consumi, del profitto e del mito del denaro. Sono amico di alcuni dei suoi fondatori da prima che nascesse. Conosco la loro storia e, in parte, ho partecipato alle loro lotte e al loro travaglio. Da anni avevo proposto loro di trasmettere la loro esperienza, dal mio punto di vista estremamente valida e degna di passare in qualche modo "alla storia" perché probabile stimolo a continuare a lottare e sperimentare per una vita e una società emancipate dalla logica del dominio e dalla tirannia del denaro. Ho sempre incontrato reticenza, forse dovuta a una non considerazione ironica della carta stampata, o che so ad altro. Finalmente, dopo vari tentativi, hanno accettato di parlare di sé al di fuori del proprio ambito. Ne è scaturita questa intervista, che da sola esprime in modo esauriente il loro vissuto e il loro esserci.
Siamo qui, nel centro autogestito
"Il Lambicco" di Vignola nel Modenese, assieme a Gianni,
Maurizio, Claudia, Ugo, Paolo, Leo, compagni che ne conoscono bene la
storia. Sarà più che altro una conversazione sul senso,
sulla storia e sul significato di questa esperienza abbastanza unica
nel suo genere. Partiamo direttamente da una domanda, poi il discorso
si svilupperà da solo, attraverso i pareri dei presenti. Cosa
significa veramente "Lambicco"?
Ugo - Lambicco viene dal
dialetto modenese "al lambèc" ed esprime un girare
attorno, masturbarsi il cervello per qualsiasi motivo. Il nome non è
stato scelto per motivi precisi. Anche quando dai il nome a un figlio
lo chiami in un certo modo per differenziarlo da qualcosa d'altro,
senza motivi particolari o significati reconditi. Però già
il fatto di cercare un nome ci impegnò per qualche ora perché
ne erano saltati fuori tanti; alla fine scegliemmo questo, più
ironico che provocatorio. Oltretutto stavamo usando come sede la sala
consiliare.
Voi vi definite centro autogestito.
Che senso date alla parola autogestione? C'è un'impostazione
unica o ce ne sono diverse?
Gianni - Il fatto che la
discussione sul significato della parola "autogestione" sia
iniziata fin dal primo giorno dell'occupazione, in un'assemblea molto
affollata, presente la controparte, i rappresentanti del potere
locale, cioè gli amministratori del comune di Vignola, o non
sia ancora finita, dà l'idea di come ci siano modi diversi di
vedere e di intendere la cosa.
È sempre emersa durante tutte le
assemblee che si sono svolte al Lambicco e continua a riemergere,
nella pratica e nelle scelte che via via venivano avanti, la sostanza
che sta dietro questa parola per ognuno di noi.
Anche i rappresentanti
dell'amministrazione comunale, all'indomani della nostra occupazione,
hanno usato questa parola, proponendoci l'autogestione del posto. Ma
crediamo che per loro abbia un significato ben diverso da quello che
noi, gruppo di occupazione del Lambicco, gli diamo. Per capire
meglio: penso che tutti quelli che erano presenti a quella memorabile
assemblea, al di là delle differenze e dei contrasti che
c'erano al nostro interno, continuino a ricordare che l'assessore
alla cultura, per definire il posto dove sistemarci, usò la
parola "contenitore". A suo modo di vedere, questi giovani
diversi di Vignola volevano semplicemente fare, o consumare, un
discorso culturale.
In base all'esperienza, io posso dire
come si sviluppa per noi nella pratica l'autogestione. In quanto
circolo registrato legalmente, il Lambicco ha un presidente. Una
figura che, di nome e di fatto, abbiamo considerato sempre puramente
formale. Le tre persone che fino ad oggi hanno svolto questo ruolo
non hanno mai avuto nessun potere, né comportamenti, o
influenza, o qualsiasi altra cosa che possa far pensare che avessero
una carica all'interno. Tutte le cose vengono decise all'interno
dell'assemblea, composta dagli aderenti al circolo. Un'assemblea
estremamente eterogenea, tanto è vero che vi hanno partecipato
anche persone che sono entrate una volta sola, per poi uscirne e
nessuno le ha più viste. Anche loro hanno potuto esprimere
liberamente la propria opinione.
Abbiamo fatto in modo che tutto ciò
che è vita del circolo passi attraverso l'assemblea, così
che il numero maggiore di persone ne sia a conoscenza possa
discuterne, dire la propria opinione. Nella pratica poi, i rapporti
quotidiani interpersonali fanno sorgere una serie di problemi, che
sono quelli che ognuno di noi si porta dentro. Questo al di là
dei diversi modi di concepire l'autogestione. Però il fatto di
decidere insieme quello che vogliamo fare, attraverso lo strumento
dell'assemblea, è una pratica abbastanza radicata all'interno
del Lambicco, venuta avanti nel corso degli anni. Tante persone per
nulla abituate a discutere in mezzo a tanta gente l'hanno fatta
propria.
"Nel tempo dunque sono sorti, e
forse continueranno a sorgere, una serie di problemi. Mi interessa
sapere come hanno inciso nell'ambito della gestione interna,
sostanzialmente assemblare (cioè su basi egualitarie) e se il
discuterne ha portato a definire meglio, ovviamente se ce n'è
stato bisogno, i metodi e le tecniche di gestione per riuscire a
rimanere su un piano egualitario?"
Maurizio - Il discorso
dell'uguaglianza si è subito presentato come un elemento da
realizzare e concretizzare all'interno del progetto di autogestione
che volevamo impiantare con questo circolo. Solo che sono nati una
serie di problemi, perché abbiamo sulle spalle una cultura
autoritaria che abbiamo assorbito dalla realtà che ci sta
attorno, la quale fa a pugni con i nostri fini libertari. Succede che
chi entra al Lambicco non si spoglia subito di questi abiti, creando
a volte meccanismi e situazioni che vanno al di là delle
nostre finalità di autogestione.
Per esempio, un grosso problema è
stato quello di accettare che anche lavare i gabinetti era funzionale
al circolo quanto fare una conferenza. Detta così sembra una
cosa molto ovvia. Ma assumere tutti un medesimo atteggiamento
rispetto al rapporto tra lavoro manuale e intellettuale, nel senso di
dare ad entrambi un egual valore, è stato abbastanza
difficile. Tanto è vero che, soprattutto all'inizio, una parte
di persone si è allontanata perché non riscontrava nei
lavori di manutenzione, nel tenere il bar aperto, o nel pulire i
pavimenti, un senso culturale. Altri invece, che ugualmente
separavano lavoro intellettuale e manuale, considerando cultura solo
quella con la "K", sono rimasti. Col tempo, misurandosi col
nostro progetto, hanno verificato che non si può parlare di
autogestione se ci si scompone in queste due anime. Chi interviene
qui quindi, lo fa per organizzare concerti o conferenze, ma anche per
pulire per terra.
Un altro problema è quello della
maggioranza e minoranza. Quando arrivano alle nostre assemblee, gli
estranei ci vedono un po' come degli UFO. Per un occhio straniero, il
fatto che non alziamo mai le mani per votare, dà l'idea che
non decidiamo mai nulla. È
un concetto difficile da far capire. Qui pensiamo che chi partecipa
all'assemblea non debba aver l'idea di essere antagonista e far
prevalere la propria opinione, mentre lo fa per misurarsi con gli
altri al fine di trovare una soluzione comune. Ciò sconcerta
moltissimo e fin dall'inizio è stato piuttosto duro.
Però per cinque anni abbiamo
funzionato così e abbiamo deciso molte cose; soprattutto
abbiamo deciso la vita e il cuore del Lambicco, riuscendo a fare
tutto senza mai dividerci in maggioranze e minoranze. È stato
importante perché non si sono create divisioni o partiti presi
all'interno. Misurandoci sulle questioni pratiche, anche i contrasti
non erano a priori. Volendo tutti contribuire a portare a buon fine i
progetti, l'accordo comune è sempre saltato fuori.
Ugo - Vorrei buttare un
po' d'acqua sul fuoco. Maurizio ha ragione nel concetto di fondo.
Però nella realtà dei gruppi si sono formati lo stesso,
si sono disciolti e poi riformati; non per questioni razionali, me
per ragioni umane, nel senso che le persone che hanno una vita più
o meno simile, che condividono certe situazioni e certe maniere di
vivere, tendono a coalizzarsi in gruppi. Ritengo che questo sia
normale. La cosa più difficile è sempre la
realizzazione coerente di quell'ideale che si ritiene giusto.
Paolo - Volevo un po'
approfondire il discorso sull'assemblea, sui metodi di decisione, sul
fatto se sia un mezzo egualitario o no. Nella mia esperienza
personale ho notato che in assemblea ogni persona si porta il suo
bagaglio culturale. Anche senza l'alzata di mano come metodo
decisionale, c'è il gruppo di persone più
politicizzato, con un particolare bagaglio di esperienza alle spalle,
che riesce a proporre il problema in un certo modo. Se vogliamo, crea
una divisione tra loro e i non politicizzati, i quali non avevano
esperienze precedenti.
Non avendo esperienze su come far
vivere un posto in modo autogestito, per molti è tutto da
imparare, per cui di fatto tendono ad ascoltare, più che a
dire la propria. Anche all'interno del gruppo più
politicizzato questo è stato chiaro fin dall'inizio e ha fatto
in modo che la cosa crescesse col tempo. Sono d'accordo con Gianni
quando dice che il progetto autogestionario è iniziato nel
novembre '82 e non è ancora finito. Questo problema velato ci
sarà sempre, tra chi tende ad ascoltare e quelli che invece
dicono perché hanno già un'idea su come dovrebbero
andare le cose.
Leo - Riguardo a quello che ha
detto Paolo, sulla differenza tra il gruppo politico e le altre
persone che non ne fanno parte. Forse è perché ho
sentito così la prima volta che ho partecipato a un'assemblea,
la differenza si manifesta nell'aver fatto proprio il concetto di
autogestione. Fintanto che non avevo fatto mio questo concetto, che
non lo avevo capito, non sono stato in grado di partecipare alle
scelte collettive interne al Lambicco. Quando invece ho fatto mio
questo metodo di vita, ne sono stato capace.
I problemi posti sono diversi. Il
discorso autogestionario diventa operativo perché è un
valore di cui ogni individuo si impossessa come metodo di vita. Si
crea perciò una tensione comune per realizzare insieme le
cose. Ugualmente sorgono delle differenze che hanno portato e portano
alla formazione di diversi gruppi che si coalizzano all'interno. Ma
queste divisioni non riescono però a intaccare l'unanimità
di fondo che vi sostiene, cosicché riuscite a prendere
decisioni collettive senza dover ricorrere al classico metodo della
maggioranza e minoranza che istituzionalizza la divisione. Siccome
sono convinto che ogni esperienza di questo tipo serva alla cultura
generale, vi chiedo se pensate che il vostro metodo sia
generalizzabile, collegabile al procedere dell'utopia .
Ugo - Personalmente non posso
dire se sia generalizzabile o meno. Io lo vivo come fatto personale
senza vederlo collegato a un contesto nazionale o internazionale. Qui
c'è un rapporto tra amici e in assemblea in genere non si
prendono decisioni in senso stretto. Essendoci un accordo di fondo,
su certe decisioni si prendono anche delle non decisioni. C'è
un'assonanza fondamentale che aiuta.
Così in pratica a volte si
prendono decisioni automatiche, forse per mancanza di stimoli altri.
Oppure, se su una cosa nessuno ha le idee chiare, questa sul momento
decade e lascia il posto alla riflessione, a una progressiva
maturazione interiore che darà poi i suoi frutti. Le cose
vengono poi fatte in base all'atmosfera che si è venuta a
creare nelle assemblee.
Si tratta in realtà di una
discussione sempre aperta che supera e supplisce al non decidere.
Aggiungo che anche prima di occupare questo posto, si viveva già
in modo autogestito.
Com'è avvenuta l'occupazione
con cui vi siete impadroniti di questo locale? Credo che sia un
elemento fondante di questa vostra esperienza, vissuta a livello
umano e collettivo, con importanti implicazioni teoriche.
Gianni - Avvenne il 13 novembre
1982, nella notte tra un venerdì e un sabato verso la mattina.
A quell'ora, perché volevamo entrare senza incontrare
ostacoli. Una volta dentro avremmo potuto condurre meglio la nostra
battaglia. Fu un momento fondamentale della maturazione del movimento
qui a Vignola, frutto di situazioni precedenti. Entro più nel
merito.
Prima dell'occupazione, a Vignola c'era
un gruppo di persone che si incontrava in un bar osteria vecchio
stile, oggi scomparso e sostituito da una banca.
Era un punto d'incontro tra persone che
si riconoscevano delle affinità nello stile di vita. Alcuni di
questi si riconoscevano negli "anarchici e libertari di
Vignola". Un gruppo che aveva fatto azioni antimilitariste e dal
cui interno era sorta la cooperativa agricola giovanile "La
Falce". Per il resto del paese erano le pecore nere, i barboni,
gli straccioni. Antimilitarista da sempre, fin da allora, quando
ancora non se ne parlava, si poneva il problema ecologico. Avevamo
fatto delle belle manifestazioni, momenti vari d'animazione, mezze
carnevalate, prese molto sul serio. Mi ricordo il carro armato di
cartone dietro la sfilata ufficiale di un 4 novembre, che fece andare
in bestia le autorità, al punto che il maresciallo dei
carabinieri lo prese a calci.
Già da parecchio tempo in questo
gruppo si sentiva la necessità di avere un luogo fisico in cui
autogestirsi il proprio tempo libero. Così l'occupazione del
Lambicco è avvenuta al culmine di un sentire comune che aveva
bisogno di un suo proprio spazio, per vivere direttamente e
sperimentare l'autogestione, che tutti noi continuavamo a teorizzare.
Un'altra spinta importante è venuta dal dilagare dell'eroina a
Vignola, che ha fatto molte vittime nel nostro ambiente. I primi
consumatori, divenuti poi piccoli spacciatori, sono sorti proprio
nell'osteria "La Pace", di cui parlavo prima. Per molti il
problema più grosso era diventato la ricerca della "roba",
così si era creato un bisogno generalizzato di avere un posto
nostro dove autogestirsi la propria vita. Alle spalle c'era una
storia lunghissima di controversie col comune, di attacchi, di
scontri, di incontri, di manifestazioni, di luoghi negati, Quindi il
momento dell'occupazione è stato un momento di grossa
tensione, perché era maturato nel tempo. Occupare era
diventata l'unica possibilità, perché tutte le
mediazioni e i tentativi di ottenerlo regolarmente non avevano avuto
nessun esito. Tuttavia avevamo capito che, per concludere qualcosa,
bisognava entrare e basta. Da allora siamo ancora qui.
Maurizio - Anche se eravamo al
culmine di un'esperienza, quando decidemmo di occupare, la cultura
dell'eroina cominciava ad essere sconfitta e molta gente era uscita
da quel tunnel nero, soprattutto quelle persone che erano della
nostra area. L'eroina e la sua cultura sono state predominanti,
tagliando le gambe al movimento alternativo, intorno al '78 e '79,
mentre nell'82 chi era nella nostra area se ne staccava ed aveva
bisogno di una situazione viva. Gianni non ha detto una cosa
importante. Che c'erano state delle esperienze d'occupazione nel
territorio di Vignola. Dalle comuni agricole, come ad esempio "La
Fagiola", che andavano nel senso inverso a quello del consumismo
proposto da questa società, le quali furono represse dai
carabinieri; che buttarono la gente fuori dalle case, con masserizie,
figlioli, ecc... Esperienze che lasciano un segno. Così quando
occupammo ci sarebbe andata bene anche se ci fosse andata male,
perché in un paese come questo erano anni che si parlava di
certe cose. Con l'esperienza storica che avevamo alle spalle, e con
le esperienze che c'erano state su tutto il territorio nazionale,
sentivamo l'esigenza di trasmettere tutto questo bagaglio culturale
in modo non libresco, ma pratico. Dovevamo trasmettere in termini pratici
quello che avevamo vissuto, affinché l'esperienza storica
fosse comune a tutti. Non si doveva vivere più in termini
schizofrenici la lotta contro il potere, nel senso che questo tipo di
lotte, oltre che nelle città, potevano essere fatte anche in
un paese come questo. Un atto di ribellione, anche se represso,
avrebbe trasmesso coraggio a quelli che l'avevano letto solo sui
giornali o sui libri.
Mi ha colpito quello che diceva
prima Gianni. Che eravate visti come pecore nere e che forse lo siete
ancora oggi. Visti da chi?
Gianni - Quando abbiamo occupato
questo posto non avevamo prospettive, né un progetto a medio
termine. Lo abbiamo fatto perché dovevamo farlo per le cose
dette prima. Uno dei motivi più eclatanti è stato il
discorso dell'eroina. Chiaramente, poiché all'inizio l'eroina
è arrivata principalmente all'interno della nostra area,
abbiamo sempre avuto addosso l'etichetta di contiguità coi
drogati, spacciatori e simili. Anche se la battaglia contro l'eroina
è stata una delle nostre battaglie principali. Abbiamo
cacciato fuori gli spacciatori identificati, in cortei e
manifestazioni abbiamo detto a gran voce che eravamo contrari. Ma
nonostante tutto questo la popolazione ci ha sempre visto legati al
giro dell'eroina.
Inoltre, il fatto di presentarsi per
esempio in piazza il 4 novembre con un carro armato di cartone, con
cartelli e slogan antimilitaristi, ha fatto sì che,
soprattutto la fetta di popolazione legata al PCI, visto che il
sindaco è comunista come pure le autorità locali, ci ha
sempre visto come "rompiballe", "gente che non
lavora", "gente che si droga", e che "dentro al
Lambicco chissà cosa fa".
Ugo - Su certe cose sono
d'accordo con Gianni. Ma secondo me la cosa c'era da prima per fatti
diversi dall'eroina. C'era verso l'individuo e non solo verso la
collettività "strana" che si è poi creata con
l'occupazione o prima con le azioni come il carro armato.
Già se avevi il capello lungo
eri catalogato, eri già in quel cassetto dell'archivio che
loro avevano preparato per te. Qui do ragione a Gianni; se sei del
PCI, a Vignola, sei un'istituzione, se sei qualcosa al di fuori sei
sospettato, se sei democristiano già è meglio perché
sei un nemico rispettato, se sei un anarchico, o qualcosa di simile,
come me che non lo sono anche se sono fatto in un certo modo, sei una
bestia nera. Non essere anarchico, ma comportarsi nello stesso modo
per loro è la stessa cosa. Il problema è il rifiuto del
diverso.
Maurizio - A livello popolare
era ben chiaro che i compagni con l'eroina non avevano nulla a che
fare, perlomeno quelli del gruppo anarchico e libertario. La nostra
posizione fu ben chiara fin dall'inizio, perché siamo stati
l'unica forza che si è opposta in termini politici al discorso
dell'eroina. Per questo, rispetto alla gente, abbiamo una certa
credibilità. Il problema è un altro.
Qui a Vignola non è come in una
città, dove la gente non si conosce nei condomini, dove il
droghiere non sa chi sei quando vai a fare la spesa. Qui saluti non
solo quelli che abitano lungo la tua scala, ma anche quelli che
passano lungo la via. Ci conosciamo tutti. Quindi essere anarchico,
baffuto, cappellone, si nota. Il diverso in paese è molto
diverso. Paghi dei prezzi altissimi. Non trovi casa o non trovi
nemmeno un posto dove andare a bere in un bar una birra perché
al limite non te la servono e ti buttano fuori.
Anche per voi, come in tutta
l'esperienza postsessantottina, il problema dell'eroina è
fondamentale. È
presente in tutte le esperienze alternative. In alcuni casi è
stato castrante, mentre altri sono sopravvissuti. Voi non solo siete
sopravvissuti, ma avete un vissuto in atto che continua ad essere.
Mi interessa sapere come avete
risolto il problema, se di soluzione si può parlare, dal
momento che siete costretti ancora a confrontarvici?
Paolo - Mi aggancio al discorso
di Maurizio sul fatto che, alcuni anni fa, l'eroina aveva colpito
alcune persone che lavoravano assieme al gruppo degli anarchici e
libertari. Guardando oggi, mi sono accorto che chi fa parte di una
certa area ed ha un certo stile di vita non si fa più. Chi si
fa oggi a Vignola, sono persone al di fuori del nostro giro, che non
conosciamo; da un certo punto di vista si è perso il contatto
con loro. Forse perché l'area dei diversi in senso politico si
è allontanata dalla cultura dell'eroina. Al di là del
fatto che chi è riconoscibile nella nostra area viva o no al
Lambicco. È anche successo che alcuni, dopo aver frequentato
il Lambicco, abbiano smesso di farsi. Poi hanno smesso di frequentare
il Lambicco, ma non hanno ripreso a farsi.
Leo - Per i tossicodipendenti il
Lambicco in questi anni ha rappresentato un luogo importantissimo
dove passare le proprie serate o i propri pomeriggi.
Un luogo in cui non potevano essere
ricattati o tentati dagli spacciatori, in cui potevano venire, essere
accolti a braccia aperte, capiti e accettati. Si parlava assieme, si
faceva una partita a carte, si beveva un bicchiere di birra insieme.
Un ambiente molto diverso da quello di fuori cui erano abituati, in
cui si scontravano sempre con una realtà che li vedeva come
tossicodipendenti e basta. Là erano sempre alla ricerca di un
buco di eroina, quindi di un stereo da rubare per procurarsi i soldi.
Qua invece, quasi un porto franco, dove gli spacciatori sono sempre
stati tenuti fuori, anche con la forza. Questo è un aspetto di
come è stato affrontato il problema all'interno.
Esternamente sono state fatte delle
azioni di piazza, delle conferenze, delle manifestazioni, come nel
caso di una ragazza, morta in seguito a una dose, che frequentava il
posto. In questa occasione, abbiamo fatto una conferenza e una mostra
e una manifestazione che penso abbiano inciso molto in paese.
Naturalmente l'eroina c'è ancora, ma la nostra azione ha
lasciato un segno, tanto è vero che il giro degli spacciatori
si è addirittura trasferito a Spilamberto.
Dagli interventi finora fatti è
emerso più volte che il Lambicco non è un'esperienza
chiusa al suo interno autogestionario, ma ha fatto diverse azioni
all'esterno. Questo è importante, perché vuole in
qualche modo essere propositivo, svolge cioè un ruolo
politico. Quali sono queste esperienze, quale senso è stato
dato ad esse e quale ad eventuali future?
Gianni - una delle azioni
sociali più importanti che il Lambicco ha svolto verso
l'esterno, è stata l'affermazione della sua esistenza, cioè
il fatto che a Vignola ci sia un centro autogestito, senza nessuna
affiliazione e che vive in pieno al di fuori della legge.
Come circolo gestiamo un bar che vende,
senza però essere affiliato a nessuna organizzazione
nazionale, come invece ci era stato prospettato subito dopo
l'occupazione. Già il fatto di esistere è quindi
incontestabilmente un fatto sociale ed ha un significato politico sul
territorio. La seconda, come si diceva prima, riguarda il discorso
dell'eroina, sulla quale siamo sempre intervenuti fin da prima
dell'occupazione.
Per il resto il Lambicco è nato
con l'intenzione di essere un laboratorio. Chi vuole produrre
interventi sociali su qualsiasi argomento che lo interessi può
e deve usare il circolo come posto di riferimento, perché non
vogliamo limitarci alle feste del sabato sera o ai concerti.
L'antimilitarismo è per esempio un settore d'intervento. Qui
si riunisce un gruppo di obiettori fiscali alle spese militari, di
cui soltanto due o tre fanno vita di circolo. Gli altri sono persone
che si ritrovano su quel discorso, avendo il Lambicco come punto di
riferimento, cioè luogo di incontro, di discussione o di
preparazione di iniziative. Ci sono poi altri settori, come quello
dell'ambiente e dell'ecologia, con le stesse caratteristiche. Questo
intendiamo come laboratorio: che chi ha interesse a portare avanti un
discorso, usufruisce del Lambicco come spazio, come luogo, come
ambiente di incontro e scambio d'idee.
Paolo
- Per quanto riguarda il discorso delle azioni sociali, se la memoria
non mi tradisce, in assemblea non abbiamo mai posto il problema di
che cosa fare verso l'esterno, né mai abbiamo aperto una
discussione su questo. Ciò non è casuale, perché
rispecchia il fatto che il Lambicco non ha una linea comune sul come
proporsi. Ciò che facciamo nasce dall'esigenza di individui o
di un gruppo di persone che magari scelgono l'assemblea come momento
per esternarla, per sentire il parere degli altri.
Così succede che le cose che si
fanno all'esterno rispecchiano molto lo stile di vita delle persone.
Ci può essere un momento ludico, ma anche il momento in cui si
fa la classica parlata di piazza su un problema d'attualità. È
proprio il fatto di non avere una linea comune a costituire
l'originalità del come ci si propone. Non si segue un
vademecum e si esternano anche i propri errori. Continuiamo ad essere
pecore nere anche da questo punto di vista, perché rifiutiamo
il discorso della cultura dominante che vuole sempre vedere la
posizione unitaria nelle cose che si fanno.
Maurizio - Noi abbiamo sempre
preferito l'azione per manifestare la nostra opinione e per creare
informazione. Abbiamo fatto varie scelte, il comizio, la mostra,
oppure l'intervento teatrale, un po' come si faceva nella commedia
dell'arte, nella piazza, con delle farse improvvisate, attraverso un
canovaccio che si rifà a situazioni reali, si imbastiscono
delle pantomime e si propongono alla gente. Mi viene in mente la
contestazione che abbiamo rappresentato il martedì grasso di
quest'ultimo carnevale. Dal momento che a noi e ai compagni del
circolo libertario "La Scintilla" di Modena erano pervenute
delle multe per affissione abusiva, abbiamo attacchinato delle
fotocopie delle multe con su scritto "scherzo di carnevale",
usando soltanto acqua. Il bluff stava proprio nell'acqua, perché
tutti sono capaci di attaccare con la colla, mentre nessuno lo fa con
l'acqua. Ma vallo a spiegare a chi porta un cappello in testa senza
aver niente sotto. Non ti crederà mai! Reagisce immediatamente
da poliziotto e ti accusa di usare la colla.
Si è creata immediatamente una
situazione che ci ha procurato simpatia da parte di più un
centinaio di persone normali, bambini o anziani, ricchi o poveri che
siano. Lo stesso meccanismo per cui, sul grande schermo, tutti hanno
simpatia per Charlie Chaplin e non per il poliziotto che lo insegue.
Inoltre siamo riusciti a trasmettere il concetto che è
ingiusto non poter attaccare manifesti, oppure che a parole ti danno
la libertà, poi te la tolgono con una legge amministrativa. In
più abbiamo dimostrato la stupidità del potere perché
non è capace di accettare uno scherzo di carnevale. Ci hanno
sequestrato i manifesti e ci hanno denunciato.
Ciononostante andremo in tribunale, ma
non pagheremo le multe a questo potere villanzone. Ci siamo divertiti
tutti e non abbiamo avuto assolutamente paura, anche quando sono
arrivati i vigili e i carabinieri, ai quali abbiamo gridato
"cattivi", seguiti dal centinaio di persone presenti.
Claudia - Perché c'erano
un centinaio di persone che gridavano "cattivi"? Perché
stavi facendo un'azione contro i vigili e i vigili stanno sul cazzo a
tutti.
Questo è importante.
Vorrei chiarire meglio un punto.
Siete partiti da un'occupazione, che di per sé è un
fatto illegale, ma dopo tanti anni continuate ad esserci. Ciò
presuppone che o vi tollerano o vi hanno istituzionalizzato in
qualche modo, cioè hanno permesso che esistiate ufficialmente,
con tutti i crismi di legge. Per quanto sia difficile, per il fatto
stesso che vi muovete, che fate manifestazioni ed agite
pubblicamente, vuol dire che avete un rapporto con le istituzioni. Su
che piano è?
Maurizio - A livello storico è
importante sottolineare che il Lambicco non è stato dato
dall'istituzione, mentre è stato preso da un comitato
occupante, composto da cinque compagni, i quali non hanno mai
trattato con le istituzioni. Ha trattato invece il movimento dei
giovani vignolesi che girava attorno al comitato, il quale si è
sempre rifiutato di trattare, né ufficialmente né
sottobanco, perché non riconosceva più l'autorità
d'imperio su quel posto. Dal momento in cui sono entrate e hanno
messo le sbarre alla porta, quelle cinque persone hanno accettato
come interlocutore solo il movimento dei compagni che stavano fuori e
che avevano interesse ad avere uno spazio. Il comitato interloquiva
con il movimento e questo ha trattato con le istituzioni.
Spiega meglio cosa vuol dire
trattare, perché è poco chiaro.
Maurizio - Il discorso del
trattare è venuto così. Nel momento in cui queste
cinque persone hanno occupato, non dovevano più avere il posto
perché l'avevano già in mano. Al massimo le avrebbero
potute buttar fuori o denunciare. Il movimento invece aveva ancora
l'esigenza di avere un posto, avendo però alle spalle
quell'esperienza dei cinque che erano là dentro e che, con la
loro azione, avevano dimostrato che il re era nudo. Così,
quando il potere ha deciso di dare ai giovani il posto occupato dai
cinque contro la sua volontà, i giovani hanno dovuto parlare
col comitato occupante, il quale disse che sarebbe andato via da quel
posto perché sapeva che poteva far comodo a loro, alla
condizione che, qualora ci fosse stata una qualsiasi azione
repressiva da parte del potere, indipendentemente dalle decisioni del
movimento, avrebbe rioccupato di nuovo.
Il potere fece quella concessione
probabilmente sperando che col tempo, che è una grande macina,
l'esperienza del Lambicco avrebbe avuto fine. Che durasse qualche
mese per poi magari confluire in una associazione tipo ACLI. Oppure
che all'interno si creassero delle situazioni gerarchiche, mandando a
monte l'esperienza autogestionaria. Molte esperienze come la nostra
sono rimaste fregate nel lungo periodo. Anche noi sapevamo di questa
possibilità, per cui non abbiamo tenuto una situazione di
barricata, portando il conflitto alle sue estreme conseguenze.
Ugo - Il primo giovedì
dopo l'occupazione, giorno di mercato a Vignola, già da quasi
una settimana avevamo esposto lo striscione con su scritto "Sala
occupata". Abbiamo pensato di mettere fuori le trombe verso il
mercato per trasmettere musica e comunicati che spiegavano le
motivazioni dell'occupazione. Fu un grande successo. Sta di fatto che
due o tre giorni dopo fummo convocati e ci pregarono di sostituire lo
striscione con un altro che dicesse "Assemblea Permanente".
C'erano dei problemi tra l'amministrazione comunista e l'opposizione
democristiana, che aveva presentato delle interrogazioni in consiglio
per chiedere l'intervento dei carabinieri. Era un sintomo di come era
ridotta l'amministrazione comunale e forse l'esito è dipeso
anche da questa debolezza, anche se probabilmente ora si otterrebbe
lo stesso risultato avendo la medesima determinazione.
All'interno del Lambicco c'è
una componente anarchica dichiarata. Vorrei chiedere ai compagni
presenti, sia anarchici che non, che tipo di relazione c'è tra
una componente anarchica specifica ed una non anarchica, all'interno
di una esperienza che si muove però in una logica nel suo
insieme chiaramente libertaria?
Gianni - Ci sono un'area e un
movimento, di cui abbiamo parlato prima, che bene o male, per stile
di vita, per esperienze personali, sia politiche che sociali, possono
essere definiti libertari. All'interno di questa esperienza i
compagni anarchici, che sono poi quelli che spingono maggiormente in
certe direzioni, si sono trovati più di una volta a dover
discutere di certe scelte. La differenza più grossa è
questa: che mentre gli anarchici hanno tutti una grossa esperienza
politica alle spalle, la stragrande maggioranza del movimento non ce
l'ha. Anche nel dibattito sul come porsi nei confronti del potere
locale, gli anarchici avevano delle posizioni più smaliziate
che tenevano anche conto del significato storico dell'occupazione
nell'ambito territoriale. Ma veri e propri contrasti di posizione non
ne sono mai sostanzialmente emersi, per il metodo stesso che ci siamo
dati nel condurre le assemblee e nel decidere.
I compagni anarchici che vivono questa
esperienza, del resto, si sono ben guardati dal dare un carattere
specificatamente ideologico a questo circolo. Era nato per le
esigenze dette e, nelle intenzioni di tutti gli aderenti, deve
mantenere un carattere prevalentemente di intervento sociale. Quando
lo concepimmo, l'occupazione era equiparabile a quella di tante altre
che avevamo fatto. Non avevamo previsto che prendesse poi una piega
di lungo respiro, perché quello che è successo dopo è
avvenuto al di fuori del progetto iniziale, modellandosi da sé.
Ed è stato positivo, anche perché negli anni è
venuta crescendo un diffidenza molto forte nei confronti di coloro
che prendono posizioni ideologiche molto nette e precise, compresi
gli anarchici.
L'esperienza doveva avere un carattere
sociale esteso; non di gruppo specifico, doveva essere un centro di
aggregazione, capace di coinvolgere i giovani sul territorio, non un
circolo di iniziati anarchici; senza quindi un marchio particolare.
Tutti possono parlare, tutti possono entrare dalla porta ed
esprimersi liberamente. Per cui direi che, dal punto di vista delle
etichette, non ci sono mai stati dei grossi contrasti. Ci sono invece
dei problemi che stanno emergendo, nel senso che nel paese e nel
territorio il Lambicco viene indicato come un circolo anarchico. Come
spesso succede, l'uso di questa parola è improprio e nasconde
tutta una serie di malintesi. Ne nasce che ci sono degli aderenti al
circolo che si sentono a disagio nel sentirsi etichettati in questo
modo; e lo hanno manifestato.
D'altra parte, anche in assemblea ho
cercato di chiarire che questo succede non tanto per le dichiarazioni
o gli intenti, più o meno coperti, dei compagni anarchici, ma
per il fatto che il lavoro sociale e politico precedente
all'occupazione, come molte altre azioni successive, sono stati
portati avanti da persone che in paese erano conosciute e inquadrate
in questo modo. Allo stesso modo di come veniamo etichettati come un
covo di droga.
Ugo - Sono uno di quelli che ha
manifestato questo disagio. Non è un fatto personale, non mi
dà fastidio l'etichetta e neppure di essere ritenuto
anarchico, perché mi piacerebbe esserlo, mentre non lo sono
per tante mie contraddizioni. Ho tirato fuori questo problema in
assemblea perché era scaturito parlando con altri che fanno
parte del Lambicco e non si riconoscono anarchici. Non mi dà
fastidio l'esser catalogato come anarchico, ma il fatto che la gente
pensi che si possano fare delle cose solo con l'etichetta.
C'è il problema di affermare che
c'è chi ragiona aldilà di avere un partito, perché
la gente vede gli anarchici come un partito, così come i
comunisti; che poi non lo sia, è un altro discorso.
Noi abbiamo fatto la scelta di non
associarci né all'ARCI, né all'AICS, quindi mi va bene
che ci sia questa componente anarchica, anche perché è
trainante. Do atto ai compagni anarchici che qui dentro han lavorato
bene e non hanno imposto degli schemi, cosa che in qualsiasi altro
circolo in cui entrasse una componente trainante, avrebbe comportato
un marchio vero e proprio, così come è stato per altri
circoli con cui abbiamo avuto rapporti. Adesso non ci interpellano
nemmeno più, perché diamo solo fastidio portando la
componente dei diversi.
Maurizio - C'è una cosa
significativa. In uno studio della regione, in cui si parla di tutti
i circoli che sono in provincia di Modena, in cui li si definisce di
questo o quell'altro gruppo e se ne mette il nome e quanti componenti
ci sono, parlando di Vignola, oltre all'ARCI, quando arrivano a noi
non si parla del Lambicco, ma di un circolo non definito. Sono anche
venuti qui per fare la statistica.
Per finire, è interessante
chiarire quali sono i rapporti interni tra la comunità e
l'individuo, qual è il modo di finanziamento.
Leo - Fino adesso abbiamo
parlato del come è nato e su che cosa si basa il Lambicco. Io
volevo un po' accennare agli aspetti tecnici, cioè alla
quotidianità che si vive qua dentro. Un aspetto è
rappresentato dal fatto che per molti è quasi una seconda
casa, perché ci passano molte ore e si fermano anche a
mangiare. Un altro aspetto è da dove traiamo i finanziamenti
per fare ciò che facciamo. Questi finanziamenti avvengono
attraverso il bar e la cucina. Ognuno di noi, consumando qualcosa al
bar, o partecipando alle cene, partecipa a creare quei fondi che
servono a fare spettacoli, concerti o altre iniziative culturali, ma
anche a comprare attrezzature necessarie. Non abbiamo nessuno che ci
copra le spalle finanziariamente, né enti comunali, né
altre organizzazioni o circuiti. È
stata una nostra scelta e continuiamo a portarla avanti. Già
mettendoci dietro al bar, o in cucina a lavare i piatti e a far da
mangiare, partecipiamo alla vita interna.
Questo aspetto pratico è molto
importante, perché inizialmente si possono avere delle
difficoltà a confrontarsi in assemblea con altre persone,
mentre lavare i piatti o i bicchieri è una cosa che sanno fare
tutti e rappresenta un primo momento di contatto. Per il bar e la
cucina c'è un comitato di gestione del quale tutti possono far
parte, che si occupa di organizzare il lavoro e i rifornimenti.
Nessuno ne fa parte in pianta stabile, chiunque ne può far
parte saltuariamente, anche solo per organizzare una cena.
Un altro aspetto che ci
contraddistingue da tutti i circoli della zona è che in
qualunque momento, in qualunque giorno, per entrare non si deve
pagare il biglietto. L'entrata è gratis anche ai concerti o
agli spettacoli, che pure ci vengono a costare. La gente che viene a
vederli, se li paga bevendo un bicchiere di vino. Solo una volta
abbiamo organizzato un'iniziativa in cui si pagava il biglietto, però
l'incasso è stato destinato ai detenuti politici. Qualsiasi
persona che voglia organizzare queste cose può farlo, in
quanto l'assemblea ha stabilito che chi organizza ha a disposizione
trecentomila lire.
Paolo - Quello che
è importante è che all'interno del circolo l'individuo
ha un ruolo determinante. L'assemblea è valida come momento in
cui si discute cosa decidere, però non ha né il potere
della decisione né quello dell'azione. Vi si affrontano i
problemi e li si sviscerano, si cercano delle soluzioni, ma
all'interno di questo spazio c'è anche la possibilità
di agire in termini individuali su delle iniziative personali. In
poche parole non è necessaria l'omogeneità tra gli
individui, ma vige una pluralità di interessi e di argomenti.
Fin dall'inizio ci eravamo proposti che quando uno entra da quella
porta non deve abbandonare i propri vestiti, ma rimanere quello che
è; deve solo confrontarsi con gli altri senza paura di perdere
la propria identità. Il Lambicco è uno spaziò di
libertà per tutti, libertà di rimanere tali e quali a
come si è entrati, come di non partecipare alla vita del
circolo.
Nessuno qui è tenuto a fare
delle cose e, quando qualcuno le fa, è perché ha scelto
di farle. Forse il comune ha vinto perché è riuscito a
farci accettare dei compromessi, perché abbiamo accettato un
contratto, ma sulle pratiche della vita quotidiana e
dell'autogestione siamo vincenti noi, finché continueremo a
sperimentarle. Non abbiamo la sicurezza totale che queste piccole
rotelline siano l'ingranaggio dell'autogestione, però queste
piccole rotelline possono contribuire a creare un buon ingranaggio
dell'autogestione.
Ugo - Sono tutti colpettini
d'ala.
Cos'è un colpettino d'ala?
M'incuriosisce molto.
Ugo - Il colpettino d'ala può
sembrare irrilevante, ma fa parte della cultura dei colpettini;
ovverossia ci sono i colpettieri, che sono coloro che portano i
colpettini, che sono le cose dimenticate dalla zia. Anche la nonna,
ma in genere la zia è colpettofora, portatrice di colpettini.
Il colpettino è una cultura che sta scomparendo, forse rimane
a S. Marino, a Venezia, a Portofino...
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